I corridoi umanitari e la Negoziazione Operativa russa in Ucraina
È notizia recente che un piccolo gruppo di persone, una ventina tra donne e bambini, è stato evacuato con un corridoio umanitario dall’acciaieria Azovstal di Mariupol, città simbolo della guerra in Ucraina. Una evacuazione che è stata possibile grazie anche alla mediazione di personale delle Nazioni Unite che avrebbe garantito un trasporto sicuro dei civili a Zaporizhzhia, capoluogo dell’omonima regione sulle sponde del fiume Dnieper, attualmente sotto il controllo dell’esercito ucraino.
Un’operazione questa, che è concomitante con l’appello rivolto al Presidente turco Recep Tayyip Erdogan, tramite il canale televisivo turco Habertürk Tv, dal Comandante della 36ª Brigata di marina Sergiy Volynsky. Il quale, ha richiesto l’intermediazione della Turchia per l’evacuazione di 600 militari feriti e di un centinaio di civili, tra i quali 60 bambini, da Azovstal direttamente sul territorio turco.
Nelle stesse ore, inoltre, il Governo di Kiev ha accusato i Russi di aver sparato contro 2 autobus che stavano evacuando civili dalla cittadina di Popasna, nella parte orientale di Lugansk, e di aver colpito un mezzo della polizia ucraina che consegnava forniture mediche a un ospedale di Severodonetsk, nello stesso Oblast. Infine, l’impellente esigenza di realizzare dei corridoi umanitari nelle città ucraine coinvolte nel conflitto, è stata anche ribadita a fine Aprile dal Segretario Generale dell’Onu Antonio Guterres, durante il suo colloquio con il Presidente russo Vladimir Putin a Mosca.
Un’esigenza che segue il fallimento della mediazione tra rappresentanti russi e ucraini in Turchia. Mediazione che aveva, tra i punti principali, proprio la realizzazione dei corridoi umanitari nelle città sotto assedio.
Definizione di Corridoio Umanitario
Che cos’è un corridoio umanitario e come si inserisce con la negoziazione operativa fatta dai russi in supporto ai combattimenti nei centri abitati in Ucraina? A queste domande cercheremo di rispondere sulla base delle poche e contradditorie informazioni provenienti dal campo di battaglia, con un’analisi che evidenzi l’evoluzione della negoziazione operativa svolta dal personale militare russo.
Prima di tutto, però, bisogna chiarire che cos’è un Corridoio Umanitario. Esso è una zona demilitarizzata. Per demilitarized zone (DMZ) si intende, sulla base di quanto sancito dell’art. 60 del Primo Protocollo Aggiuntivo del 1977 alla Convenzione di Ginevra, una zona del fronte ove, non solamente sono stati sospesi i combattimenti, ma dove non vi è neppure presente personale militare di entrambe le parti in conflitto.
Pertanto una DMZ, per essere tale, deve rispondere a 3 prerequisiti:
- Volontà di tutte le parti belligeranti;
- Sospensione dei combattimenti;
- Creazione fisica della DMZ.
Una zona demilitarizzata, per essere poi considerata un corridoio umanitario, deve rispondere a ulteriori caratteristiche, ovvero:
- Deve coincidere con un’area geografica ben definita concordata in anticipo (generalmente una o più strade). Un’area che unisca, esattamente come un corridoio, la zona dove avvengono i combattimenti con una zona sicura, preferibilmente in territorio neutrale;
- Viene allestita per un tempo ben determinato;
- Viene costituita prevalentemente per l’evacuazione in massa di civili e di personale militare ferito da un’area sotto assedio, generalmente un centro urbano;
- È consentito il suo utilizzo per la fornitura di cibo e medicine agli assediati;
- Infine, è fondamentale la presenza di personale delle Nazioni Unite o della Croce Rossa Internazionale, che faccia da mediatore e garante per la protezione dei civili e del personale militare ferito, nonché del rispetto della DMZ stessa.
Inoltre, i corridoi umanitari non sono esclusivamente costituiti per via terrestre, ma possono essere realizzati anche per via aerea, come il famoso corridoio aereo per Berlino Ovest del 1948-49, oppure, per via fluviale, marittima o ferroviaria.
Esempi storici recenti di corridoi umanitari terrestri sono quelli realizzati a Sarajevo, tra il 1992-1995, e il corridoio di Laçin, nel Nagorno Karabakh, attualmente controllato da peacekeepers russi.
Tuttavia, quanto fin qui descritto sulle caratteristiche generali dei corridoi umanitari, come vedremo poi più avanti, non si attaglia completamente a quelli concretizzati dai Russi nella guerra in Ucraina.
La Negoziazione Operativa Russa
Dopo aver definito che cos’è un corridoio umanitario, bisogna però ora chiarire che cosa si intenda per Negoziazione Operativa con i gruppi armati (1).
Essa consiste in tutte quelle trattative svolte in supporto alle operazioni militari, sia in tempo di pace che di guerra, con le autorità locali (formali e informali), con personale militare e paramilitare, con i rappresentanti di organizzazioni internazionali, così come con comuni cittadini. In particolare, la negoziazione consta in una necessità che, due o più parti, hanno di trovare un accordo accettato da tutti i contendenti. Accordo che deve essere vantaggioso per gli interessi di ciascuna delle parti coinvolte. Differisce, pertanto, dalla mediazione poiché quest’ultima necessita della presenza di un terzo attore percepito come neutrale e imparziale. Infine, si differenzia dalla negoziazione operativa condotta dalle forze di polizia, perché quest’ultima è strettamente legata alla liberazione di ostaggi sul territorio nazionale.
La negoziazione operativa, per la creazione di corridoi umanitari, è imprescindibile da una adeguata Cultural Intelligence (2). Come essa sia stata poi attuata dai negoziatori russi nel conflitto siriano ne avevamo già parlato su Analisi Difesa (3).
Infatti, è oramai evidente che la Siria sia stata un campo di prova per le Forze Armate russe per testare tattiche, tecniche, materiali e procedure che poi sono state impiegate in Ucraina. Tra queste, l’engagement e la negoziazione con i gruppi armati seguono sostanzialmente le stesse modalità sebbene con maggiori difficoltà rispetto al teatro mediorientale.
Di fatto, in Siria, a differenza di quanto sta accadendo in Ucraina, era stata costituita un’unità dedicata alla negoziazione con i gruppi armati anti-Assad, al monitoraggio del cessate il fuoco e al supporto umanitario alla popolazione siriana. Denominata “Centro Russo per la Riconciliazione in Siria”, era composta da circa 50 persone suddivise in 5 cellule che avevano il compito di svolgere attività CIMIC, HUMINT, PSYOPS, INFOPS, nonché analisi d’intelligence e dei media. Il tutto coordinato sotto un unico comando al fine di massimizzarne gli effetti sul terreno.
Oltre a ciò, la negoziazione era tendenzialmente condotta da ufficiali superiori russi e aveva tra gli obiettivi quello dell’evacuazione dei familiari dei combattenti jihadisti sotto assedio in determinate safe zones governative o sotto il controllo turco.
Questa attività di negoziazione russa era affiancata da quella svolta dal personale ceceno, ovvero, dagli stessi soldati del presidente Ramzan Kadyrov (nella foto sopra) che vediamo oggi in prima linea nei combattimenti a Mariupol. I quali, ufficialmente inquadrati in unità di polizia militare, svolgevano attività CIMIC e di negoziazione nelle zone sunnite liberate dagli jihadisti e nelle alture del Golan.
Lo stesso Kadyrov ebbe un ruolo importante nella mediazione tra il Cremlino e i rappresentanti dei Paesi del Golfo così come nella ricostruzione siriana come, ad esempio, con la moschea degli Omayyadi di Aleppo.
Successi questi che hanno contribuito a porre fine (o quasi) al conflitto siriano e a mantenere Assad al potere, ma che oggi non sembrano riuscire a conseguire quegli stessi obiettivi tattici e operativi nella guerra in Ucraina.
I negoziatori russi in Ucraina
Ai primi di marzo il colonnello generale Mikhail Mizintsev, alla testa del Comando Operativo Interforze delle FFAA russe, ha pubblicamente affermato che personale militare russo stava negoziando con la controparte ucraina l’apertura di corridoi umanitari nelle aree dove si stava svolgendo l’Operazione Speciale.
Questa è una delle prime dichiarazioni pubbliche di Mosca che attesta la presenza di esperti russi di negoziazione operativa in Ucraina. Non è un caso che tale presenza sia ancora una volta concomitante laddove l’esercito russo sia impegnato nei combattimenti in aree urbanizzate densamente abitate.
Qual è tuttavia il vantaggio tattico e operativo dei corridoi umanitari nelle operazioni di combattimento in ambienti urbanizzati?
I vantaggi sono molteplici e vanno inseriti in una modalità semplice e precisa di gestire le operazioni militari. Prima di tutto, si circondano i centri urbani al fine di creare delle vere e proprie “sacche”, le quali vengono bombardate con artiglieria terrestre, navale e per via aerea.
Ciò serve per fiaccare la resistenza dei combattenti assediati e per diffondere il panico tra la popolazione civile. A ciò si aggiunge la privazione di generi di prima necessità quali acqua, cibo, luce, riscaldamento, ecc. Lo scopo, come insegna da secoli l’arte della guerra, è quello di portare allo stremo gli assediati e obbligarli alla resa.
In questo contesto, ove alle distruzioni su larga scala si accompagna una grande pressione psicologica, la creazione di corridoi umanitari e la distribuzione di aiuti umanitari, facilitano agli assedianti la presa dei centri abitati.
Ne consegue, come già evidenziato, che i vantaggi tattici e operativi di allestire corridoi umanitari siano notevoli. Infatti, essi permettono di:
- Non dover colpire la popolazione civile per errore, fatto che verrebbe poi strumentalizzato dalla propaganda ucraina e internazionale;
- Identificare più facilmente i combattenti ucraini trincerati nei centri abitati;
- Aumentare il controllo del territorio da parte russa;
- Attirare il sostegno della popolazione ucraina e dell’opinione pubblica internazionale da parte russa, facilitando appunto l’evacuazione dei civili.
Inoltre, l’apertura di un corridoio umanitario non comporta necessariamente un cessate il fuoco o una sospensione dei combattimenti lungo tutto il fronte urbano, ma solamente in una zona geograficamente limitata e per un tempo determinato. Lo si è già visto a Mariupol, Kharkiv, Sumy e nei sobborghi di Kiev, per citare i luoghi più noti.
Una strategia, questa, centrale per il conseguimento della vittoria finale, tenendo anche in considerazione che, su una popolazione ucraina di meno di 44 milioni censiti prima del conflitto, “solamente” poco più di 5 milioni hanno lasciato l’Ucraina e quasi 8 sono Internally Displaced Persons (IDP).
Ciò a dimostrare che ci sono 31 milioni di Ucraini che sono rimasti dove vivevano prima della guerra e che 8 milioni, sebbene lontani dalle proprie case, contano, comunque, di ritornarci in tempi ragionevolmente brevi. Ovvio, pertanto, come questi numeri ben dimostrino come un’oculata gestione del conflitto da un punto di vista meramente militare e propagandistico possa fare ancora la differenza e come la questione dei corridoi umanitari sia centrale nel quadro operativo complessivo.
Tuttavia, a differenza del conflitto in Siria, l’apertura dei corridoi umanitari da parte russa non ha raggiunto ancora dei risultati significativi sull’andamento dell’Operazione Speciale.
Inoltre, a differenza di quanto realizzato in Medio Oriente, in Ucraina non è stato costituito un Comando militare dedicato come il “Centro Russo per la Riconciliazione in Siria”. Non esiste nemmeno un apposito bollettino ufficiale del Ministero della Difesa russa sull’evacuazione dei civili e la gestione dei corridoi umanitari o sul quantitativo di aiuti umanitari distribuiti alla popolazione.
Sembra quasi che l’esercito russo non abbia fatto tesoro di questo importante asset per supportare la manovra militare. Al contrario, gli aiuti alla popolazione ucraina sembrano improvvisati: dai video disponibili, si vedono solamente alcuni camion militari che forniscono sacchetti viveri a civili radunati nelle piazze. Inoltre, i corridoi umanitari stentano a essere costituiti e non solamente per la resistenza di Kiev alla loro gestione da parte russa, ma per una vera e propria carenza organizzativa.
Non è neppure chiaro dove organicamente siano inquadrati questi negoziatori e se le divisioni russe stiano operando in maniera autonoma nella gestione della popolazione civile. Infine, come in Siria, i rapporti tra l’esercito russo e i rappresentanti della Croce Rossa Internazionale, dell’ONU e dell’OSCE non sono positivi.
Ciò è sicuramente dovuto al fatto che, quest’ultimi, non vengono percepiti da parte russa come attori neutrali o, quantomeno, credibili. Allo stesso tempo la comunità internazionale stigmatizza la presenza dei check point russi lungo i corridoi umanitari come una violazione dell’Art. 60.
A ciò si aggiungano le accuse ucraine di bombardamento dei civili che scappano attraverso i corridoi umanitari, così come già fatto dai russi nel 2014 durante il famigerato massacro di Ilovaisk, nel Donbass, ove morirono circa 400 soldati ucraini. Accuse queste, che vedono la sistematica controdenuncia di Mosca dell’utilizzo da parte ucraina dei civili quali scudi umani in mano alle milizie paramilitari e non di Kiev. Una situazione generale di stallo, pertanto, così come del ruolo dei corridoi umanitari.
Conclusioni
Fare la guerra è un mestiere difficile. Capire, anche a distanza di anni, gli errori tattici e operativi commessi dai belligeranti lo è ancora di più. Tuttavia, anche le Forze Armate italiane possono trarre degli insegnamenti dal conflitto in Ucraina, dai tracolli e dalle difficoltà incontrate dall’esercito russo nei combattimenti e nel controllo del territorio in presenza della popolazione civile.
Tra questi insegnamenti vi deve essere, comunque, quello di iniziare a pensare di formare personale militare inquadrato nelle unità a livello Brigata che sappia svolgere la funzione di negoziatore in supporto alle operazioni militari. Un ruolo che, di fatto, rappresenta un passo in avanti rispetto alle competenze e alle conoscenze del personale CIMIC e HUMINT attualmente in servizio. Un passo sicuramente più concreto rispetto all’astratto Key Leader Engagement.
Note
- Per un approfondimento su cosa sia la Negoziazione Operativa e su come si strutturi da un punto di vista tattico, si rimanda il lettore al saggio di Federico Prizzi Il Cultural Intelligence e la Negoziazione Operativa nelle Aree di Crisi di prevista pubblicazione su https://www.sicurezzaterrorismosocieta.it/ per la fine di Maggio p.v.
- Per un approfondimento sul concetto di Cultural Intelligence si rimanda il lettore al libro di Federico Prizzi Cultural Intelligence ed Etnografia di Guerra – Il ruolo dell’Antropologia nello studio dell’Information Warfare di al-Shabaab, già recensito da AD https://www.analisidifesa.it/2021/12/cultural-intelligence-ed-etnografia-di-guerra/ .
- https://www.analisidifesa.it/2021/12/la-cooperazione-civile-militare-russa-in-siria/ .
Immagini: Giovanni Porzio,Ministero Difesa Ucraino e Ministero Difesa Russo, ANNA News Agency
Federico PrizziVedi tutti gli articoli
Antropologo, Polemologo e Storico Militare specializzato nell'applicazione degli studi antropologici alla guerra non convenzionale e alle PSYOPs, è anche Civil-Military Cooperation (CIMIC) Subject Matter Expert. Tra le numerose pubblicazioni è autore di "Cultural Intelligence ed Etnografia di Guerra" (2021), "Al Manar, la Guerra Psicologica di Hezbollah" (2012), "I Manifesti Armati. Analisi delle tecniche di attrazione nella guerra psicologica" (2010). Collabora con Università, Think Tank e Centri Studio in Europa e Africa.