La rappresaglia di Biden e i tanti afghani portati in Occidente (aggiornato)
(aggiornato alle 23,40)
La vendetta “a caldo” di Joe Biden, la rappresaglia per la strage compiuta all’aeroporto di Kabul, si è compiuta questa mattina nella provincia orientale afghana di Nangarhar, roccaforte dello Stato Islamico del Khorasan (IS-K), branca afghana dell’IS.
L’attacco statunitense avrebbe ucciso un paio di esponenti dell’ISK incluso un “pianificatore” di medio livello dell’organizzazione jihadista, come hanno specificato fonti governative americane.
“Due membri di alto profilo di Isis-K sono stati uccisi e uno è rimasto ferito” ha detto il generale William “Hank” Taylor, nel quotidiano briefing del Pentagono, specificando che non ci sono vittime tra i civili. “Continueremo ad avere la capacità di difenderci e di condurre operazioni di contro-terrorismo”, ha aggiunto il portavoce.
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Non esiste però alcuna indicazione che la vittima fosse coinvolta direttamente negli attacchi costati la vita il 26 agosto a circa 180 persone, fra cui 13 militari statunitensi (11 marines, un paramedico della Marina e un militare dell’US Army).
Secondo fonti talebane nel raid Usa contro l’IS-K sono rimasti feriti “due donne e un bambino”, come ha detto un portavoce dei talebani alla Reuters dopo che il Pentagono aveva parlato di “zero civili coinvolti” nell’operazione di rappresaglia contro il gruppo terroristico.
“Era un chiaro attacco su territorio afghano, due persone sono state uccise e due donne e un bambino sono stati feriti”, ha detto il portavoce.
I talebani hanno negato di essere stati informati da Washington del raid aereo, probabilmente effettuato con l’impiego di velivoli senza pilota, ma hanno protestato per la violazione della sovranità afghana compiuta dal raid statunitense.
Poche ore dopo il raid aereo che coincide con la fine delle operazioni di evacuazione di civili afghani dall’aeroporto di Kabul, i servizi d’intelligence statunitensi hanno dato l’allarme per la minaccia di attentati contro le truppe alleate allo scalo aereo di Kabul e sul territorio degli Stati Uniti.
La CNN ha riferito che il Dipartimento per la Homeland Security sicurezza interna sta monitorando la minaccia di attacchi condotti da terroristi già presenti sul territorio americano ma galvanizzati dal successo talebano e dall’impatto dell’attentato all’aeroporto oltre al rischio che individui associati all’IS o ad al-Qaeda possano aver sfruttato l’evacuazione di 110 mila afghani per infiltrarsi negli Usa.
“Per contrastare ciò, è in atto un ampio processo di screening e controllo per coloro che vengono trasferiti negli Stati Uniti”, ha dichiarato il capo del dipartimento, John Cohen, mentre un funzionario dell’FBI ha sostenuto che, sebbene non ci siano informazioni specifiche su organizzazioni terroristiche, “non possiamo escludere che sia una possibilità”.
Un secondo raid aereo effettuato a Kabul con l’impiego di droni ha colpito un’auto diretta verso l’aeroporto con a bordo “diversi attentatori suicidi” appartenenti allo Stato Islamico del Khorasan (IS-K). La presenza di materiale esplosivo nel veicolo avrebbe anche causato “esplosioni secondarie significative” oltre a quella provocata dal missile, ha riferito oggi il portavoce del Comando Centrale delle forze USA, Bill Urban, per il quale l’attacco aereo ha eliminato “una minaccia imminente” dello Stato islamico del Khorasan contro l’aeroporto di Kabul.
Fonti della polizia afghana e diversi testimoni hanno riferito di un’esplosione, forse causata da un missile, che nel nord della città avrebbe provocato la morte di 9 membri di una famiglia, tra cui sei bambini, ha riferito la CNN citando parenti delle vittime del tutto estranee allo Stato Islamico.
Difficile attuare verifiche circa le vittime dell’attacco americano mentre il Consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha precisato che Biden “non intende iniziare una nuova guerra in Afghanistan” ma anche che proseguiranno i raid. “Continueremo a compiere questo tipo di attacchi da remoto come quello realizzato contro membri dell’IS-K. E, certo, considereremo altre operazioni contro questa gente, per catturarli e eliminarli dal campo di battaglia”, ha aggiunto. “Al momento l’intelligence ritiene che i gruppi terroristi in Afghanistan non posseggano capacità di colpire all’estero ma naturalmente potrebbero svilupparle”.
Le valutazioni
L’impressione è che gli Stati Uniti abbiano effettuato una rappresaglia simbolica contro l’IS-K) al punto da non sapere al momento neppure indicare i nomi dei terroristi uccisi.
Del resto dopo il pesante impatto sociale e politico della morte di 13 militari all’aeroporto di Kabul (forse i morti più inutili dell’intera guerra afghana il cui esito ha reso inutili tutti i caduti americani e alleati), rendeva assolutamente necessaria e non rimandabile la rappresaglia di Washington anche se è lecito riporre dubbi circa la sua efficacia.
Si può forse affermare che, come il ritiro degli alleati ha riportato la storia afghana indietro di 20 anni, il raid di rappresaglia contro l’IS-K di oggi riporta la lotta degli USA al terrorismo islamico indietro di 23 anni.
Nell’agosto 1998 il presidente Bill Clinton rispose alle stragi compiute dalle cellule di al-Qaeda alle ambasciate americane in Kenya e Tanzania con un lancio, poco più che simbolico, di missili da crociera contro la base del movimento di Osama bin Laden in Afghanistan.
Biden resta nell’occhio del ciclone per i fatti afghani di agosto, criticato ormai apertamente anche dagli ambienti militari, dove il disastro afghano si aggiunge al malumore di molti militari per il recente obbligo di somministrazione dei vaccini anti Covid imposto dal Pentagono.
Un ufficiale dei Marines in servizio attivo è stato sospeso dall’incarico per avere criticato in un video la leadership militare e politica dopo l’attentato di Kabul.
Il tenente colonnello Stuart Scheller (nella foto sotto) aveva postato su Facebook un video nel quale chiedeva ai suoi comandanti militari e ai responsabili politici di rendere conto degli errori compiuti durante il ritiro dall’Afghanistan. “Le persone sono arrabbiate perché i loro leader li hanno abbandonati e nessuno di loro sta alzando la mano per assumersi la responsabilità e dire che abbiamo fatto un casino”, ha affermato l’ufficiale nel video.
Tra i bersagli delle sue critiche il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, e il generale Mark Milley, capo di stato maggiore delle forze armate, per aver dichiarato che le forze nazionali afghane avrebbero resistito e per aver permesso la chiusura della base aerea di Bagram, la più imponente installazione militare americana in Afghanistan, costringendo i militari statunitensi ed occidentali a effettuare le evacuazioni dal memo sicuro aeroporto di Kabul.
In un successivo post pubblicato su Facebook venerdì, Scheller ha detto di essere stato sollevato dal suo incarico di comandate di battaglione per l’addestramento avanzato a Camp LeJeune, in North Carolina e che dopo 17 anni di servizio lascerà il corpo dei Marines.
Al di là delle motivazioni indicate, il caso Scheller potrebbe anticipare altre proteste o lamentale da parte di personale in servizio attivo (solitamente anche negli USA sono i militari non più in servizio attovo a esprimere critiche sull’operato della politica) e di certo aumenterà la sfiducia tra i militari nei confronti dell’establishment.
Circa la minaccia terroristica non c’è dubbio che la vittoria talebana abbia galvanizzato tutti i movimenti jihadisti del mondo
“La loro vittoria in Afghanistan ora galvanizzerà gli altri movimenti radicali e jihadisti della regione, perché hanno dimostrato che in vent’anni non solo si può vincere la guerra ma anche creare uno Stato islamico” ha spiegato la ricercatrice Tasnim Butt dell’Université Libre de Bruxelles.
Al successo militare degli insorti afghani si aggiunge la percezione netta della debolezza di USA ed alleati, accentuata peraltro dalla commozione mostrata in mondovisione dal presidente Biden, emotivamente provato dalla morte dei militari.
Emotività comprensibile, specie per la sensibilità dell’opinione pubblica occidentale, ma che verrà senza dubbio mostrata sui canali della propaganda jihadista e presso l’opinione pubblica islamica come un segno indiscutibile della fragilità del “commander in chief” e in generale dei vertici americani.
Un problema di tenuta e credibilità che coinvolge tutto l’Occidente in realtà. Mentre i canali d’informazione jihadisti inneggiano alla loro forza e alla nostra debolezza i nostri media sono pieni di immagini di paracadutisti, diplomatici e marines che tengono in braccio bambini afghani o offrono loro una caramella.
Massud sotto pressione
Mentre si infittiscono le voci di una cooperazione dell’intelligence statunitense con i talebani con lo scopo di neutralizzare il comune nemico dell’IS-K, i talebani hanno affermato che i loro combattenti sono entrati nella provincia del Panshir, nelle mani del Fronte di Liberazione dell’Afghanistan, da diverse direzioni senza incontrare alcuna resistenza.
“Non ci sono stati combattimenti, ma i mujaheddin dell’Emirato islamico dell’Afghanistan sono avanzati da varie direzioni senza incontrare alcuna resistenza ha affermato all’emittente “Tolo News” Anaamullah Samangani, membro della Commissione culturale dei talebani.
Samangani ha affermato che la porta è ancora aperta per i negoziati e che una delegazione di Ahmad Massud (nella foto sotto), leader dei “ribelli” del Panshir, la valle nel nord est del Paese dove si è riunita la resistenza agli studenti coranici, ha incontrato una delegazione talebana a Kabul. I sostenitori di Massud hanno respinto le rivendicazioni talebane negando che ci siano state penetrazioni armate nella valle.
“Non c’è nessun combattimento nel Panshir e nessuno è entrato nella provincia”, ha detto Mohammad Almas Zahid, capo della delegazione del Fronte di resistenza. (Il 25 agosto si è tenuto il primo round di colloqui tra una delegazione talebana e Massud, durante il quale le due parti hanno deciso di non attaccarsi a vicenda fino al secondo round di colloqui. Zahid ha detto che il secondo ciclo di colloqui si terrà tra due giorni, avvertendo dalle conseguenze in caso di fallimento dei colloqui.
Diverse notizie riferiscono che la strada che porta al Panshir è stata bloccata dai talebani nell’area di Gulbahar-Jabal Saraj e, di fatto, l’intera provincia sarebbe isolata mentre la BBC ha reso noto che i talebani hanno interrotto praticamente tutte le telecomunicazioni e i servizi Internet nella valle.
L’ambasciatore russo a Kabul, Dmitry Zhirnov, ritiene che i talebani potrebbero prendere “in poche ore” la valle del Panshir. “Penso che possano prenderlo in un giorno, forse anche poche ore, ma non lo fanno per evitare un bagno di sangue”, ha detto l’ambasciatore citato dall’agenzia stampa Sputnik.
La Russia, che per ragioni politiche, militari e geografiche sarebbe partner indispensabile alla sopravvivenza dell’opposizione armata guidata da Massud, ha reso noto oggi che intende costruire relazioni con il nuovo governo afgano sulla base dei contatti esistenti con i talebani, come ha detto il rappresentante speciale del presidente russo per l’Afghanistan Zamir Kabulov ripreso dall’Agenzia Nova.
“Il fatto che i talebani siano saliti al potere è già una realtà e dovremo costruire relazioni con questa nuova situazione e il nuovo governo in Afghanistan”, ha detto Kabulov.
Dichiarazioni che potrebbero contribuire a indurre Massud e il suo alleato, l’ex vicepresidente Saleh, ad accettare un accordo con i talebani.
Sempre a Mosca il ministro della Difesa russo Sergej Shoigu ha lanciato l’allarme per il gran numero di armi americane cadute in mano ai talebani che rappresentano una potenziale fonte di minacce (nella foto sopra miliziani talebani davanti a elicotteri MD530F fornito dagli USA alle forze aeree afghane).
I colloqui per il nuovo governo
Sul fronte dei negoziati per la formazione del nuovo governo afghano e del coinvolgimento di figure politiche non legate al movimento talebano sembrano smentiti finora i contatti con i leader della minoranza sciita degli Hazara, otto milioni di persone in passato duramente perseguitati dai talebani.
L’ex presidente Hamid Karzai e Abdullah Abdullah (insieme nella foto sotto), presidente dell’Alto consiglio per la Riconciliazione nazionale, si sono invece incontrati oggi a Kabul con alcuni membri dell’ufficio politico dei talebani.
L’incontro, riporta l’emittente afghana Tolo News è avvenuto nell’abitazione di Abdullah e da parte talebana ha visto la partecipazione di Maulawi Shahabuddin Delawari Delawar, Abdul Salam Hanafi, Khairullah Khairkhwa e Abdul Rahman Feda.
Le parti, ha riferito l’ufficio di Abdullah, “hanno scambiato i propri punti di vista sugli attuali sviluppi politici e in materia di sicurezza e su una soluzione politica inclusiva per il futuro del Paese”. Sempre oggi, Karzai e Abdullah si sono incontrati con Abdul Rahman Mansour, l’attuale governatore talebano di Kabul e hanno “discusso della sicurezza dei cittadini di Kabul e ribadito che proteggere le vite, le proprietà e la dignità dei cittadini della capitale deve essere una priorità”.
Per Karzai e Abdullah, ha riferito l’ufficio di quest’ultimo, per un ritorno alla normalità di Kabul “è imperativo che i cittadini della capitale si sentano protetti e al sicuro”. Questi incontri sembrano smentire le notizie circolate nei giorni scorsi circa la reclusione domiciliare di Karzai e Abdullah da parte dei talebani.
150 mila afghani evacuati da Kabul: tutti bravi ragazzi?
Nel contesto del rinnovato allarme per la sicurezza dell’Occidente si inserisce anche il gran numero di afghani evacuati, enormemente superiore al numero di collaboratori dei contingenti militari e delle ambasciate e dei loro famigliari di cui era prevista l’evacuazione.
Sono 117 mila le persone finora che finora gli Stati Uniti hanno evacuato dall’Afghanistan, dei quali oltre 110 mila cittadini afgani. Lo ha fatto sapere ieri in conferenza stampa il generale Hank Taylor, vice direttore dello Stato maggiore congiunto per le operazioni regionali, spiegando che questo numero comprende 5.400 cittadini statunitensi.
L’ultimo volo per il Regno Unito ha rimpatriato oggi gli ultimi militari e l’ambasciatore Laurie Bristow atterrato a Brize Norton: gli aerei della RAF hanno evacuato 15mila persone da quando i talebani hanno conquistato Kabul il 15 agosto tra i quali 5mila cittadini britannici e oltre 8mila afghani.
I numeri di afghani evacuarti sono quindi ampiamente superiori a quelli previsti prima che i talebani prendessero Kabul. Solo per fare un esempio, l’’Italia in giugno stimava di evacuare dall’Afghanistan non più di 900 persone tra collaboratori e famigliari.
C’è molta differenza tra evacuare i collaboratori afghani previsti e portare via da Kabul più persone possibile. L’impressione è che siano stati imbarcati anche migliaia di persone almeno in parte conosciute negli ambienti diplomatici, militari e delle organizzazioni internazionali i cui nomi non erano però stati inseriti nelle liste i cui nomi erano già stati sottoposti ai controlli di sicurezza.
Sono già stati resi noti casi di “infiltrati non graditi” Per ora è stato ufficializzato che cinque afghani evacuati in Francia sono stati posti sotto sorveglianza per presunti legami con i talebani.
Un caso non isolato considerato che fonti governative britanniche hanno segnalato che sei persone ritenute una “minaccia” per il Regno Unito hanno cercato di imbarcarsi e uno di loro è riuscito ad arrivare all’aeroporto di Birmingham con un volo di sfollati.
“Ci sono persone in Afghanistan che rappresentano una seria minaccia per la sicurezza nazionale e pubblica” ha riferito un portavoce. All’aeroporto di Kabul però si è operato per far partire il maggior numero di afghani possibile in una situazione caotica che certo non ha aiutato le misure di sicurezza. Lo stesso ministro Wallace ha ammesso che “il nostro obiettivo è quello di portare fuori dall’Afghanistan quante più persone possibile”.
L’emergenza all’aeroporto e il “senso di colpa” dell’Occidente nei confronti degli afghani abbandonati al nuovo regime talebano, potrebbero favorire l’infiltrazione di personaggi “indesiderati” in Occidente.
Valutazioni di sicurezza che spiegherebbero almeno in parte gli accordi assunti da Washington con Uganda, Qatar e diversi altri paesi per ospitare (anche per diversi mesi) presso nazioni amiche invece che sul suolo americano migliaia di afghani evacuati da Kabul e che per ora non verranno tutti trasferiti negli USA.
Accoglienza e integrazione che si preannunciano difficili anche per il divario culturale che separa la società afghana da quelle occidentali, al punto che sarebbe auspicabile che in generale fossero paesi islamici si rendessero disponibili ad accogliere chi fugge da Kabul.
Meglio non dimenticare che le rigide norme islamiche diffuse in Afghanistan non sono certo legate al solo regime talebano e che la sharia ha dominato la società afghana anche in assenza degli uomini del mullah Omar dal governo: basti ricordare il caso di Abdul Rahman, l’afghano convertito al cristianesimo che ottenne asilo in Italia e rischiava la condanna a morte per apostasia nella Kabul del presidente Hamid Karzai.
Del resto un ponte aereo di queste dimensioni diretto negli USA e in Europa attirerebbe un enorme numero di persone anche in molte altre nazioni in via di sviluppo, pure in assenza di conflitti o di regimi come quello talebano.
Un contesto molto complicato che si sarebbe potuto evitare evacuando i collaboratori afghani e i loro famigliari prima del completo ritiro dei militari alleati e del trionfo talebano.
Foto US Marine Corps, UK MoD e Facebook
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.