F-35 STOVL: un primo dubbioso abbraccio fra Aeronautica e Marina
Dunque l’Aeronautica Militare ha messo un piede, anzi un carrello, su una nave della Marina Militare. Una giornata storica quella del 21 novembre scorso nella narrazione dello Stato Maggiore della Difesa, un po’ meno per l’Aviazione Navale. L’evento e l’occasione erano certo di grande importanza.
Il primo appontaggio di un aereo da combattimento dell’AM su una portaerei ha coronato gli sforzi per una prima, almeno formale conciliazione fra generali e ammiragli sulla spinosa questione della gestione della flotta di F-35B a decollo corto e atterraggio verticale. L’occasione l’hanno fornita esercitazioni aeronavali condotte con la marina e l’aviazione britanniche e con gli STOVL dei Marines americani.
Gli F-35B italiani – oltre a quello dell’Aeronautica, riconoscibile dalle grandi insegne dipinte sul portellone della ventola di sostentamento, anche uno della Marina – hanno appontato sulla portaerei della Royal Navy Queen Elizabeth, mentre quelli dei Marines sulla Cavour. Tutti hanno svolto in collaborazione duelli aerei, intelligence elettronica, scambi di dati.
Interoperabilità “incrociate”
S’è trattato in definitiva di un primo passo verso la partecipazione dell’Italia all’integrazione e interoperabilità fra gli assetti aeronavali dotati dello STOVL americano già stabiliti e testati da Gran Bretagna e Stati Uniti, con questi ultimi impegnati ad allargare la “massa critica” del binomio portaerei medio-leggere/F-35B a due suoi futuri fruitori, Giappone e Corea del Sud.
A livello europeo l’integrazione e l’interoperabilità, che andranno a beneficio di tutta la NATO, saranno per così dire “incrociate”: da una parte le due componenti terrestri Royal Air Force e Aeronautica Militare, dall’altra le tre navali, Royal Navy, US Navy/Marines e Marina Militare.
La sfida è sicuramente entusiasmante sotto un profilo strettamente operativo, più irta di ostacoli sotto quello della gestione politica e tecnico-militare di questi assetti, che per loro natura devono interagire con un’estrema articolazione nel campo comando-comunicazione-intelligence. Inoltre, come sta già facendo l’esercito americano con gli Squadron di F-35B dei Marines, anche gli eserciti britannico e italiano finiranno col doversi interfacciare nello scambio di dati sul teatro di operazioni con i rispettivi dispositivi aeronavali basati sullo STOVL d’attacco americano.
Fra il detto e il non detto
Tralasciamo qui le questioni di politica interna ed estera che potrebbero insorgere nell’impiego di questa forza tripartita, per soffermarci sulla costituenda “Lightning Force” italiana.
L’ipotesi è quella di un gruppo interforze con 15 aerei per parte che, ispirandosi al modello britannico (rivisitazione a sua volta di quella Joint Harrier Force gestita da una RAF risolutamente avversa allo strumento aeronavale, soppresso alla fine per vari anni col ritiro dal servizio degli aerei), l’Aeronautica vorrebbe comandare, a partire dallo schierare tutti i 30 F-35B sulla sua (già affollata) base di Amendola.
La Marina, che così vedrebbe la propria Aviazione Navale svuotarsi di significato, per poi sparire del tutto, non ha mai fatto mistero di voler fare esattamente il contrario dell’Aeronautica: integrarsi, appoggiandosi sulla propria base di Grottaglie, con assetti STOVL dell’AM opportunamente “navalizzati”, conferendo così all’aviazione da combattimento imbarcata una massa critica finalmente consona alle sue esigenze: specie tenendo conto che con l’ingresso in servizio della LHD Trieste saranno due le navi della Marina in grado di imbarcare gli F-35B.
Il comunicato ufficiale emesso dallo Stato Maggiore Difesa il 21 novembre merita di essere studiato bene. Primo, si dà grande importanza al fronte mare su cui proiettare questa forza congiunta: “Questa esercitazione”, si legge, “rappresenta un forte impulso al processo di sviluppo della capacità nazionale di proiezione aerea dal mare”. Poi, ma solo poi, si aggiunge che “le sinergie tra Marina e Aeronautica nell’impiego degli F-35B da bordo della portaerei, verranno raggiunte anche nell’impiego da terra, operando congiuntamente in situazioni operative ove non dovessero essere disponibili piste di atterraggio idonee per velivoli convenzionali”.
Da parte sua il nuovo Capo di Stato Maggiore della Difesa Ammiraglio di squadra Giuseppe “Pino” Cavo Dragone (nella foto sopra con un pilota di F-35B), già primo pilota di Harrier della Marina, in un video ha affermato che l’interoperabilità degli F-35 della Marina e dell’Aeronautica avverrà “secondo i normali criteri di impiego delle due forze armate”. Formula generica ma utile a distendere gli animi dalle due parti della barricata.
Pochi aerei, tempi lunghissimi
La Marina finora non si era mai detta propensa a far operare i propri aerei imbarcati da basi terrestri temporanee in funzione dell’andamento delle operazioni. In mancanza delle cornici di sicurezza necessarie alle piste corte e/o semi-preparate fulcro della dottrina “expeditionary” dell’Aeronautica (difese terra-aria e terra-terra, sensori, uomini, strutture di supporto a rischio di spendibilità, il tutto con costi aggiuntivi), l’Aviazione Navale esporrebbe i suoi aeroplani, che a bordo sono garantiti dalle minacce, al pericolo di danneggiamenti o cattura se non persino distruzione da parte del nemico – come accadde anni or sono agli Harrier basati nel sud dell’Afghanistan.
Ma l’Aeronautica insiste sull’impiego da basi terrestri, che è poi quello che le appartiene. Lo si è visto a Pantelleria, alle soglie di casa, con un’operazione annunciata come indicativa delle future missioni expeditionary dei suoi STOVL, rifornendo di cherosene il suo aereo e uno della RAF dai serbatoi di un tanker KC-130 parcheggiato a lato della pista.
Una modalità forse sperimentale ma comunque non sempre replicabile in guerra su una “pista corta” al limitare del teatro di operazioni; una procedura, tuttavia – da implementare in modo più semplice e meno dispendioso -, da mettere in conto considerando anche il limitato raggio d’azione della variante STOVL dell’F-35 soprattutto in presenza pure di armamento esterno.
L’evento di novembre resta comunque ancora lontano anni luce dalle missioni di guerra già svolte dalla Lightning Force britannica, che dopo una prova generale nel 2019 nel giugno di quest’anno ha potuto battere obiettivi ISIS su Siria e Iraq operando dalla Queen Elizabeth, ma fidando su una retrovia come la base RAF cipriota di Akrotiri, da 60 anni avamposto stabile in un territorio britannico oltremare a un tiro di schioppo dal teatro medio-orientale. Avrà mai l’Italia una simile risorsa?
L’Aeronautica, sia come ente a capo di quel reparto di volo congiunto sia, invece, come forza aerea “partecipante” alle missioni navali, aero-navali e anfibie della Marina, è consapevole che deve intraprendere una lunga familiarizzazione con il mare, con gli spazi angusti di una portaerei, ma poi, come abbiamo sottolineato in altri articoli, con tutta quella mentalità operativa propria di una forza navale, incentrata fino allo spasimo sulla più rigorosa sicurezza (vedasi la perdita di un F-35B per un banale malinteso fra gli uomini addetti al ponte di volo della Queen Elizabeth).
Al pilota “terrestre” non basta certo l’abilitazione agli appontaggi, ci vuole tutta una lunga e paziente scuola, è il mantra degli ammiragli, mentre il rischio è che la consegna al rallentatore, soprattutto all’Aeronautica, dei prossimi esemplari di F-35 STOVL rimandi tutto alle calende greche.
La Marina acquisirà la indispensabile Full Operational Capability per i suoi JSF non prima della fine del decennio. L’Arma azzurra ancora più in là. E non parliamo del capitolo costi, con voci preoccupanti che vengono dalla Norvegia e dalla Svizzera, con quest’ultima che a causa dell’inflazione (ma forse non solo di quella) in fase contrattuale ha visto aumentare del 20% l’impegno finanziario necessario per i 36 F-35A ordinati.
Tanta acqua deve ancora passare sotto i ponti, e i toni trionfalistici con cui si è salutato un evento più che altro simbolico, nascondono incerte prospettive a breve-medio termine.
Foto: Difesa.it e Royal Navy
Silvio Lora LamiaVedi tutti gli articoli
Nato a Mlano nel 1951, è giornalista professionista dal 1986. Dal 1973 al 1982 ha curato presso la Fabbri Editori la redazione di opere enciclopediche a carattere storico-militare (Storia dell'Aviazione, Storia della Marina, Stororia dei mezzi corazzati, La Seconda Guerra Mondiale di Enzo Biagi). Varie collaborazioni con riviste specializzate. Dal 1983 al 2010 ha lavorato al mensile Volare, che ha anche diretto per qualche tempo. Pubblicati "Monografie Aeree, Aermacchi MB.326" (Intergest) e con altri autori "Il respiro del cielo" (Aero Club d'Italia). Continua a occuparsi di Aviazione e Difesa.