Legione Straniera
La Legione straniera, il corpo militare d’élite dell’esercito francese, ha sempre infiammato la fantasia delle giovani generazioni, attratte dalla leggenda che la circonda, interessate dal mistero che l’avvolge, intrigate dalle prospettive che offre. Nell’immaginario collettivo, il legionario era un uomo che fuggiva da qualcuno o qualcosa: entrando nella Legione, egli diventava una persona diversa, iniziava una vita nuova.
Tutte le colpe gli venivano cancellate, tutte le pene assolte. Aveva una nuova patria per cui combattere e morire, al motto di Legio Patria Nostra.
La Legione, oggi, mantiene alcune regole e consuetudini del passato, ma è paragonabile, quanto a livello d’addestramento e determinazione, al Sas britannico o al Navy Seal americano. Questo libro ripercorre la storia della Légion étrangère nelle sue diverse mutazioni, evocandone le pagine oscure, i momenti di gloria, le miserie e le generosità, raccontando la leggenda di chi trovò una nuova famiglia tra le fila del corpo militare più affascinante della storia.
Domenico Vecchioni, diplomatico, ha ricoperto importanti incarichi alla Farnesina e all’estero.
La sua ultima missione è stata quella di ambasciatore d’Italia a Cuba. Dopo aver lasciato il servizio attivo, si è dedicato alla divulgazione storica, con particolare predilezione per le biografie politiche e il mondo dello spionaggio.
Collabora con diverse riviste storiche, in particolare «Bbc History Italia» e Conoscerelastoria.it.
È autore di una trentina di libri. Per Diarkos ha pubblicato I signori della truffa. Inganni e raggiri che hanno fatto epoca (2021) e Pablo Escobar. Vita, amori e morte del “re della cocaina” (2021).
Introduzione
Per il visionario imperatore dei francesi Napoleone III, il Messico appariva come la storica opportunità di costruire ai tropici un impero “cattolico” e francofono, che avrebbe sbarrato la strada all’influenza “pro[1]testante” e anglofona degli Stati Uniti, in quel mo[1]mento peraltro impegnati nella Guerra di secessione.
Un “grande pensiero” alimentato anche dalle velleità dell’imperatrice Eugenia, cattolica fervente, sempre più coinvolta nelle questioni di Stato pur non avendo alcuna esperienza politica, che sognava di mettere un principe europeo sul futuro trono messicano. Nel 1862, il presidente Benito Juárez, sospendendo il pagamento del debito estero, fornì all’imperatore francese l’alibi tanto atteso per intervenire. L’operazione decisa da Parigi per rimettere ordine nelle questioni interne del Paese e, allo stesso tempo, so[1]stenere la proclamazione di Massimiliano d’Asburgo quale imperatore del Messico, fu inizialmente appoggiata anche da Spagna e Gran Bretagna, Paesi che vantavano grossi crediti nei confronti dello Stato centroamericano.
D’altra parte i dispacci diploma[1]tici che arrivavano a Parigi dall’ambasciata in Messico, evidentemente non troppo lucidi e del tutto 6 scollegati dalla realtà del Paese, assicuravano che la popolazione locale, stanca della dittatura di Juárez, aspettava con gioia i francesi, considerati come liberatori. La loro marcia su Città del Messico avrebbe assunto i contorni del trionfo e Massimiliano d’A[1]sburgo, fratello di Francesco Giuseppe, sarebbe stato acclamato imperatore del Messico. L’entusiasmo dei francesi, tuttavia, fu presto ridimen[1]sionato.
Il primo scontro con le truppe messicane, il 5 maggio 1862 davanti alla città di Puebla, si risolse, in effetti, in una cocente sconfitta. Il Cinco de Mayo (“cinque maggio”) ancora oggi è la data in cui si celebra la festa nazionale messicana, tanta fu l’importanza, anche simbolica, attribuita alla sconfitta inflitta ai francesi, visti non come liberatori, ma piuttosto come conquistatori (il cinque maggio è ricordato come el Día de la Batalla de Puebla). Per Parigi, dunque, intenzionata a continuare l’impresa, era assolutamente necessario inviare consi[1]stenti rinforzi nel teatro di guerra messicano.
Fu in quei frangenti che alcuni ufficiali della Legione straniera di stanza a Sidi Bel Abbès in Alge[1]ria, uomini alla permanente ricerca di gloria e di avventure, spedirono direttamente una petizione al ministro della Guerra chiedendogli di essere impiegati in Messico, in appoggio delle truppe regolari che stavano incontrando grosse difficoltà.
La petizione in definitiva fu accolta ma, paradosso della situazione, gli ufficiali che l’avevano firmata furono in seguito puniti perché non avevano rispettato la via gerarchica. Il regolamento era il regolamento! Finalmente, nel gennaio 1863, la Legione ricevette l’ordine di organizzare la spedizione che avrebbe impegnato circa 2000 legionari (due battaglioni di sette compagnie), comandati dal colonnello Pierre 7 Jeanningros, in appoggio al corpo di spedizione francese guidato dal generale François Bazaine.
La loro missione sarebbe stata quella di pattugliare la regione delle Terre Calde (Tierras calientes) e di scortare i convogli, costantemente attaccati dai governativi, che trasportavano viveri, armi e denaro dal porto di Vera Cruz a Puebla passando per Chiquihuite, dove si sarebbe installato Jeanningros con il suo “reggimento straniero”, il più antico della Legione. I legionari avrebbero operato in un ambiente piuttosto ostile ai francesi. Le truppe inviate da Parigi si erano alleate con i conservatori messicani che si opponevano al presidente liberale Benito Juárez, un indiano zapoteco, molto popolare tra la massa dei diseredati e considerato una sorta di rigeneratore della patria, una patria che fino ad allora aveva assolutamente trascurato i meticci, gli indiani e i neri, lasciando ai bianchi (a quell’epoca appena 800 mila) la gestione del potere politico.
Convinti alla partenza di avere a che fare con pochi nativi incapaci di affrontare un esercito moderno e ben equipaggiato, i francesi dovettero presto ricredersi. Si ritrovarono, in effetti, a dover fronteggiare combattenti molto motivati, ben armati e ansiosi di respingere gli invasori del loro Paese. Il 29 aprile 1863, il colonnello Jeanningros venne a sapere che un importante convoglio, composto di 64 carri e 150 muli, partito da Vera Cruz e destinato alle truppe che cingevano d’assedio Puebla si era fermato nella città di La Soledad.
Un convoglio che faceva particolarmente gola alle truppe regolari messicane perché trasportava fucili, pezzi d’artiglieria, munizionamento vario, medicinali, viveri e una grossa quantità di denaro: 4 milioni di franchi in monete d’oro. Una sua fonte lo informò tempestivamente che quel convoglio sarebbe stato senza dubbio attaccato dai governativi messicani. L’informazione era del tutto credibile. Proveniva da una ragazza india, domestica presso il quartier generale della Guardia Nazionale, che aveva personalmente sentito parlare del futuro attacco.
Innamorata di uno dei messicani che guidavano i carri del convoglio, aveva voluto proteggere la vita del suo amato, rivelando il segreto ai legionari francesi. Jeanningros, convinto della bontà dell’informazione, decise di inviare la terza compagnia per accompagnare il prezioso convoglio fino alla destinazione prevista. Così, all’alba del 30 aprile, i legionari si mossero da Chiquihuite al comando del capitano Jean Danjou, aiutante maggiore del reggimento offertosi volontario per la missione.
Gli ufficiali addetti alla compagnia, in effetti, erano stati tutti colpiti dalla febbre gialla, che in quella zona imperversava, ed erano ricoverati in ospedale. La composizione del gruppo era piuttosto eteroclita, tipica della Legione straniera: c’erano tedeschi, polacchi, svizzeri, belgi, danesi, italiani, spagnoli e qualche francese. Gli ufficiali, secondo la tradizione, erano francesi. Tutti avrebbero seguito il percorso a piedi, compresi questi ultimi. I cavalli scarseggiavano e non si voleva introdurre una qualche distinzione di trattamento tra graduati e truppa. La compagnia ebbe così a disposizione solo qualche mulo per trasportare viveri, munizioni e bidoni d’acqua potabile. Se i francesi avevano ricevuto la soffiata dell’attacco contro il convoglio, i messicani, a loro volta, erano stati informati della partenza della compagnia francese.
I sessantadue legionari della compagnia non sapevano dunque di essere seguiti e spiati dal colonnello messicano Francisco de Paula Milán, che era alla testa di 2000 fanti e altrettanti cavalieri. In prospettiva, una battaglia tremendamente impari…
Superato il villaggio di Camarón de Tejeda (55 chilo[1]metri a ovest di Vera Cruz), la compagnia arrivò a Palo Verde, una sorta di radura molto scoperta, dopo aver percorso 24 chilometri a marce forzate.
Qui Danjou si accorse che i messicani lo stavano seguendo ed erano in procinto di attaccarlo. Ordinò allora di ripiegare verso il villaggio che avevano appena superato, nella speranza di trovarvi una qualche forma di protezione. Vana speranza. Camarón era solo un borgo fantasma, dove non c’era che una fattoria-deposito abbandonata e in rovina, con mura fatiscenti. Prima ancora che ne potessero prendere possesso, i legionari subirono ben due attacchi della cavalleria messicana, che respinsero però con grande determinazione, formando un quadrato inespugnabile e combattendo con incredibile coraggio, con sicura professionalità, sparando a tempo debito noncuranti del pericolo e non temendo la morte.
Molti di loro caddero, forse il gruppo non avrebbe potuto resistere a un altro attacco: i messicani, tuttavia, non ci riprovarono una terza volta, avendo constatato che il prezzo da pagare era troppo alto. Respinta la cavalleria, i legionari si rifugiarono all’interno della fattoria, che fortificarono come meglio riuscirono. Ma oramai erano completamente circondati. Per colmo di sfortuna avevano perso i muli che trasportavano provvigioni e munizionamento. Invitati ad arrendersi, rifiutarono.
Non avevano da mangiare né da bere, ma restava loro ancora qualche riserva di munizioni. No, non si sarebbero arresi, avrebbero combattuto fino all’ultimo, replicò al nemico il capitano Danjou. Questa era l’ideologia della Legione, questa la filosofia dei legionari: combattere per la causa con fedeltà, onore e coraggio. Fino alla fine. I messicani tentarono allora di farli uscire allo scoperto, mettendo a fuoco la fattoria. La resistenza, tuttavia, continuò. Durante un violento scontro a fuoco, il capitano Danjou fu colpito a morte.
Poco dopo cadeva anche il sottotenente Jean Vilain, che l’aveva sostituito nel comando. Alle cinque del pomeriggio, i legionari rimasti in vita erano solo 12. Il colonnello messicano era inferocito con i suoi uomini, che non riuscivano ancora a venire a capo di uno sparuto manipolo di combattenti, anche se coraggiosi e determinati. Insomma, per più di nove ore i legionari fecero fronte agli assalti delle truppe messicane. In serata, i legionari sopravvissuti erano solo sei. E avevano finito le munizioni. Non importava, avrebbero combattuto con la baionetta in canna. Gli scontri continuarono, altri tre legionari caddero, gravemente feriti. Per i tre ancora in grado di combattere non v’era più alcuna possibile via d’uscita. Un tenente messicano allora ingiunse loro di arrendersi. Pur stremati da una giornata d’intensi e ininterrotti combattimenti, che aveva visto i loro commilitoni cadere uno dopo l’altro, i tre si dissero disposti a desistere, ma a due condizioni: avere la promessa formale che i feriti gravi sarebbero stati curati e poter conservare le proprie armi.
La risposta messicana diede la misura di quanto l’eroismo dei legionari avesse colpito le truppe nemiche. «A degli uomini coraggiosi come voi», disse in sostanza il tenente, «non si può rifiutare nulla!»
Intanto, un soldato messicano aveva fortunosamente ritrovato la mano di legno di Danjou, di cui l’ufficiale si serviva già da diversi anni, ovvero da quando un’esplosione gli aveva causato l’asportazione dell’arto. Un ritrovamento a prima vista insignificante, ma che acquistò invece col tempo una possente forza simbolica. Si trasformò in una delle icone più rispettate e celebrate della Legione, simbolo di abnegazione e di sprezzo del pericolo.
In quella sfortunata battaglia nacque anche un altro mito “romantico” della Legione, quello del beau geste, il gesto nobile di generosità estrema, anche se la posta in gioco fosse stata la vita. Nel corso dell’ultimo combattimento all’arma bianca, il soldato Catteau morì proteggendo con il suo corpo il sottotenente Maudet, che aveva sostituito Vilain. Un genuino esempio di beau geste.
Un’espressione entrata nel linguaggio comune per indicare fair play e altruismo e che sarà anche il titolo di una saga cinematografica dedicata alla Legione straniera. I sopravvissuti alla cruenta battaglia furono quindi presentati al colonnello Milán che, secondo la vulgata, avrebbe esclamato: «Ma questi non sono uomini, sono diavoli».
In 62 avevano resistito per un’intera giornata, tenendo impegnato un esercito di 2000 fanti e cavalieri, infliggendo notevolissime perdite al nemico. Se quasi 60 legionari persero la vita negli scontri, nel campo messicano le vittime furono circa 300!
Un guadagno di tempo peraltro essenziale per il convoglio, che fu così in grado di proseguire la sua strada senza essere attaccato. Per la Legione Straniera, dunque, quella di Camarón fu una “missione compiuta”. I legionari non si erano sacrificati invano. Il convoglio si rivelò di straordinaria importanza per le truppe regolari francesi, che un mese dopo entrarono a Città del Messico.
Era così nata la leggenda della Legione straniera francese, un corpo di “irregolari” ben addestrati, composto da uomini duri e coraggiosi con le loro re[1]gole, la loro disciplina, il loro codice d’onore. Combattenti formati per resistere a ogni circostanza e, se 12 necessario, pronti anche a morire. Camarón divenne l’emblema del coraggio legionario. In effetti, l’anniversario della battaglia viene ricordato ogni anno in tutte le caserme della Legione.
Il 30 aprile si svolgono cerimonie fétiches alla quale nessun legionario mancherebbe mai di assistere, per nessun motivo.
C’è sempre molta emozione quando il reduce più meritevole sfila con la teca di vetro che custodisce la mano di legno del capitano Danjou il quale, nonostante la menomazione e nonostante fosse circondato da un’armata nemica, non volle arrendersi, ben sapendo che sarebbe andato incontro alla morte. Un’iscrizione, posta su una lastra di una delle fosse comuni, riassume in poche parole la tragedia e la gloria della battaglia: Furono meno di sessanta ad affrontare tutto un esercito. La sua massa li schiacciò. La vita e non il coraggio venne meno a questi soldati francesi. 30 aprile 1863.
Se la leggenda della Legione straniera nacque nella battaglia di Camarón, la sua storia era cominciata un trentennio prima. Una storia che si confonde con quella della Francia. Ve la raccontiamo
Domenico Vecchioni
Legione straniera: Storia, regole e personaggi
Editore: Diarkos
Collana Storie
Formato 14 x 21 cm
Pagine 272
Prezzo 18,00
EAN 9788836161881
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