Il nuovo corso delle operazioni russe in Ucraina

 

 

(aggiornato alle ore 23,40)

L’attentato al Ponte di Crimea e la nomina del generale Sergey Surovikin alla testa delle forze di Mosca schierate in Ucraina sembrano aver determinato una svolta rilevante nel conflitto e un rapido mutamento nelle operazioni russe in una guerra che secondo l’ONU ha provocato finora almeno 6.374 vittime e 9.776 feriti tra i civili in base a stime ritenute sottodimensionate.

L’aspetto più evidente è l’attacco, quotidiano e concentrato, condotto con droni-kamikaze e missili da crociera contro le infrastrutture energetiche in Ucraina che nelle ultime due settimane ha colpito molte regioni mettendone alcune al buio (insieme a oltre 1,5 milioni di persone) e obbligando il governo di Kiev a razionare l’energia elettrica in altre. Particolarmente gravi i danni alla rete a Odessa, Nikolaev e in tutto il sud dell’Ucraina paralizzando il trasporto ferroviario che assicura l’afflusso di truppe, mezzi, armi e munizioni al fronte di Kherson e a quello del Donbass.

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Kiev lamenta blocchi o difficoltà anche al traffico Internet e ha ammesso il 22 ottobre di aver perduto il 40 per cento della sua capacità elettrica, elemento che rafforza le pressioni sull’Occidente per ottenere sistemi di difesa aerea.

“Continuiamo a lanciare attacchi con armamenti ad alta precisione alle strutture militari e infrastrutturali che influenzano l’efficacia in combattimento delle truppe ucraine” ha detto Surovikin (nella foto sopra) in un’intervista televisiva (a questo link con sottotitoli in italiano).

L’obiettivo strategico di Mosca, secondo alcune fonti messo a punto di concerto col ministro della Difesa Sergey Shoigu (nella foto sotto) appare quindi triplice: mettere in crisi il sistema di rifornimenti delle truppe in prima linea, impedire a Kiev di esportare parte della sua produzione elettrica nei paesi europei già in forte deficit energetico e minare il consenso popolare nei confronti del governo ucraino complicando la vita della popolazione poiché l’assenza o la carenza di energia elettrica condiziona pesantemente anche il pompaggio idrico, il riscaldamento e la rete Internet.

Per il generale polacco in pensione, Roman Polko, ex comandante delle forze speciali, i russi cercano di impegnarsi in meno scontri sul campo concentrandosi sulla distruzione delle infrastrutture critiche in Ucraina “con risultati molto positivi”, ovviamente per Mosca.

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Kiev infatti, oltre alle armi, ha iniziato a chiedere all’Occidente anche dispositivi civili, in particolar modo generatori mobili di energia elettrica. Il timore, che dovrebbe preoccupare l’Europa, è quello di uno “tsunami migratorio” che veda di nuovo milioni di ucraini riversarsi a ovest a causa della mancanza dei servizi essenziali come ha paventato il premier ucraino Denys Schmyhal, intervistato dal quotidiano tedesco FAZ.

Benché in Europa e USA prevalga la retorica che identifica la causa Ucraina con quella della libertà e della democrazia non va dimenticato che Volodymyr Zelensky ha messo a tacere ogni opposizione mettendo fuori legge ben 12 partiti politici e penalizzando ogni dissenso intellettuale o giornalistico mentre una legge emanata ad hoc punisce con il carcere chi esprime valutazioni sul conflitto difformi da quelle governative.

Un tema, quello del dissenso nei confronti del regime di Kiev legato anche alla mobilitazione generale, alle gravi perdite in combattimento e alle pessime condizioni di vita, quasi del tutto ignorato dai media occidentali ma che potrebbe avere un peso nelle capacità future di Zelensky e del suo governo di gestire il conflitto.

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Anche tenendo conto che l’Ucraina già prima della guerra non poteva certo venire considerata un paradiso della democrazia e dei diritti umani e civili come Analisi Difesa aveva evidenziato già nel giugno scorso.

L’Istituto per lo studio della guerra (ISW), think-tank statunitense allineato su posizioni ostili alla Russia, valuta che Mosca voglia indebolire la volontà degli ucraini di combattere e costringere il governo a impegnare risorse aggiuntive per proteggere i civili e le infrastrutture energetiche invece di indirizzarle nella controffensiva sui fronti bellici.

“La campagna russa che prende di mira le infrastrutture energetiche ucraine sta creando una tragedia umanitaria senza alterare in modo significativo la situazione sul campo di battaglia, poiché le interruzioni di corrente combinate con il clima invernale e i danni alle case aumenteranno solo la sofferenza dei civili”, si legge nel rapporto quotidiano stilato dall’istituto americano che sembra però dimenticare due aspetti.

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Il primo è che il blocco al sistema energetico ucraino penalizza anche le capacità logistiche e industriali ucraine di sostenere lo sforzo bellico e il secondo è che bombardamenti mirati esclusivamente su obiettivi civili privi di infrastrutture strategiche vengono effettuati da mesi dall’artiglieria di Kiev sul centro abitato di Donetsk, “capitale” dei secessionisti dell’omonima regione del Donbass.

Inoltre l’offensiva condotta con droni kamikaze Geran-2 di concezione iraniana e missili da crociera smentisce le ipotesi circa l’imminente esaurimento delle scorte di armi di precisione a lungo raggio russe, ventilate in più occasioni da diverse fonti occidentali fin dall’aprile scorso, evidenziando come Mosca avesse finora cercato di risparmiare agli ucraini la paralisi dei servizi essenziali.

Un ulteriore indizio che i russi puntano a trovare un accordo per chiudere il conflitto che sancisca l’annessione di parti del territorio ucraino come le quattro regioni interessate dai referendum di fine settembre.

 

Droni-kamikaze e difesa aerea

Nonostante le incursioni contro le infrastrutture energetiche, gli attacchi si sviluppano soprattutto di notte per ridurre i rischi di danni collaterali e il numero di vittime civili indicato da Kiev resta limitato rispetto al numero di ordigni lanciati e risulta in parte imputabile alle ricadute sui centri abitati di armi antiaeree o di armi russe intercettate dalla difesa aerea ucraina che ha ricevuto e reso operativi nei giorni scorsi anche due batterie di NASAMS forniti dagli Stati Uniti, come ha confermato alla CNBC TV  Greg Hayes – amministratore delegato di Raytheon Technologies.

Il 25 ottobre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha rinnovato in un’intervista al Corriere della Sera, la richiesta all’Italia di sistemi missilistici per la difesa aerea.

Il giorno precedente Zelensky aveva esortato Israele ad abbandonare la sua neutralità nel conflitto ucraino ipotizzando che Mosca ricambi gli aiuti iraniani in termini di droni e forse altri armamenti con supporto tecnico al programma nucleare di Teheran. Una fonte ucraina, citata dal New York Times, ha riferito del coinvolgimento dell’intelligence israeliana nel fornire informazioni “utili per colpire i droni iraniani” Shaed-136/Geran-2.

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Secondo il comandante del Direttorato per l’Intelligence del ministero della Difesa ucraino, Kyrylo Budanov, circa il 30% dei droni Shahed-136 di fabbricazione iraniana lanciati dalle forze russe sull’ Ucraina ha colpito il bersaglio dei 330 lanciati tra il 22 e il 24 ottobre dei quali ben 222 sarebbero stati abbattuti e 108 (il 32,7%) sono andati a segno o sono caduti vicino all’ obiettivo.

Il 28 ottobre il portavoce dell’Aeronautica Ucraina, Yuriy Ihnat, in un briefing ha reso noto che i droni kamikaze Shahed-136 abbattuti sono 300. Numeri che nessun osservatore neutrale ha potuto verificare mentre Budanov  ha riferito che la Russia ha ordinato circa 1.700 droni-kamikaze di questo tipo che vengono consegnati in lotti da 300 unità a bordo di velivoli cargo.

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Oltre ai consulenti iraniani, secondo Foreign Policy, i russi starebbero puntando ad affiancare combattenti stranieri alle loro truppe puntando soprattutto sul bacino dei membri delle forze speciali afghane addestrate da statunitensi e alleati della NATO e poi abbandonati a loro stessi dopo il ritorno dei talebani a Kabul. Il tema è stato già sviluppato in questo articolo in cui si evidenziano le difficoltà a valutare l’attendibilità delle fonti citate e la veridicità di un programma di reclutamento che sarebbe gestito dal Gruppo Wagner.

Finora, nonostante fonti ufficiali e media statunitensi abbiano denunciato più volte la presenza di combattenti stranieri (siriani, hezbollah libanesi, nordcoreani e ora afghani) al fianco dei russi, sui campi di battaglia le uniche presenze di stranieri riscontrate hanno riguardato volontari o contractirs, per lo più occidentali, schierati con gli ucraini.

 

Il “fronte bielorusso”

Fonti dell’opposizione bielorussa (Centro di Resistenza Nazionale bielorusso) sostengono che militari iraniani appartenenti al Corpo della Guardie della Rivoluzione (pasdaran) sarebbero attivi nella base Mykulichi, nella regione di Gomel (non lontano dal confine ucraino) come istruttori per addestrare i militari russi di stanza nel paese e forse anche i bielorussi all’impiego dei droni-kamikaze Sahed 136/Geran-2 lanciati dal territorio bielorusso contro obiettivi a Kiev e nell’Ucraina Occidentale.

Gli ufficiali iraniani sarebbero “sotto la protezione della Guardia Nazionale russa e degli ufficiali dei servizi di sicurezza FSB”.

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La tensione tra Ucraina e Russia è tornata  alle stelle in ottobre dopo l’annuncio che truppe russe avrebbero costituito una forza congiunta con quelle di Minsk a scopo di deterrenza. I primi soldati russi di tale forza sono arrivati  il 15 ottobre, come ha annunciato il ministero della Difesa di Minsk.

“I primi convogli di militari russi del gruppo di forze regionali sono arrivati in Bielorussia”, ha affermato il ministero, aggiungendo che la loro missione è “esclusivamente rafforzare la protezione e la difesa del confine”.  Il 10 ottobre il presidente Alexander Lukashenko ha dichiarato che l’Ucraina porta avanti un piano per attaccare la Bielorussia giustificando in tal mondo la costituzione della forza congiunta con Mosca.

Lukashenko ha accusato Polonia, Lituania e Ucraina di addestrare i radicali bielorussi “a compiere sabotaggi, attacchi terroristici e organizzare un ammutinamento militare nel Paese”. Il dispiegamento ha sollevato timori che tale forza congiunta, dell’entità di almeno una divisione, possa aprire un nuovo fronte penetrando in Ucraina da nord, come fecero le truppe russe all’inizio dell’operazione speciale, quando dal territorio bielorusso puntarono verso Kiev da due direzioni diverse.

Anche se Minsk ha chiarito che il contingente ha compiti “puramente difensivi” e le sue truppe finora non sono state coinvolte nelle operazioni belliche, il presidente ucraino Zelensky ha accusato la Russia di “cercare di coinvolgere direttamente la Bielorussia in questa guerra”.

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Del resto il 17 ottobre il ministero della Difesa della Bielorussia ha comunicato che la possibilità che il contingente congiunto russo-bielorusso potrebbe compiere attacchi preventivi se minacciato: “La Repubblica di Bielorussia si riserva il diritto di adottare misure preventive di deterrenza strategica per prevenire un attacco”.

L’entità delle forze di Mosca schierate in Bielorussia comprenderebbe circa 9.000 militari rinforzati, secondo quanto riferito dalla TASS il 17 ottobre, “con l’arrivo dalla Russia di 170 carri armati, 200 veicoli da combattimento e 100 cannoni e mortai”.

Se è difficile ritenere che Lukashenko intenda coinvolgere direttamente le sue forze nel conflitto in Ucraina è evidente che lo schieramento della forza congiunta russo-bielorussa ai confini imporrà a Kiev di mantenere un certo numero di forze militari a presidiare le regioni settentrionali, lontane quindi dai fronti bellici meridionali e sud-orientali.

 

La situazione militare

La nuova strategia attuata da Mosca sui fronti ucraini non si limita a colpire a distanza le infrastrutture elettriche ma comincia ad assumere una precisa fisionomia anche sui campi di battaglia.  Il generale Surovikin, ha recentemente definito “tesa” la situazione militare a causa degli attacchi ucraini sui fronti orientale (Kupyansk, Krasny Liman) e meridionale (Kherson- Nikolayev–Krivoy Rog).

“Le forze armate ucraine intendono sfiondare le nostre difese e a tal fine stanno portando tutte le riserve disponibili in prima linea. Di solito si tratta di unità di difesa territoriale che non sono state completamente addestrate e hanno il morale basso”.

Secondo Surovikin, Kiev sta mandando all’assalto tutte le forze disponibili nonostante perdite stimate tra i 600 e i 1.000 caduti al giorno e impiegherebbe distaccamenti di “nazionalisti” nelle retrovie col compito di sparare a tutti coloro che cercano di abbandonare il campo di battaglia.

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Al netto dei toni propagandistici che dominano gli interventi pubblici dei leader delle due nazioni in guerra, è difficile verificare una simile notizia poiché in nessuno dei due lati del fronte vengono ammessi in prima linea osservatori neutrali.

Quella citata però è la stessa terribile tecnica utilizzata dalla polizia politica sovietica NKVD incaricata di impedire ritirate durante la battaglia di Stalingrado, quando vennero impiegate masse umane di soldati male armati e addestrati per fermare e respingere le truppe tedesche.

Di gravi perdite tra le truppe ucraine hanno riferito anche i reportage del Washington Post riportando che molti reparti non ricevono il cambio da mesi con calo di morale e disciplina determinato anche dalla convinzione che la stagione invernale e la mobilitazione dei 300 mila riservisti russi rovescerà i rapporti di forze sui campi di battaglia che finora hanno sempre visto le truppe di Kiev godere del vantaggio numerico.

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A confermare indirettamente l’elevato tasso di perdite sofferto dalle forze di Kiev contribuiscono anche fonti militari ucraine. Il colonnello Yuriy Maksimov, comandante del Centro per il reclutamento e il supporto sociale di Kiev (ex ufficio di arruolamento militare) in un’intervista al canale televisivo ucraino TSN, ha ammesso che l’esercito ucraino è a corto di uomini egli organici vanno integrati con nuove truppe con la mobilitazione di tutti gli uomini di età inferiore ai 60 anni.

“Dobbiamo aumentare il nostro potenziale. Vediamo tutti che il nostro esercito sta conducendo con sicurezza operazioni offensive in determinate aree. Ovviamente, dobbiamo avere un numero significativo di personale delle forze di difesa. Credo che la mobilitazione continuerà. Questa è una necessità”.

Circa la strategia russa Surovikin ha precisato di non perseguire ampie avanzate per risparmiare vite di militari e civili limitandosi a “macinare” il nemico che attacca.

Negli ultimi giorni i russi sono tornati all’offensiva nei settori di Kupyansk e Lyman, ai confini tra le regioni di Kharlkiv e Luhansk e in particolare tra Svatove e Kremina dove sono avanzati di alcuni chilometri e nelle ultime ore subiscono il contrattacco degli ucraini mentre a Bakhmut continuano a mantenere l’iniziativa per conquistare la città.

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Negli ultimi giorni i russi hanno diffuso immagini della costruzione di una linea difensiva fortificata a protezione del fronte di Luhansk. Una struttura difensiva chiamata “Linea Wagner” dal nome della compagnia militare privata russa Gruppo Wagner protagonista di molte battaglie il cui proprietario, Yevgheny Prigozhin, ne ha annunciato il 19 ottobre la costruzione.

Al 21 ottobre la linea difensiva costituita da trincee, fossati e ostacoli anticarro, era lunga appena 1,6 chilometri di fronte a Hirske come mostrano le foto scattate dai satelliti di Maxar Technologies.

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Come riferisce la tv russa Zvezda Tv si tratta di una seconda linea di difesa mentre altre fonti precisano che i lavori proseguiranno fino a raggiungere il confine russo ucraino e la città di Svitlodarsk per un’estensione di 217 chilometri.

La fortificazione potrebbe suggerire che Mosca sta “compiendo uno sforzo significativo per preparare difese in profondità dietro l’attuale linea del fronte, probabilmente per scoraggiare qualsiasi rapida controffensiva ucraina” ha scritto il 22 ottobre il bollettino quotidiano stilato dall’intelligence britannica, la cui diffusione pubblica ampiamente ripresa dai media ne lascia intendere la velleità di influenzare l’opinione pubblica occidentale.

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Le immagini diffuse non sono sufficienti a valutare la reale consistenza della linea difensiva in costruzione che potrebbe in realtà avere un valore soprattutto simbolico e mediatico, tesa cioè a far credere al nemico (come le dichiarazioni del generale Surovikin) che le forze di Mosca non abbiano in programma offensive su vasta scala ma puntino solo a consolidare le difese.

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Le nostre forze “stanno attualmente adottando misure per aumentare la consistenza delle unità militari e costituire  riserve aggiuntive preparando linee e posizioni di difesa lungo tutta la linea di contatto” che si estende in Ucraina per circa mille chilometri, ha detto il comandante russo.

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Quanto agli attacchi dall’aria il generale ha dichiarato che “l’operazione militare speciale ha dimostrato l’efficacia dei sistemi aerei e delle strutture di difesa aerea disponibili” aggiungendo che i velivoli hanno effettuato in 8 mesi di operazioni in Ucraina oltre 34.000 missioni di combattimento impiegando più di 7.000 ordigni aerei guidati mentre sono stato oltre 8.000 le missioni di droni e diverse tipologie di velivoli senza pilota da attacco che hanno distrutto oltre 600 obiettivi militari.

Da Kiev oggi il presidente Zelensky ha invece reso noto che dall’inizio dell’invasione i russi hanno effettuato 4.500 attacchi missilistici sull’Ucraina e più di 8.000 raid aerei.

Le valutazioni di Surovikin non trovano concordi molti osservatori occidentali che hanno evidenziato l’incapacità delle forze aeree russe ad acquisire il dominio dei cieli ucraini, peraltro sorvolati spesso da aerei statunitensi e di altre nazioni NATO con compiti di ricognizione, sorveglianza e guerra elettronica.

Nei già citati report dell’intelligence britannica è stata recentemente evidenziata la perdita da parte dei russi di almeno 23 elicotteri d’attacco Kamov Ka-52, pari a un quarto della novantina di elicotteri di questo tipo in servizio, (almeno 140 quelli ordinati) e a quasi la metà delle perdite complessive di elicotteri sofferte finora da Mosca.

Perdite che inducono Londra a ritenere che la Russia non sia in grado  di imporre e mantenere un’adeguata superiorità aerea per poter effettuare un efficace supporto aereo ravvicinato vicino alle truppe in prima linea.

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Gli elicotteri da combattimento operano a bassa e bassissima quota in un ambiente bellico ad elevata presenza di armi automatiche, anche di calibro consistente, impiegabili contro di loro e di missili antiaerei a corto raggio, anche portatili (MANPADS) che hanno rappresentato la causa maggiore degli abbattimenti.

L’elicottero resta quindi “intrinsecamente vulnerabile”, come hanno riscontrato anche gli statunitensi e i loro alleati nelle operazioni anti insurrezionali in Iraq e Afghanistan subendo perdite non irrilevanti pur contro nemici certo non così ben equipaggiati come l’esercito ucraino.

Semmai, il dato che emerge da questo conflitto convenzionale è l’elevato tasso di perdite tra i combattenti oltre a usura, danneggiamento e distruzione di mezzi e materiali uniti all’elevatissimo consumo di munizioni.

 

La lunga battaglia di Kherson

Circa la situazione nella regione di Kherson, il comandante russo ha confermato le difficoltà che affrontano le truppe russe e l’evacuazione oltre il Dnepr dei civili mentre gli ucraini con i razzi a lungo raggio lanciati dagli HIMARS statunitensi hanno danneggiato il ponte Antonovka, la diga della centrale idroelettrica di Kakhovka dove il traffico è stato a lungo interrotto e cercano di bersagliare il ponte di chiatte e i traghetti impiegati per trasferire truppe, armi e civili.

Di questi ultimi almeno 25 mila avevano lasciato la riva destra del Dnepr il 24 ottobre quando le autorità filorusse hanno esortato i residenti della città di Kherson ad andarsene.

Lo stesso giorno il vicegovernatore della regione Kirill Stremousov ha consigliato gli abitanti “di lasciare la città e la sponda occidentale del Dniepr” prendendo “documenti, denaro, oggetti di valore e vestiti” e aggiungendo che “non rinunceremo a Kherson”.

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Il 26 ottobre Vladimir Saldo, governatore russo della regione, ha riferito al canale televisivo Krym 24 che dal 19 ottobre “più di 70.000 civili hanno lasciato le loro case nella regione di Kherson”.

In questo settore i russi si stima schierino circa 20 mila militari sulla riva sinistra (che nelle ultime settimane hanno ricevuto almeno 2mila rinforzi) ma da quasi due mesi con continue offensive gli ucraini hanno guadagnato terreno e bersagliano i punti di transito sul fiume impiegati per rifornire le guarnigioni russe.

Secondo molti osservatori l’evacuazione dei civili potrebbe preannunciare un imminente ritiro delle truppe russe oltre il fiume che si svilupperebbe con una tattica tesa a rallentare l’avanzata nemica per permettere di far transitare oltre il fiume armi, mezzi, truppe e munizioni.

Secondo il capo dell’ intelligence ucraina Kyrylo Budanov le migliori unità russe sono attualmente a Kherson: truppe aviotrasportate, forze speciali e fanteria di Marina per un totale di 40.000 uomini schierati sulla riva destra del Dniepr. Budanov sostiene in un’ intervista a The Drive che “l’operazione militare per liberare Kherson durerà fino alla fine di novembre” ma numeri e qualità dei reparti russi impegnati, se trovassero conferma, potrebbero indicare che i russi intendono dare battaglia invece che riturarsi oltre il fiume.

Il 25 ottobre lo stato maggiore delle forze armate ucraine ha confermato che i russi stanno fortificando le posizioni difensive sulla riva sinistra del Dnepr ma è ovvio che l’abbandono della città di Kherson rappresenterebbe uno smacco per Mosca, anche dal rilevante valore simbolico.

Il ripiegamento oltre il fiume sarebbe in ogni caso un’operazione complessa, da effettuare sotto il fuoco nemico ma l’evacuazione dei civili, in gran parte favorevoli a vivere in territori controllati da Mosca, punta innanzitutto a sottrarli alle feroci rappresaglie che le forze di Kiev hanno attuato già in altre aree riconquistate, ad esempio nella regione di Kharkiv.

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In alternativa i russi potrebbero puntare a sgomberare i civili per trasformare la città, che prima della guerra contava 300 mila abitanti, in una grande ridotta in cui imporre agli ucraini uno snervante e sanguinoso combattimento urbano.

L’ amministrazione della città ha annunciato il 26 ottobre la costituzione di una “difesa territoriale” invitando tutti gli uomini rimasti in città ad arruolarvisi. “Per tutti gli uomini che desiderano rimanere a Kherson, nonostante la crescente minaccia alla sicurezza dovuta alle azioni dei nazionalisti ucraini, è stata creata l’opportunità di unirsi alle unità di difesa territoriale della città”, si legge nella nota.

L’amministrazione ha aggiunto che le forze di sicurezza (membri della Rosvguardia, la Guardia Nazionale russa composta da paramilitari) continuano a garantire la sicurezza in città. I residenti possono recarsi in qualsiasi momento sulla riva sinistra del Dnepr: “le barche partono ogni giorno dalla stazione fluviale per le città di Aleshki e Golaya Pristan”.

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In città russi avrebbero interrotto il 23 ottobre le connessioni internet, di telefonia mobile e le trasmissioni radiotelevisive secondo quanto riferiscono fonti militari ucraine.

L’istituzione di una milizia di difesa territoriale a Kherson, analoga a quella presente nelle città ucraine, conferma ancora una volta come questo conflitto sia anche una guerra civile, con cittadini ucraini che combattono gli uni contro gli altri per la difesa delle proprie città.

Fonti ufficiali ucraine hanno accusato nei giorni scorsi i russi di bombardare la diga della centrale idroelettrica di Novaya Kakhovka e di averla minata con l’obiettivo di allagare una vasta area che comprende circa 80 centri abitati ma un simile gesto non avrebbe ora alcun senso poiché l’inondazione taglierebbe fuori i militari russi sulla sponda destra del Dnepr condannandoli alla disfatta.

I russi però accusano gli ucraini di aver colpito la diga il 25 ottobre lanciando 19 razzi su Novaya Kakhovka, di cui tre hanno colpito la centrale idroelettrica senza provocare danni gravi, come ha annunciato il capo dell’amministrazione cittadina Vladimir Leontyev.

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Per ridurre i rischi i russi hanno ridotto la portata d’acqua dell’invaso che raggiunge i 18 milioni di metri cubi d’acqua: le forze di Mosca semmai potrebbero avere interesse a far esplodere la diga solo una volta completato il loro eventuale ritiro oltre il fiume mentre sarebbero gli ucraini ora a potersi avvantaggiare dal crollo dello sbarramento.

Del resto la strategia comunicativa di Kiev resta basata sull’accusare i russi di bombardare le installazioni che loro stessi controllano o possiedono: dal centro di prigionia nel Donbass alla centrale nucleare di Energodar, dal Ponte di Crimea ai gasdotti nel Mar Baltico e ora alla centrale idroelettrica di Novaya Kakhovka).

“I nostri ulteriori piani e azioni riguardanti la stessa città di Kherson dipenderanno dalla situazione militare e tattica. Opereremo consapevolmente, tempestivamente, non escludendo di prendere decisioni difficili” ha aggiunto Surovikin.

I russi a Kherson hanno quindi molte ragioni per evacuare i civili inclusa la possibilità di avere mano libera in una battaglia urbana con l’obiettivo di far avanzare il nemico in città esponendolo al fuoco delle artiglierie schierate al di là del fiume per logorarlo ed eventualmente contrattaccare con le truppe fresche in arrivo in seguito alla mobilitazione di 300 mila riservisti ordinata a fine settembre.

Secondo quanto riferito il 28 ottobre dallo stesso Putin e dal ministro della Difesa Shoigu la mobilitazione dei 300 mila riservisti (età media 35 anni) è stata completata in circa un mese: di questi 82 mila hanno raggiunto la zona di operazioni in Ucraina e 41 mila sono stati inquadrati nei reparti. “Circa 13.000 cittadini si sono offerti volontari prima di ricevere le notifiche di richiamo alle armi e sono stati inviati ai reparti come volontari” ha precisato il ministro secondo quanto riportato dalla TASS aggiungendo che “non si prevedono altri richiami” di riservisti e le truppe continueranno ad essere integrate solo “con volontari e militari professionisti”.

 

@GianandreaGaian

Foto: Ministero Difesa Russo, Ministero Difesa Ucraino, Ministero Difesa Bielorusso, Maxar e FAN

Mappe: ISW

 

 

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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