I rischi della belligeranza
L’Italia ha aderito alle sanzioni economiche “dure” alla Russia imposte dalla Ue anche dietro le forti pressioni di Washington e ha accettato di fornire armi “letali” alle forze ucraine divenendo così indirettamente “belligerante” contro la Russia.
L’iniziativa europea ha visto lo stanziamento di 450 milioni di euro da parte di Bruxelles più altri 500 annunciati oggi dall’Alto rappresentante dell’Ue per la Politica estera, Josep Borrell, che presenterà la proposta ai leader dei Ventisette riuniti a Versailles.
Il tema è di tutta rilevanza non solo perché ha comportato l’inserimento dell’Italia nella lista delle “nazioni ostili” stilata dal ministero degli Esteri russo ma perché ha pochi precedenti nella storia nazionale. Recentemente Roma ha negato la vendita di armi ai suoi alleati libici (il governo di Tripoli, GNA, poi armato dai turchi), a sauditi ed emiratini perché impegnati nel conflitto nello Yemen.
Come abbiamo ricordato in un precedente editoriale, nel 2014, quando fornimmo armi anticarro ai curdi impegnati a combattere lo Stato Islamico l’ex ministro della Difesa, Artuto Parisi (PD), fece presente che con tali forniture l’Italia diventava belligerante.
Sul fronte delle sanzioni Roma, come Berlino e Parigi, sembra esitare nel seguire il “diktat” statunitense che vorrebbe bloccare gli acquisti di gas e petrolio russo (necessario all’Europa ma superfluo per l’economia americana) ma in termini militari l’aver regalato agli ucraini armi antiaeree, antiuomo e anticarro (missili, razzi e mitragliatrici) con l’obiettivo di impiegarle per colpire le forze russe pone l’Italia e l’Europa in una posizione delicata esponendole a rischi di varia natura.
Innanzitutto la ”belligeranza” europea (rafforzata dal tentativo polacco respinto da Washington di fornire all’Ucraina aerei da combattimento Mig 29 trasferendoli prima in una base statunitense in Germania) priva la Ue della possibilità di porsi come mediatore nei negoziati in corso per concludere, o almeno interrompere, il conflitto.
Un limite gravissimo soprattutto per l’Italia che tradizionalmente, con governi di ogni colore, ha sempre mantenuto un forte dialogo con la Russia pur aderendo alle sanzioni a Mosca particolarmente dolorose per la nostra economia.
La confusione che regna nella politica nazionale sulla guerra ucraina e la sua portata è del resto ben evidenziata dalle richieste di molti esponenti di diverse forze parlamentari di vedere l’Europa protagonista nella ricerca di trattative di pace, rese però di fatto impossibili dalla belligeranza e dal sostegno bellico fornito a Kiev.
I dettagli delle forniture di armi italiane sono coperti da un ambiguo segreto che ha impedito persino al Parlamento di esserne informato. Indiscrezioni riferiscono di mitragliatrici MG 42, missili antiaerei Stinger e di armi anticarro, non è chiaro se missili israeliani Spike, lanciarazzi Panzerfaust 3 o gli spagnoli Instalaza C90 acquisiti a suo tempo dalle nostre forze speciali.
Forniture che in ogni caso non faranno la differenza sul campo di battaglia, non cambieranno le sorti della guerra a favore di Kiev, potrebbero al massimo rendere più sanguinoso il bilancio delle perdite russe. La differenza queste forniture italiane la stanno però facendo in ambito politico e diplomatico, privando Roma di carte che avrebbe potuto giocare per porsi come interlocutore negoziale credibile. Ruolo che invece ricoprono bielorussi, turchi e israeliani ma che non può certo rivestire chi diventa, anche indirettamente, belligerante.
Secondo il Pentagono le truppe di Kiev avevano già ricevuto la scorsa settimana 17 mila armi anticarro e 2.000 missili antiaerei portatili dagli alleati NATO e UE ma è lecito chiedersi che fine faranno e in che mani finiranno tali armi.
Il grosso dell’esercito regolare ucraino è imbottigliato a est del fiume Dnepr con molti reparti circondati dai russi e impossibilitati a ricevere rifornimenti o a essere soccorsi da improbabili contrattacchi ucraini su vasta scala.
Kiev per questa ragione sta armando volontari civili che da un lato sarà difficile poter addestrare in breve tempo a utilizzare armi complesse come i missili mentre molti dubbi emergono circa l’affidabilità di questi combattenti specie in una nazione il cui collasso potrebbe essere questione di giorni.
Armare civili non addestrati è potenzialmente un pericolo anche per la popolazione: miliziani che, solo per fare un esempio, sparassero contro le truppe russe dalle finestre di un palazzo renderebbero l’intero edificio un bersaglio legittimo del fuoco russo mettendo a repentaglio la vita di tante famiglie.
Le armi distribuite alle milizie potrebbero inoltre venire impiegate per compiere azioni criminali o finire sul mercato clandestino che alimenta malavita organizzata e gruppi terroristici, specie in una nazione che registra un elevatissimo tasso di corruzione negli apparati pubblici.
Meglio non dimenticare che la mafia ucraina è ramificata anche in Medio Oriente e Caucaso e che almeno due battaglioni di jihadisti ceceni combattono al fianco degli ucraini in contrapposizione alle truppe di Mosca e ai governativi ceceni filo-russi presenti anch’essi in questo conflitto.
L’ipotesi che un buon quantitativo di missili e lanciarazzi anticarro o antiaerei possano finire nelle mani di milizie jihadiste è un incubo per la sicurezza della stessa Europa che quelle armi sta fornendo a Kiev senza alcun apparente controllo circa la loro destinazione.
Di fronte a questa minaccia l’opzione che tali arsenali cadano in mano ai russi o vengano distrutti in battaglia appare quasi auspicabile rispetto al rischio di armare pesantemente malavitosi e terroristi che potrebbero impiegare missili anticarro nelle nostre città e antiaerei per abbattere aerei di linea.
Inutile sottolineare che l’assenza di un dibattuto in Italia e in Europa su temi così delicati e urgenti induce a porsi molte legittime domande circa lo spessore della classe dirigente che guida il Vecchio Continente.
C’è infine il rischio che la nostra “belligeranza” determini rappresaglie da parte di Mosca che ha promesso “dure risposte” ai paesi europei che armano gli ucraini.
Lo stop all’export di prodotti articoli sta già creando danni enormi all’economia italiana ed europea ma Mosca potrebbe anche decidere di fermare immediatamente l’export di gas diretto in Europa che invece dall’inizio della guerra è raddoppiato e transita attraverso i gasdotti ucraini, apparentemente senza subire ostacoli.
Se Mosca bloccasse immediatamente le forniture l’Europa sarebbe in gravi difficoltà benché nelle cancellerie europee si affannino tutti ad affermare che presto verranno attivate forniture alternative a quelle russe anche se a prezzi proibitivi che penalizzeranno ulteriormente la nostra economia.
Sarebbe certo azzardato ipotizzare attacchi militari russi, peraltro forieri di un allargamento incontrollabile del conflitto e facilmente attribuibili alle forze di Mosca ma più subdolo e forse anche più devastante potrebbe risultare un attacco cyber su vasta scala che puntasse a paralizzare alcune infrastrutture strategiche nazionali come la rete di trasporti ferroviari o la distribuzione di energia elettrica.
Gli attacchi cyber del resto sono difficilmente attribuibili con certezza a un’entità statale.
In molti casi nazioni da cui sono provenuti attacchi di questo tipo ne hanno attribuito la responsabilità a gruppi di hacker organizzati ma che ufficialmente non rispondono alle autorità di nessuno stato.
Il gruppo di ricerca sulla sicurezza informatica CyberKnow ha stilato un elenco dei gruppi di hacker schieratisi con russi e ucraini in seguito al conflitto in atto contandone oltre 50, dei quali 14 schierati con la Russia e gli altri con Kiev ma su entrambi i fronti molti gruppi di hacker sono fisicamente ubicati in altre nazioni.
L’Italia inoltre è palesemente esposta a questo tipo di attacchi sia perché le sue infrastrutture critiche risultano difficili da proteggere sia perché sul piano giuridico non è mai stata approvata una norma che autorizzi Roma a condurre azioni cyber offensive, neppure come rappresaglia per attacchi subiti.
Di fronte a offensive cibernetiche abbiamo quindi poche difese e nessuna deterrenza, elemento che potrebbe favorire la scelta dell’Italia come vittima ideale di un attacco su vasta scala a monito per tutta Europa.
Mettendo sulla bilancia tutte queste considerazioni vale la pena chiedersi se questi rischi e minacce sono stati valutati in modo approfondito prima di assumere decisioni così drastiche, nonché porsi almeno la domanda se abbiamo fatto la scelta giusta nell’aderire alla “chiamata alle armi” della Commissione Ue guidata da Ursula von der Leyen che, come gli Stati Uniti, arma gli ucraini lasciandoli però da soli a combattere i russi.
Foto: Ministero della Difesa Russo, Ministero della Difesa Ucraino, US DoD, Esercito Italiano e Twitter
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.