I droni di Erdogan: il successo degli UAV turchi sul mercato e sui campi di battaglia
L’industria turca dei velivoli a pilotaggio remoto (UAV) sta letteralmente “divorando i mercati” in quello che è considerato da molti il più clamoroso successo di un comparto dell’industria della Difesa turca ormai solido ed efficiente.
In un quindicennio o poco più, Ankara è diventata un gigante del settore unmanned. È riuscita a sviluppare un’intera catena di know-how, a piazzare due aziende, TAI (Turkish Aerospace Industries) e Baykar, che offrono una gamma completa di sistemi, se si eccettuano i droni HALE (High Altitude Long Endurance) e VHALE (Very High Altitude Long Endurance) e a creare una dottrina d’impiego innovativa, il tutto promuovendo la crescita di un ecosistema propizio in termini di sensori e munizioni guidate.
Non si tratta più di micromanagement, ma di una strategia complessa, orchestrata con sapienza dal governo, in sinergia con il mondo imprenditoriale.
Non sorprende pertanto che oggi fra i dominatori del ramo, accanto agli attori tradizionali cinesi, israeliani e americani, ci siano ormai anche i turchi. Ankara ha conquistato le cronache di tutti i media nel febbraio-marzo 2020, durante l’operazione Scudo di Primavera, nella sacca di Idlib, con il primo uso sistematico di droni made in Turkey sul campo di battaglia.
L’esercito turco ha ingaggiato i suoi sistemi Anka e Bayraktar TB2 prima in Siria del Nord, poi in Libia, rovesciando le sorti dei conflitti e ottenendo risultati militari significativi.
I turchi avevano già maturato una certa esperienza in fatto di droni. Ci lavoravano dalla fine degli anni ’90. All’epoca, avevano in linea alcuni modelli GNAT-750 non armati e li fecero fruttare nel quadro della guerra di controguerriglia contro il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, il famigerato PKK.
Non paghi, i turchi cercarono di ampliare le fonti di approvvigionamento. Si dotarono di 10 sistemi Heron israeliani, quando ancora i rapporti con Gerusalemme erano idilliaci (2010), ma fallirono nel tentativo di ottenere i Predator statunitensi. Parallelamente a sondare i mercati esteri, fu elaborata una strategia di sviluppo nazionale, con un piano ad hoc che prese forma nel 2004. Nel dettaglio, il Sottosegretariato all’industria della difesa (SSB) puntava allo sviluppo di una piattaforma MALE (Medium Altitude Long Endurance), l’Anka, affiancata dal drone tattico Bayraktar e da altri microsistemi, come la munizione circuitante Kargu, il Serçe, il Bayraktar Mini e il Karayel.
Aksungur
Salendo di livello, Ankara non puntava a sviluppare un drone HALE, ma un MALE pesante, il TAI Aksungur. Questo bimotore propulso da motori PD-170 ha effettuato il volo inaugurale nel marzo 2019 ed il primo esemplare in assetto combat è stato consegnato alla Marina Turca lo scorso 20 ottobre (nella foto sotto).
Ha un carico pagante di 750 kg, un’autonomia di 50 ore circa e una quota di tangenza che si spinge fino a 40.000 piedi. I sei piloni di cui è dotato, dalla capacità di 500 kg, 300 kg e 150 kg, lo configurano come una piattaforma per l’attacco di artiglieria volante persistente, con un mix di bombe guidate Mk 81 e 82, dotate di kit Teber 81 e 82, oltre che di munizioni intelligenti MAM-L e MAM-C, di missili a guida laser Cirit, di Small diameter bombs e di bombe Mk-82 trasformate in armi di precisione grazie ai kit di guida KGK-82 K GK.
TAI sta lavorando da oltre un anno per dotare l’Aksungur di capacità di lotta antisom: una volta ultimato, il progetto permetterà a questo UCAV di lanciare e di monitorare boe sonore, condividendo poi le informazioni ritrasmesse dalle boe con altre piattaforme per la guerra antisom.
Il primo lancio di una sonobuoy avverrà presumibilmente entro quest’anno, conferendo al drone una capacità finora detenuta solo dall’MQ-9B SeaGuardian di General Atomics. L’Aksungur ha ereditato molte tecnologie sviluppate per l’Anka, il primo drone pesante turco a entrare in servizio. Vediamo allora di conoscere meglio il profilo di quest’ultimo UAV.
da TAI, l’Anka è una piattaforma MALE che ha volato per la prima volta il 30 dicembre 2010, con non poche difficoltà. Il perfezionamento successivo ne ha permesso l’ingresso in linea nel 2014. Il velivolo, di concezione semplice, è in materiale composito, con ali smontabili e un’elica propulsiva spinta da un motore diesel.
A fine 2018, è stato rimotorizzato con i propulsori PD-170, che consentono alla piattaforma di operare a una quota di tangenza di 12.000 m. Il treno di atterraggio è triciclo, rientrante.
La configurazione generale apre il campo visuale. Inizialmente, le prime versioni dell’Anka avevano un collegamento in linea di vista LOS (Line OF Sight), che garantivano una portata di 250 km. Il drone monta una suite optronica sotto il naso, dotata di vie TV e infrarosse, oltre a un designatore, a un telemetro laser e a un sistema di navigazione, inclusivo di GPS.
Anka-S
La variante prodotta in serie, Anka-S, incorpora una struttura a radome modificata che ospita l’antenna per comunicazioni satellitari aerotrasportata ad alta potenza ViaSat VR-18C, per trasmissioni sicure ad alta velocità, per collegamenti oltre la linea di vista BLOS (Beyond Line-Of-Sight). Il computer per il controllo del volo, completamente autonomo, gestisce la navigazione con i waypoint e le fasi del volo.
Il sistema autonomo permette inoltre alla piattaforma di ritornare a una posizione predefinita in caso di perdita di collegamento con la stazione di controllo a terra.
L’Anka-S può tracciare sia bersagli stazionari, sia obiettivi in movimento grazie al radar ad apertura di sintesi di bordo, abbinato ad un ISAR (Inverse Synthetic Aperture Radar) e a un radar GMTI (Ground Moving Target Indicator). Il sistema può svolgere un’ampia gamma di missioni, fra cui raccogliere intelligence in tempo reale, fare sorveglianza e ricognizione, svolgere da nodo di comunicazione, acquisire bersagli e tracciarli e, ovviamente, attaccarli, una capacità acquisita di recente.
Il carico utile è di 250 kg (200 kg con la precedente motorizzazione) e la piattaforma può essere configurata con payload ad hoc per ogni tipo di missione.
Sotto le ali ci sono due piloni per le armi, che possono essere un lanciatore per 4 missili Roketsan Smart Micro Munition MAM-L, dei pod per i minirazzi a guida laser Bozok o dei pod per 8 razzi a guida laser da 70 mm Cirit, ottimi per ingaggiare veicoli leggermente blindati, soldati nemici, radar terrestri o shelter. Un primo tiro via SATCOM è stato effettuato nel dicembre 2018.
La massa massima al decollo del velivolo è di 1,6 t e la performance in volo invidiabile, visto che il drone può volare per 24 ore ininterrottamente. La sua lunghezza misura 8,6 m e l’apertura alare si estende per 17,6 m.
Prodotto ad Ankara in una fabbrica dall’aspetto tentacolare, ultraprotetta, punteggiata di hangar ed estesa su mille acri, l’Anka-S si è conquistato la fama di essere molto resistente ai tentativi di interferenza elettromagnetica. Entrambe le versioni dell’Anka che abbiamo menzionato sono pilotabili da una stazione di controllo biposto compatibile con la norma standard NATO STANAG 4586.
I velivoli possono essere telecomandati o procedere seguendo dei punti di controllo predeterminati. Un sistema include in genere tre droni e una stazione di controllo.
La piattaforma Anka è stata declinata anche in una variante -B, che ha volato per la prima volta nel gennaio del 2015. Questo sottoinsieme della famiglia Anka ha un radar ad apertura sintetica e un indicatore di movimento terrestre concepito da Aselsan. Inizialmente non armato, l’Anka-B è stato poi dotato di due piloni ventrali per quattro missili MAM-L.
Oltre alla variante -B, ce n’è anche una I, sintesi di una piattaforma da intelligence elettronica e da intelligence delle comunicazioni, utilizzata per lo spionaggio dalla National Intelligence Organization che, stranamente, non l’ha munita di comunicazioni satellitari.
Da notare che, a marzo, l’SSB ha avviato il progetto Stand-Off-Jammer/Remote Jammer, per equipaggiare gli UAV turchi con nuove capacità di guerra elettronica. In particolare, il programma galvanizzerà le potenzialità dell’Anka-I, che sarà affiancato anche da un altro ambizioso progetto dell’SSB per una capacità di attacco elettronico e supporto elettronico a distanza, integrabile in piattaforme aeree.
Il piano, ribattezzato HAVA SOJ (Remote Electronic Support/Electronic Attack Ability in Air Platform) punta a smascherare, identificare e localizzare i sistemi di comunicazione ostili, i sistemi di difesa aerea e radaristici e a fornire un allarme precoce. Permetterà alle piattaforme che lo integrano di disturbare o accecare i sistemi ostili, soprattutto nelle operazioni cross-border. L’Anka-I è la prima piattaforma candidata ad ospitarlo. L’Anka-S rimane tuttavia la variante della famiglia Anka più prodotta.
Dal primo volo nel dicembre 2015 all’ingresso in linea nel 2018, ha iniziato ad equipaggiare l’aeronautica, la marina, la gendarmeria e l’intelligence. Da quel momento in poi ha conosciuto una carriera bellica strepitosa. È stato ingaggiato nel nord-ovest della Siria, nell’operazione Ramoscello d’Ulivo (2018) contro le milizie curde dell’YPG.
Nel 2020, l’aeronautica turca l’ha nuovamente schierato a Idlib, contro le forze armate siriane, durante l’operazione Scudo di Primavera. E il battesimo del fuoco ha procurato i primi successi di mercato. Il governo tunisino ha acquisito tre sistemi nell’ambito di un contratto da 80 milioni di dollari per le esigenze della sua forza aerea e, nell’agosto scorso, TAI ha siglato un accordo con la pachistana NESCOM (National Engineering and Science Commission) che spianerà la strada a una produzione congiunta della famiglia dei droni Anka.
Il contratto prevede trasferimenti tecnologici e scambi fruttuosi di risorse umane. Islamabad produrrà alcune componenti dei droni e contribuirà al loro sviluppo ulteriore, preparando il terreno all’integrazione di tecnologie turche nei suoi progetti autoctoni di UAV/UCAV, grazie al supporto di Ankara.
A novembre, un altro contratto è sbocciato dal partenariato turco-kazako, in base al quale TAI fornirà tre sistemi anche al paese centrasiatico. Negoziati sono in corso con due clienti ulteriori, finora sconosciuti.
Bayraktar TB2
Molto più noto dell’Anka nelle sue diverse varianti è però il drone tattico Bayraktar TB2, concepito da Kale-Baykar, un’azienda specializzata in meccanica e, inizialmente, in microdroni.
È stato Selçuk Bayraktar, figlio del fondatore dell’azienda, che è riuscito a convincere le forze armate turche della bontà dei progetti che aveva in animo e della necessità di spingere l’azienda di famiglia. Già laureato al MIT di Boston, Selçuk si è poi sposato con la figlia minore del presidente turco Erdogan, mischiando affari, interessi e affetti.
Il gioco gli è riuscito perfettamente. Già nel 2011 Kale-Baykar ha strappato un contratto per la produzione seriale del TB2 all’agenzia di procurement del ministero della Difesa turco.
La seconda fase, tutta incentrata sullo sviluppo e la produzione di serie del Bayraktar Block B, è cominciata nel gennaio successivo. Il drone aveva già volato per la prima volta nel giugno 2009, visto che gli studi preliminari erano partiti nel 2007.
Con una massa massima di 700 kg, il TB2 trasporta 150 kg di carico utile, fra cui quattro missili MAM-L o MAM-C posizionati su altrettanti piloni, secondo una configurazione avallata nel 2015 e provata in battaglia una prima volta nel 2016.
Il drone non è dotato di un collegamento satellitare, ma può comunque operare fino a 300 km di distanza dal punto di decollo. Ha una grande autonomia, grazie alle abbondanti riserve di carburante (300 litri) e alla struttura ottimizzata, che sfrutta le fibre di carbonio, il Kevlar e compositi ibridi, in un design monoscocca con impennaggi a farfalla.
Durante una prova svolta nel 2014, il TB2 ha volato per 24 ore e 34 minuti. In un test successivo ha battuto il record di ‘resistenza’ in volo nella storia dell’aviazione turca, con un tempo ininterrotto di 27 ore e 3 minuti. Quanto a dimensioni, l’apertura alare del drone si ferma a 12 metri, l’altezza a 2,2 m, mentre la lunghezza è di 6,5 metri.
La quota di tangenza di questo MALE è di 18.000 piedi, ma il drone può volare a un’altitudine massima di 25.000 piedi. I primi test di accettazione dell’UAV si sono svolti nel novembre del 2014 e subito sono fioccate le commesse: sei macchine sono state consegnate alle forze terrestri turche entro la fine del 2014.
Un secondo contratto per altri sei sistemi è stato strappato nel giugno successivo, sempre per l’esercito turco. Nel 2019, le forze armate turche stavano già usando 75 TB-2, per lo più nell’operazione di contro-insurrezione contro il PKK in Turchia e negli scontri transfrontalieri con i miliziani curdi in Iraq e in Siria.
Oggi, il drone equipaggia in almeno 110 esemplari non solo l’esercito ma anche la marina, la polizia, la gendarmeria e l’intelligence.
É molto apprezzato per come svolge le funzioni di ricognizione e le missioni di intelligence, abbinandole agli attacchi degli obiettivi. Intanto, Baykar ha continuato a macinare commesse, senza più fermarsi, al punto che oggi il 70% dei suoi ricavi arriva dall’export. All’inizio del 2017, l’azienda aveva già piazzato sei TB-2 in Qatar, il vassallo turco del Golfo Persico.
Due anni dopo è arrivata la commessa ucraina per 12 velivoli, con negoziati in corso per altri 54 velivoli. Le forze armate ucraine hanno impiegato uno di questi droni nel Donbass, distruggendo un obice D-30 operato dai separatisti nei paraggi di Boykivske.
La cooperazione fra Ankara e Kiev si è galvanizzata al punto tale che, a settembre 2021, Baykar ha siglato un’intesa con il ministero della Difesa ucraino per la produzione, nella fabbrica costruenda nella regione di Kiev, dei droni Anka, che saranno dotati di motori indigeni.
Sorgerà un impianto in cui il personale ucraino sarà addestrato al pilotaggio e i droni saranno testati e mantenuti in operatività. Quanto al TB2, la Bayraktar Diplomacy è sempre più irrefrenabile. Il drone ha ottenuto commesse anche in Azerbaigian, che ne ha comprato 6 esemplari, poi in Libia, in Marocco, che ne ha commissionati 13, in Niger, in Polonia (24 esemplari), quindi in Kirghizistan (3) e in Turkmenistan.
L’Arabia Saudita, l’Iraq, l’Oman, il Pakistan, il Kazakistan, la Lettonia, la Bulgaria, l’Ungheria, l’Albania, il Regno Unito, la Nigeria, il Ciad, l’Angola e il Togo potrebbero essere i prossimi clienti dei TB2, ormai operativi in più di 257 esemplari con i vari fruitori turchi e internazionali.
Questi droni sono stati i protagonisti indiscussi delle operazioni belliche in Siria, in Libia e in Nagorno-Karabakh, dove hanno distrutto 759 obiettivi primari, inclusi 120 carri armati, 46 veicoli da combattimento per fanterie, 142 pezzi di artiglieria a traino meccanico e 43 semoventi, 2 mortai pesanti, 78 lanciarazzi multipli, 2 missili balistici a corto raggio Scud-B, 7 cannoni antiaerei semoventi, 37 sistemi missilistici antiaerei, 7 radar, 1 sistema da guerra elettronica R-330P Piramida-I, 7 velivoli e 69 veicoli militari.
L’elenco non include i raid riusciti contro il personale nemico, i depositi di munizioni e le strutture militari, che farebbero schizzare ancora più verso l’alto il palmares delle vittorie conseguite in battaglia dai TB2, persi in soli 19 esemplari fra Siria e Libia.
I sistemi di cui stiamo parlando sono stati schierati in almeno due unità anche all’aeroporto di Gecitakle, nella regione di Famagosta, a Cipro Nord.
E proprio l’Egeo e Cipro potrebbero diventare i teatri elettivi sia per i TB2, sia per i TB3 e i MIUS. Dal nord dell’isola, i droni tastano il polso dell’area e possono spingersi sulle vette più alte dei monti Troodos. Lo scacchiere marittimo Egeo è promettente. Angusto, è facilmente battibile dal cielo.
Operandovi, i TB3 potrebbero monitorare le isole greche e ingaggiare le navi nemiche, anche se le munizioni MAM non sono mai state testate contro le motomissilistiche e il naviglio sottile o di medio cabotaggio. Già oggi, Ankara fa ampio uso dei droni per missioni di pattugliamento e di ricognizione nei settori sensibili della regione, dove questi sistemi cooperano con la marina.
Prima che venissero rischierati a Cipro, i TB2 solevano decollare dalla base di Dalaman, ubicata sulla costa sud-occidentale anatolica. Occorrevano però loro 8 ore di volo per raggiungere le zone di esplorazione delle navi sismiche impegnate nella ricerca di giacimenti offshore.
Da Getikacle, quei tempi si sono più che dimezzati. E non basta. La flotta turca potrebbe arricchirsi presto anche dei primi droni navali di superficie, da schierare sempre negli stessi teatri in cui opereranno i droni aerei.
Il cantiere navale Ares e l’azienda Meteksan stanno infatti per lanciare la produzione seriale dell’ULAQ, un drone per la guerra di superficie, declinato ora anche in piattaforma unmanned antisom, e armato con 4 celle per razzi Cirit e per due missili L-UMTAS.
L’ULAQ è dotato di una suite per le comunicazioni criptate e l’intelligence e di sistemi da guerra elettronica. Può essere controllato da remoto o operare in totale autonomia, grazie ai sistemi di intelligence artificiale integrati. I sensori diurni e notturni gli consentono di operare a prescindere dalla luminosità.
Con un’autonomia di 400 km e una velocità di 65 km orari, la piattaforma si mostra talmente versatile da poter essere impiegata per missioni ISR, per la guerra di superficie, per la guerra asimmetrica, la scorta armata e la protezione di infrastrutture strategiche, fra cui spiccano le piattaforme offshore per l’estrazione di idrocarburi, soprattutto adesso che la Turchia sta avanzando pretese marittime semi-sovversive dello status quo in tutto il Mediterraneo orientale.
L’ULAQ opererebbe in sinergia con altri droni. Aselsan e il cantiere navale Sefine hanno già incrociato gli uffici studi per sviluppare e produrre altri due USV (Unmanned Surface Vessels). Il taglio della prima lamiera è avvenuto l’anno scorso sia per l’NB57, sia per l’RD09.
Il primo è un drone antisom, mentre il secondo ne è la variante per la guerra di superficie. Nell’ambito del programma complessivo, SEFT Ship Design, disegna le piattaforme, mentre Armelsan Defence fornisce i sonar di bordo dell’NB57. Ad Aselsan competono i cannoni STAMP da 12,7 mm, laddove i sistemi missilistici sono appannaggio di Roketsan.
Entrambi i droni svolgeranno in autonomia missioni ISR, combattimenti di superficie e antisom, protezione di basi, porti, infrastrutture critiche e assetti di superficie ad alto valore aggiunto. Insomma, l’industria turca ha in cantiere una miriade di progetti e di piattaforme.
Dal TB2 al TB3, fino al MIUS
Tornando un attimo al TB2, il drone è integrato in un sistema che comprende 6 velivoli, uno shelter di pilotaggio inclusivo di due console per il controllo terrestre, tre terminali terrestri per i dati, due terminali per i video ed equipaggiamento di supporto terrestre. Ogni sistema costa 5 milioni di dollari circa.
Non paga, Baykar sta sviluppando anche la variante navalizzata del drone, la TB3 cui abbiamo appena accennato, con ali pieghevoli, radar marittimo e peso al decollo di 1.450 kg. Il TB3 ha un’autonomia di 24 ore e un carico pagante di 280 kg.
Può montare fino a sei munizioni MAM, incluse le MAM-T, dal raggio superiore a 30 km, che insieme al radar da sorveglianza marittima dovrebbero permettere all’UCAV di ingaggiare obiettivi navali nemici, supportare operazioni anfibie o svolgere missioni di sorveglianza marittima. I primi test di stato partiranno nel 2022.
Ankara prevede di impiegare il drone navale sulla portaelicotteri da assalto anfibio Anadolu, che potrebbe ospitarne fra i 30 e i 50 esemplari, e sulla futura portaerei Tracia. Su entrambe le unità, il TB3 dovrebbe affiancare l’UCAV furtivo MIUS, attualmente in fase di design, con un primo prototipo atteso al volo inaugurale nel 2023
Quando ultimato, il MIUS sarà in grado di librarsi a una velocità di crociera prossima a Mach 1, grazie a un reattore AI-322F fornito dai motoristi ucraini Ivchenko Progress e Motor Sich, e capace di supportare un carico bellico di 1,5 t. Il MIUS opererà in tandem con i velivoli pilotati, fungendo loro da piattaforma ancillare. Sarà armato anche con missili aria-aria.
Il 28 febbraio, Bayraktar ha sgombrato il campo dai dubbi: «questo aereo è il nostro programma prioritario». Il caccia unmanned dovrà volare a una quota di tangenza di 40.000 piedi, essere in grado di assolvere missioni di cinque ore e interconnettersi con una rete di comunicazioni di dati satellitare. Sarà impiegato per il supporto aereo ravvicinato, l’assalto strategico, l’attacco ai sistemi di difesa aerei nemici e gli assalti missilistici.
Il ruolo delle munizioni
Molto precocemente, la Turchia ha intuito che il drone TB2 e le altre piattaforme in itinere avrebbero potuto essere ottimizzate nel ruolo di attacco e ne ha fatto delle piattaforme di strike. Già dalla fine del 2010, Roketsan ha concepito la munizione MAM-L, derivandola dal missile anticarro L-UMTAS. La MAM-L è una bomba planante a guida laser semiattiva che, in opzione, può essere dotata di una condotta GPS/INS. È studiata appositamente per le piattaforme lente. Lunga 1 metro e dotata di una massa di 22 kg, plana per 8 km, che salgono a 15 se subentra la guida GPS/INS.
Può ricevere tre tipi di cariche esplosive, cava in tandem, termobarica o esplosiva a frammentazione. Oltre che dal TB2, può essere impiegata dall’Anka, dal Karayel e dall’Aksungur, che ne monta 12. Provata ampiamente in battaglia, contro le forze siriane, contro le milizie del maresciallo Haftar in Libia e contro le forze armate armene dagli azeri, questa munizione si è rivelata particolarmente efficace contro i carri.
Tutte le piattaforme menzionate possono essere armate anche con i missili aria-superficie a guida laser Cirit, sviluppati a partire dal 2004 da Roketsan.
Parliamo di vettori talmente versatili da poter esser integrati su una gran copia di piattaforme, inclusi veicoli ruotati blindati, lanciatori terrestri trainati e stazionari, velivoli da attacco leggero, elicotteri utility armati, corvette e pattugliatori veloci per citarne alcune. Il missile è pensato per trattare veicoli scarsamente blindati o non protetti, mezzi per fanterie e bunker leggeri.
Dopo lo sviluppo iniziale, i primi test del Cirit sono avvenuti nel 2006. Per la produzione seriale si è dovuto attendere il 2011. Le prime consegne alle forze armate turche sono iniziate nel maggio 2012.
Da allora in poi è stato un crescendo continuo. Roketsan ha siglato anche un accordo con l’emiratina Tawazun per la produzione congiunta del missile, atteso dalle forze armate dell’Emirato.
Già nel giugno 2014 erano stati consegnati più di 1.000 missili alle agenzie di procurement turche ed emiratine. Quanto a struttura, il Cirit si distingue per il design aerodinamico. Ha un diametro di 70 mm e misura 1.900 mm in lunghezza. Pesa 15 kg, se si eccettuano il canister e il tube assembly.
La testata è polivalente, visto che il missile può essere equipaggiato con una testa anti-blindatura o anti-personale, o con una carica incendiaria o ad alto potenziale esplosivo con munizioni del Tipo V. Il missile può essere sparato dal pod Cirit standard e dal pod per il lancio intelligente sviluppato da Roketsan.
Quest’ultimo ha un bus per la comunicazione di dati su due vie e un database con informazioni sui bersagli per accrescere le performance dell’arma. In alternativa, il missile può essere lanciato dai lanciatori provvisti di interfaccia militare MIL-STD-1553 e MIL-STD-1760. Il sistema di guida del Cirit, a metà corsa, è fornito da un sistema inerziale MEMS (Micro Electro-Mechanical System) SiIMU02 IMU.
Sulla sezione frontale del missile c’è un seeker laser semiattivo per la guida terminale. La designazione dell’obiettivo può provenire dalla piattaforma di lancio o da qualsiasi altra piattaforma compatibile con la norma standard STANAG 3733. Il missile è spinto da un motore a propellente solido, che usa carburante HTPB. La gittata massima è di 8 km, quella minima di 1,5 km. Dal Cirit Roketsan ha poi derivato una versione ad alto potenziale, ribattezzata MAM-C.
La svolta dell’Akinci
Ma la vera rivoluzione copernicana nel campo dei droni turchi e del loro armamento è appena cominciata, con l’entrata in linea dell’UCAV (Unmanned Combat Aerial Vehicle) Akinci, concepito sempre da Baykar come primo aereo multiruolo non pilotato al mondo. Alla cerimonia di consegna delle prime quattro macchine, lo scorso 29 agosto c’era anche il presidente Erdogan, segno del passo storico compiuto dall’industria turca e del salto di qualità che faranno le forze armate nazionali. Dei primi quattro Akinci, due sono stati destinati al Battaglione UAV della 2a armata dell’esercito e gli altri due al 341° Shadow Squadron dell’aviazione.
Grazie a un carico pagante di 1.500 kg e a un’ampia panoplia di armi, l’Akinci potrà sgravare da molte missioni di attacco i 240 F-16 ancora in linea, colmando in parte il vuoto che non sarà più riempito dagli F-35. Con questo UCAV, Ankara sale molto di livello rispetto al TB2 e all’Anka. Il payload permette alla nuova macchina di caricare bombe guidate che erano troppo pesanti per i primi due UAV. Accresce la versatilità delle frecce scoccabili.
L’Akinci può montare infatti fino a 24 bombe plananti MAM-L contro le 4 del TB-2 e Baykar sta validando tutta una serie di nuove munizioni guidate per la piattaforma, a partire dalla MAM-T, da 30 km di raggio, che surclassa i 14 km della MAM-L. La MAM-T da 90 kg si affiancherà alla famiglia di munizioni guidate di precisione Teber, LGK, KGK e (L)HGK, destinate all’Akinci. Si tratta di bombe plananti dotate di kit di guida prodotti localmente e montati sui corpi di bombe di ferro Mark-82, Mark-83 e Mark-84 che la Turchia fabbrica in casa. In particolare, la Mark-84 da 900 kg di peso impressiona.
È l’ordigno più gravoso mai integrato su un drone. Quando munita del kit di guida GPS e inerziale, la bomba prende il nome HGK 84. Ha una gittata di 28 km, che scendono a 22 se l’altitudine da cui viene esplosa è meno elevata.
La variante LHGK-84 è dotata di un kit di guida laser per una precisione ancora più accurata. Un’ulteriore variante, nota come NEB-84, è concepita come bomba a penetrazione guidata, da impiegare contro superfici indurite e obiettivi sotterranei, come ponti e bunker.
L’unico altro drone operativo al mondo capace di montare la Mark-84, nella variante americana guidata GBU-31, è l’Avenger della General Atomics, in dotazione all’US Central Intelligence Agency.
L’Akinci è studiato anche per l’impiego della bomba JDAM Sage di Tubitak. Non solo, al salone IDEF 2021 è stata presentata un’ulteriore possibile munizione, derivata dal razzo pesante terrestre TGR-230. Si tratta di un missile balistico tattico da 210 kg e 50 kg di testata, capace di penetrare in profondità fino a 55 m, con un errore circolare probabile inferiore a 10 metri.
Se integrata sull’Akinci, questa bomba ne moltiplicherebbe il potenziale distruttivo con una precisione invidiabile.
Per ospitare quest’ampia gamma di munizioni, l’UCAV in questione ha otto piloni subalari e un altro collocato sotto la fusoliera. L’ultimo è destinato ad accogliere gli ordigni più pesanti, fra cui l’HGK-84 e la serie di missili da crociera SOM-A da 250 km di portata, concepiti per distruggere posti comando, siti di difesa anti-aerea, navi e qualsiasi altro obiettivo che richieda uno strike di precisione con una carica di esplosivo ad alto potenziale da 230 kg.
La configurazione tipo del drone potrebbe comprendere due bombe plananti KGK-82 con kit ad alette, due bombe di precisione Teber-82 e 8 MAM-L, un mix che permetterebbe all’UCAV di ingaggiare obiettivi induriti ad alto valore aggiunto e a lunga distanza, oltre che distruggere convogli nemici lungo la traiettoria, per poi continuare l’opera fino a completare la missione.
Il drone ha un’autonomia di 24 ore circa ed è propulso da un reattore ucraino AI-450, sviluppato da Ivchenko Progress. Bayraktar si è offerta anche un motore alternativo, siglando un accordo con Motor Sich per il propulsore MS500, che comincerà a volare con l’Akinci da quest’anno. Fra i motori per l’Anka e quelli per l’Akinci, nel decennio 2021-2030, Kiev fornirà a Baykar più di 500 reattori, per un valore superiore a 600 milioni di dollari.
L’aspetto più innovativo dell’Akinci rimane la sua capacità di impiegare missili aria-aria, fra cui gli autoctoni a guida infrarossa Bozdogan e il missile spara e dimentica Gokdogan BVRAAM (Beyond Visual Range Air-to-Air Missile), che impiega un radar allo stato solido attivo per guidarsi sul bersaglio.
Il radar ad apertura sintetica permetterà all’UCAV di scoprire e tracciare autonomamente i bersagli a lunga distanza, per poi ingaggiarli.
Le sue prede dovrebbero essere i droni, gli elicotteri e i velivoli nemici a passo lento. Ma grazie ai missili BVRAAM, l’Akinci sarà temibile anche per altre categorie di aerei. I missili a medio raggio come il Bozdogan sono un ostacolo per qualsiasi cacciabombardiere veloce, manovrante e resistente alle contromisure elettroniche.
Entrambe le categorie di missili sono ancora in fase di sviluppo e occorrerà pazientare ancora diversi anni prima di vederli operativi sull’Akinci. La versatilità delle munizioni integrabili permetterà di riassegnare questo UCAV ad una molteplicità di compiti nella stessa missione quotidiana, garantendo un’ampia flessibilità d’impiego, finora non riscontrabile in nessun altro drone.
Nel 2019, il professor Ismail Demir ha rivelato un altro progetto ambiziosissimo per l’Akinci: farne un vascello madre per il rilascio di droni kamikaze portatili Alpagu della STM, pensati per evolvere in sciami. L’azienda produttrice di queste munizioni circuitanti da 1,9 kg di peso, sta già lavorando a nuove cariche belliche per l’Alpagu, che prevede di dotare di testate termobariche e penetranti, oltre a quella anti-personale da 300 gr ormai testata.
Il fatto che l’UCAV, le munizioni e i kit di guida siano interamente fabbricati in Turchia potrebbero galvanizzare l’export.
I clienti della NATO e non solo potrebbero apprezzare il fatto che il drone si uniforma agli standard alleati per quanto riguarda le munizioni, consentendo l’adozione di altre armi. Paesi come il Pakistan e l’Azerbaigian, molto vicini politicamente alla Turchia dei Fratelli Musulmani, stanno attualmente sviluppando munizioni guidate di precisione indigene. Se optassero per l’Akinci non faticherebbero ad integrarle sulla piattaforma e potrebbero beneficiare perfino del supporto di Ankara, che ha in pugno un UCAV capace di volare a 30-40.000 piedi e di alimentare con le sue potenzialità ISTAR le formazioni amiche, in primis le piattaforme terrestri. Un connubio prezioso in una guerra ormai netcentrica.
Le operazioni a Idlib e nel Caucaso
A questa logica di sviluppo incrementale in fatto di droni e del relativo armamento, si somma la costruzione di infrastrutture su oltre sette basi anatoliche, per colmare i limiti di portata dei collegamenti dei dati in linea di vista. L’ascesa turca inoltre non è solo qualitativa, ma anche quantitativa. Molto si gioca sulla massa.
Dei numeri del TB2 abbiamo già detto. Si stima che siano già in servizio con le forze armate di Ankara anche più di 40 Anka. La Turchia impiega i suoi droni ovunque intervenga militarmente, per assicurarsi un’ampia copertura ISR (Intelligence, Surveillance, Reconnaisance) e un’estensione delle piattaforme di fuoco.
Nella dottrina turca, i droni sono dei veri strumenti da combattimento, che soppiantano la logica tradizionale di piattaforme ISR, chiamate a trattare dei bersagli di opportunità. A Idlib, per esempio, i droni sono stati ingaggiati in una campagna di interdizione del campo di battaglia, su una scala mai vista prima nella storia militare.
Il 27 febbraio 2020, Ankara è intervenuta nel nord della Siria in appoggio ai suoi vassalli, minacciati dalla progressione delle forze siriane sostenute dai russi.
In quei momenti, la tensione fra siriani e turchi intorno alla sacca ha raggiunto il parossismo. Quel giorno, un raid aereo di Damasco contro postazioni turche ha lasciato sul terreno 29 morti e 36 feriti, secondo fonti di Ankara.
Colpita al cuore, la Turchia ha reagito immediatamente, ingaggiando massicciamente i suoi droni armati Anka-S e TB2 in una campagna di interdizione del campo di battaglia, inclusiva anche di uno sbarramento di artiglieria. Il risultato è stato devastante, con un gran numero di materiali lealisti siriani distrutti, fra cui 37 carri armati, 8 veicoli da combattimento per fanteria, 24 pezzi di artiglieria semovente, 12 lanciarazzi multipli, 3 mortai, 2 cannoni anti-aerei, 2 sistemi di difesa aerea SAM Pantsir S1 e 21 camion e veicoli blindati.
Ma, soprattutto, la reazione turca ha bloccato la progressione delle forze di Damasco. La superiorità aerea di Ankara, indispensabile per il tank-plinking, non è mai stata messa in discussione. La Russia ha rinunciato a mettersi di mezzo, nonostante la sua supremazia aerea.
Secondo alcuni rapporti, Mosca avrebbe impiegato contro i droni turchi sistemi di guerra elettronica Pole 21, Ratnik-Kupol e Krasukha S-4, senza nessun successo evidente. Damasco ha tentato invano di colpire le posizioni turche.
Due Su-24 siriani sono stati abbattuti da un F-16 turco il 1° marzo. Quel giorno, un Anka-S è stato distrutto, abbattuto dalla contraerea siriana, insieme ad altri droni leggeri. Il 3 marzo, la Turchia ha abbattuto un ulteriore velivolo siriano, un addestratore L-39.
Come nel caso dei Su-24, anche quest’ultimo abbattimento è avvenuto per mano di un F-16, che si è ben guardato dall’oltrepassare lo spazio aereo turco, marcando una sorta di auto-contenimento nell’uso della forza, forse per non provocare le ire di Mosca.
All’inazione russa, si è sommata l’ormai nota inefficacia della difesa aerea integrata siriana. Come si è visto prima, due sistemi SA-22 Greyhound/Pantsir sono stati distrutti dalle bombe plananti MAM-L dei TB2. E i Bayraktar hanno fatto strage di Pantsir anche in Libia, distruggendo 8 o 9 di questi sistemi consegnati dagli Emirati Arabi Uniti alle truppe del maresciallo Haftar.
In sintesi, l’operazione turca Scudo di Primavera ha consacrato l’uso dei droni come sistemi d’attacco contro forze regolari, in controtendenza rispetto al modus operandi degli eserciti europei e statunitense che tendono a considerare gli UAV come piattaforme per attacchi di punto, per trattare dei Time Sensitive Target nelle operazioni di controguerriglia e di controterrorismo.
La lezione data dalla Turchia è che questa razionalità può ampliarsi all’insieme degli obiettivi, purché siano preservate la superiorità aerea e cyber-elettronica.
Ankara è stata capace di proteggere i suoi droni, facendoli operare come una lancia scudata da un insieme di cacciabombardieri, di difese aeree e di sistemi di guerra elettronica. Un classico della strategia aerea, spesso dimenticato. I droni TB2 hanno ribadito la loro centralità anche nella riconquista azera del Nagorno-Karabakh. Qui, il grande raid aereo iniziale classico, sferrato da cacciabombardieri o da missili da crociera, per distruggere le difese aeree, è stato rimpiazzato da un raid di TB2, i cui missili MAM-L hanno fatto strame di sistemi armeni, ‘coordinandosi’ con i droni kamikaze israeliani Harop, attratti sul bersaglio dalle emissioni radar.
Il 4 ottobre 2020, l’esercito azero aveva già dichiarato la distruzione di 33 sistemi anti-aerei armeni, fra cui un S-300. Il blog Oryx dal canto suo certificava l’annientamento di 27 sistemi e di 12 radar.
A fine guerra, i droni di Baku avevano distrutto 114 carri armati, 43 veicoli da combattimento per fanterie e blindo da trasporto truppe, 141 pezzi di artiglieria e di lanciarazzi multipli, 42 sistemi antiaerei e radar e 248 veicoli militari, infliggendo al nemico perdite valutabili all’incirca in 1 miliardo di dollari.
Solo i tank valevano 210 milioni di dollari. I droni azeri hanno effettuato non solo raid DEAD (Distruction of Enemy Air Defenses), ma anche missioni di interdizione del campo di battaglia, distruggendo con i MAM-L un intero convoglio logistico armeno e centrando 548 obiettivi in tutta la campagna, al prezzo di due soli TB2 persi. I sistemi di guerra elettronica russi Avtobaza-M, Repellent-1, R-330 P Piramida-I e Borisoglebsk-2, operati dalle forze armate armene, sono stati sistematicamente elusi.
I TB2 hanno avuto mano libera per ostacolare ogni movimento delle forze motorizzate nemiche. Dalla fine della seconda guerra mondiale è risaputo che le unità terrestri motorizzate sono vulnerabili agli attacchi aerei. Ecco perché sarà sempre più imprescindibile dotarle di sistemi di difesa aerea a corto raggio e di mezzi di guerra elettronica, in uno scenario che si farà sempre più complesso perché i droni si diffonderanno, democratizzandosi e facendosi sempre più autonomi.
Guardando al futuro
Non paga delle innovazioni apportate e dei traguardi raggiunti, Ankara sta già preparando l’avvenire, cooptando una rete di piccole imprese molto dinamiche nel campo dei droni. A febbraio, Akdaş, una piccola azienda della difesa turca, ha installato un lanciagranate da 40 mm sul Songar, un mini UAV autoctono sviluppato da Asisguard, un’altra azienda anatolica. Così configurato, il Songar (nella foto sotto), con il lanciatore AK40-GL, è stato ormai validato dall’SSB. (Guarda il video)
Sempre Asisguard, in sinergia con Tubitak, ha sviluppato il primo drone al mondo equipaggiato con un laser ad alta potenza. Ribattezzato Eren, il drone avveniristico è stato già testato. Da altitudini comprese fra 100 e 500 metri, il suo fascio laser ha forato in 90 secondi un acciaio spesso 3 mm. Sarà impiegato contro gli ordigni esplosivi. Il drone vettore potrà operare a quote di tangenza massime di 3.000 metri.
Febbraio è stato un mese fruttuoso per il futuro del mondo unmanned turco, perché anche TAI si è presentata davanti ai media con un progetto innovativo, svelando il simulacro della versione elettrica, a pilotaggio remoto, dell’elicottero d’attacco T629. Il programma di elicottero T629 sta procedendo spedito dal 2017. TAI ha iniziato l’assemblaggio del primo modello destinato al volo inaugurale nel 2019. La macchina peserà 6 tonnellate.
Sarà armata con missili non guidati da 70 mm e con gli anticarro L-UMTAS. Bisognerà vedere come l’economia turca potrà sostenere la proliferazione di tutti questi programmi, visto che il quadro macroeconomico è pessimo e la lira turca fortemente svalutata. Non mancano poi alcuni interrogativi tecnici. In passato, i sistemi UAV turchi hanno integrato componenti straniere.
Nell’ottobre 2020, la decisione del governo canadese di sospendere l’export di componenti optroniche alla Turchia ha messo in difficoltà l’industria e l’export turco. Il ministro degli Esteri canadese, François-Philippe Champagne, aveva giustificato la mossa denunciando il fatto che la tecnologia canadese fosse impiegata in quel periodo nel conflitto nel Caucaso meridionale.
Ottawa era stata allertata poco prima dall’organizzazione non governativa pacifista Project Ploughshares che aveva denunciato la violazione della legge canadese e degli obblighi internazionali derivanti dal trattato delle Nazioni Unite sul commercio delle armi convenzionali nella vendita alla Turchia delle tecnologie sensoristiche di targeting prodotte da L3Harris Wescam, una sussidiaria canadese del gigante statunitense della difesa L3Harris.
L’azienda è uno dei leader mondiali nella produzione e nell’export di sistemi elettro-ottici e infrarossi per l’immagine e di sensoristica per il targeting, entrambi integrati nei droni TB2. Indomita, Bayraktar si è subito rivolta allo specialista turco dell’elettronica militare, Aselsan, per rimpiazzare i sensori e le tecnologie canadesi sotto embargo.
È un po’ lo stesso travaglio che sta affrontando il carro armato Altay per la motorizzazione. Ma la partnership Bayraktar-Aselsan sta già dando i primi risultati visto che il TB2, a novembre 2020, ha effettuato con successo un primo test di fuoco con la MAM-L, usando il sistema elettro-ottico di ricognizione, sorveglianza e targeting CATS (Common Aperture Targeting Systems), sviluppato da Aselsan.
Viene però da chiedersi se questi incidenti di percorso e le ombre che si addensano sul futuro economico del paese tarperanno le ali alla rampante industria turca dei droni. Ankara sta inoltre subendo pressioni dagli alleati occidentali per la spregiudicatezza con cui vende i suoi sistemi e li impiega sul campo.
Un’alzata di scudi c’è stata ad esempio contro la cessione dei TB2 all’Etiopia. L’Egitto ha protestato duramente, visto che ha un contenzioso aperto con Addis Abeba per la diga sul fiume Nilo e non è affatto scontato che la crisi si risolva pacificamente.
Sono intervenute anche le cancellerie occidentali, preoccupate per i crimini di guerra nel Tigrai e timorose che i TB2 possano aggravare il quadro. Il fuoco incrociato potrebbe ‘convincere’ Ankara a desistere, fino a sospendere i trasferimenti all’Etiopia. Forti critiche alla Turchia sono piovute anche dal gruppo di esperti delle Nazioni Unite sulla Libia.
In un rapporto del marzo scorso, gli esperti hanno denunciato che: «i convogli logistici e le unità delle forze affiliate al Maresciallo Khalifa Haftar, ormai in ritirata, sono stati bombardati a distanza dagli UCAV e da altri sistemi d’arma autonomi letali, come il Kargu-2 di STM» impiegato in modalità di autoguida automatica.
Il Kargu-2 è un drone di tipo multicottero del peso di 7 kg. Misura in lunghezza 600 mm, è largo altrettanto ed è alto 430 mm. Autonomo per mezz’ora, è veloce fino a 72 km/h. Il sistema è dotato di un lidar, di un sensore infrarosso e di una camera. Tutto l’hardware e i software sono turchi, come lo zoom ottico capace di ingrandimenti fino a 10x, le componenti di intelligenza artificiale che lo equipaggiano e il pod stabilizzato su due assi.
Il drone può essere controllato da un operatore, nel raggio di 5 km, in modalità standard, oppure volare in solitaria autonomia.
È una munizione circuitante: quando individua un bersaglio statico o in movimento, vi orbita sopra per poi scendere in picchiata e distruggerlo, armato con tre cariche belliche differenti, cava, esplosiva a frammentazione e termobarica.
Se non trova obiettivi, il Kargu-2 ritorna alla base di lancio, pronto per una nuova missione, a prescindere dalla luminosità diurna.
Sembra disponga anche di un sistema di riconoscimento facciale. Senz’altro integra capacità di processamento delle immagini in tempo reale, sistemi di navigazione hi-tech e controlli basati su algoritmi di apprendimento automatico.
La sua altitudine è modificabile a seconda del profilo di missione. Secondo il costruttore, anche in modalità totalmente autonoma, oltre la linea di vista, il drone può colpire i bersagli con danni collaterali minimi. STM sta lavorando per perfezionarne l’autonomia, così da conferirgli la dote di evolvere in sciame.
Più di 500 sistemi sono in consegna alle forze armate turche, comprensivi dell’UCAV, di una stazione di controllo terrestre e di una stazione con le componenti di ricarica.
In Libia, il Kargu-2 e i Sistemi d’Arma Autonomi Letali (LAWS l’acronimo in inglese) si sono rivelati di un’efficacia temibile contro i sistemi di difesa aerea Pantsir-1 forniti ad Haftar dagli Emirati Arabi Uniti. Ma le Nazioni Unite e varie ONG vorrebbero restringere l’impiego dei sistemi LAWS, temendone un uso indiscriminato, foriero di potenziali abusi.
Foto: TAI. Baykar, Defense Express, Esercito Nazionale Libico, Anadolu, Roketsan e Asisguard.
Francesco PalmasVedi tutti gli articoli
Nato a Cagliari, dove ha seguito gli studi classici e universitari, si è trasferito a Roma per frequentare come civile il 6° Corso Superiore di Stato Maggiore Interforze. Analista militare indipendente, scrive attualmente per Panorama Difesa, Informazioni della Difesa e il quotidiano Avvenire. Ha collaborato con Rivista Militare, Rivista Marittima, Rivista Aeronautica, Rivista della Guardia di Finanza, Storia Militare, Storia&Battaglie, Tecnologia&Difesa, Raid, Affari Esteri e Rivista di Studi Politici Internazionali. Ha pubblicato un saggio sugli avvenimenti della politica estera francese fra il settembre del 1944 e il maggio del 1945 e curato un volume sul Poligono di Nettuno, edito dal Segretariato della Difesa.