Smettiamo di fingere di non essere anche noi in guerra contro la Russia
C’è una immagine che continua a tornarmi alla mente ogni volta che si parla del terribile scontro in atto fra la Russia e l’Ucraina, nonché del ruolo, ad esso strettamente connesso, che viene svolto in questo periodo dagli Stati europei.
L’immagine è purtroppo quella manzoniana dei capponi che Renzo Travaglino porta in regalo all’avvocato Azzeccagarbugli e che, benché legati a testa in giù e chiaramente avviati ad un triste destino, continuano, incapaci di fare altro, a beccarsi ferocemente fra di loro.
È una immagine che si fa poi ancora più vivida quando dalla condizione Europea si passa ad esaminare quella di una Italia che a tutt’oggi continua imperterrita ad adottare moduli di comportamento, soprattutto politici, già discutibili allorché le cose andavano bene ad assolutamente inaccettabili per chi invece si trova nel bel mezzo di una guerra.
Anche se non vogliamo ammetterlo ufficialmente e ci appigliamo ad ogni bizantinismo disponibile per negarlo, è infatti l’Occidente, l’intero Occidente in tutte le sue componenti e non soltanto l’Ucraina, che sta combattendo contro la Russia in questo momento.
Si tratta di un fatto di cui il nostro avversario si è reso pienamente conto, come ci ricordano ogni giorno le sue azioni sul terreno, le sue scelte in ambito internazionale ed infine le dichiarazioni, sempre in quel senso, dei suoi esponenti politici di rilievo.
Anche se Il Presidente Putin fosse pazzo – e non lo è – vi sarebbe sempre da riconoscergli una adamantina coerenza perlomeno nel mantenere questo atteggiamento.
Dall’altra parte invece noi abbiamo adottato un comportamento schizofrenico , tirando il sasso ma cercando nel contempo di nascondere la mano, forse sperando che il tutto possa alla fine risolversi in una limitata ” proxy war ” , vale a dire in uno scontro che si esaurisca entro i confini dell’unico stato della nostra parte per il momento direttamente coinvolto e comporti invece per la grande maggioranza di noi soltanto uno sforzo di supporto , che potrà magari rivelarsi molto oneroso sotto molti aspetti ma non ci costerà mai quell’insieme di lutti, rovine e lacrime che produce un vero conflitto.
È abbastanza logico che ciò avvenga, considerato come, sulla scia degli Stati Uniti, anche l’Europa avesse finito nei decenni successivi al crollo del Muro di Berlino con l ‘adottare progressivamente un sistema di confronto bellico che limitava il vero intervento dell’Occidente soltanto all’erogazione del fuoco e ad altri compiti connessi al suo elevato livello tecnologico, lasciando invece invariabilmente a sole forze locali il privilegio di scendere sul terreno, di combattere ….e di conseguenza di morire.
Così nella ex Jugoslavia ci siamo prima battuti contro i Serbi lasciando che fossero i Croati ad affrontarli da soli sul terreno, poi più a sud abbiamo utilizzato i Kosovari, ma curandoci bene di non mettere un solo “boot on the ground ” sino alla firma della tregua.
In Afghanistan infine l’onore di travolgere i talebani dopo gli attentati delle Torri Gemelle + stato lasciato ai tagiki, agli uzbeki, agli hazara e alle altre minoranze della “Alleanza del Nord”, mentre la NATO ha scelto di entrare nel quadro soltanto in un momento decisamente successivo, allorché sembravano esistere ragionevoli speranze di ricostruire il paese in tempi accettabili.
Questo significa che anche nel conflitto in atto noi saremmo disposti a combattere ” sino all’ultimo soldato ucraino ” e non oltre? Un timore che sempre più di frequente comincia a trasparire dai discorsi del Presidente Zelensky.
Probabilmente se potessimo lo faremmo e forse questa era l’idea iniziale di molti dei protagonisti coinvolti, ivi compresa una Italia che almeno a parole si incancrenisce in quel rifiuto della “guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali” sancito dalla nostra Costituzione al punto tale da rifiutare di rendersi conto di alcune delle realtà che ha vissuto o da camuffarle, se del caso, sotto circonlocuzioni giuridiche estremamente precise soltanto nel non dire nulla.
Così siamo andati alla prima guerra del Golfo nel quadro di “una operazione di polizia internazionale condotta sotto l’egida delle Nazioni Unite per il ripristino della sovranità kuwaitiana”, mentre successivamente, prima nel caso del Kosovo, poi in quello della Libia, la parola “guerra ” non è stata mai pronunciata e almeno in una occasione il Governo Italiano è arrivato a negare anche un coinvolgimento delle nostre forze che in effetti invece era avvenuto.
Rifiutare di accettare di essere in realtà coinvolti in una grande guerra anche questa volta è molto più difficile, anche se forse non del tutto impossibile, almeno per qualche tempo ancora.
Sta comunque divenendo progressivamente sempre più chiaro come questo non sia solo un conflitto limitato che abbia come posta la definizione delle frontiere della Ucraina ma si configuri invece come l’inizio di un cambiamento epocale destinato a condizionare in maniera diversa da quella attuale i futuri equilibri di potere del mondo.
Come tale esso è uno scontro di giganti che assume sempre di più, giorno dopo giorno una configurazione in tal senso.
Ricordate quali fossero sino a pochi anni fa i “rogue states”, ossia le nazioni considerate dall’Occidente come “Stati canaglia “?
Erano la Corea del Nord, l’Iran, lo Yemen, la Siria, la Libia, tutti paesi di limitato rilievo, con l’unica eccezione dell’Iran. Ora, come indicato dagli USA e confermato di recente dal nuovo Concetto Strategico approvato a Madrid dalla Nato, sono invece la Russia, la Cina e un Iran cui pare riservato il privilegio di essere sempre presente in liste di questo genere.
Inoltre la guerra non è più soltanto quella di un tempo, vale a dire la guerra guerreggiata da combattere con il fucile in mano, l’elmetto in testa e le bombe a mano nel tascapane.
Si tratta invece di un fenomeno ben più complesso, che va sotto il nome di “guerra ibrida ” ed investe tutti i settori in cui un attacco comunque condotto potrebbe indebolire l’avversario, anche soltanto potenziale.
Nel complesso si tratta di un tipo di Guerra in cui già da parecchio tempo la Russia si è scelta l’intero Occidente come avversario, scatenando offensive informatiche mirate, corrompendo, uccidendo, cercando di falsare i risultati di democratiche elezioni. Siamo in guerra da tempo dunque: una guerra non dichiarata ma nel contempo estremamente dura, guerra per la sopravvivenza ….quella guerra che con una visione ben più precisa della nostra il Santo Padre aveva da tempo individuata e definita come ” una guerra mondiale a pezzi”.
Come se ciò non bastasse da quando abbiamo iniziato a sostenere l’Ucraina fra noi e la Russia sono intercorsi una serie di atti che non sono certo stati di cortesia e che in altri tempi avrebbero costituito un preciso ed inequivocabile casus belli.
Abbiamo deciso contro Mosca una pesantissima serie di sanzioni economiche? Non dimentichiamoci che anche se gli USA tendono a passare la cosa sotto silenzio l’attacco di Pearl Harbour altro non fu che la reazione di Tokyo ad analoghe sanzioni decise da Washington nei riguardi del Giappone.
Da tempo poi vi è un flusso continuo di armi, munizioni, materiali ed istruttori che parte dai nostri paesi ed è diretto in Ucraina. Per tacere poi dei volontari che vanno nella medesima direzione senza essere minimamente ostacolati … e c’è da chiedersi quanta parte del famoso “Battaglione Azov” fosse composta da cittadini dei nostri paesi.
Si aggiunga a questo una efficace, articolata ed onnipresente attività informativa che dal locale, al tattico ed allo strategico copre tutti i settori di interesse delle forze ucraine ed il quadro del nostro pressoché totale coinvolgimento diverrà completo.
Possiamo quindi ancora sostenere con un filo di logica di non essere in guerra? Di sicuro no, e sarebbe probabilmente bene che anche noi arrivassimo ad accettare in pieno questa scomoda verità. Se non altro per essere pronti domani ad affrontarne eventualmente le sgradite conseguenze!
Foto: Ministero della Difesa Ucraino, Ministero della Difesa Russo e TASS
Giuseppe CucchiVedi tutti gli articoli
Entrato alla Scuola Militare di Napoli nel 1955, il Generale Cucchi ha avuto una lunghissima carriera conclusa nel 2008 come Direttore Generale dell'Intelligence Nazionale. Dopo il definitivo pensionamento ha lavorato due anni per le Nazioni Unite come esperto nell'ambito della crisi del Mali/Sahel. Attualmente insegna management alla Università LUISS di Roma ed alla Business School della Università di Bologna.