Italiani combattenti all’estero: foreign fighters o mercenari?

 

 

Un cospicuo numero di nostri connazionali è direttamente impegnato nella guerra tra Russia e Ucraina come combattenti in entrambi gli eserciti che si fronteggiano. Perché la Magistratura ha avviato indagini sui volontari italiani che sono andati al fronte per idee personali? E cosa prevede la legge per chi organizza il reclutamento armato? Questo articolo offre un punto di situazione sulle conseguenze riguardanti la scelta personale di arruolarsi in un esercito straniero o unirsi ad un corpo volontario internazionale.  

 

La morte di Elia Putzolu, il terzo Foreign fighter italiano che ha perso la vita in Ucraina combattendo tra le file dell’esercito russo, riapre gli interrogativi sullo stato giuridico dei nostri connazionali combattenti per l’uno o l’altro degli schieramenti in guerra. Il primo italiano a perdere la vita in combattimento si chiamava Edy Ongaro, era un militante nelle fila dei separatisti filorussi del Donbass. La notizia della sua morte, investito dall’esplosione di una bomba a mano in un villaggio a nord di Donetsk, giunse lo scorso 30 marzo. Poi giunse notizia di Benjamin Giorgio Galli, morto a Kharkiv mentre combatteva con le forze di Kiev.

Secondo i servizi di intelligence e Antiterrorismo, sarebbero circa venti i nostri connazionali combattenti in Ucraina, da una parte e dall’altra dei due schieramenti. Uno di essi (A.P.) è latitante a seguito di due condanne, tra cui figura il reato di reclutamento illegale. Altri Foreign fighters di cui la stampa ha dato notizie (le iniziali dei loro nomi sono G.S., M.C., R.S., K.C., I.V.) sono a vario titolo sotto osservazione dell’autorità giudiziaria per verificare l’eventuale esistenza di un giro di reclutamento illegale di mercenari.

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Attualmente solo su di uno, arruolato nella Brigata internazionale ucraina, è stata resa nota l’apertura di indagine da parte di una Procura della Repubblica perché ritenuto un mercenario. In questo ultimo caso, il nostro connazionale rischia una condanna fino a sette anni, così come previsto dalla legge n. 210 del 12 maggio 1995 con cui l’Italia ha ratificato della Convenzione internazionale (New York, 1989) contro il reclutamento, l’utilizzazione, il finanziamento e l’istruzione di mercenari.

 

Perché è illegale arruolarsi all’estero?

Oltre che arruolare mercenari, anche combattere per un paese diverso dal proprio costituisce reato per lo Stato italiano. Secondo il Codice penale un cittadino italiano non può scegliere liberamente di entrare in un esercito straniero e neppure senza compenso può offrirsi volontario per partecipare ad un conflitto armato combattuto all’estero. In sintesi, per i cittadini italiani, senza l’autorizzazione del proprio Governo è illegale arruolarsi in un altro esercito regolare o formazione combattente diversa dalle Forze Armate italiane.

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La legge annovera tali condotte tra i delitti contro la personalità dello Stato. L’art. 244 co. 1 del Codice penale punisce con la reclusione da 6 a 18 anni chi, senza l’approvazione del Governo, fa arruolamenti o compie altri atti ostili contro uno Stato estero, in modo da esporre l’Italia al pericolo di una guerra. La pena è dell’ergastolo se la guerra effettivamente avviene a seguito di detti atti.

La ragione di questo divieto è prudenziale, chi parte dall’Italia per partecipare ad un conflitto, inevitabilmente si schiererà contro una Nazione per aiutarne un’altra. In questo caso, chi combatte per un altro Paese commette il reato di atti ostili contro uno Stato estero e la conseguente pena va dai 3 ai 12 anni poiché vengono messe a repentaglio le relazioni diplomatiche tra Stati (art. 244, co. 2).

 

Il mercato dell’arruolamento

Come anticipato, le pene non riguardano solo i Foreign fighters che lasciano l’Italia per combattere per conto di altri Stati. Sono colpevoli anche coloro che si limitano a fare opera di arruolamento, ad esempio formando una brigata internazionale, finanziandola o anche solo dando loro armi, cioè chi, formalmente, intende arruolare cittadini di un altro Stato per reclutarli in un esercito straniero.

Al riguardo, l’art. 288 del Codice penale punisce con la reclusione da 4 a 15 anni chiunque, senza approvazione del Governo, arruola o arma cittadini affinché partecipino a una guerra straniera. La pena è aumentata se fra gli arruolati vi sono militari in servizio o persone soggette agli obblighi del servizio militare.

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La differenza con l’arruolamento di Foreign fighters consiste nel fatto che questo reato punisce chi cerca di far diventare i cittadini italiani membri di un esercito straniero.

Ad esempio, è il reato che si sarebbe prefigurato quando il consolato ucraino di Milano si propose tramite un post pubblicato sul proprio profilo Facebook (poi rimosso), di fungere anche da centro di arruolamento per italiani che volessero combattere contro l’esercito russo.

Nonostante lo stato di necessità in cui versa il Paese aggredito, l’iniziativa del consolato milanese contrastava però con l’ordinamento legislativo italiano, che non consente sul proprio territorio l’istituzione di un centro di arruolamento per miliziani, ancor meno se gestito da un paese estero.

 

Combattenti e mercenari, quali differenze

Fin qui abbiamo analizzato il caso di Foreign fighters che, spontaneamente e senza alcun compenso, si recano all’estero per partecipare ad un conflitto armato sia di tipo internazionale e sia di natura non internazionale. Ma cosa prevede la legge per chi accetta di partecipare ad un conflitto armato dietro retribuzione?

In pratica, cosa prevede la legge per i cosiddetti mercenari? L’art. 3, della legge 210/1995 stabilisce che chiunque, avendo ricevuto un corrispettivo economico o altre utilità, oppure avendone accettato solamente la promessa, combatte in un conflitto armato nel territorio estero, di cui non sia né cittadino né stabilmente residente, senza far parte delle forze armate di una delle parti del conflitto o essere inviato in missione ufficiale quale appartenente alle forze armate di uno Stato estraneo alla guerra, è punito con la reclusione da 2 a 7 anni. A questo divieto va posta l’eccezione di cui beneficia chi combatte per uno Stato in cui vive pur non essendone cittadino.

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La legge ha quindi voluto tutelare il sentimento di appartenenza che una persona prova nei confronti del Paese in cui abita stabilmente; quindi, tale individuo non può essere considerato un mercenario.

Qual è la differenza tra Foreign fighters e mercenari? La differenza non è molto marcata. Lo spartiacque sembra attestarsi sul fatto che il Foreign fighter combatte per motivi ideologici, politici o religiosi, il mercenario lo fa solo per profitto personale. Per essere considerati mercenari, dunque, non occorre necessariamente accettare del denaro: è sufficiente la promessa di qualsiasi altra utilità, come ad esempio la concessione della cittadinanza o di un permesso di soggiorno.

Questa differenza non sembra però sufficiente per spiegare perché la legge italiana punisce meno severamente i mercenari. In precedenza, infatti, abbiamo inquadrato i Foreign fighters all’interno di coloro che, compiendo atti ostili contro uno Stato estero, rischiano la reclusione da 6 a 18 anni; i mercenari, invece, possono essere puniti con la reclusione da 2 a 7 anni.

Chi recluta, utilizza o finanzia mercenari rischia invece la reclusione da 4 a 14 anni. Perché chi va a combattere senza avere un tornaconto personale dovrebbe essere punito più severamente? Potremmo spiegare la differenza di trattamento sanzionatorio (più severo per i combattenti stranieri, meno per i mercenari) in questo modo: i Foreign fighters italiani, combattendo contro uno Stato straniero, mettono a repentaglio i rapporti tra lo Stato aggredito e l’Italia; i mercenari, invece, agendo solo per profitto personale, non possono creare un incidente diplomatico tra Stati, cioè non sono in grado di incrinare le relazioni internazionali.

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In conclusione, chi pensa che l’italiano che vada “gratuitamente” a combattere una guerra di altri non commetta alcun reato sta sbagliando. Se la sua militanza per un altro Stato non venisse contrastata dal Governo italiano ne potrebbero scaturire accuse di atti ostili (sebbene indiretti) e perfino cause di giustificazione per una rappresaglia armata.

Per fugare ogni dubbio, il Governo italiano mediante appositi comunicati della Farnesina (primo fra tutti il post del 24 marzo 2022 sul sito istituzionale del MAE) ha ribadito la punibilità dei Foreign fighters italiani.

Fuori da dubbi rimane inoltre il reato a carico dei mercenari e, ovviamente, quello per i reclutatori, ma è giunto il momento di aggiornare le pene, equilibrandole con sanzioni più gravi a carico di chi sceglie di combattere per lucro personale.

Foto: Ministero della Difesa Ucraino

 

 

 

Carlo StracquadaneoVedi tutti gli articoli

Colonnello in congedo dell'Aeronautica, ha conseguito il Master in Studi internazionali strategico militari e la qualifica di Consigliere giuridico per i conflitti armati. Titolare per 12 anni della cattedra di Diritto internazionale dei conflitti armati presso la Scuola di Guerra Aerea, dal 2008 insegna "Tutela internazionale dei diritti umani" presso l'Università di Firenze. Ha scritto diversi libri e oltre cento articoli in tema di diritto internazionale, diritto della navigazione, diritto processuale penale e diritto penale militare. Dal 2008 al 2011 ha svolto l'incarico di consigliere giuridico di diritto internazionale umanitario del Ministro della Difesa.

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