Nella crisi ucraina perde l’Europa

 

 

Mosca ha chiuso il dialogo con Usa e Nato di fronte all’indisponibilità dell’Occidente a valutare le richieste di Mosca di “garanzie di sicurezza” per distendere la situazione ai confini orientali della NATO e occidentali della Federazione Russa.

Stati Uniti e Nato hanno respinto la richiesta russa di garanzie sull’espansione dell’Alleanza all’Ucraina e alla Georgia e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha ribadito che non ci saranno compromessi sulla politica delle porte aperte né sulla difesa dell’integrità e sovranità dei paesi europei, Ucraina compresa.

Di certo non è casuale che poche ore dopo la conclusione infruttuosa dei colloqui, Kiev abbia subito un attacco informatico che ha reso temporaneamente inaccessibili i siti di diversi ministeri, compresi quelli degli Esteri e dell’Unità di crisi.

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Gli hacker avevano pubblicato sui siti attaccati messaggi in ucraino, russo e polacco che invitavano i cittadini ucraini a prepararsi al peggio affermando che tutti i dati personali erano stati caricati sul web. Il governo ucraino ha assicurato di non aver subito seri danni permanenti e negato ogni ipotesi di sottrazione di dati.

In ogni caso si tratta di un ulteriore elemento che caratterizza le operazioni in atto nell’ambito della cosiddetta “guerra ibrida” ai confini orientali dell’Europa.

Il fallimento dei colloqui, definiti infruttuosi da Mosca, ha indotto Washington e l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) a parlare di “rischio guerra in Europa”.

Forse una esagerazione (del resto l’affermazione è del ministro degli Esteri polacco, Zbigniew Rau, che ha assunto la presidenza dell’OSCE) a cui Mosca risponde con indiscrezioni “di piani d’azione militari” consegnati a Putin per fronteggiare “un deterioramento della situazione in Ucraina”.

Gli USA denunciano che oltre alle truppe, lungo il confine ucraino sono stati schierati nuovi reparti di elicotteri russi.

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Certo è difficile per USA e NATO accettare le richieste russe (fine dell’allargamento della NATO a est e riduzione delle attività militari vicino ai confini russi), ma altrettanto arduo è per Mosca trattare con USA e NATO se contemporaneamente il Senato americano approva una legge sul “rafforzamento della sovranità ucraina” che incentiva l’invio di armi e consiglieri militari a Kiev e se a Washington si discute apertamente non solo di nuove sanzioni alla Russia ma persino di sanzioni personali contro il presidente Vladimir Putin.

“Questo equivarrebbe all’interruzione della relazioni fra i nostri Paesi”, ha detto chiaramente il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov.

Al Congresso di Washington il Partito Repubblicano ha annunciato un disegno di legge che eleverebbe l’Ucraina allo status di Paese “Nato Plus”, che consentirebbe di incrementare gli aiuti militari statunitensi a Kiev.

Il disegno della “Legge per la garanzia dell’autonomia dell’Ucraina tramite il rafforzamento della sua difesa” (“GUARD”) è già stato firmato da membri di primo piano del Partito Repubblicano che siedono nelle commissioni Affari esteri, Servizi armati e Intelligence della Camera dei rappresentanti. La proposta prevede anche lo stanziamento di altri 200 milioni di dollari di aiuti militari a Kiev. Elevare l’Ucraina allo standard “Nato Plus” significa porla al pari di Giappone e Corea del Sud come partner militare degli USA.

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Infine, il provvedimento prevede il ripristino delle sanzioni contro il gasdotto Nord Stream 2 che dovrebbe portare il gas russo in Germania attraversando il Mar Baltico ma che Berlino non ha ancora attivato.

“E’ molto difficile pensare che l’oleodotto Nord Stream diventi operativo nel caso che la Russia rinnovi la sua aggressione contro l’Ucraina” aveva dichiarato il 12 gennaio il vice segretario di Stato americano, Wendy Sherman.

Al Senato invece un’iniziativa del Partito Democratico propone l’invio a Kiev degli armamenti destinati alle forze militari afghane e di aumentare le attività addestrative a favore delle truppe ucraine.

In questo contesto, richiamando i tempi della Crisi di Cuba del 1962 (scatenata dal dispiegamento di missili balistici a testata nucleare statunitensi in Italia, Turchia e Gran Bretagna), non sorprende che Vladimir Putin abbia avvertito che la Russia potrebbe adottare misure tecnico-militari se gli Stati Uniti agissero per provocare Mosca e innalzare la pressione militare

Il vice ministro degli Esteri, Sergei Ryabkov non ha escluso la possibilità di schierare forze militari russe a Cuba o in Venezuela replicando la minaccia portata dalle forze della NATO in Ucraina i cui confini distano 500 chilometri da Mosca.

La comparsa di armi d’attacco e basi militari occidentali in Ucraina e nel Mar d’Azov, nonché l’arrivo di istruttori occidentali nel Donbass, rappresentano linee rosse per la Russia, come ha ribadito ieri il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ricordando che l’adesione di Kiev alla NATO sarebbe “inaccettabile” e che nel 2008, alla vigilia del conflitto, in Georgia erano presenti istruttori militari statunitensi che avevano consegnato armi alle forze di Tbilisi.

“Non voglio che ciò accada in Ucraina, sarebbe uno scontro diretto tra i cittadini russi dell’Ucraina ed i militari della Nato”, ha avvertito Lavrov che ha però ribadito che la Russia aspetta una risposta scritta alle sue richieste da Nato e Usa ma “non aspetterà per sempre promesse o cambiamenti, perché sa come farlo da sola.

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Ci aspettiamo che le nostre controparti mettano per iscritto le risposte, le loro proposte, come abbiamo fatto noi. Nel frattempo, proseguiremo con le attività che ci garantiscono di essere preparati per qualsiasi sviluppo. Ma nel complesso abbiamo fiducia nella disponibilità al compromesso, per cui è sempre possibile trovare una soluzione reciprocamente accettabile”, ha sottolineato Lavrov, ricordando l’estensione del Nuovo Start di cinque anni concordata con gli Stati Uniti subito dopo l’insediamento di Joe Biden.

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Per questo, al di là dei toni muscolari, Russia e Stati Uniti continueranno a dialogare (e anche Russia e NATO come dimostra la convocazione, per la prima volta da due anni, del Consiglio Nato-Russia) lasciando l’Europa ai margini dei colloqui e a pagare il conto della destabilizzazione in termini geopolitici, militari e energetici.

Tra gli aspetti paradossali di questa crisi spicca innanzitutto che USA e NATO alzano l’asticella dell’escalation ma al tempo stesso ribadiscono (Londra e Washington lo hanno detto esplicitamente il mese scorso) che non invieranno truppe a combattere in Ucraina in caso di invasione russa.

Ieri lo ha implicitamente ammesso anche l’Alto rappresentante per gli affari esteri della Ue, Josep Borrell, minacciando “alti costi” per Mosca in caso di mosse azzardate di Mosca ma limitati all’ambito “politico-economico”.

In un contesto di deterrenza militare inesistente, Borrell ha ricordato il “perfetto coordinamento” tra Europa e Stati Uniti nei negoziati con Mosca, ma sarebbe più realistico definirlo sudditanza. Nonostante la drammatica crisi energetica e la minaccia di un conflitto che destabilizzerebbe ulteriormente il Vecchio Continente, la Ue non è riuscita a diventare un interlocutore diretto di Mosca né a imporre agli Stati Uniti di astenersi dal soffiare sul fuoco delle tensioni armando l’Ucraina e sanzionando ulteriormente la Russia.

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Non a caso lo stop ai colloqui e le nuove sanzioni contro Mosca per hanno spinto ieri al rialzo delle quotazioni del gas in Europa. Sulla piazza di Amsterdam il metano ha raggiunto il livello più alto degli ultimi 3 giorni a 87 euro al MWh, per chiudere poi con un rialzo finale del 13,71% a 85,46 euro al MWh. In rialzo anche le quotazioni a Londra (+13,88% a 204,97 penny per unità termica), mentre a New York il metano ha perso l’11,22% a 4,31 dollari per unità termica.

Otto anni dopo i fatti del “maidan”, sul cosiddetto “East Flank” della NATO sembra ancora echeggiare quel “Fuck the European Union” pronunciato durante la crisi ucraina di inizio 2014 dal segretario di Stato aggiunto, Victoria Nuland (nella foto sopra), in una telefonata (intercettata e poi diffusa forse dai russi) con l’ambasciatore americano a Kiev, Geoffrey Pyatt.

Un’espressione che ben sintetizzò il pensiero dell’Amministrazione Obama (di cui Joe Biden era vicepresidente) rispetto al ruolo europeo in quella vicenda. Da allora nulla sembra essere cambiato.

 @GianandreaGaian

Illustrazioni: NATO, Ucraina MoD, Russia MoD, Russian Helicopters e Alberto Scafella

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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