Ipotesi, piste e misteri dietro l’attentato a Darya Dugina a Mosca
(aggiornato alle ore 23,55)
L’uccisione alla periferia di Mosca con una bomba posta sulla sua auto di Darya Dugina, figlia dell’intellettuale Alexander Dugin, presenta ancora molte zone d’ombra soprattutto nei suoi possibili risvolti e conseguenze. Dugin, ritenuto inizialmente il vero bersaglio degli attentatori, non ha mai avuto un ruolo politico o ideologico al Cremlino a dispetto dei nomignoli che gli sono stati affibbiati in Occidente quali “Rasputin di Putin” o “il cervello di Putin”.
Non vi sono mai stati elementi per definirlo “ideologo” del presidente o addirittura il padre del neo nazionalismo russo e persino colui a cui si deve l’elaborazione strategica dell’invasione in Ucraina.
Dugin costituisce quindi un “bersaglio“ più propagandistico che politico non avendo mai ricoperto posizioni ufficiali nel governo russo: non è mai stato consigliere del Cremlino anche se lo è stato di un presidente della Duma e di un membro del partito Russia Unita.
Ha avuto incarichi accademici e giornalistici, come capo redattore di Tsargrad TV, emittente filo governativa per cui lavorava anche la figlia.
Darya Dugina, che avrebbe compiuto 30 anni a dicembre, è finita nel mirino delle sanzioni anglo-americane per aver diretto il sito di disinformazione United World International in cui è stato scritto che l’Ucraina sarebbe “perita” una volta ammessa nella Nato.
Il sito, secondo gli Stati Uniti, è il frutto di un’operazione di interferenza politica russa chiamata “Project Lakhta,” che secondo i funzionari del Tesoro USA ha usato utenti fittizi online per interferire nelle elezioni negli Usa sin dal 2014.
Co-autrice del “Libro di Z” di prossima pubblicazione sulla guerra in Ucraina, la Dugina è stata inserita il 4 luglio nella lista dei sanzionati da parte di Londra per reati d’opinione simili a quelli a lei attribuiti da Washington.
Il Regno Unito le imputa infatti “frequenti contributi di alto livello alla disinformazione relativa all’Ucraina e all’invasione russa dell’Ucraina su diverse piattaforme online”.
La pista ucraina
L’uccisione di Darya Dugina con 400 grammi di tritolo posizionati sotto la sua auto, fatti esplodere a distanza secondo quanto riferito dall’FSB, ha scatenato molte reazioni e consente di sviluppare alcune ipotesi. Circa le prime, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha affermato che se gli inquirenti confermeranno “la pista ucraina” per l’attentato si dovrà parlare del “terrorismo di Stato di Kiev”.
L’accusa ai servizi segreti di Kiev è stata formulata inizialmente dal capo della Repubblica popolare di Donetsk, Denis Pushilin per il quale “I vigliacchi infami terroristi del regime ucraino, nel tentativo di eliminare Aleksandr Dugin, hanno fatto saltare in aria sua figlia”.
Secondo quanto riferito dall’agenzia russa TASS, il Servizio Federale per la Sicurezza russo (FSB) ritiene che l’obiettivo dell’attentato fosse proprio la figlia di Dugin e che a compiere l’attentato sia stata un’agente ucraina, Vovk Natalya Pavlovna, 43 anni, fuggita subito dopo in Estonia.
La donna sarebbe entrata in Russia insieme alla figlia, Shaban Sofia Mikhailovna di 12 anni, il 23 luglio e ha affittato un appartamento nella casa in cui viveva Dugina per raccogliere informazioni su di lei iniziando poi a monitorarne gli spostamenti e la vita quotidiana utilizzando un’auto Mini Cooper che avrebbe utilizzato tre targhe diverse (nelle foto sopra e sotto): la prima della Repubblica di Donetsk, per varcare il confine, la seconda del Kazakhstan usata a Mosca e la terza dell’Ucraina per uscire dal Paese.
Il giorno dell’omicidio, Vovk e sua figlia erano festival della Letteratura e della musica tradizionale, dove Dugina era presente come ospite d’onore, e la sera hanno provocato un’esplosione radiocomandata della Toyota Land Cruiser Prado, guidata da Dugina. Successivamente, Vovk, insieme alla figlia è partita attraverso la regione di Pskov verso l’Estonia.
Fonti della sicurezza citate dalla TASS ipotizzano che la bambina potrebbe essere stata impiegata dalla madre per piazzare l’ordigno e le immagini diffuse dall’FSB sembrano confermare che le telecamere di sorveglianza abbiano permesso di ricostruire tutti i movimenti di madre e figlia.
L’FSB non ha però indicato finora prove o elementi che leghino la Vovk ai servizi segreti ucraini ma ha inserito la donna nella lista dei ricercati e la Russia ne chiederà l’estradizione ma l’Estonia ieri negava di aver ricevuto richieste in tal senso.
Le risposte dei governi estone e ucraino a tale richiesta potrebbero almeno in parte chiarire eventuali responsabilità politiche.
Un gruppo di hacker russi, RaHDit, sostiene che la Vovk appartenga al battaglione ucraino Azov rendendo nota un’immagine del suo tesserino militare con tanto di foto tessera (che in Ucraina alcuni hanno definito contraffatta) ma le autorità russe non hanno finora confermato ufficialmente tale ipotesi.
Anche Alexander Dugin ha attribuito l’uccisione della figlia a “un atto di terrorismo del regime nazista ucraino”.
Kiev nega
Kiev smentisce ogni coinvolgimento. “Non rilasciamo neppure un commento perché non è una questione di interesse per i servizi speciali ucraini” ha detto Andrii Yusov, portavoce del Direttorato dell’intelligence militare ucraina aggiungendo che “il processo di distruzione interna del mondo russo è iniziato”.
Mikhail Podolyak, stretto collaboratore della presidenza di Kiev ha dichiarato che l’Ucraina “non ha nulla a che fare” con l’esplosione che ha causato la morte di Darya Dugina. “Non siamo uno stato criminale, come la Federazione Russa, e tanto meno uno stato terrorista”.
La Guardia Nazionale ucraina ha smentito inoltre la notizia che la Vovk abbia fatto parte del reggimento Azov e il presidente Volodymyr Zelensky ha dichiarato che “questa non è nostra responsabilità”.
Di certo l’attentato a Mosca e l’uccisione della giovane Dugina giunge nel pieno del dibattito, acceso negli USA e alimentato in Ucraina, che vorrebbe vedere i paesi occidentali definire la Russia “stato terrorista”.
A Washington il portavoce del Dipartimento di Stato americano Ned Price ha commentato brevemente e senza entrare nel merito dell’accaduto l’attentato di Mosca affermando che gli Stati Uniti “condannano l’uccisione intenzionale di civili ovunque”, evitando quindi di esporsi in valutazioni circa le responsabilità.
Più sbilanciato il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio, che in un’intervista televisiva ha dichiarato che “va detto chiaramente che non c’è nessun coinvolgimento dell’Ucraina” nell’uccisione di Darya Dugina.
La pista russa
Circa le ipotesi sui responsabili dell’attentato non si può escludere nessuna pista, neppure quella interna alla Russia. La rapidità con cui l’FSB ha presentato prove e immagini della colpevole inducono alcuni a ipotizzare che siano stati i russi a provocare l’attentato per poi incolpare una cittadina ucraina rifugiatasi in un paese della NATO e cementare così il consenso intorno all’operazione militare speciale in Ucraina.
Un’opzione da non escludere, che trova ovviamente molti fans in Occidente come quella dell’azione compiuta da una fantomatica “resistenza armata” rivelata da Ilya Ponomarev, ex parlamentare alla Duma espulso per attività anti-russe e che da Kiev ha attribuito l’attentato all’Esercito Repubblicano Nazionale (NRA).
L’ex parlamentare durante un programma televisivo ha letto un comunicato del gruppo partigiano russo in cui la figlia di Dugin viene descritta come “obiettivo legittimo perché fedele compagna del padre, che sosteneva il genocidio in Ucraina”. Secondo Ponomarev, fonte non certo neutrale, l’NRA sarebbe pronto a condurre ulteriori attacchi simili contro obiettivi di alto profilo collegati al Cremlino, inclusi funzionari, oligarchi e membri delle agenzie di sicurezza. L’ex deputato, l’unico a votare contro l’annessione della Crimea nel 2014 e bandito da Mosca, è diventato cittadino ucraino nel 2019. Da Kiev, dopo l’invasione dell’Ucraina, ha lanciato un programma televisivo in lingua russa per dar voce all’opposizione.
Di certo a Mosca non si sono risparmiati i toni enfatici e patriottici nel porgere l’estremo saluto a Darya Dugina. “Un crimine vile e crudele” – ha dichiarato Vladimir Putin che ha insignito la giovane con l’Ordine del Coraggio alla memoria – “che ha spezzato la vita di una persona brillante e di talento, un vero cuore russo, gentile, amorevole, comprensivo ed aperto. Alla Patria ha dimostrato con i fatti cosa vuole dire essere patriota della Russia”.
Il prezzo più alto che si deve pagare può essere riscattato solo dal più alto risultato: la nostra vittoria – ha detto Alexander Dugin. “Darya ha vissuto per questa vittoria ed è morta in il nome di questa vittoria, la nostra vittoria russa, la nostra verità, la nostra fede ortodossa, il nostro Paese, il nostro Stato”.
La morte della giornalista ha del resto determinato in Russia un ampio sdegno nei confronti del regime di Kiev rafforzando il sentimento patriottico e il sostegno al conflitto.
Valutazioni
Circa le responsabilità dell’omicidio ogni ipotesi resta aperta in base ai pochi elementi certi e verificabili anche se appare esagerata la tendenza propagandistica ucraino-occidentale che da settimane sostiene che i russi “si bombardino da soli”: prima colpendo i campi di prigionia nei territori da loro controllati in Donbass, poi con bombardamenti reiterati su una centrale nucleare da marzo nelle loro mani e ora compiendo attentati a Mosca.
Per questo la pista ucraina resta forse la più probabile. Così come molti ucraini hanno il doppio passaporto russo, molti cittadini russi sono di origine ucraina e solo dal Donbass sono stati accolti in Russia oltre 3,5 milioni di civili in fuga dalla guerra (per Kiev sarebbero “deportati”). Infiltrazioni non sono quindi difficili da attuare né sono a volte necessarie considerato che potenzialmente molti ucraini vicini a Mosca vivono in aree controllate da Kiev e molti sostenitori del governo ucraino vivono nei territori in mano ai russi o nella Federazione Russa.
Del resto come i sabotatori ucraini compiono incursioni contro depositi di munizioni e obiettivi militari in Crimea nei territori russi vicini al confine (l’ultimo in ordine di tempo sarebbe avvenuto ieri sera nella regione russa di Belgorod), nelle aree dell’Ucraina sotto il controllo russo si sono già verificati attentati dinamitardi contro singoli individui, amministratori filo-russi o “collaborazionisti”
Il più recente è accaduto questa mattina e ha coinvolto un funzionario filo-russo della provincia di Zaporizhzhia, Ivan Sushko, capo dell’amministrazione militare-civile del villaggio di Mikhailovka, morto dopo che un ordigno esplosivo era stato piazzato sotto la sua auto.
“A seguito dell’esplosione Ivan Sushko è stato ferito e portato in condizioni critiche in ospedale, dove successivamente è morto”, ha reso noto Vladimir Rogov, membro del consiglio nominato dalla Russia nell’oblast di Zaporizhzhia.
Che questa come altre in precedenza siano opera di “terroristi” o “partigiani” è una questione di punti di vista, ma è evidente che unità di sabotatori/attentatori fedeli a Kiev o in ogni caso ostili a Mosca hanno dimostrato la capacità di condurre azioni dinamitarde anche minando automobili.
Non si può quindi escludere che operazioni del genere vengano attuate anche in territorio russo contro obiettivi politici o simbolici, quali intellettuali e giornalisti che sostengono l’operazione militare russa in Ucraina.
In questo contesto è più che naturale che Kiev neghi ogni coinvolgimento, poiché nessun governo rivendica mai la paternità di azioni terroristiche ed eliminazioni mirate, ma anche volendo escludere i servizi segreti militari ucraini dalla lista dei sospetti resta aperta l’ipotesi che l’attentato sia opera di organismi che non necessariamente hanno agito per ordine dello stato.
Una parte dei servizi di sicurezza interni è in aperta ostilità con il presidente Volodymyr Zelensky che ha rimosso in luglio il direttore dell’SBU Ivan Bakanov e diversi dirigenti regionali con l’accusa di tradimento o di negligenza nei confronti di spie e collaborazionisti al servizio di Mosca (nella foto sotto l’arresto di una presunta spia da parte degli uomini dell’SBU).
Zelensky ha annunciato una “revisione dei dirigenti” all’interno dell’intelligence e delle forze armate. Il 21 agosto il direttore regionale dell’SBU di Kirovograd dal gennaio 2021, Oleksandr Nakonechny, è stato trovato morto nella sua abitazione dove probabilmente si è suicidato.
Anche i partiti neonazisti Svoboda e Pravy Sektor così come i gruppi nazionalisti legati agli stessi ambienti oligarchici che finanziano i reggimenti neo nazisti (Azov, Aydar e altri) non sono immuni da sospetti: di certo hanno la capacità e potrebbero avere anche l’interesse a colpire a Mosca i sostenitori più accesi dell’intervento russo.
Soggetti che potrebbero aver voluto colpire un bersaglio noto al pubblico anche per mostrare ai russi la loro vulnerabilità e seminare il terrore a Mosca, che non vede un’ondata di attentati dalla stagione del terrorismo ceceno di matrice jihadista.
L’FSB ha annunciato l’arresto di un cittadino russo sostenitore del Battaglione Azov, che avrebbe pianificato un attacco terroristico contro la Flotta del Mar Baltico e all’aeroporto locale di Khrabrovo. Secondo una nota “nella città di Kaliningrad è stato identificato e arrestato un residente locale, cittadino della Federazione Russa, nato nel 1967, aderente all’organizzazione Azov”, classificata come terroristica in Russia. L’uomo avrebbe preso ordini da coordinatori del gruppo Azov in Ucraina.
Il rischio che organizzazioni ultra-nazionaliste dell’estrema destra neonazista ucraina attuino azioni terroristiche oggi in Russia e domani forse anche in altre nazioni contro obiettivi russi o ritenuti “filo-russi” non dovrebbe venire sottovalutato, specie in Europa dove sono residenti o sono stati accolti come rifugiati milioni di cittadini ucraini tra i quali non mancano gli aderenti e i simpatizzanti di questi gruppi attualmente considerati eversivi solo in Russia.
Quanto all’uccisione di Darya Dugina non si può neppure escludere l’iniziativa di qualche servizio segreto straniero (ben presenti a Kiev) interessati ad innalzare ulteriormente la tensione e a determinare un’escalation utile a minare ogni ipotesi di negoziato che porti a un cessate il fuoco, come quello su cui si adopera la Turchia e che auspicano molti ambienti in molti paesi europei dove l’inverno porterà il tracollo energetico ed economico (ieri la Bulgaria ha annunciato che riaprirà i negoziati con Gazprom per ottenere nuove forniture di gas).
Non è forse un caso che, come ha sottolineato Newsweek, che ieri il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu (bella foto sopra) abbia dichiarato in un’intervista ad Haber Global TV che “ci sono paesi in Occidente che vogliono che la guerra in Ucraina continui e tra loro vi sono nazioni aderenti alla NATO, non solo gli Stati Uniti ma anche altri partner” aggiungendo che alcuni stati membri della NATO (ma non gli USA), hanno cercato di sabotare l’accordo sul grano che ha permesso la riapertura dei porti ucraini sul Mar Nero.
Foto: TASS, FSB, Ministero della Difesa Ucraino e Polizia di Mosca
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.