In Ucraina si combattono tre guerre parallele

 

 

La guerra in Ucraina vede oggi combatter ben tre conflitti, che coinvolgono diversi protagonisti che ricorrono a strumenti differenti e soprattutto con obiettivi tra loro ben distinti.

Conflitti che sembra non tutti riescano o vogliano vedere, avvolti come siamo nella nebbia della propaganda e della disinformazione, e soprattutto nella superficialità di stringere lo zoom della nostra visuale su ciò che più può attrarre l’interesse di un pubblico incline più alla tifoseria da stadio che all’approfondimento.

Vi è indubbiamente un conflitto sanguinoso e violento tra le armate russe e ucraine, un conflitto combattuto sia con armi letali sia con maestria nella gestione della comunicazione. In questo conflitto si sta esprimendo una crudeltà che, giustamente, ci stupisce e ci indigna.  Una crudeltà, una barbarie, una violenza di cui pensavamo che l’essere umano non fosse più capace. O quanto meno che non ci aspettavamo di riscontrare oggi in Europa.

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Difficile ritenere che la guerra possa terminare presto perché i russi non accetteranno di perdere e gli ucraini sono convinti (a torto o a ragione è da vedere) che se resistono prima o poi gli USA e la NATO entreranno in guerra al loro fianco, capovolgendo l’esito dello scontro militare. Ma questo, per utilizzare una terminologia militare, rappresenta solo il livello “tattico-operativo” di quanto sta avvenendo in relazione alla crisi ucraina.

Vi è poi un livello che definirei “strategico”. Ovvero la guerra in atto tra USA e Russia. Si tratta di una guerra combattuta sia sul terreno (in questo caso per gli USA si tratta di una guerra per procura che Washington combatte utilizzando i soldati ed i civili ucraini) sia con la gestione della comunicazione sia con armi economiche (le sanzioni).

In questa guerra gli USA si avvalgono anche della NATO e della UE, che si sono immediatamente e convintamente schierate al fianco di Kiev e di Washington.

È chiaro, peraltro, che gli obiettivi ai due lati dell’Atlantico siano fondamentalmente diversi. Per alcuni stati Europei (Italia, Francia, Germania, Spagna) l’obiettivo sembrerebbe essere di giungere a una rapida de-escalation del conflitto facendo in modo da evitarne l’allargamento ai paesi NATO.

Ovvero, auspicano il conseguimento in tempi brevi di una pace stabile. Inutile evidenziare che affinché la pace possa essere “stabile” nessuna delle due parti sul terreno (Ucraina e Russia) dovrebbe risultare “visibilmente” sconfitta.

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Per Washington, invece, l’obiettivo è radicalmente diverso: si tratta di sfruttare il conflitto ucraino per decapitare le eccessive ambizioni di tornare ad essere una “grande potenza” manifestate dalla Russia putiniana, favorire un “regime change” a Mosca, rinsaldare e rinvigorire la NATO (che stava dando evidenti segni di stanchezza) anche al fine di utilizzarla in futuro in funzione anticinese.

A tali obiettivi, in una visione che potrebbe apparire cinica, possono aggiungersi quelli di azzoppare la locomotiva economica europea (di cui Washington non gradisce la competizione) e far accantonare qualsiasi ambizione di autonomia strategica UE che possa minare l’unicità della NATO.

Evidente che gli obiettivi USA non possano essere conseguiti senza prima una “tangibile” sconfitta russa. Ciò può richiedere l’escalation dei combattimenti e soprattutto tempo, cioè mesi o forse anni.

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Facilitare una soluzione negoziale non appare certamente coerente con gli obiettivi di Washington che vuole la caduta di Putin e quindi una sua sconfitta sonante. Lo stesso ampio ricorso a sanzioni economiche (che finora in Venezuela, Iran e Corea del Nord non hanno mai portato alla caduta del regime) indica una prospettiva di molti anni di interruzione delle relazioni economiche con la Russia. Una lunga interruzione che gli USA si possono permettere, ma che per molti paesi europei potrebbe comportare non trascurabili sofferenze al sistema produttivo)

Peraltro, vi è anche un terzo conflitto che si combatte intorno alla crisi ucraina. Un conflitto ben più importante per il nostro futuro: quello che viene combattuto a livello geo-politico tra USA e Cina.

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È chiaro che Washington voglia inviare un messaggio a Pechino in relazione a Taiwan, far sapere ai cinesi che come gli USA sono riusciti ad aggregare una vasta coalizione per contrastare le mire russe sull’Ucraina, così saranno in grado di fare per difendere l’indipendenza di Taiwan e che anche in quel caso le armi sarebbero soprattutto di natura economico-finanziaria, armi che il Dragone forse teme di più.

Indipendentemente dal destino di Taiwan, di cui all’elettore americano medio importa relativamente, prendendo spunto dall’attacco russo all’Ucraina gli Stati Uniti stanno tentando di obbligare il mondo a scegliere con chi schierarsi: con il “mondo democratico” o con l’aggressore Putin e indirettamente con Pechino che notoriamente ha legami abbastanza solidi con Mosca.

Alla riunione dei ministri degli esteri della NATO del 6 e 7 aprile erano invitati oltre a ministri dei paesi NATO, di Ucraina, Georgia, Svezia e Finlandia anche i ministri dei principali alleati degli USA nell’Indo –Pacifico (Australia, Nuova Zelanda, Giappone e Sud Corea).

Nel comunicato stampa del Segretario Generale al termine della riunione, al pericolo cinese veniva attribuito quasi tanto spazio quanto a quello russo. Ulteriore indice della volontà più volte espressa da Washington di utilizzare la NATO quale suo strumento anche nel confronto con la Cina.

Una divisione del mondo in due blocchi che si contrapporrebbero forse più con armi economiche e sanzioni incrociate che con le armi.  Si vedrà quali saranno a lungo termine gli effetti di una tale divisione, soprattutto per quei paesi, come molti europei, le cui economie sono maggiormente dipendenti dall’interscambio commerciale con paesi “non graditi” a Washington.

Foto:  Fausto Biloslavo e Ministero della Difesa Ucraino

 

 

Antonio Li GobbiVedi tutti gli articoli

Nato nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69 alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.

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