Come cambia la galassia jihadista in Siria all’ombra di Ankara

 

 

La Turchia cambia strategia in Medio Oriente, e le scelte di Ankara si riflettono con forza sugli equilibri internazionali. La leadership turca appare disposta a cambiare alleanze, sia per quanto riguarda i gruppi jihadisti operanti in Siria, sia sul piano dei governi. Recep Tayyp Erdogan ha archiviato in modo definitivo ogni richiesta di un cambio di regime a Damasco, e anzi ha espresso ai suoi il rammarico per non aver incontrato Bashar al Assad a settembre, al vertice dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai.

La graduale apertura verso il presidente siriano ha suscitato la rabbia dei ribelli anti-governativi, spingendo centinaia di persone nelle zone occupate dai turchi a manifestare scandendo slogan come: “Nessuna riconciliazione con il macellaio”. Qualche dimostrante è andato oltre, spingendosi fino a bruciare la bandiera turca, e finendo così arrestato. Il video del gesto provocatorio è finito su Twitter, provocando indignazione fra i turchi e terrore tra i rifugiati siriani, che temono rappresaglie.

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Anche sul campo Ankara sta invertendo la rotta, con una parziale apertura ad Hayat Tahrir al-Sham, l’organizzazione prima nota come Fronte al-Nusra  (aderente ad al-Qaeda), di gran lunga il più forte fra i gruppi sunniti che operano in Siria. Nei giorni scorsi i jihadisti di HTS hanno preso il controllo di Afrin, centro curdo nel nord della provincia di Aleppo occupata dalle truppe di Ankara nel 2018.

La presa della città è avvenuta grazie anche al sostanziale via libera di altri gruppi radicali come Faylaq al-Sham, il gruppo considerato più vicino alle forze turche. La conquista di Afrin ha suscitato allarme anche negli Stati Uniti. L’ambasciata USA in Siria – inattiva sul territorio dal 2012 – ha espresso preoccupazione e ha chiesto in un tweet che HTS sgombri immediatamente la zona, apparentemente senza grandi risultati.

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Lo sdegno statunitense per l’espansione di un gruppo originato da al-Qaeda e tuttora classificato come terrorista fa da contraltare all’apparente “distrazione” di Ankara, che non solo appare disposta a lasciar spazio per l’espansione di HTS, ma addirittura sembra pronta ad affiancarsi in determinate operazioni.

L’acquiescenza delle forze turche all’avanzata dei jihadisti era inattesa, se si considera che Ankara considera tuttora HTS un gruppo terrorista. Ma con la guerra in Ucraina gli equilibri mondiali sono cambiati, tutto è in evoluzione.

E va sottolineato che sul terreno Hayat Tahrir al-Sham appare l’unica organizzazione in grado di tener testa alle Forze democratiche siriane SDF, la coalizione che ha combattuto contro il Califfato e che Erdogan chiama terrorista perché comprende le unità curde YPG, considerate in Turchia l’ala siriana del PKK. La leadership di Ankara insiste nel progetto di una “fascia di sicurezza” al confine, che garantirebbe il Paese da offensive curde.

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Secondo fonti citate dall’Osservatorio siriano per i diritti umani (basato a Londra), nei giorni scorsi all’ingresso di Afrin si vedevano checkpoint gestiti assieme da truppe turche e miliziani di Hayat Tahrir al-Sham.

Sul terreno, l’avanzata di HTS verso le zone comprese nell’area di Scudo dell’Eufrate – l’operazione lanciata dalla Turchia nel 2016 – è legata al successo dell’ex Fronte al-Nusra nella lotta per la supremazia fra gruppi jihadisti, contro organizzazioni antigovernative inquadrate nella Terza Legione, a sua volta parte dell’Esercito Nazionale Siriano che ha raccolto molte milizie anti-Assad.

Secondo i giornali locali, le truppe di Erdogan stanno cercando di fermare l’avanzata di HTS verso Azaz, un piccolo centro di importanza strategica al confine con la Turchia. Ankara ha robusti contingenti ancora schierati nella regione: secondo gli osservatori l’espansione di HTS su nuovi territori non può che essere almeno in parte concordata con Ankara.

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In passato un tentativo di Hayat Tahrir al-Sham di entrare a Idlib, sempre approfittando delle rivalità interne all’Esercito nazionale siriano, era stato fermato, dicono gli analisti, da una semplice telefonata dei servizi di sicurezza turchi MIT.

La correzione di rotta di Erdogan fa pensare che la distanza politica fra Ankara e gli alleati della NATO si stia ampliando, grazie anche all’offensiva diplomatica di Vladimir Putin su quello che appare il Paese NATO meno chiuso alle ipotesi di trattativa.

Mosca appare intenzionata a sfruttare questa differenza di posizioni, e di fatto sta offrendo ad Ankara un ruolo preminente, legittimandone con la sua apertura la possibilità di condurre una trattativa di pace e offrendo a Erdogan l’idea che in Turchia si crei un hub per il commercio in Europa del gas naturale, proposta che il presidente turco ha accolto con entusiasmo, ma che di fatto indebolisce le posizioni dell’Unione europea a proposito della guerra in Ucraina.

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La prova definitiva che gli equilibri nella zona stanno cambiando arriva proprio da Hayat Tahrir al-Sham. Nei giorni scorsi Abu Mariya al Qahtani, uno dei massimi comandanti di HTS, ha lanciato un appello sul proprio canale Telegram chiedendo la dissoluzione di al-Qaeda e di fatto proponendo una strategia diversa per l’universo jihadista.

Al Qahtani sostiene che la rete fondata da Osama Bin Laden è ormai finita, con la morte di Ayman al Zawahiri, anche perché il suo presunto successore Saif al-Adl non appare in grado di rilanciarla.

Al-Adl per il momento non è stato proclamato ufficialmente, né ha ricevuto da parte delle organizzazioni minori, la bay’a, il tradizionale voto di obbedienza, che deve essere espresso nei confronti di un singolo leader, non di un’organizzazione.

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Ma soprattutto, nota il comandante di HTS, Al-Adl vive a Teheran, in uno stato di semi-detenzione: gode della protezione iraniana ma non è libero di muoversi. E per al-Qahtani lo scioglimento di al-Qaeda servirebbe proprio a rilanciare l’offensiva contro gli eretici sciiti, cioè contro l’Iran. Secondo lui la minaccia costituita dagli ayatollah della Repubblica islamica sarebbe “più pericolosa dei progetti dei crociati”.

Il passo più significativo del messaggio è però quello in cui per costruire un fronte anti-sciita al Qahtani suggerisce un’inedita alleanza fra i gruppi intenzionati a seguire la strada di HTS e i Paesi secolari, ovviamente sunniti. Primo fra tutti, inutile dirlo, la Turchia.

Foto Anadolu, AFP,  Esercito Turco, YPG e HTS

 

 

 

 

Giampaolo CadalanuVedi tutti gli articoli

Giornalista e saggista, esperto di Politica internazionale e Difesa. Come inviato del quotidiano La Repubblica, per oltre 25 anni ha seguito i conflitti e le crisi in tutto il mondo, dall'Afghanistan al Medio Oriente, dal Maghreb ai Balcani, dall'Africa all'Est europeo, spesso "embedded" con le Forze armate italiane. E' autore del libro "Skinheads" sul neonazismo in Europa. Ha tenuto corsi e conferenze fra l'altro all’università UNINT, alla Scuola di applicazione militare di Torino, alla base NATO di Solbiate Olona, al corso IASD di Roma. Fra gli altri premi, ha ottenuto nel 2005 il "Boerma internationale award" della FAO per la copertura dei temi Fame e Sviluppo e nel 2015 la "Colomba d'oro" dell'IRIAD per la copertura delle guerre. Si interessa di Terrorismo internazionale.

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