Kabul come Saigon: americani in fuga, i talebani prendono Ghazni, Kandahar, Laskar Gah ed Herat

 

 

(aggiornato alle ore 19,40 del 13 agosto)

Kabul come Saigon. Gli anglo americani si apprestano a inviare truppe a Kabul ma non per rafforzare l’esercito afghano allo sbando sotto l’offensiva talebana ma per assicurare l’evacuazione dei connazionali e probabilmente di altri occidentali dalla capitale la cui caduta viene oggi valutata possibile entro brevissimo tempo.

Il paragone con la caduta della capitale sudvietnamita, nell’aprile 1975, è stato evocato oggi dal leader repubblicano al Senato di Washington, Mitch McConnell.  “Le decisioni del presidente Biden ci stanno portando ad una replica peggiore dell’umiliante caduta di Saigon nel 1975. Il presidente Biden sta scoprendo che il modo migliore di finire una guerra è perderla”, aggiunge il leader repubblicano ipotizzando che al-Qaeda e i talebani possano “celebrare il 20esimo anniversario dell’11 settembre bruciando la nostra ambasciata a Kabul”.

Buona parte dell’Afghanistan è ormai in mano ai talebani che nelle ultime ore hanno occupato le città di Kandahar e Laskar Gah nel sud, Herat ad ovest, Ghazni a est e controllano ormai da alcuni giorni buona parte del nord: nel complesso le forze governative hanno perso il controllo di ben 15 capoluoghi di provincia su 34. L’ultimo è stato questa mattina Pul Alam,  capoluogo della provincia di Logar, a poche decine di chilomnetri da Kabul

Ieri gli insorti hanno annunciato la “completa conquista di Kandahar” come ha rivelato su twitter il portavoce talebano Zabihullah Mujaid pubblicando un vide-o in cui si vedono alcuni uomini camminare in strade deserte, ai cui lati tutte le serrande dei negozi sono chiuse, e utilizzare una radio ricetrasmittente. Al-Jazeera ha confermato ieri sera che i talebani sono entrati a Kandahar, la seconda città dell’Afghanistan con 650 mila abitanti, dove dopo  violenti combattimenti le forze governative hanno ripiegato sul complesso di basi del 205° Corpo d’armata nell’area dell’aeroporto, come hanno riferito all’agenzia di stampa tedesca DPA i deputati Gul Ahmad Kamin eArif Noorzai.

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I talebani sostengono inoltre, non smentiti, di aver conquistato il quartier generale della polizia a Laskar Gah dove gli insorti hanno preso la prigione liberando i carcerati e militari e poliziotti si sono ritirati  dalla città dopo aver negoziato una tregua di 48 ore con i talebani che ha permesso al personale in uniforme e ai funzionari governativi di lasciare il centro abitato. Di fatto Laskar Gah è caduta senza combattere, evacuata da esercito e polizia, non conquistata armi in pugno dai talebani.

Nel pomeriggio di ieri è caduta anche Herat dove  i talebani hanno conquistato il quartier generale della polizia, nel centro della città come ha riferito un reporter dell’agenzia di stampa France Presse.

Un funzionario della provincia di Herat  ha comunicato ai media che l’omonima capitale è stata conquistata dai miliziani “a eccezione dell’aeroporto” con il complesso di Camp Arena, fino a poche settimane or sono sede del coma do NATO a guida italiana e “di una base militare” non meglio precisata ma che potrebbe essere Camp Zafaar (situata sulla Ring Road in direzione sud, verso Shindand e sede del 207° Corpo d’Armata)  che sarebbero ancora sotto il controllo delle forze armate afghane.

Fonti locali citate dalla BBC hanno riferito della cattura di Ismail Khan, il ‘leone di Herat’ nemico storico dei talebani che aveva mobilitato uomini e mezzi nel tentativo di resistere all’assalto dei miliziani jihadisti  L’afghana di stampa afghana Tolo News sostengono che si sarebbero arresi ai talebani  tutti i funzionari governativi della città, compresi, il governatore, il capo della polizia e il comandante del comando locale dei servizi segreti (NDS).

Poche ore prima i miliziani hanno espugnato la città di Ghazni, a circa 150 chilometri a Kabul, decimo capoluogo di provincia (su 34) a passare sotto il controllo dei talebani in una settimana.

Gli sviluppi delle ultime ore confermano il rapido sbandamento delle strutture istituzionali, militari e di polizia del governo di Kabul: dopo la resa di centinaia di militari rimasti isolati all’aeroporto di Kunduz, anche la caduta di Ghazni è avvenuta quasi senza che i governativi opponessero resistenza mentre a Kandahar, Laskar Gah ed Herat non è chiara la sorte di molte migliaia di soldati e poliziotti posti a difesa dei centri urbani.

 

La caduta di Ghazni

Nella città, capoluogo dell’omonima provincia, i talebani hanno assunto il controllo dei più importanti edifici governativi, compreso l’ufficio del governatore e il quartier generale della polizia. Gli insorti hanno inoltre fatto irruzione nel carcere provinciale, secondo quanto riferiscono i due consiglieri locali Nasir Ahmad Faqiri e Amanullah Kamran, che accusano il governatore di avere stretto un patto con i talebani, per consegnare loro la città. Secondo il resoconto dei due consiglieri, solamente un piccolo gruppo di forze governative, a guardia degli uffici dell’intelligence (NDS), ha opposto resistenza ai miliziani talebani.

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Va però ricordato che gli uomini del Direttorato Nazionale dell’Intelligence raramente vengono presi prigionieri dai talebani che solitamente li passano per le armi.

Anche i commandos delle forze speciali continuano a combattere in città per aprirsi una via di fuga come ha testimoniato oggi un articolo di Fausto Biloslavo che sul Giornale ha intervistato via WhattsApp un tenente afghano che ha frequentato l’accademia militare di Modena.

«Noi non cediamo le armi. Siamo i commandos e combattiamo fino alla morte. Come può sentire stanno sparando, ma continuiamo a resistere a Ghazni» riferiva ieri il giovane ufficiale nell’articolo di cui qui di seguito riportiamo un brano.

 

«La città è caduta e il governatore è fuggito. Noi combattiamo da due giorni per evacuare i poliziotti ed i funzionari governativi rimasti» racconta il coraggioso ufficiale. I talebani sono vicini e si sentono le raffiche di mitra. I corpi speciali sono asserragliati in una caserma e hanno chiesto l’appoggio aereo. Il governatore, Mohammad Dawood Laghmani, è stato arrestato con l’accusa di essersi accordato sotto banco con i talebani. «La situazione è bruttissima – spiega l’ufficiale – Non è possibile sganciarci via terra. Attenderemo l’arrivo degli elicotteri». 

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La sua famiglia è nel mirino. «I talebani hanno occupato il mio villaggio e bruciato la nostra casa – racconta con un velo di tristezza – Ho perso 8 parenti compresi due fratelli, uno decapitato. E sono stati ammazzati pure i nipotini piccoli».

L’ultimo caduto è il cugino, anche lui militare, seguito fino sotto casa e freddato a Kabul. «Danno la caccia agli ufficiali dei corpi speciali – racconta – Vogliono eliminarci perché siamo quelli che intervengono dappertutto». Da Ghazni ci manda un video dei talebani di fronte alle sue posizioni: «Sono ben armati e appoggiati dal Pakistan. Nelle loro fila ci sono diversi pachistani».

 

Il governatore Mohammad Dawood Laghmani, è stato arrestato ieri dalle forze della sicurezza afghana dopo la sua fuga da Ghazni.

Lo ha reso noto il portavoce del ministero degli Interni di Kabul, Mirwais Stanekzai, spiegando che insieme al governatore sono stati arrestati il suo vice, il responsabile del suo ufficio e alcuni membri del suo entourage nella provincia di Maidan Wardak. Una fonte della sicurezza, che ha chiesto di restare anonima, ha detto al quotidiano Etilaat roz che il governatore e i suoi collaboratori sono detenuti a Maidan Shahr, capoluogo della provincia di Maidan Wardak.. Il portavoce dei Talebani Zabihullah Mujahid ha spiegato che nell’accordo era stato concesso al governatore di recarsi a Kabul.

La caduta di Ghazni, che si trova lungo la ring road tra Kabul e Kandahar e collega la capitale alle province meridionali, complica sul piano strategico la situazione nelle due grandi città del sud sotto assedio talebano: Kandahar e Laskar Gah, ormai tagliate fuori da ogni collegamento terrestre con la capitale e che secondo fonti talebane delle ultime ore sarebbero cadute nel pomeriggio del 12 agosto.

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Un disastro militare che ha indotto il presidente Ashraf Ghani a sostituire col generale Hibatullah Alizai  il capo di stato maggiore dell’esercito, generale. Wali Ahmadzai, già comandante del 205° Corpo schierato nella provincia di Helmand (nella foto sopra).

 

Ultime resistenze nell’Ovest

Segnali più incoraggianti erano giunti ieri mattina dall’ovest dove sei attacchi talebani contro la città di Herat erano  stati respinti nella notte, così come contro Qal-e-Naw, capoluogo della provincia di Badghis: due aree dove il contingente italiano ha co battuto dal 2007 sanguinose battaglie. Il governatore della provincia di Herat, Abdul Saboor Qoni, citato da Tolo Tv, aveva riferito che i talebani hanno attaccato la città da quattro direzioni, ma hanno trovato “una risposta enorme” delle forze di sicurezza.

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“Almeno 30 talebani sono stati uccisi e altre decine sono stati feriti. L’Aeronautica ha dato sostegno alle truppe locali nei combattimenti” contro i miliziani, nel corso dei quali è rimasto ucciso anche un soldato e altri quattro sono stati feriti”.

Nella notte le forze di sicurezza afghane hanno respinto anche una serie di attacchi contro Qala-e-Naw.

Il governatore della provincia, Hasamuddin Shams, ha riferito che negli scontri sono morti “almeno 60 talebani, tra cui 4 comandanti, e altri 50 sono rimasti feriti. I combattimenti continuano ancora in alcune zone alla periferia della città ma le forze governative hanno il controllo della situazione”.  Successi tattici rilevanti che non hanno cambiato lo stato di assedio a cui sono sottoposte le due città e la caduta di Herat annunciata in serata dai talebani non lascia molte speranze circa le capacità residue delle forze governative di difendere ancora a lungo Qal-i.-Now che secondo alcune fonti sarebbe caduta nel pomeriggio di oggi.

 

Usa ed europei travolti dalla blitzkrieg talebana

Al di là delle chiacchiere, gli Stati Uniti e la NATO hanno completamente abbandonato l’Afghanistan a sé stesso come confermano dichiarazioni ufficiali e indiscrezioni.

“Non rimpiango la decisione di ritirare le nostre truppe dall’Afghanistan. I leader afghani devono ora mettersi insieme e lottare per sé stessi e per il loro Paese” ha detto il presidente statunitense Joe Biden mentre circolano sempre più insistentemente le voci della chiusura dell’ambasciata americana a Kabul entro fine agosto abbinate con le valutazioni dell’intelligence statunitense che prevedono la caduta di Kabul entro 30/90 giorni.

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La portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, ha aggiunto che l’esercito afghano “ha tutto quello che serve” per rispondere all’offensiva dei talebani: “il nostro punto di vista è che le forze di difesa hanno l’equipaggiamento, i numeri e l’addestramento per reagire” agli attacchi.

Dichiarazione infelice e inattendibile a giudicare da molti rapporti che giungono dai campi di battaglia.

Certo gli USA confermano che continueranno ad aiutare il governo e l’esercito afghano e ammoniscono i talebani per indurli al dialogo con Kabul ma si tratta evidentemente di affermazioni prive di significato e che dopo il tracollo dei governativi degli ultimi giorni appaio del tutto avulse dal contesto reale..

Più o memo come quelle che giungono dall’Europa dove il segretario generale della Farnesina, Ettore Sequi (che ben conosce l’Afghanistan), ha dichiarato che l’Italia non accetterà “in termini di riconoscimento di eventuali nuovi regimi, una presa di potere violenta” e “non sarà riconosciuto un eventuale altro nuovo emirato”.

O del ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas, che ha avvertito che la Germania è pronta a ritirare gli aiuti al Paese, stimati intorno a 430 milioni di euro l’anno, se i talebani prendessero il potere con la forza e imponessero un’interpretazione rigorosa della legge islamica che limita fortemente i diritti. Dichiarazioni diplomatiche certo dovute ma ininfluenti sugli eventi afghani, come la riunione d’emergenza degli ambasciatori della NATO convocata oggi sul rapido peggioramento della situazione in Afghanistan.

Il vertice, presieduto dal segretario generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg, è limitato a questo punto a discutere i piani per l’evacuazione dei cittadini stranieri e del personale diplomatico da Kabul.

 

Evacuazione rapida degli occidentali 

La percezione che anche Kabul possa cadere presto è confermata del resto dalla decisione del Pentagono di avviare una nuova missione militare a Kabul “precisa e limitata, strettamente concentrata sull’uscita in sicurezza del personale civile” dall’ambasciata americana di Kabul, come ha detto il portavoce del Dipartimento della Difesa Usa, John Kirby.

Si tratta di 3.000 militari americani da schierare presso l’aeroporto della capitale afgana per  proteggere l’imbarco su diversi velivoli dei 5 mila civili statunitensi da evacuare ai quali si aggiungeranno probabilmente altri occidentali del personale delle ambasciate. In un briefing alla stampa al Pentagono, Kirby ha insistito sul fatto che questo aumento della presenza militare americana non dovrebbe interferire con il ritiro definitivo delle truppe americane dal paese asiatico, previsto per il 31 agosto.

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I soldati che parteciperanno a questa missione – ha aggiunto – “sono già nell’area”, senza precisare dove si trovino esattamente. A questi 3000 uomini si aggiungerà una “brigata di combattimento” che sarà stanziata in Qatar come rinforzo “nel caso ce ne fosse bisogno”.

Per tranquillizzare i talebani circa l’arrivo di nuove truppe in Afghanistan in vi9olazione degli accordi di Doha, il  Pentagono ha reso noto che non userà’ “l’aeroporto internazionale di Kabul per lanciare attacchi aerei” contro i talebani nè per tale compito verranno impiegati i  3.000 soldati dispiegati all’aeroporto.

“Non c’é nessuna pianificazione e nessuna discussione sull’uso dell’aeroporto internazionale Hamid Karzai come base per condurre attacchi aerei in Afghanistan e dintorni”, ha aggiunto Kirby.

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Per le stesse ragioni anche  Londra invierà 600 militari in Afghanistan per agevolare l’evacuazione dei propri cittadini e degli ex collaboratori afghani dell’ambasciata. “Ho autorizzato il dispiegamento di personale militare supplementare per sostenere la presenza diplomatica a Kabul, per aiutare i cittadini britannici a lasciare il paese e per sostenere il trasferimento dell’ex personale afghano che ha messo a rischio la propria vita lavorando al nostro fianco”, ha dichiarato ieri sera il ministro della Difesa Ben Wallace in una nota.

Il dispiegamento militare sarà per “un breve periodo” a causa della “crescente violenza e del rapido deterioramento della sicurezza nel paese”. Il personale di stanza all’ambasciata di Kabul è già stato ridotto a una piccola squadra concentrata nel fornire servizi consolari e di visto a coloro che hanno bisogno di lasciare il paese rapidamente” ha aggiunto.

Anche le forze speciali canadesi saranno dispiegate in Afghanistan, dove il personale dell’ambasciata a Kabul sarà evacuato. Lo ha riferito ad Associated Press una fonte, non autorizzata a parlare pubblicamente, che non ha precisato quanti militari saranno inviati.  Una portavoce del dipartimento degli Affari globali del Canada ha rifiutato di commentare i dettagli sull’ambasciata: “La sicurezza dell’ambasciata canadese e del nostro personale a Kabul è la nostra massima priorità. Per motivi di sicurezza non commentiamo questioni operative specifiche delle nostre missioni all’estero”, ha detto in una mail la portavoce Ciara Trudeau.

 

Difesa a oltranza e poteri condivisi: le due strade di Ghanì

Il presidente Ashraf Ghanì è consapevole della sua solitudine e che dall’Occidente non potrà ricevere nessun soccorso concreto e immediato. Per questo sembra muoversi in due direzioni contemporaneamente.

Sul piano militare il presidente è volato l’11 agosto a Mazar-i-Sharif, città a nord del paese, per accordarsi con i capi locali, in particolare, ha incontrato il capo uzbeko Abdul Rashid Dostum e il capo tagiko Atta Mohammad Noor e mettere a punto la costituzione di milizie popolari con cui affiancare l’esercito e la polizia e contrastare i talebani che stanno dilagando nelle regioni del nord a maggioranza etnica tagika e uzbeka.

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“I Talebani sono venuti nel nord diverse volte, ma sono sempre rimasti intrappolati” ha detto l’ex vice presidente afghano Abdul Rashid Dostum, ex signore della guerra uzbeko, rientrato da pochi giorni in Afghanistan dalla Turchia. Un ottimismo che al momento non trova riscontri sul campo di battaglia.

Il ministro degli interni di Kabul, il generale Abdul Sattar Mirzakwal, ha illustrato il piano per armare milizie locali per respingere l’offensiva talebana.

“Stiamo lavorando su tre fasi”, aveva detto ieri il ministro in una intervista ad Al Jazeera. “Il primo è fermare le sconfitte, il secondo è riunire le nostre forze per creare anelli di sicurezza intorno alle città”. Il terzo è “iniziare le operazioni offensive. Al momento, stiamo passando alla seconda fase. Tutti quei soldati che hanno abbandonato le loro postazioni, li stiamo riportando al loro posto”, ha detto il ministro, secondo il quale le forze afghane si stanno anche concentrando sull’obiettivo di proteggere le strade principali, le grandi città e i valichi di frontiera. Un’affermazione destituita di ogni fondamento già dopo  poche ore.

Sul piano politico invece il governo di Kabul ha proposto ai talebani una condivisione di poteri in cambio della cessazione immediata delle violenze, come hanno riferito fonti governative all’emittente 1Tv.

Difficile dire quanto questa offerta sia strutturata o costituisca solo un tentativo di guadagnare tempo. Del resto, se è lecito nutrire dubbi circa le possibilità che si concretizzi a breve termine un vasto contrattacco militare governativo è altrettanto difficile credere che i talebani abbiano oggi interesse a negoziare con Kabul una condivisione del potere quando ormai le forze degli insorti si apprestano a circondare la capitale e mentre Washington deve rimodulare per l’ennesima volta in pochi giorni le stime d’intelligence circa i giorni che mancano alla caduta della capitale.

 

La disperazione dei collaboratori afghani della NATO

“L’avanzata repentina dei talebani in Afghanistan impone di agire in fretta. Gli interpreti locali che per venti anni ci hanno aiutato rischiano di morire in balia dei terroristi. Devono essere portati in Italia subito”.

A lanciare l’appello all’agenzia Adnkronos per evacuare al più presto gli afghani che hanno collaborato con il contingente militare in Afghanistan e i loro famigliari per un rientro di massa urgente dei collaboratori Nato è il generale Giorgio Battisti (nella foto sotto in Afghanistan).

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L’ufficiale italiano, oggi apprezzato opinionista di Analisi Difesa ma che in Afghanistan ha ricoperto diversi incarichi di comando fino a divenire vice comandante delle forze alleate, ricorda che “i primi 225 afghani sono già arrivati da oltre un mese ma c’è un’altra aliquota di oltre 300 persone che deve essere recuperata”.

Occorre farlo in fretta perché “la repentina avanzata dei talebani che hanno già conquistato cinque città, fa sì che alcuni di questi, all’interno di queste città controllate dai talebani, non possono uscire. E’ una corsa contro il tempo, spero che le nostre istituzioni preposte a recuperali siano consapevoli che qualsiasi piano è stato stravolto da questa rapida avanzata talebana. Bisogna muoversi presto, dare certezze a queste famiglie, farle venire in Italia perché rischiano di essere ammazzati tutti”.

Come annunciato dal Ministro della Difesa Lorenzo Guerini, nel corso della cerimonia di ammaina bandiera ad Herat, infatti, per una parte degli interpreti afghani sarebbero state necessarie ulteriori verifiche prima di accordare un loro trasferimento in Italia, contestualmente al rientro del contingente militare.

Questo per accertare che non siano doppiogiochisti, cioè collusi coi talebani o con organizzazioni criminali. Le truppe italiane hanno lasciato definitivamente l’Afghanistan da oltre un mese e oggi la gestione delle operazioni di evacuazione dei nostri collaboratori è gestita dall’ambasciata italiana a Kabul che ha ricevuto personale aggiuntivo di rinforzo per sveltire le pratiche.

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“E’ chiaro che su 300 persone qualcuno può non aver avuto un profilo pulito – conferma il generale – Tuttavia non possiamo tenere bloccate centinaia di collaboratori fidati, amici ormai, persone che ci hanno aiutato, in un Paese dove rischiano di venire uccisi. E’ gente che conosciamo, che ha prestato servizio come interprete o che ha gestito negozietti all’interno delle basi, e il cui profilo sicurezza è già stato verificato. Basta chiedere ai comandi militari che si sono alternati nelle basi, sicuramente avranno file o database che li riguardano”.

Battisti, che ha ricoperto importanti incarichi anche in ambito NATO, non risparmia critiche all’apparato burocratico messo in piedi per gestire l’evacuazione degli afghani che hanno collaborato con l’Italia.

“Non capisco l’esigenza di valutare il loro livello sicurezza quando poi centinaia di migranti arrivano sulle nostre coste senza alcun controllo preventivo. Portiamoli via prima che li sgozzino, poi li controlliamo in Italia. Quanti delinquenti, quanti terroristi, come quello del mercatino a Berlino, arrivano dal mare? Gli interpreti che stiamo lasciando in balia di una guerra civile dove la resa è fatale, almeno li conosciamo. Dietro di loro ci sono famiglie che ci hanno aiutato per 20 anni. Dietro agli immigrati non abbiamo idea di chi ci sia, eppure entrano in massa ogni giorno”.

Il problema non riguarda solo i collaboratori degli italiani ma di tutti i contingenti alleati: I tedeschi hanno già portato via i loro interpreti mentre britannici e statunitensi hanno ancora migliaia di persone a rischio di rappresaglia talebana presenti in Afghanistan.

I parlamentari danesi hanno autorizzato oggi l’evacuazione di 45 cittadini afghani che lavoravano per il governo offrendo loro la residenza in Danimarca per due anni. Il piano approvato mercoledì si applica alle persone che hanno lavorato presso l’ambasciata danese a Kabul e come interpreti per le truppe danesi. La Danimarca, come altre nazioni occidentali, ha recentemente ritirato le sue truppe dall’Afghanistan.

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Il governo spagnolo sta lavorando all’evacuazione dei suoi collaboratori afghani presenti soprattutto nelle province occidentali di Herat e Badghis, teatro dei duri scontri degli ultimi giorni. Il ministero degli Esteri ha reso noto che stanno “chiudendo i dettagli dell’operazione” affinchè “il piano di evacuazione in Spagna possa essere eseguito quanto prima”, ma anche per salvare questi afghani dalle rappresaglie talebane la corsa è contro il tempo

“Il ritiro repentino e senza condizioni delle truppe alleate ha sparigliato tutti i piani di recupero: adesso si tratta di fare presto e mandare aerei charter dedicati per portare via gli interpreti, poi si verificherà il loro profilo. Bisogna accettare questo margine di tolleranza e controllarli dopo”, ha aggiunto Battisti.

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Il 6 agosto il Ministero della Difesa ha confermato che sono pienamente in corso da giorni le attività per il recupero di ulteriori 391 afghani di cui sono stati verificati i requisiti di legge per entrare nel programma di protezione e accoglienza.

Con l’operazione Aquila 1 dello scorso giugno in 228 sono stati inseriti nel programma. Con l’operazione Aquila 2, è stato predisposto, ed è già operativo, un team rinforzato presso l’Ambasciata di Kabul dedicato ad agevolare le operazioni di recupero, di identificazione, rilascio visti e passaporti, in collaborazione con il governo afghano, per il successivo arrivo in Italia, in sicurezza, di ulteriori 391 afghani ma le condizioni sul terreno erano già deteriorate (non consentendo più il pieno utilizzo dell’aeroporto di Herat, dove sono concentrati molti collaboratori del contingente italiano) prima che giungesse notizia della caduta della città.

@GianandreaGaian 

Foto: Defence News, Tolo News, Esercito Afghano, Emirato dell’Afghanistan, US DoD e ISAF

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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