Guerra in Ucraina: la distruzione dell’Antonov An-225 a Kiev

 

 

All’incolmabile dolore per le perdite umane nell’attuale conflitto russo-ucraino, d’importanza certamente superiore a qualsiasi deficit economico, militare o strutturale, non è passata certo inosservata, nelle prime fasi della guerra, la notizia della distruzione dell’unico esemplare volante del più grande aereo da trasporto mai costruito: l’esamotore Antonov An-225 “Mriya” (Codice NATO “Cossack”).

Un velivolo straordinario per dimensioni, peso e carico sviluppato e realizzato nell’allora URSS presso gli stabilimenti di Kiev tra il 1984 e il 1988, inizialmente per il trasporto dei componenti del veicolo di lancio Energiya e della navicella spaziale Buran (omologa quest’ultima della statunitense Space Shuttle).

Il Mriya ha stabilito una serie di record mondiali per peso al decollo e carico utile: il 22 marzo 1989 un An-225 ha volato con un carico di 156,3 tonnellate battendo contemporaneamente ben 110 record mondiali aeronautici; il Mriya detiene inoltre il record assoluto di capacità di carico pari a 253,8 tonnellate per un totale complessivo di circa 250 record mondiali.

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Ma torniamo ai fatti: il velivolo identificativo UR-82060 appartenente alla flotta aerea cargo della società ucraina Antonov Airlines era di stanza presso l’aeroporto di Kiev Gostomel, occupato dalle truppe aerotrasportate russe sin dalle prime ore del conflitto.

Cultori e appassionati di aeronautica di tutto il mondo avevano temuto il peggio relativamente alla sorte di quella che è (era) a tutti gli effetti una star mondiale, attesa sempre da centinaia e centinaia di spotter, curiosi e amanti dell’aviazione fuori dagli scali internazionali del pianeta, di giorno e di notte, all’arrivo o alla partenza di questo colosso dei cieli.

Il 24 febbraio, primo giorno di guerra,  il pilota e comandante dell’An-225 Dmitry Antonov constatava e riportava sul proprio profilo Facebook che il velivolo era sano e salvo ma pochi giorni dopo, il 27 febbraio, alcune foto satellitari facevano temere il peggio.

Immediatamente sui social comparivano le accuse di UkrOboronProm (la società di stato che riunisce la produzione per la Difesa ucraina) con le richieste di danni dirette alla Russia indicanti nel dettaglio che il restauro del velivolo sarebbe costato a Mosca non meno di 3 miliardi di dollari e 5 anni di lavoro.

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La TV russa Channel One trasmetteva un servizio qualche giorno dopo dalla medesima base aerea, proprio davanti al monumentale hangar ospitante l’An-225 parzialmente distrutto dimostrando come il fuoco ucraino per respingere i russi dall’aeroporto fosse stato la causa della distruzione del velivolo.

La fine del “sogno” (Mriya in ucraino significa infatti sogno) ha posto numerose domande sulle reali responsabilità della distruzione del velivolo, sull’effettiva possibilità di ripristino della cellula e sul destino di almeno due Antonov An-124 Ruslan (considerato il “fratello minore” dell’An-225) di stanza a Kiev-Gostomel.

La scorsa settimana in un video in premessa pieno di invettive contro gli invasori russi, sempre il comandante pilota Dmitry Antonov dichiarava tuttavia che l’An-225 si sarebbe potuto salvare se la leadership della società ucraina non fosse fuggita a Lipsia due settimane prima del conflitto abbandonando così ogni velivolo Antonov al proprio destino.

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Secondo l’ufficiale inoltre, anche i rappresentanti della NATO lo scorso 26 gennaio avevano proposto di trasferire il Mriya e altri aerei Antonov con equipaggi e pezzi di ricambio sempre a Lipsia; d’altra parte l’interesse dell’Allenza era più che comprensibile nell’ambito del programma denominato “SALIS (Strategic Airlift Interim Solution) NATO” che offre servizi di trasporto aereo pesante alle missioni dell’Alleanza Atlantica.

Pochi anni fa, nel maggio 2018, la parte russa (la società di trasporto aereo Volga-Dnepr) si era ritirata dal programma in risposta alle sanzioni americane lasciando così oneri e onori all’ucraina Antonov Airlines.

Dmitry Antonov ha aggiunto che la società russa Volga-Dnepr dotata di Antonov An-124 avrebbe subìto invece il sequestro di due velivoli operativi come conseguenza del blocco dei voli russi: nel dettaglio un An-124 il 27 febbraio in Canada (reg. RA-82078), giunto dalla Cina per consegnare test molecolari per il Covid-19 al paese nordamericano e un altro An-124 (reg. RA-82046) giunto il 23 febbraio a Lipsia. Dmitry Antonov avrebbe fatto dunque un appello nel proporre alle autorità internazionali competenti il prelievo coatto di 4 An-124 russi (gli altri due si trovano presso la consociata di Volga-Dnepr sempre a Lipsia ma privi di motori) come parziale compenso per la distruzione dell’An-225.

Secondo Antonov l’ulteriore giustificazione per il trasferimento coatto di questi aerei all’impresa statale ucraina Antonov può essere inoltre motivata considerando il fatto che dal 2014, quando i rapporti tra i due paesi s’interruppero, gli An-124 hanno effettuato un prolungamento tecnico operativo della piattaforma senza l’azione del costruttore ucraino.

Un’infrazione internazionale che secondo Dmitry Antonov potrà essere affrontata senza ombra di dubbio attraverso il trasferimento “legale” dei velivoli a Kiev.

Lo aveva affermato a suo tempo Sergey Bychkov, attuale CEO di Antonov State Enterprise in una lunga intervista riportata da Analisi Difesa«Poiché è il progettista dell’aeromobile che dispone dei risultati necessari circa i calcoli di resistenza e affaticamento della cellula nonché dei risultati dei test e dei dati operativi per l’intera flotta di aeromobili, è sulla base di queste informazioni che vengono continuamente aggiornate le necessarie modifiche di progettazione, le ispezioni aggiuntive, le sostituzioni di parti e insiemi. Non dimentichiamo il coinvolgimento dello sviluppatore nel mantenimento dell’aeronavigabilità, le risorse e la vita utile degli aeromobili prescritte dai documenti ICAO e dai regolamenti aeronautici. In tutto il mondo ora volano circa 2000 velivoli Antonov. Conosciamo lo stato di ciascuno di loro, compresi quelli russi. Ma ora, per ovvie ragioni, non procediamo all’estensione della loro vita operativa: lo fanno da soli e non un solo aereo è inattivo al momento, ma c’è un certo rischio [intrinseco] in tutto questo che al loro posto non mi assumerei.»

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Diverse considerazioni sono essenziali tuttavia nel dirimere la questione:

1) Considerando che l’An-124 in epoca sovietica fu costruito anche ad Ulyanovsk (oggi territorio russo) e che di conseguenza l’azienda è in possesso di tutta la documentazione di progettazione ed estensione della vita operativa delle piattaforme russe sembra trattarsi piuttosto della cosiddetta questione di lana caprina. La stessa Volga-Dnepr che da anni opera con successo nel trasporto internazionale di carichi pesanti, non rischierebbe certo flotta, equipaggi e merci volando su un aereo non correttamente revisionato; un’operazione cargo andata a male costerebbe all’azienda risarcimenti stratosferici ai vari clienti nonché una perdita di prestigio notevole con la conseguente conclusione delle attività. Inoltre, se l’aereo fosse revisionato in maniera pessima questo significherebbe per Antonov spese notevoli nel rimettere in sesto ben quattro aerei di cui ben due privi di motori.

2) Com’è noto a entrambi gli attori della questione il problema sollevato da Dmitry Antonov riguarda anche la controparte ucraina e nessun tribunale internazionale ha risolto finora la questione: basti vedere le revisioni e gli ammodernamenti dei caccia MiG, Sukhoi e degli elicotteri Mil, velivoli tecnicamente e legalmente russi che operano tuttavia in Ucraina; senza tralasciare inoltre gli aggiornamenti anche per conto di altri paesi internazionali sempre effettuati da Kiev.

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3) Gli aerei Volga-Dnepr possiedono stranamente ad oggi salvacondotti speciali per il sorvolo dei paesi dell’Europa orientale considerando la speciale consegna di combustibile nucleare in Slovacchia necessario al funzionamento delle centrali di Mochovce e Bohunice. Il sequestro dei velivoli potrebbe portare ad annullare qualsiasi tipo di volo da parte della russa Volga-Dnepr, anche a quelli “amichevolmente concessi” dall’occidente per controbilanciare quell’evidente stato del “due pesi e due misure”.

4) Ad oggi nessuno detiene la verità ufficiale sulla nazionalità dell’ordigno (missile, bomba, razzo, etc.) che ha colpito l’An-225, tanto che la stessa azienda ucraina Antonov in un comunicato ufficiale ha dichiarato che le affermazioni di Dmitry Antonov sono «un mero giudizio valutativo». «Attualmente – prosegue il comunicato – è impossibile stabilire il fattore chiave nella distruzione dell’An-225 a causa dell’occupazione militare dell’aeroporto da parte delle truppe russe. Va notato che l’uso e la diffusione di informazioni non verificate durante le ostilità è inaccettabile e dannoso per la sicurezza del paese stesso.»

5) Nessuno infine sembra aver preso in considerazione la possibilità di completare della seconda cellula dell’Antonov An-225 sita presso le unità di produzione dell’azienda ucraina; lo stesso Sergey Bychkov, attuale CEO di Antonov State Enterprise in una lunga intervista riportata da Analisi Difesa ha dichiarato che sarebbero serviti circa 600-700 milioni di dollari per completarlo.

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Una cifra nettamente più bassa rispetto a quella prevista da UkrOboronProm per la ricostruzione dell’esemplare danneggiato nel conflitto. Certamente resta l’amaro in bocca per quella che può essere definita una tragedia tecnologica, per la triste fine di un mito figlio di un’epoca che aveva realizzato un “sogno” tecnologico ritenuto allora impossibile e irrealizzabile.

Ed anche quando saranno determinate le responsabilità reali del soggetto o dei soggetti coinvolti, il rapporto tra i due paesi rimarrà insanabilmente distrutto, proprio come l’An-225.

 

 

Maurizio SparacinoVedi tutti gli articoli

Nato a Catania nel 1978 e laureato all'Università di Parma in Scienze della Comunicazione, ha collaborato dal 1998 con Rivista Aeronautica e occasionalmente con JP4 e Aerei nella Storia. Dal 2003 collabora con Analisi Difesa occupandosi di aeronautica e industria aerospaziale. Nel 2013 è ospite dell'Istituto Italiano di Cultura a Mosca per discutere la propria tesi di laurea dedicata a Roberto Bartini e per argomentare il libro di Giuseppe Ciampaglia che dalla stessa tesi trae numerosi spunti. Dall'aprile 2016 cura il canale Telegram "Aviazione russa - Analisi Difesa" integrando le notizie del sito con informazioni esclusive e contenuti extra provenienti dalla Russia e da altri paesi.

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