La “battaglia del grano” tra mine e sanzioni
(aggiornato alle ore 17,40)
Russi e turchi sembravano aver trovato un’intesa ad Ankara per garantire il flusso di grano verso i mercati internazionali dai porti dell’Ucraina (quelli controllati dai russi e quelli in mano alle forze ucraina) anche se Kiev non aveva dato segnali positivi.
Oggi il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskovon ha dichiarato che non è stato raggiunto un accordo con la Turchia sulle esportazioni di grano ucraino attraverso il Mar Nero. La Turchia ha spinto per un accordo tra Russia e Ucraina per alleviare la crisi alimentare globale negoziando un passaggio sicuro per il grano bloccato nei porti del Mar Nero. Gli sforzi di Ankara hanno incontrato resistenza perchè l’Ucraina ha accusato la Russia di imporre condizioni irragionevoli e il Cremlino ha affermato che le forniture sono legate alla fine delle sanzioni.
Peskov ha aggiunto che la Russia non si aspetta che Gazprom tagli le forniture di gas ad altri clienti europei, aggiungendo che il suo schema per far pagare agli acquirenti il loro gas in rubli sta funzionando come da programma.
Sono quattro i porti ucraini interessati del Paese: Odessa (che l’anno scorso ha esportato dai suoi moli 3,5 milioni di tonnellate di grano), Chornomorsk (principale punto di partenza del grano con un traffico annuale di 4 milioni di tonnellate) Yuzhny e Mykolaiv.
A questi si aggiungono i porti occupati dalle truppe russe e dagli indipendentisti del Donbass , cioè Berdyansk e Mariupol recentemente bonificati dalle mine con l’intervento del Genio russo. Ieri è arrivato nel porto di Sebastopoli, in Crimea, il primo treno carico di grano (nella foto sotto) a Melitopol, città nell’oblast di Zaporizhzhya occupata dai russi fin dalle prime fasi del conflitto.
L’intesa tra il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, con l’omonimo turco, Mevlut Cavusoglu non ha quindi incassato il via libera da Kiev.
L’ambasciatore ucraino in Turchia, Vasyl Bodnar, ha affermato infatti ieri che ad Ankara non è stato raggiunto nessun accordo concreto sullo sblocco delle esportazioni di grano. Bodnar ha aggiunto che l’Ucraina attende la comunicazione ufficiale per cercare un terreno comune come riporta la Ukrainska Pravda.
“Abbiamo spiegato che il grano può essere trasportato liberamente verso le previste destinazioni. Non ci sono ostacoli dalla Russia” aveva detto ieri Lavrov in conferenza stampa ad Ankara.
L’incognita dello sminamento
Lavrov aveva aggiunto che la Russia è pronta a garantire la sicurezza delle navi che dovessero lasciare il porto di Odessa per tornare a esportare il grano ucraino ma chiede che l’Ucraina si occupi dello sminamento delle acque antistanti alla città. Mosca si impegna peraltro a non approfittarne per colpire o attaccare la città portuale..
Gli ucraini hanno pesantemente minato le acque antistanti Odessa per tenere a distanza la Flotta Russa del Mart Nero e scoraggiare uno sbarco della fanteria di marina russa.
Kiev del resto non si fida delle assicurazioni russe e ha definito “vuote” le parole di Lavrov. “Sono necessari equipaggiamenti militari per proteggere la costa e una missione della Marina per pattugliare le rotte di esportazione nel Mar Nero”, spiegano gli ucraini avvertendo Mosca di non pensare di “utilizzare” i corridoi del grano per “attaccare l’Ucraina meridionale”.
La flotta ucraina, già debole prima del conflitto, è stata quasi totalmente messa fuori combattimento durante oltre tre mesi di guerra e non sarebbe certo in grado di scortare navi mercantili fino allo Stretto del Bosforo.
Compito che per ovvie ragioni di opportunità difficilmente potrà venire assegnato alla Flotta Russa del Mar Nero, così come è improbabile che la Turchia consenta alle forze navali dei partner/rivali della NATO di entrare nel Mar Nero con compiti di scorta o sminamento marittimo (per quest’ultimo l’Italia ha offerto i suoi cacciamine).
Specie ora che il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha contestato la crescente presenza militare americana in Grecia mettendo in dubbio che le nuove basi siano finalizzate a contestare i russi per l’aggressione all’Ucraina.
”Ci sono nove basi statunitensi in questo momento. Sono state create in Grecia. Contro chi sono state stabilite? La risposta che danno è ‘contro la Russia ma non ne siamo sicuri”, ha detto Erdogan al termine di una conferenza stampa congiunta con il presidente venezuelano Nicolas Maduro in visita in Turchia.
La nutrita presenza di navi dei paesi NATO nel Mar Nero è un’opzione che risulterebbe quindi sgradita a Mosca ma anche ad Ankara che ha tutto l’interesse a confermare il suo ruolo di potenza politico-diplomatica ma anche navale in quel bacino.
La Marina Turca valuta di poter bonificare gli spazi marittimi intorno ad Odessa in modo sufficiente a creare corridoi sicuri in cinque settimane mentre gli ucraini valutano che lo sminamento richiederebbe ben cinque mesi.
Del resto la flotta ucraina schierava prima della guerra un unico vecchio dragamine, l’Henichesk del tipo sovietico Project 1258E Korund-E (Yevgenya per la NATO) mentre la Marina Turca schiera 11 cacciamine classe Aydin (progetto turco-tedesco) e Engin (ex francesi classe Circe).
L’impressione è che, come accaduto negli ultimi anni in Siria, Libia e Nagorno-Karabakh, russi e turchi puntino a concludere intese bilanciate ma in grado di tagliare fuori le altre potenze.
Negoziato sulle sanzioni
Sul piano politico Cavusoglu ha definito “legittime e giustificate” le richieste russe di rimuovere alcune delle sanzioni imposte dall’Occidente che impediscono le esportazioni in cambio della consegna di prodotti cerealicoli ucraini.
Per il ministro turco è “ragionevole e fattibile” la proposta delle Nazioni Unite di istituire un “corridoio del grano” per farlo uscire dai porti ucraini dove potrebbero affluirne circa 20 milioni di tonnellate ma è chiaro che sulla “battaglia del grano” pesano valutazioni politiche e strategiche.
Russia e Ucraina sui accusano a vicenda di “voler affamare il mondo” ma mentre Mosca pretende di incassare un successo economico e politico con l’allentamento delle sanzioni in cambio del via libera ai mercantili carichi di grano e cereali, il governo ucraino e diversi governi occidentali non sembrano disposti ad assicurare alla Russia un simile vantaggio. Nè forse a consentire alla Turchia, che insiste a negare il suo via libera all’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO, il grande successo di aver mediato la soluzione di una crisi che ha riflessi sul mondo intero.
“E’ necessario che vengano revocato le sanzioni internazionali perché il grano russo possa essere consegnato sui mercati internazionali e alleviare così la crisi alimentare” ha detto a Mosca il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov che ha peraltro minimizzato il peso delle operazioni militari in Ucraina sull’aumento dei prezzi del grano, invitando a non “esagerare” ‘importanza della produzione Ucraina nell’ambito della produzione mondiale.
“Non dovremmo esagerare l’importanza dell’influenza sui mercati internazionali delle riserve di grano ucraine”, ha detto il portavoce del Cremlino. “E’ una percentuale troppo piccola per avere un impatto significativo sulla crisi alimentare globale”.
Anche Lavrov (a questo link l testo della conferenza stampa ad Ankara con domande e risposte – dal sito del Ministero degli Esteri Russo) ha affermato che l’offensiva russa in Ucraina “non è la causa della crisi alimentare. Abbiamo prestato molta attenzione al problema dell’esportazione di cereali ucraini, che i colleghi occidentali e gli ucraini cercano di presentare come una crisi universale, mentre la quota di questi cereali rappresenta meno dell’1% della produzione mondiale di grano e altri cereali”.
Il peso del grano ucraino
Secondo la FAO nel 2020 sono stati prodotti 760 milioni di tonnellate di grano di cui tre principali produttori (Cina, India e Russia) insieme rappresentano circa il 41% del totale.
L’Ucraina risultava essere l’ottavo produttore mondiale di grano con quasi 25 milioni di tonnellate, dietro a Cina (134 milioni) India (108 milioni), Russia (86 milioni), USA (50 milioni), Canada (35 milioni) Francia (30 milioni), Pakistan (25 milioni) e davanti a Germania (22 milioni) e Turchia (20,5 milioni).
Se consideriamo tutti gli stati membri come un unico produttore, l’Unione Europea occuperebbe il secondo posto con circa 127 milioni di tonnellate (l’Italia ne ha prodotte quasi 7 milioni).
La Russia è il primo esportatore mondiale di grano e l’Ucraina il quinto, anche se il grano ucraino rappresenta appena il 3,2 per cento della produzione mondiale.
Al di là delle speculazioni e delle dinamiche di prezzi al rialzo da ben prima del conflitto, anche un eventuale blocco parziale dell’accesso ai mercati del grano ucraino non dovrebbe quindi costituire un problema globale insanabile né sul piano economico né sul fronte alimentare.
Occorre tener conto che già nel 2021 erano ben 44 i paesi del mondo a soffrire un deficit alimentare (33 in Africa e 11 in Asia) dovuto a mancata autosufficienza e difficoltà economiche aggravate dal rincaro di energia, carburanti e prezzo dei cereali. Secondo il rapporto Coldiretti sono invece 53 i Paesi dove la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione e che risentono quindi in maniera devastante dall’aumento dei prezzi.
Quest’anno la FAO prevede che la produzione mondiale di grano aumenti raggiunga i 790 milioni di tonnellate con rendimenti elevati previsti e piantagioni estensive in Nord America e Asia, che andranno a compensare un probabile lieve calo nell’Unione Europea e l’impatto negativo delle condizioni di siccità sulle colture in alcuni paesi del Nord Africa.
Questa previsione, stilata a inizio marzo (a guerra iniziata) non prevedeva infatti potenziali impatti negativi dal conflitto in Ucraina.
L’analisi di Coldiretti
Secondo un report di Coldiretti senza l’accesso ai porti del Mar Nero l’Ucraina potrà esportare al massimo 20 milioni di tonnellate di cereali (non solo grano), pari a meno della metà delle 44,7 milioni di tonnellate spedite lo scorso anno. Kiev sta cercando di esportare il proprio raccolto per vie terrestri, fluviali e ferroviarie ma le difficoltà logistiche limitano i volumi a un massimo di circa due milioni di tonnellate al mese.
Ci sono circa 30 milioni di tonnellate di cereali immagazzinate nel territorio controllato da Kiev su una capacità di circa 55 milioni di tonnellate mentre c’è la possibilità di stoccaggio per altre 13-15 milioni di tonnellate nelle aree occupate dalla Russia. Il risultato è che i silos di mais, grano e girasole nel territorio controllato dal governo ucraino sono pieni a metà con il rischio che i nuovi raccolti in arrivo entro un mese rimangano nei campi.
La produzione mondiale di cereali è stimata in calo a 2,784 miliardi di tonnellate su valori minimi da quattro anni anche per effetto delle condizioni climatiche avverse nei diversi continenti ma anche per la crisi dei fertilizzanti, secondo l’analisi Coldiretti sulla base dei dati FAO dai quali si evidenzia che il taglio riguarda soprattutto il mais destinato all’alimentazione animale, il grano e il riso mentre al contrario aumenta la produzione di orzo e sorgo.
Le valutazioni della FAO
L’11 marzo Qu Dongyu, il Direttore Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), ha riferito circa il peso complessivo di Russia e Ucraina sul mercato alimentare globale nell’intervento che riproduciamo qui sotto.
Negli ultimi due anni la pandemia COVID-19 ha posto numerose sfide alla sicurezza alimentare mondiale. Ciò che sta accadendo oggi in Russia e Ucraina aggiunge nuove importanti criticità allo scenario attuale. Russia e Ucraina svolgono un ruolo essenziale nella produzione e nell’approvvigionamento dei generi alimentari a livello globale: la Russia è il principale esportatore di grano al mondo, l’Ucraina il quinto. Insieme, garantiscono il 19% della produzione mondiale di orzo, il 14% della produzione di grano e il 4% della produzione di mais, contribuendo a oltre un terzo delle esportazioni globali di cereali. Sono, inoltre, i principali fornitori di colza, oltre a coprire il 52% del mercato mondiale delle esportazioni di olio di semi di girasole. Particolarmente concentrato è anche il mercato mondiale dei fertilizzanti, di cui la Russia è il fornitore principale.
Le perturbazioni riscontrate a livello logistico e nella filiera di produzione di cereali e semi oleosi ucraina e russa e le restrizioni alle esportazioni russe avranno significative ripercussioni sulla sicurezza alimentare, soprattutto per i circa cinquanta paesi che dipendono dalla Russia e dall’Ucraina per il 30% o più della loro fornitura di grano. In molti casi, si tratta di paesi meno avanzati o di paesi a basso reddito con deficit alimentare dell’Africa settentrionale, dell’Asia e del Vicino Oriente. Al tempo stesso, numerosi paesi europei e dell’Asia centrale fanno affidamento sulla Russia per il 50% delle loro forniture di fertilizzanti: una penuria di tali prodotti potrebbe protrarsi fino al prossimo anno.
Nel febbraio 2022, i prezzi alimentari, già in crescita dalla seconda metà del 2020, hanno raggiunto livelli record, riconducibili a una domanda sostenuta, ai costi elevati dei mezzi di produzione e dei servizi di trasporto e al blocco dei porti. Nel corso del 2021, per esempio, i prezzi mondiali di grano e orzo hanno subito un rincaro del 31%, mentre le quotazioni dell’olio di colza e dell’olio di semi di girasole sono salite di oltre il 60%. L’elevata domanda e la volatilità dei prezzi del gas naturale hanno spinto verso l’alto anche il costo dei fertilizzanti. Per esempio, il prezzo dell’urea, un importante fertilizzante azotato, è triplicato negli ultimi 12 mesi.
Nel frattempo, l’intensità e la durata del conflitto rimangono incerte. Le probabili interruzioni delle attività agricole di questi due importanti esportatori di prodotti di base potrebbero seriamente accentuare l’insicurezza alimentare a livello mondiale, in un contesto caratterizzato da prezzi dei generi alimentari e dei mezzi di produzione di per sé già elevati e volatili su scala internazionale. Il conflitto, inoltre, potrebbe causare un abbattimento della produzione agricola e del potere di acquisto in Ucraina, aggravando l’insicurezza alimentare a livello locale.
Le colture di cereali saranno pronte per la raccolta in giugno. Ancora non è chiaro se gli agricoltori ucraini saranno nelle condizioni di effettuare la raccolta e rifornire il mercato. L’evacuazione di massa della popolazione ha ridotto il numero di lavoratori e operai agricoli. Accedere ai campi potrebbe essere difficile. Altrettanto difficoltoso potrebbe essere allevare il bestiame e il pollame e produrre frutta e ortaggi.
I porti ucraini sul Mar Nero hanno smesso di operare. Anche se l’infrastruttura dei trasporti interni rimanesse intatta, la spedizione di cereali tramite ferrovia sarebbe impossibile per la mancanza di un sistema ferroviario funzionante. Per il momento, le imbarcazioni possono ancora transitare attraverso gli Stretti turchi, che rappresentano un fondamentale snodo per il traffico di ingenti quantitativi di grano e mais. L’aumento dei premi assicurativi per la regione del Mar Nero inasprirebbe i costi già elevati delle spedizioni, incidendo ulteriormente sui prezzi all’importazione dei generi alimentari. Altrettanto dubbio è se la situazione attuale pregiudicherà o meno l’integrità delle strutture per lo stoccaggio e la lavorazione dei prodotti alimentari e la relativa manodopera.
Per il momento, i centri portuali russi affacciati sul Mar Nero rimangono aperti e, nel breve termine, non si attendono significative interruzioni della produzione agricola. Tuttavia, le sanzioni economiche imposte alla Russia hanno provocato un notevole deprezzamento che, a lungo andare, potrebbe minare la produttività e la crescita, facendo volare alle stelle i costi della produzione agricola.
La Russia riveste una posizione dominante nel mercato energetico mondiale, dove è responsabile del 18% delle esportazioni globali di carbone, dell’11% delle esportazioni di petrolio e del 10% di quelle di gas. Il settore agricolo richiede un consumo energetico di combustibili, gas ed elettricità, nonché fertilizzanti, pesticidi e lubrificanti. Anche la produzione di ingredienti per mangimi e alimenti per animali richiede energia. Il conflitto in corso ha fatto salire i prezzi dell’energia ai massimi livelli, con effetti negativi sul settore agricolo.
Il grano è un bene di primo consumo per oltre il 35% della popolazione mondiale e la guerra in corso potrebbe provocare un’improvvisa, brusca riduzione delle esportazioni di grano, sia dalla Russia che dall’Ucraina. Rimane ancora da comprendere se altri esportatori saranno in grado di colmare questo deficit. Le scorte di grano si stanno già esaurendo in Canada, mentre le esportazioni da Stati Uniti, Argentina e altri paesi saranno presumibilmente limitate, poiché i rispettivi governi cercheranno di soddisfare la domanda interna.
È probabile che i paesi che importano grano dall’estero incrementino i livelli di acquisto, aggiungendo nuove pressioni alle forniture mondiali. Egitto, Turchia, Bangladesh e Iran sono i principali importatori mondiali di grano, che acquistano per oltre il 60% da Russia e Ucraina, e tutti questi paesi hanno importazioni scoperte. Anche Libano, Tunisia, Yemen, Libia e Pakistan fanno ampio affidamento sui due paesi belligeranti per il loro fabbisogno di grano. Il commercio di mais a livello mondiale subirà una forte contrazione, causata dal timore che la perdita di esportazioni dall’Ucraina non sarà colmata da altri esportatori e dall’incremento dei prezzi.
Altrettanto incerte rimangono le prospettive di esportazione per l’olio di semi di girasole e altri oli alternativi. I principali importatori di olio di semi di girasole, tra cui l’India, l’Unione europea, la Cina, l’Iran e la Turchia, dovranno trovare altri fornitori o dirottare i loro acquisti verso altri oli vegetali, con possibili ricadute, per esempio, sugli oli di palma, soia e colza.
Raccomandazioni politiche
- Mantenere aperti gli scambi mondiali di prodotti alimentari e fertilizzanti. Si dovrebbe fare il possibile per proteggere la produzione e le attività di marketing necessarie per rispondere alla domanda interna e a quella internazionale. Le catene di approvvigionamento dovrebbero continuare a operare e, a tal fine, sarà necessario proteggere le coltivazioni, gli allevamenti, le infrastrutture di trasformazione degli alimenti e tutti i sistemi logistici ancora intatti.
- Trovare un gruppo di fornitori di generi alimentari nuovo e diversificato. I paesi che dipendono dalle importazioni alimentari da Russia e Ucraina dovrebbero cercare fornitori alternativi per assorbire lo shock. Dovrebbero anche fare affidamento sulle riserve alimentari esistenti e diversificare la loro produzione interna per garantire alla popolazione l’accesso a un’alimentazione sana.
- Sostenere i gruppi vulnerabili, tra cui gli sfollati interni. I governi devono espandere le proprie reti di protezione sociale per tutelare le persone vulnerabili. In Ucraina le organizzazioni internazionali devono intervenire per aiutare a raggiungere le persone bisognose. In tutto il mondo aumenterà il numero degli individui che precipiteranno nella povertà e nella fame a causa del conflitto: dobbiamo, quindi, fornire loro programmi tempestivi e mirati di protezione sociale.
- Evitare reazioni politiche ad hoc. Prima di mettere in atto misure per garantire le forniture alimentari, i governi dovrebbero valutarne i potenziali effetti sui mercati internazionali. Una riduzione delle tariffe d’importazione o il ricorso a restrizioni alle esportazioni potrebbe aiutare a risolvere problemi di sicurezza alimentare di un singolo paese nel breve periodo, ma provocherebbe un aumento dei prezzi sui mercati mondiali.
- Rafforzare la trasparenza dei mercati e il dialogo. Una maggiore trasparenza e informazione sulle condizioni dei mercati mondiali aiuterebbe i governi e gli investitori a prendere decisioni informate nei periodi di volatilità dei mercati delle merci agricole. Iniziative come il Sistema di informazione sui mercati agricoli (AMIS) del G20 aumentano la trasparenza, fornendo valutazioni obiettive e puntuali dei mercati.
Foto: Adnkronos, Twitter, FAO, Ministero Difesa Russo, Ministero Difesa Ucraino, Anadolu e Turkish Minute
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.