La NATO dopo Madrid – Il ritorno a una “calda” Guerra Fredda

 

 

Il primo Segretario generale dell’Alleanza Atlantica (il britannico Lord Hastings Lionel Ismay- nella foto sotto) dichiarò che “NATO is for keeping the Russians out, the Americans in and the Germans down”.

Ovvero, salvaguardare l’Europa Occidentale dalla Russia, mantenere gli USA legati all’Europa (in quanto già allora si temeva guardassero di più al Pacifico) ed evitare l’imporsi di una potenza regionale nel continente (che tra le due guerre era stata la Germania ma che nell’ottica statunitense di oggi potrebbe essere l’UE). Con la risposta alla crisi ucraina, la NATO sembra riuscire a perseguire tutti gli obiettivi individuati dal suo primo segretario generale.

Venendo ai giorni nostri, dal Vertice dei capi di stato e di governo NATO di Madrid sono emerse molte idee nuove e molte idee valide per il futuro dell’Alleanza e dell’Europa. Non siamo del tutto certi che quelle nuove siano anche valide e quelle valide siano anche nuove. Ma andiamo con ordine.

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Incominciamo con il confronto militare con la Russia. Il fatto è che se l’Alleanza dichiara che l’Ucraina deve “vincere” (e “vincere” è diverso da “non perdere”) e che continuerà ad appoggiare Kiev sino alla vittoria, non possiamo non chiederci cosa dovrà fare la NATO ove sul campo le forze di Kiev non riuscissero a rigettare i russi aldilà dei confini pre-2014 (come dichiarato da Zelensky e Biden) o addirittura dovessero soccombere.

Ovviamente, non ci si potrà più limitare ad armare una nazione “amica” che combatta “per noi”, considerato che si è dichiarato che la Russia è la maggiore minaccia per la NATO di oggi. L’Alleanza sarà disponibile intervenire militarmente a fianco dei “fratelli” ucraini come NATO, ovvero ad entrare in guerra contro la Russia? Interverrà una coalizione di volenterosi composta da alcuni paesi NATO sostenuti logisticamente e finanziariamente dagli altri?

Oppure ci si sgancerà lasciando gli ucraini al loro destino, ripetendo, insomma, un copione cui ormai ci siamo assuefatti dalla Baia dei Porci a Saigon, dall’Iraq al Kurdistan a Kabul?

Sarebbe indegno abbandonare gli ucraini dopo averli supportati nella lotta sino ad ora ed averli illusi (e di queste illusioni gli USA in primis ma anche gli europei hanno responsabilità).

Peraltro, ove succedesse, questa volta la credibilità della NATO non sopravvivrebbe. La credibilità dell’Alleanza non si può permettere di ripetere la figuraccia del ritiro da Kabul, anche se la responsabilità di quella ritirata fu di Washington e non degli europei.

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In caso invece di un intervento militare NATO a fianco degli ucraini, intervento che porterebbe verosimilmente i russi a soccombere sul campo di battaglia  e, di conseguenza, a considerare seriamente l’uso dell’arma nucleare, come previsto dalle loro dottrine, siamo veramente pronti ad affrontarne le conseguenze?

Potrebbe anche essere che non sia la NATO in quanto tale (su decisione unanime e “consapevole” di tutti i suoi membri) a decidere di intervenire a fianco degli ucraini, ma solo alcuni alleati, ad esempio, britannici e polacchi che appaiono i più convinti che si debba giungere alla guerra diretta contro Mosca e già scalpitano per trascinare la NATO sul campo di battaglia.

Successivamente, come avvenuto in Afghanistan nel 2003, dove l’intervento iniziale era stato di una coalizione di volenterosi a guida USA, o in Libia nel 2011, dove l’intervento iniziale era stato franco-britannico, la NATO potrebbe venire coinvolta quasi suo malgrado.

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Tecnica già utilizzata per porre i paesi più scettici di fronte al fatto compiuto. Comunque vada, a Madrid si è dato l’avvio a due “guerre fredde” in parallelo: una contro la Russia e una contro la Cina. Cosa c’entra la Cina con il Trattato dell’Atlantico del Nord?

Poco e in effetti ora gli europei avrebbero anche la non semplice crisi ucraina di cui occuparsi. Crisi in cui i paesi europei sono coinvolti per ragioni di sicurezza dei confini orientali di NATO /UE (con l’accesso della Finlandia, il confine orientale delle due organizzazioni in Europa coincide), di implicazioni economiche della guerra e delle sanzioni, di sostegno alle migrazioni da est e da sud che il conflitto sta provocando.

Inoltre, sempre gli europei dovranno sostenere gran parte dell’onere economico e sociale della ricostruzione dell’Ucraina, o almeno della porzione di territorio che alla cessazione dei combattimenti non fosse sotto controllo russo.

Nei confronti della Russia si va nella direzione di una “Cortina di Ferro” fisica e militare, non diversa da quella che si è vissuta tra la fine degli anni ’40 e la fine degli anni ’80 del secolo scorso.

Con la Cina la “Cortina di Ferro” potrebbe essere solo commerciale, ma vista l’intelaiatura di relazioni economiche cinesi in Asia, Africa e America Latina (come confermato anche in occasione del recente vertice dei BRICS) potremmo essere noi europei a rinchiuderci in un recinto pericoloso.

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È noto che l’assertività di Pechino sia andata via via aumentando in maniera esponenziale in tutti i settori, economico, tecnologico e anche militare. La potenza militare cinese e cresciuta, Pechino detiene il record mondiale per numero di navi militari in servizio e ha quadruplicato l’arsenale nucleare per arrivare al 2030 con circa mille testate nucleari e punta a incrementare l’export di armi.

La Cina è sicuramente un fattore di rischio rilevante per i paesi della NATO, ma forse occorre anche chiedersi se sia un fattore di rischio che l’Alleanza sia strutturata per contrastare. Che possibilità avrebbe l’Alleanza di dirigere o almeno di condizionare le politiche economiche e le legislazioni dei paesi membri per contenere una invasione che è tutt’altro che militare?

Come dimostra il caso delle sanzioni recentemente adottate nei confronti della Russia, il coordinamento delle misure di ritorsione economica adottate dai paesi europei in risposta all’aggressione militare russa viene decisa e coordinata dalla UE non certo dalla NATO.

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Anche perché l’Alleanza Atlantica, a differenza dell’UE, non dispone di strumenti coercitivi atti ad imporre ai propri membri il rispetto di eventuali politiche economiche. Comunque, se la Cina, come potenza marittima, superpotenza globale e per i suoi interessi nell’Indo-Pacifico rappresenta da tempo la principale preoccupazione di Washington, sino a che punto gli interessi degli alleati ai due lati dell’Atlantico sono coincidenti al riguardo? Siamo sicuri che l’attenzione che nel Concetto Strategico 2022 e nelle politiche della NATO viene attribuita alla Cina rappresenti un’esigenza di tutti gli alleati o è solo funzionale prioritariamente agli interessi geopolitici statunitensi?

Infine, il l Mediterraneo, totalmente ignorato nell’ambito del Concetto Strategico della NATO, da vent’anni fuori dai radar dell’Alleanza, salvo per condurvi qualche operazione destabilizzante (tipo l’intervento in Libia nel 2011) nell’interesse di alcuni alleati ma non dell’alleanza in quanto tale. Il Mediterraneo sembra ormai essere stato “donato” alla Turchia per compensarne il placet all’ingresso di Svezia e Finlandia.

In conclusione, vediamo una NATO che scalda i muscoli e minaccia, ma non sappiamo se abbia deciso cosa fare nel caso (estremamente probabile) che sanzioni e armi non bastino più. Una NATO che si preoccupa della Cina ma dimentica il Mediterraneo Allargato rappresenta davvero gli interessi europei?

Di sicuro la prima vittima di questo quadro di situazione sembra essere l’idea di una possibile autonomia strategica europea: morta prima di nascere. Lord Ismay ne sarebbe soddisfatto.

Foto NATO e Ministero Difesa Ucraino

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Antonio Li GobbiVedi tutti gli articoli

Nato nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69 alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.

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