Ucraina: un’occasione mancata

 

 

Un’Ucraina sul modello svizzero avrebbe potuto essere l’anello di congiunzione tra un’Europa affamata di materie prime e una Federazione Russa stracolma di risorse naturali e interessata a tecnologie consumer. Invece ha scelto, o meglio l’hanno portata a cercare un conflitto che coinvolge tutta la popolazione, agnello sacrificale per una diversa ripartizione delle sfere di influenza. Il tutto ai danni dell’Europa.

Qualunque discussione si promuova attorno all’attuale conflitto in Ucraina non può essere affrontata se non si tengono sempre in mente alcuni aspetti: la nascita dello stato ucraino e l’attuale struttura etno-linguistica, frutto di una configurazione territoriale stabilizzatasi in epoca sovietica, la funzione dell’Ucraina quale crocevia per le materie prime provenienti dalla Federazione Russa (gasdotti in testa), l’andamento delle consultazioni elettorali degli ultimi trent’anni, il colpo di stato di Maidan, il ruolo delle frange naziste nella seconda guerra mondiale e l’odierno neonazismo.

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Per sommi capi un secolo di storia si può così riassumere: l’Ucraina attuale è un’entità territoriale composita dovuta a Lenin e all’ucraino Nikita Chruščëv. Vogliamo dire che sono esistite due proto-ucraine, quella filo zarista (Armata Bianca) e quella sovietica (Armata Rossa)?

E anche quella filo-nazista e quella filo sovietica nel secondo conflitto mondiale? Qui si innesta la faccenda delle attuali élite che hanno portato agli altari dei veri e propri collaborazionisti con le SS, essi sono stati artefici per altro dello sterminio di polacchi ed ebrei.

Oggi si decantano da più parti (pur se con qualche eccezione) gli uomini del Reggimento Azov che hanno resistito per 82 giorni ad Azovstal e li si paragona a partigiani. Addirittura si era speso in questa direzione il presidente emerito dell’ANPI, Carlo Smuraglia.

Meglio ricordare che il 28 aprile 2021 a Kiev si è tenuta una parata in onore della Divisione Waffen SS Galizia (nella foto sotto) e che c’è resistenza e resistenza.

Resistenza è un termine vago se non viene riempito di valori etici, dunque libertari. Anche quei disperati della Hitlerjugend, nella Berlino del’45, “resistevano” all’avanzata delle truppe sovietiche. Certo, erano resistenti anche loro, fino all’ultimo uomo (anzi, fino all’ultimo ragazzino), non per questo gli attribuiamo il rango di eroi partigiani per la libertà dei popoli.

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Limitandoci alle consultazioni elettorali, il Referendum per la Conservazione dell’URSS del 17 marzo 1991 poneva questo quesito: «Considerate necessario preservare l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche come una rinnovata federazione di repubbliche uguali e sovrane in cui saranno pienamente garantiti i diritti e la libertà dell’individuo di ogni nazionalità?», il 77,8 % dei votanti, pari a 113.512.812, si espressero per la conservazione dell’URSS.

In Ucraina la percentuale fu del 71,48% (22.110.899) contro il 28,5% (6.820.089) di contrari e 583.256 voti non validi: si recarono alle urne oltre 31,5 milioni di votanti su 37,7 milioni di aventi diritto. Nonostante ciò l’URSS si dissolse e l’Ucraina divenne indipendente.

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Il referendum sull’indipendenza dell’Ucraina si svolse il 1º dicembre 1991, con questo semplice quesito: “Approvi l’Atto di Dichiarazione di Indipendenza dell’Ucraina?”. Gli ucraini risposero di sì e alla presidenza venne eletto Leonid Makarovyč Kravčuk del Partito socialdemocratico ucraino, già leader del Partito Comunista della Repubblica Socialista Sovietica Ucraina.

Nel maggio 2002 l’allora presidente Leonid Kuchma avanzava formale richiesta di adesione alla NATO, con la quale l’Ucraina collaborava dal 1997. Dopo la parentesi Viktor Juščenko fu eletto e rieletto Viktor Janukovyč esautorato poi con un’operazione degna di una spy story: Maidan.

Da quel momento si esacerba la questione nel Donbass. In proposito vale la pena di prestare attenzione al documentario di Oliver Stone “Ukraine on fire” di cui esiste anche una versione in rete con i sottotitoli in italiano.

Dopo una presidenza ad interim, Petro Porošenko, successivo presidente eletto non riesce a ottenere un secondo mandato perché ritenuto troppo filo-occidentale e viene sconfitto clamorosamente da Volodimir Zelenski. In quella circostanza nel quotidiano La Repubblica, il 2 aprile 2019, si legge: “il comico presidente e la nuova Ucraina meno lontana da Mosca”. Zelenski sembra aver quindi incassato i voti dei “filorussi”!

Il nuovo presidente annunciava: “Ora le nostre priorità, e lo ripeto per ogni ucraino, sono di mettere fine alla guerra, far tornare i nostri prigionieri e sconfiggere la corruzione che persiste nell’Ucraina”. Dunque lo stesso presidente Zelenski ammise che la guerra era già in corso!

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Come soluzione del problema invece, la politica ucraina intensifica l’attività nel Donbass e quando la Federazione Russa interviene militarmente a Mariupol trova l’esercito ucraino, il Reggimento Azov di chiara matrice neo-nazista e consiglieri militari o volontari stranieri.

C’è inoltre un particolare sulla rinascita del neo-nazismo, circa il quale l’ONU si era più volte espressa.

Infatti, diverse Risoluzioni dell’ONU lo stigmatizzano con queste parole: «il neonazismo è qualcosa di più della glorificazione di un movimento del passato: è un fenomeno contemporaneo». Secondo l’ONU, movimenti neonazisti e altri analoghi «alimentano le attuali forme di razzismo, discriminazione razziale, antisemitismo, islamofobia, cristianofobia e la relativa intolleranza».

La prima Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’O.N.U., codice A/RES/69/160 dice: “Combating glorification of Nazism, neo-Nazism and other practices that contribute to fuelling contemporary forms of racism, racial discrimination, xenophobia and related intolerance”. Negli anni politica e media occidentali hanno sottostimato il peso di queste prese di posizione dell’ONU. Un tema di cui nel 2014 si occupò un articolo de La Stampa.

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Ma c’è dell’altro, che in termini diplomatici pesa un bel po’. Nel 2020 la Risoluzione viene approvata con 130 si, 2 no , 51 astensioni e 10 non-voti mentre pochi mesi  prima dell’intervento militare russo in Ucraina, il 18 novembre 2021, la Terza Commissione dell’ONU ha reiterato la Risoluzione che vieta la glorificazione del nazismo con 130 voti a favore (tra cui Israele), 49 astenuti (tra cui l’Italia e diversi paesi aderenti alla NATO) e il voto contrario di Ucraina e Stati Uniti.

Washington motivò il voto con una dichiarazione di voto in cui si affermava che ”gli Stati Uniti devono ancora una volta esprimere opposizione a questa risoluzione, un documento particolarmente degno di nota per i suoi velati tentativi di legittimare le campagne di disinformazione russe che denigrano le nazioni vicine e promuovono la narrativa sovietica distorta di gran parte della storia europea contemporanea, usando il cinico aspetto di fermare la glorificazione nazista”.

Per l’URSS il nazifascismo rappresentò oltre 25 milioni di morti, le cui sofferenze ricadono tutt’ora su milioni di famiglie. Si pensi alle marce del Reggimento Immortale il 9 maggio degli ultimi anni a Mosca, come a Kiev (dove già negli anni scorsi i nazionalisti contestavano quelle celebrazioni) e  in altre vari luoghi.

Riguardo alle citate Risoluzioni dell’ONU, va rimarcato che il ventaglio degli astenuti e dei contrari è significativo e va posto nel quadro in cui sono maturati gli eventi in Ucraina, da Maidan a oggi.

Come si è detto in premessa, l’Ucraina avrebbe potuto essere una nuova Svizzera in quanto ponte tra Europa e Federazione Russa. Il nazionalismo ucraino purtroppo non è stato capace di trovare quella convivenza pacifica coi filorussi che avrebbe permesso all’Ucraina stessa di respirare sincrona con due polmoni.

E un’Europa silente non si è preoccupata di assorbire il nazionalismo ucraino il quale è diventato utile e nel contempo succube a logiche economiche e di potenza a tutto danno del proprio popolo.

Foto: Ministero Difesa Ucraino,  Twitter, Reddit e Warrior Maven

 

 

Ingegnere classe 1949, è rappresentante per i Rapporti con i Corpi dello Stato dell'Università di Udine dove ha insegnato dal 1977 divenendo professore ordinario di Bioingegneria Industriale. Ha all'attivo numerose pubblicazioni scientifiche pubblicate anche su Nature e Science e ha svolto numerosi incarichi come consulente in ambito giudiziario e per diversi comparti delle pubbliche istituzioni. Nel 2011 ha fondato l'associazione "Umanità dentro la guerra", che porta avanti il lascito etico del padre, il soldato e patriota Ferdinando Pascolo detto "Silla". Per le attività inerenti all'associazione ha ricevuto il titolo di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana e la Croce d’Onore dalla Österreichische Schwarze Kreuz.

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