Quale diritto nei conflitti armati?
Ai conflitti armati quale diritto deve essere applicato? L’attualità della guerra in corso riapre l’interrogativo, sempre attuale, a cui ci si sforza di dare delle risposte anche in ragione delle convenzioni e delle prassi, con cui gli Stati e le organizzazioni internazionali provano a regolamentare la complessità (e le necessità) dell’impiego della forza.
Il divieto della minaccia dell’uso della forza. L’articolo 2, par. 4 della Carta delle Nazioni Unite recita: “I membri [dell’Onu] devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia oi dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualunque Stato, o in ogni altro modo incompatibile con gli scopi delle Nazioni Unite”.
La norma richiede agli Stati membri di astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza. Affermando un principio radicalmente innovatore rispetto al diritto internazionale previgente, questa disposizione vieta in modo esplicito non soltanto il ricorso alla guerra, ma qualsiasi azione implicante il ricorso unilaterale alla forza ed estende il divieto anche alla semplice minaccia di azioni armate.
L’interpretazione dominante adottata dalla dottrina su questa norma ha generato una norma consuetudinaria, che vieta unicamente la minaccia e il ricorso alla forza armata mentre rimane lecito il ricorso alla forza economica. In ogni caso, il divieto opera quando la minaccia e l’uso della forza sono strettamente diretti contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di uno Stato.
La parte finale dell’art. 2, par. 4 costituisce l’epicentro dell’intera disposizione, essa consente di includere nell’ambito del divieto ogni forma di ricorso alla forza non prevista dalla Carta dell’ONU. Secondo tale disposizione, è consentito impiegare le armi nelle relazioni internazionali solo per l’adozione di misure coercitive nel quadro di organizzazioni regionali autorizzate dal Consiglio di Sicurezza o sotto la sua direzione (art. 53) e per l’attuazione delle decisioni e misure adottate dal Consiglio di Sicurezza a tutela della pace (ai sensi del cap. VII della Carta).
È altresì sempre consentito l’uso della forza nel caso della legittima difesa (modalità espressamente consentita dall’art. 51 della Carta). L’articolo 51 della Carta dell’ONU, nel riconoscere il diritto di legittima difesa a seguito di un attacco armato, fa riferimento all’attacco da parte di forze armate regolari di uno Stato come l’attraversamento della frontiera da parte di truppe militari straniere, il bombardamento di un territorio dello Stato da parte di aeromobili militari e così via.
Si deve comunque trattare di azioni che, per dimensione ed effetti, siano tali da dare luogo ad una violazione grave del divieto della minaccia dell’uso della forza. Si può usare la forza per porre fine a massacri e atrocità?
L’analisi giuridica, con tutti i limiti del caso, conseguente alla guerra in corso in questi giorni tra Russia e Ucraina, porta al quesito se si può usare la forza unilaterale da parte di nazioni terze o alleanze regionali, come la Nato o la UE, per assicurare l’osservanza dei diritti umani e porre fine a massacri e atrocità.
Al riguardo, la Carta dell’ONU non autorizza gli Stati a ricorrere unilateralmente alla forza contro altri Stati con il fine di porre termine ad atrocità in atto. A sostegno di questa considerazione si può citare la posizione assunta dalla Corte Internazionale di Giustizia nel caso Nicaragua, quando la stessa Corte osservò che la protezione dei diritti umani, cioè il conseguimento di un obiettivo prioritariamente umanitario, non è compatibile con l’uso della forza.
A tal proposito osservò proprio che i bombardamenti aerei e terresti, il posizionamento di mine marittime e la fornitura di armi ed equipaggiamenti ai contras, nonché il loro addestramento, non fossero compatibili con gli obiettivi dell’ONU in tema di protezione dei diritti umani.
Per gli stessi argomenti, appare oggi incompatibile l’adozione di una No Fly Zone chiesta dall’Ucraina alla NATO ed all’UE per interdire le operazioni aeree russe.
Sempre al riguardo delle No Fly Zones, è opportuno ricordare la posizione assunta da numerosi Stati quando la NATO, con decisione unilaterale e contrariamente alla posizione del Consiglio di Sicurezza ONU, decise di instituirle su Kosovo, per interdire l’azione militare della Serbia su quella regione, allo scopo di ristabilire il rispetto dei diritti umani.
Proprio in quella occasione, si registrò la posizione di Russia, Cina, Cuba, Bielorussia, Ucraina, Namibia e India in condanna dell’azione della NATO, sostenendo che essa era in palese contrasto con la Carta dell’ONU giacché non era stata autorizzata appunto dal Consiglio di Sicurezza.
Dal necessario e sintetico inquadramento qui proposto sul diritto internazionale dei conflitti armati, deriva che il principio fondamentale, ossia lo scopo principale, a cui devono tendere tutti i membri della comunità internazionale è la pace ed il suo mantenimento.
In sintesi, la pace rappresenta un interesse prioritario di tipo pubblico e collettivo e l’utilizzo della forza bellica per far cessare un conflitto armato in atto, può essere autorizzato solo dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
Posto che il diritto illimitato di ricorrere alla forza militare è stato soppresso dalla Carta delle Nazioni Unite e la pace è l’impegno prioritario degli Stati che hanno sottoscritto la Carta, qualsiasi forma di utilizzazione unilaterale della forza armata è vietata, tranne alcuni casi ben individuati come la legittima difesa e la difesa dei propri connazionali gravemente minacciati.
In tal caso, cioè qualora ricorrano le circostanze in cui è consentito l’uso della forza armata, devono essere applicate le norme di diritto umanitario dei conflitti armati che disciplinano le modalità di esercizio della forza (il cosiddetto ius in bello).
Ciò significa che qualunque Stato che si trovi, legittimamente o meno, impegnato in un conflitto armato è comunque obbligato a rispettare le norme di diritto bellico, oggi più noto come diritto internazionale umanitario; ciò evidentemente per impedire che la guerra, e soprattutto le violazioni del divieto dell’uso della forza, degenerino in atti di barbarie.
In conclusione, oggi il diritto internazionale dei conflitti armati o diritto internazionale umanitario è sempre meno orientato verso la tutela di esigenze di carattere militare, preoccupandosi maggiormente della tutela dei diritti umani. La giurisprudenza consolidatasi nei tribunali internazionali per i crimini di guerra rende più difficile per i belligeranti, se non impossibile, affermare di non essere vincolati da precetti giuridici in materia; tanto più che le norme contenute nelle Convenzioni dell’Aia e quelle delle Convenzioni di Ginevra, hanno in gran parte dato origine a norme consuetudinarie di contenuto corrispondente.
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Carlo StracquadaneoVedi tutti gli articoli
Colonnello in congedo dell'Aeronautica, ha conseguito il Master in Studi internazionali strategico militari e la qualifica di Consigliere giuridico per i conflitti armati. Titolare per 12 anni della cattedra di Diritto internazionale dei conflitti armati presso la Scuola di Guerra Aerea, dal 2008 insegna "Tutela internazionale dei diritti umani" presso l'Università di Firenze. Ha scritto diversi libri e oltre cento articoli in tema di diritto internazionale, diritto della navigazione, diritto processuale penale e diritto penale militare. Dal 2008 al 2011 ha svolto l'incarico di consigliere giuridico di diritto internazionale umanitario del Ministro della Difesa.