Il Califfato fa strage all’aeroporto di Kabul, l’Emirato prepara il governo
Due esplosioni nei pressi di uno dei tre punti di accesso all’aeroporto Hamid Karzai di Kabul hanno causato ieri pomeriggio almeno 103 morti e 150 feriti secondo l’ultimo bilancio reso noto.
Il Pentagono ha confermato che tra le vittime vi sono 13 militari statunitensi (12 marines e un medico dell’US Navy) più 18 feriti tra i reparti che presidiavano il perimetro dello scalo aereo, come avevano anticipato fonti riprese dall’agenzia russa TASS.
Le esplosioni, dovute secondo il Pentagono a due attentatori suicidi, si sono verificate vicino all’Abbey Gate e all’Hotel Baron, utilizzato soprattutto da diplomatici e giornalisti occidentali, per lo più statunitensi e britannici. Fonti militari alleate hanno segnalato il rischio di ulteriori attacchi
A Roma il ministero della Difesa ha precisato che non ci sono italiani tra le vittime.
Una terza esplosione registrata a Kabul nel tardo pomeriggio sarebbe stata provocata da un ordigno improvvisato esploso al passaggio di un veicolo dei talebani nel centro della città. Lo ha riferito su Twitter il corrispondente di Russia Today a Kabul, che spiega di aver appreso che i talebani hanno eseguito ieri sera perquisizioni, probabilmente a caccia degli attentatori.
Il portavoce Zabihullah Mujahid, citato da Tolo News ha sottolineato che i talebani “condannano categoricamente quanto accaduto”.
Mujahid ha dichiarato di non avere ancora informazioni sui possibili responsabili dell’attentato che ha fatto strage dei civili afghani che attendevano di poter entrare nell’aeroporto per essere evacuati dal paese, mentre fonti statunitensi e britanniche lo hanno subito attribuito allo Stato Islamico del Khorasan (IS-K) branca afghana dello Stato Islamico che nella serata di ieri ha rivendicato l’atto terroristico sostenendo di aver ucciso 60 persone, inclusi 20 militari statunitensi e di averne ferite altre 100,
L’agenzia Amaq dello Stato islamico ha indicato un solo attentatore, Abdul Rahman al Logari. Secondo Fox News, che cita fonti anonime, centinaia di appartenenti al gruppo terrorista IS-K sarebbero “nelle vicinanze” dell’aeroporto aggiungendo che “l’attacco probabilmente continuerà'”.
Da quanto riporta la testata “Politico”, funzionari statunitensi a Kabul avrebbero fornito ai talebani un elenco di nomi di cittadini americani e collaboratori afghani che dovrebbero poter raggiungere l’aeroporto della capitale afghana per l’evacuazione.
L’iniziativa mirerebbe ad accelerare i tempi dei rimpatri considerato che i talebani gestiscono la sicurezza all’esterno dell’aeroporto e ne hanno impedito l’accesso a molti afghani.
D’altro canto fornire ai talebani la lista dei collaboratori afghani significa esporli alle rappresaglie. “Fondamentalmente, hanno appena messo tutti quegli afghani su una lista della morte”, ha detto un funzionario della Difesa, che come altri ha chiesto l’anonimato.
L’attentato sta accelerando la conclusione del ponte aereo da parte di molte nazioni: il Canada ha già concluso le evacuazioni, come pure la Germania, la Danimarca e l’Olanda. L’ultimo volo italiano da Kabul decollerà questa notte mentre il premier britannico Boris Johnson ha detto ieri che il ponte aereo continuerà, come quello statunitense che punta a evacuare ancora circa mille americani ancora presenti in Afghanistan (ma non tutti sarebbero a Kabul) e 4mila militari che stanno presidiando l’aeroporto.
L’impatto negli Stati Uniti
Dopo l’attentato il presidente Joe Biden si è rivolto ancora una volta alla nazione senza nascondere rabbia e commozione. “Non perdoneremo e non dimenticheremo, vi daremo la caccia e ve la faremo pagare” definendo i militari caduti “eroi impegnati in una missione pericolosa e disinteressata per salvare la vita degli altri”.
Biden ha detto di aver chiesto ai comandanti di contrattaccare. “Ho anche ordinato ai comandanti di sviluppare piani operativi per colpire le risorse chiave, la leadership e le strutture dello Stato Islamico. Risponderemo con forza e precisione nel momento e nel luogo che sceglieremo”.
Più tardi la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki, ha chiarito le parole del presidente. “Ciò di cui stiamo parlando è vendicare quelle morti provocate dai terroristi. Non parliamo di mandare decine di migliaia di soldati di nuovo in Afghanistan per una guerra senza fine che abbiamo combattuto per vent’anni”.
Circa i rapporti coi talebani per la sicurezza dell’aeroporto Biden ha detto che “non è una questione di fiducia ma di reciproco interesse. E’ nel loro interesse che ce ne andiamo quando lo abbiamo detto e che facciamo uscire quante più persone possibile”.
Resta però evidente che Biden, già sotto attacco per la gestione raffazzonata del ritiro e per il crollo delle forze militari e del governo afghano che hanno portato al grande successo dei talebani, potrebbe subire critiche ancor più accese per questi ultimi “caduti inutili” americani che si aggiungono agli altri 2.464 caduti americani in 20 anni di guerra afghana (3.608 i caduti alleati di cui 455 britannici e 689 delle altre nazionalità) inclusi i morti per incidenti e altre cause diverse dal fuoco nemico.
I 13 caduti di ieri, uniche vittime americane in Afghanistan quest’anno, sono di più degli 11 morti registrati in tutto il 2020 (solo 4 per il fuoco nemico) e circa la metà dei 24 (12 a causa del fuoco ostile) dell’intero 2019 ma soprattutto sono morti in un’operazione di evacuazione che avrebbe dovuto svolgersi prima che i talebani prendessero Kabul.
Il rischio terroristico
I governi occidentali hanno evidenziato la preoccupazione per il rischio che l’Afghanistan in mano ai talebani possa tornare a rappresentare una minaccia terroristica per gli Stati Uniti e l’Europa a causa dei numerosi gruppi jihadisti presenti sul suo territorio afghano e nella confinante regione Tribale pakistana.
Molto probabilmente la vittoria talebana galvanizzerà i gruppi jihadisti, incluse le cellule già presenti in Europa aumentando il rischio di attentati nei paesi occidentali.
L’allarme, ben più immediato, lanciato negli ultimi giorni dai servizi d’intelligence statunitensi e britannici, riguardava proprio la minaccia di attentati contro l’aeroporto di Kabul, le forze militari occidentali che lo presidiano e i civili afghani che lo affollano cercando la fuga.
Considerato che i talebani hanno accettato di non ostacolare il ponte aereo, gli anglo-americani temevano che a compiere attentati potessero essere i miliziani dello Stato Islamico del Khorasan, presenti soprattutto nella regione orientale di Nangarhar e già in passato responsabili di alcuni dei più devastanti attentati terroristici nella capitale.
Nemico giurato dei “crociati” (le truppe occidentali) e rivale di talebani e qaedisti, lo Stato Islamico del Khorasan è stato in auge soprattutto negli anni scorsi quando, secondo l’intelligence statunitense, disponeva di oltre 2.500 miliziani e controllava gran parte della provincia il cui capoluogo, Jalalabad è stato, forse non a caso, la prima città in cui su sono registrate nei giorni scorsi manifestazioni anti talebane represse nel sangue.
Gli scontri con i talebani e le incursioni aeree americane (inclusa quella dell’aprile 2017 con la super bomba GBU-43B con 11 tonnellate di esplosivo) sembrano aver ridotto le milizie dell’IS a meno di un migliaio di uomini, inclusi molti combattenti centro-asiatici veterani del conflitto in Siria. Un numero comunque sufficiente a condurre azioni terroristiche anche di tipo suicida ma che potrebbe essersi rinforzato nelle ultime due settimane poiché i talebani hanno liberato tutti i detenuti dalle carceri afghane, inclusi probabilmente anche diversi membri dell’IS-K.
Inoltre non si può escludere che l’IS puntasse a colpire l’aeroporto anche per mettere in difficoltà i talebani dimostrando che non hanno il pieno controllo della sicurezza a Kabul.
La minaccia terroristica dell’IS a Kabul potrebbe essere anche una delle motivazioni che hanno indotto i talebani a valutare di spostare la capitale nel sud, a Kandahar, culla del movimento e lontana dalla vasta gamma di oppositori presenti nel nord.
Già sabato scorso il comando americano aveva invitato i cittadini statunitensi a stare alla larga dal perimetro dell’aeroporto a causa di possibili “minacce alla sicurezza fuori dai cancelli”, a conferma dei timori che nella marea umana in cerca di scampo all’estero potessero infiltrarsi terroristi suicidi pronti a farsi esplodere tra la folla o in mezzo ai militari alleati che presidiano lo scalo aereo.
Anche per scongiurare tale rischio almeno tre gruppi di occidentali rimasti all’esterno dell’aeroporto sono stati evacuati con gli elicotteri mentre funzionari del Pentagono avevano dichiarato alla BBC di essere alla ricerca di percorsi alternativi per far arrivare le persone da evacuare all’aeroporto.
Oltre allo Stato Islamico anche al-Qaeda, ancora presente in Afghanistan grazie alle intese con i talebani e soprattutto con la Rete Haqqani basata nel Nord Waziristan pachistano, avrebbe potuto compiere attacchi terroristici approfittando del caos all’aeroporto di Kabul: un’opportunità per vendicare in territorio afghano l’’uccisione di Osama bin Laden, dieci anni or sono.
Il nuovo governo afghano
Dopo i primi segnali di una parvenza di volontà talebana di costituire un nuovo governo “inclusivo” anche di alcune opposizioni, nelle ultime ore i segnali giunti da Kabul non inducono certo all’ottimismo.
Secondo quanto riportano la CNN e l’agenzia di stampa afghana Khaama Press, l’ex presidente Hamid Karzai e il capo dell’Alto Consiglio per la Riconciliazione Nazionale, Abdullah Abdullah, sarebbero stati arrestati ieri dai talebani e non sarebbero stati autorizzati a uscire dalla residenza di Abdullah in cui si troverebbero entrambi.
Secondo le fonti i due politici sarebbero stati autorizzati a incontrare persone solo in tale residenza. Nessuno dei due ha finora confermato la notizia ed entrambi in queste ore hanno scritto tweet di condanna dell’attentato che ha colpito l’area dell’aeroporto.
Da quando l’ex presidente Ashraf Ghani è fuggito dal Paese, Karzai, Abdullah e Gulbadin Hekmatyar hanno tenuto frequenti incontri con i talebani e Karzai ieri ha riferito di un nuovo incontro con i membri del Consiglio degli ulema sciiti, nell’ambito dei colloqui in corso in vista della creazione di un “sistema generale in cui siano protetti i diritti di tutti i cittadini del Paese”.
L’esponente talebano Ahmadullah Wasiq ha smentito seccamente la notizia degli arresti domiciliari dei due esponenti politici mentre la CNN ha aggiunto che già dal 23 agosto sera erano stati privati degli uomini della loro scorta.
In attesa di chiarimenti è possibile ipotizzare che gli arresti domiciliari abbiano l’obiettivo di forzare i due navigati politici afghani ad accettare le condizioni che i talebani vogliono imporre per la formazione del nuovo governo.
Tuttavia, considerate le precarie condizioni di sicurezza di Kabul in queste ore e l’ipotesi che in città siano arrivati numerosi gruppi di fuoco dello Stato Islamico del Khorasan, Karzai e Abdullah potrebbero essere stati posti al sicuro proprio dai talebani per evitare che possano diventare bersaglio di azioni terroristiche.
A smorzare l’ottimismo per la nascita di un governo “talebano moderato” contribuiscono inoltre le recenti nomine di Abdul Qayyum Zakir (nella foto sotto) a ministro della Difesa dell’Emirato e di Gul Agha a ministro dell’Economia.
Detenuto nel carcere americano di Guantanamo fino al 2009, Zakir sarebbe stato in seguito trasferito nel penitenziario afghano di Pul-e-Charkhi, a Kabul, da dove è stato successivamente rilasciato.
Dopo la liberazione ha ripreso a combattere nella provincia meridionale di Helmand prima di venire nominato comandante di tutte le forze talebane: incarico lasciato nel 2014 per protesta contro la decisione di aprire i negoziati con gli Stati Uniti.
Un “duro e puro” quindi, tornato ora ai vertici politici e militari del movimento.
Secondo quanto riferisce l’agenzia di stampa afgana Pajhwok, Mohammad Shafiq Gul Agha è stato molto vicino al Mullah Omar fin dalla nascita del movimento talebano e ne ha curato le finanze riscuotendo tasse e tangenti nelle aree sotto il controllo degli insorti. Considerato molto vicino ad al-Qaeda e alla Rete Haqqani non è considerato all’altezza di poter gestire le difficili condizioni economiche dell’Afghanistan.
Tra le altre nomine, tutte relative a incarichi temporanei in attesa della costituzione di un nuovo governo, spicca il ministro dell’Interno Sadr Ibrahim che dal 2014 al 2018 è stato a capo della Commissione militare dei talebani e durante il regime caduto nel 2001 ha ricoperto incarichi nel ministero della Difesa) e di Mohammad Shirin Akhund nuovo governatore di Kabul, ex capo della sicurezza durante il primo regime talebano e comandante dell’intelligence militare dei talebani.
“Un nuovo governo talebano includerà anche politici e movimenti non talebani” aveva detto il 17 agosto il portavoce Sohail Shaheen che aveva però definito “prematuro” dire chi saranno i nuovi membri dell’esecutivo pur precisando che ci saranno “figure note”.
In ogni caso ci si aspetta che il Pakistan, sponsor del movimento talebano e artefice della vittoriosa guerra-lampo conclusasi con la caduta di Kabul, esprima una considerevole influenza nel determinare la futura guida dell’Emirato dell’Afghanistan i cui quattro leader principali non è ancora chiaro quale ruolo possano ricoprire.
Abdul Ghani Baradar, 53 anni, che ha guidato le trattative con gli USA in Qatar, sembra essere in queste ore alla guida del paese. Reduce dell’insurrezione contro i sovietici e fondatore del movimento a Kandahar insieme al Mullah Omar, era vice ministro della Difesa all’epoca dell’invasione americana del 2001.
Durante l’esilio in Pakistan venne tenuto sotto stretto controllo dall’intelligence statunitense che riuscì a ottenere nel 2010 il suo arresto dalle autorità pakistane.
Saranno gli stessi americani, otto anni dopo, a chiedere la sua liberazione per permettergli di guidare la delegazione talebana ai colloqui bilaterali di Doha che porteranno all’accordo del febbraio 2020 per il ritiro statunitense dall’Afghanistan.
La nomina del “diplomatico” Baradar a capo del governo potrebbe indicare la volontà dei talebani (e del Pakistan) di mandare un messaggio tranquillizzante alla comunità internazionale.
Anche Haibatullah Akhundzada, leader ufficiale del movimento talebano, potrebbe aspirare ad avere un ruolo di governo anche se da tempo circolano voci di una malattia, forse Covid-19, che lo avrebbe gravemente debilitato.
Profugo a Quetta con la famiglia dopo l’invasione sovietica, Akhundzada (oggi sessantenne) combatté i russi per poi aderire al movimento talebano in cui si distinse come ideologo religioso e fustigatore dei costumi non aderenti alla sharia. Rifugiatosi nuovamente in Pakistan dopo l’invasione statunitense, nel 2012 sfuggì a un attentato orchestrato dai servizi segreti afghani (NDS) e nel maggio 2016 venne nominato capo dei talebani dopo l’uccisione, ad opera di un drone americano, del Mullah Akhtar Mansour, a sua volta successore del Mullah Omar.
Akhundzada è quindi una figura carismatica ma di scarsa esperienza politica e poco “spendibile”, forse anche a causa delle condizioni di salute, in un governo che intenda rilanciare l’immagine dei talebani.
Il trentenne Mullah Mohammad Yaqub, figlio del mullah Omar, potrebbe avere buone opportunità di ottenere un ruolo di rilievo nel nuovo governo dell’emirato. Giovane e combattivo, nel 2015 contestò apertamente l’autorità del Mullah Akhtar Mansour successore del padre ma con la leadership di Akhundzada, Yaqub venne nominato prima vice capo del movimento (insieme a Sirajuddin Haqqani) e nel maggio 2020 comandante militare dei talebani.
In seguito alla malattia che ha colpito Akhundzada, Yaqub sembra sia stato posto temporaneamente alla testa del movimento secondo quanto riferito l’anno scorso a Foreign Policy da un importante comandante talebano.
Potrebbe quindi candidarsi a un incarico di prestigio nel nuovo esecutivo, utile a mostrare una ringiovanita leadership talebana ma anche simbolicamente a celebrare i 20 anni dall’11 settembre 2001 e dall’invasione americana con il figlio del Mullah Omar alla guida dell’Afghanistan.
Mentre molti comandanti e leader locali avranno ampi incarichi nei governi delle 34 province afghane, ad aspirare a una posizione di rilievo a Kabul c’è anche Sirajuddin Haqqani, leader della “Rete Haqqani”, il network talebano fondato dal padre Jalaluddin che dal nord Waziristan pakistano ha combattuto per anni con tenacia tra Jalalabad, Khost e Kabul.
Attuale vice capo del movimento, il 48enne gode di un grande prestigio ed è sfuggito a diversi attacchi di droni americani. Un suo incarico politico verrebbe potenzialmente favorito anche dai suoi stretti rapporti con l’intelligence militare pakistana (ISI) ma forse sfavorito dalla sua storica vicinanza con al-Qaeda.
Foto US Marine Corps, US DoD, Tolo News e Pajhwok
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.