Che fine faranno le armi fornite all’Ucraina? Negli USA cominciano a chiederselo

 

 

La stampa statunitense si sta accorgendo dei rischi connessi alle massicce forniture di armi all’Ucraina per combattere i russi e comincia a porre gravi e inquietanti interrogativi circa la capacità di Washington di mantenere un efficace controllo delle armi inviate a Kiev.

Il Washington Post, in particolare, ha posto il problema in un ampio e documentato articolo di John Hudson pubblicato il 14 maggio, chiedendo se gli aiuti militari andranno nelle mani giuste e quanto alto sia il rischio che vengano risucchiate in un’Ucraina che è uno dei principali hub europei del traffico di armi.

Ora oltre Atlantico c’è chi teme che parte delle attrezzature donate a Kiev possa finire nelle mani degli avversari dell’Occidente o che possa riemergere in altri conflitti nei prossimi decenni. Questo perché – dice al Washington Post William Hartung, un esperto del think tank Quincy Institute – mentre in Afghanistan “gli Stati Uniti avevano una presenza importante nel Paese che consentiva di avere almeno la possibilità di tracciare i percorsi delle armi, in Ucraina il governo statunitense è cieco in termini di monitoraggio delle armi fornite alle milizie civili e ai militari”.

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Nonostante questa differenza di presenza sul campo però, la fuga degli americani e dei loro alleati da Kabul e il successivo immediato tracollo delle forze armate governative afghane, hanno lasciato in mano ai talebani 7,12 miliardi di dollari di armi e mezzi statunitensi inclusi missili, aerei, elicotteri, veicoli, armi e munizioni, secondo un rapporto del Pentagono di cui Analisi Difesa si è occupata a fine aprile.

In Ucraina, secondo Rachel Stohl, vicepresidente dello Stimson Center – “è semplicemente impossibile tenere traccia non solo di dove vanno tutti questi equipaggiamenti e chi li userà, ma anche come vengono usati”.

Il quotidiano statunitense ha del resto ricordato che l’Ucraina è sempre stata, fin dalla sua indipendenza post-sovietica, il paradiso del traffico e dei trafficanti di armi grazie anche alla corruzione endemica e dilagante.

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Small Arms Survey ha valutato che una parte dei 7,1 milioni di armi portatili a disposizione dell’esercito ucraino nel 1992 fu “dirottata verso aree di conflitto” sottolineando “il rischio di fuoriuscite nel mercato nero locale”.

Situazione aggravatasi dopo lo sc oppio della guerra nel Donbass quando i combattenti di entrambe le fazioni svuotarono i depositi di armi e munizioni delle istituzioni statali e regionali, senza che si sappia dove questi equipaggiamenti siano poi finiti, aggiunge il Washington Post ricordando che funzionari dell’amministrazione Biden si sono incontrati con specialisti nel controllo degli armamenti per decidere una strategia.

“Non è chiaro – dice Annie Shiel, consulente del Center for Civilians in Conflict – quali misure di mitigazione del rischio o di monitoraggio abbiano adottato gli Stati Uniti e gli altri Paesi, o quali garanzie abbiano ottenuto, per garantire la protezione dei civili”.

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Fa sicuramente piacere vedere che istituzioni e media statunitensi si pongono oggi gli stessi interrogativi che Analisi Difesa aveva evidenziato oltre due mesi or sono, con l’editoriale “I rischi della belligeranza” pubblicato l’11 marzo.

All’epoca molti grandi media e tv non fecero molto caso alle valutazioni espresse in proposito sul nostro web-magazine che riportiamo qui sotto.

Le armi distribuite alle milizie potrebbero inoltre venire impiegate per compiere azioni criminali o finire sul mercato clandestino che alimenta malavita organizzata e gruppi terroristici, specie in una nazione che registra un elevatissimo tasso di corruzione negli apparati pubblici.

Meglio non dimenticare che la mafia ucraina è ramificata anche in Medio Oriente e Caucaso e che almeno due battaglioni di jihadisti ceceni combattono al fianco degli ucraini in contrapposizione alle truppe di Mosca e ai governativi ceceni filo-russi presenti anch’essi in questo conflitto.

L’ipotesi che un buon quantitativo di missili e lanciarazzi anticarro o antiaerei possano finire nelle mani di milizie jihadiste è un incubo per la sicurezza della stessa Europa che quelle armi sta fornendo a Kiev senza alcun apparente controllo circa la loro destinazione.

Di fronte a questa minaccia l’opzione che tali arsenali cadano in mano ai russi o vengano distrutti in battaglia appare quasi auspicabile rispetto al rischio di armare pesantemente malavitosi e terroristi che potrebbero impiegare missili anticarro nelle nostre città e antiaerei per abbattere aerei di linea.

Aggiungiamo oggi che il tema andava posto e affrontato a inizio marzo, quando tutti in Occidente decisero di armare in modo massiccio gli ucraini.

Considerando la gigantesca mole di armi e munizioni già fornita da tutte le nazioni della NATO al governo di Kiev che arma Esercito, Guardia Nazionale e persino civili oltre a tenere conto che la situazione bellica potrebbe determinare il collasso dello stato ucraino, porsi oggi il problema come fa il Washington Post e altri media statunitensi equivale a prendere in considerazione l’ipotesi chiudere il recinto quando i buoi sono già scappati da tempo.

@GianandreaGaian

Foto: Armi occidentali forniti alle forze ucraine cadute nelle mani delle milizie filo-russe di Donetsk e Luhansk

 

 

Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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