Non solo armi: gli aiuti occidentali a Kiev tra intelligence, contractors, combattenti e istruttori

 

 

L’ultimo a lasciarci la pelle è stato un americano. Si chiamava Skyler James Greggs, aveva 23 anni e ad aprile aveva lasciato la casa di Washington, dove viveva con i genitori, per raggiungere Kiev. Non aveva alcuna esperienza militare ma sognava di battersi contro i russi e difendere l’Ucraina. Per questo aveva chiesto di venir arruolato nella “Legione Internazionale della Difesa Ucraina”.

A luglio era stato ferito durante un attacco di droni russi al fronte di Karkhov, ma non aveva desistito. Dopo qualche settimana in convalescenza aveva raggiunto la propria unità sul fronte di Starobilsk nel nord est dell’Ucraina dove, a fine ottobre, è caduto sotto i colpi dell’artiglieria russa.

Skyler James Gregg era solo uno degli oltre ottomila stranieri che il Ministero degli Esteri di Mosca liquida in maniera generica come “mercenari” impiegati tra le fila degli ucraini. Ma chi sono questi presunti “mercenari” stranieri? E qual’è il loro ruolo nel conflitto?

La prima cosa evidente è che il termine “mercenario” mal si adatta a tutti loro. Tra gli ottomila soldati di ventura provenienti, secondo l’intelligence russa, da 60 paesi diversi tantissimi sono gli avventurieri o gli idealisti come Skyler James Gregg, pronti a combattere per un soldo che non supera i 250 euro al mese. Ma non sono sicuramente la parte più rilevante e determinante della presenza straniera.

Nascosti all’ombra dei volontari internazionali operano sia gruppi di contractors altamente specializzati, sia militari in servizio effettivo presso le forze armate degli stati membri della NATO.

Ai contractors ad alta specializzazione tecnica spetta la supervisione e il mantenimento dei sistemi d’arma forniti al governo di Kiev. Per quanto la loro presenza non sia ufficialmente dichiarata è evidente che l’invio di sistemi d’arma come i lanciarazzi campali ruotati americani HIMARS o i cingolati M-270 forniti da britannici (e italiani) richiedono procedure di mantenimento e gestione complesse.

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Procedure che non possono venir assimilate in breve tempo dai militari ucraini abituati a gestire armamenti ereditati dai vecchi arsenali sovietici. Quindi in attesa che i tecnici ucraini addestrati all’estero siano in grado operare in autonomia e addestrare i loro commilitoni, le manutenzioni di tali sistemi d’arma rendono praticamente obbligata e sicuramente non nuova, la presenza di contractors, non-combattenti ma tecnicamente specializzati.

Del resto da decenni il Pentagono affida questi compiti in aree delicate a compagnie come KBR  o Amentum (ex- DynCorp International) con una lunga esperienza acquisita anche in Iraq e Afghanistan.

 

La “Legione Internazionale”

La maggior parte della variegata categoria di avventurieri e idealisti decisi a combattere contro i russi per salvare l’Ucraina opera nei ranghi di quella “Legione internazionale” creata dal governo Kiev nei primi giorni del conflitto proprio per raccogliere i volontari stranieri. Una “Legione” prontamente ristrutturata dopo aver compreso che armare volontari privi di esperienze pregresse può essere efficace dal punto di vista propagandistico, ma risulta spesso ininfluente, se non controproducente, sul piano militare.

Non a caso dopo il bombardamento della base di Javoriv, un centro d’addestramento per volontari stranieri vicino al confine polacco colpito dai missili russi il 13 marzo, le procedure di reclutamento sono state riviste.

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La strage di volontari spinse molti “legionari” a rientrare a casa mentre le autorità di Kiev si premurarono di rendere sempre più selettivi i requisiti d’arruolamento. Un ulteriore passo è stato caratterizzato dalla strutturazione di unità   che aggregano i volontari sulla base della nazionalità o, quantomeno, per area di provenienza geografica

La “brigata” polacca   forte, secondo fonti russe, di quasi 2mila volontari in gran parte con esperienza militare e addestramento standard NATO rappresenta la componente straniera più numerosa e per molti versi più efficiente. Non a caso venne impiegata con successo durante la vittoriosa offensiva dei primi di settembre nella regione di Kharkiv. Grazie ad un’elevata mobilità e a un buon coordinamento con i comandi NATO, che ne supervisionano i movimenti sulla base di rilevamenti satellitari, le unità polacche dotate di blindati leggeri vennero impiegate per lo sfondamento nelle zone più sguarnite del fronte russo.

E assieme a loro operano anche unità composte da albanesi e kosovari. Oggi gran parte di queste unità restano dispiegate sul fronte nord-orientale tra il settore di  Bakhmut, dove devono vedersela con i  contractors russi del Gruppo Wagner,  fino alle postazioni più settentrionali del settore di Svatove.

 

I “Dark Angels”

In alcuni casi i volontari e gli avventurieri entrati inizialmente nella Legione internazionale si sono strutturati autonomamente finanziandosi attraverso raccolte di fondi, attingendo alle forniture di armi Nato e dando vita a “compagnie militari private”.

In questa categoria rientrano i “Dark Angels” (Angeli Scuri) guidati dall’inglese Daniel Burke, formatosi tra le fila del 3° Battaglione del Reggimento Parà con cui fino al 2009 ha combattuto nel sud dell’Afghanistan.

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Burke si è poi unito nel 2017 alle milizie curde impegnate nella lotta all’Isis. La sua avventura sul fronte ucraino inizia nel marzo 2022, quando raggiunge il confine tra Polonia e Ucraina per fornire assistenza a rifugiati e sfollati. La svolta arriva a fine aprile quando Burke annuncia la creazione della Ong “Dark Angels of Ukraine” dichiarando di raccogliere fondi destinati non solo all’assistenza umanitaria, ma anche all’addestramento dei volontari ucraini.

Nelle pagine Facebook destinate alla raccolta fondi l’ex militare si dichiara esperto di combattimento urbano, pronto soccorso, comunicazioni, logistica e attività di guerriglia. Da quel momento incominciano a raggiungerlo altri reduci del fronte curdo apparentemente poco in linea con le presunte attività umanitarie dell’organizzazione.

Il francese Maxim Barrat, considerato il suo braccio destro, arriva anche lui dal fronte curdo dove ha partecipato alle operazioni delle “Unità di Protezione del Popolo” (Ypg) con lo pseudonimo di Gelhat Azadi. L’americano Christopher Ezell è un ex-sergente dei marines veterano dell’Afghanistan.

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L’ex soldato dei Royal Green Jackets del British Army Mark Ayres,  nel 1994 venne condannato a sei anni di detenzione per alcuni reati commessi dopo il congedo e più recentemente in Ucraina si è arruolato nel Battaglione Azov. Justin è un altro americano reduce dall’Afghanistan, mentre l’inglese Sam Nyi è uno studente di Birmingham, privo di qualsiasi esperienza militare, unitosi al gruppo in veste di fotografo e cameraman.

Già a fine maggio il gruppetto abbandona qualsiasi pretesa umanitaria e si trasferisce sul fronte meridionale di Kherson dove filma e porta a termine la distruzione di un blindato russo centrato con un missile Javelin.

La facilità con cui la banda di improvvisati avventurieri riesce a ottenere in dotazione un missile anticarro Javelin del valore di oltre 90mila euro uscito dagli arsenali della 28a Brigata ucraina desta le prime preoccupazioni su come vengano gestite le armi distribuite dalle nazioni aderenti alla Nato  e sul rischio che quelle armi finiscano non solo nelle mani di combattenti fuori controllo, ma anche di gruppi criminali.

 

Il Mozart Group

Ma accanto ai gruppi improvvisati come i Dark Angels operano anche “compagnie militari private” ben più strutturate in cui lavorano ex-militari di grande esperienza reduci quasi sempre da un lungo servizio nelle forze speciali.

Si tratta a tutti gli effetti di “contractors” occidentali   a cui vengono delegati compiti come l’addestramento delle reclute ucraine, lo sminamento dei territori rioccupati, l’evacuazione di feriti e civili dalle prime linee e l’addestramento del personale medico per le operazioni di pronto intervento in prima linea.

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Particolarmente interessante da questo punto di vista è l’attività del Mozart Group, una compagnia militare privata il cui nome fa intenzionalmente il verso al Wagner Group russo.

Fondato lo scorso marzo da Andrew Milburn, un 59enne colonnello dei marines in congedo che ha prestato servizio da Mogadiscio a Falluja per concludere la sua carriera nel 2019 come vice comandante delle operazioni contro l’Isis in Siria e Iraq.

Oggi la sua organizzazione dà lavoro a una trentina di reduci provenienti in gran parte da Stati Uniti, Regno Unito e Irlanda. Nelle varie interviste concesse a New York Times e Le Monde, Milburn nega qualsiasi coinvolgimento  in operazioni di combattimento  e  ricorda  che la sua formazione  prevede l’espulsione di chiunque partecipi intenzionalmente a scontri armati.

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Milburn (nelle foto sopra) pone l’accento, invece, sull’importanza dell’addestramento considerato essenziale per moltiplicare il numero dei combattenti tra le fila dell’esercito ucraino. Un’attività in cui il Mozart Group, una società registrata nello stato americano del Wyoming, investe più di 175mila dollari al mese organizzando, d’intesa con l’esercito di Kiev, corsi d’addestramento di 10 giorni riservati a gruppi di 40 reclute.

I corsi affidati ad una trentina di istruttori, quasi tutti reduci delle forze speciali, spaziano dal combattimento all’uso delle armi anticarro fino all’impiego dei droni.  Ma chi finanzia le attività del gruppo? Mentre l’intelligence russa lo considera un’emanazione del Pentagono, Milburn nega qualsiasi finanziamento governativo e afferma di contare sulle donazioni di numerosi privati americani tra cui i gestori di alcuni gruppi d’investimento di origini ebreo-ucraine.

 

I “fantasmi” della  NATO

Ufficialmente non esistono, ma sono la più delicata e la più segreta fra le categorie di “combattenti” stranieri” attivi in territorio ucraino. Tra di loro si contano decine o forse centinaia di militari in servizio attivo provenienti dalle forze speciali di vari stati membri della NATO.

La loro presenza è rigorosamente taciuta dalle nazioni d’appartenenza al fine evidente di non avvalorare un coinvolgimento diretto dell’Alleanza Atlantica.

Per quanto riguarda gli americani la loro attività, coordinata a quanto sembra dalla CIA, è regolata da un atto presidenziale segreto che autorizza le operazioni clandestine in territorio ucraino e di cui informa il Congresso attraverso comunicazioni riservate con esponenti delle Commissioni competenti per le attività di Difesa e Intelligence.

Il primo novembre il dispiegamento in vari settori dell’Ucraina di personale militare in servizio attivo è stata confermata dal portavoce del Pentagono generale Pat Ryder.  Il generale ha parlato di piccole squadre “non operative in prima linea” impiegate per controllare che gli armamenti forniti dagli Stati Uniti arrivino a destinazione e non finiscano nelle mani di organizzazioni criminali.

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“Non ci sono forze statunitensi impegnate in operazioni di combattimento in Ucraina – ha sottolineato Pat Ryder – questo personale è incaricato di condurre operazioni legate alla sicurezza e all’assistenza nell’ambito della Difesa”.

Poiché gli Stati Uniti gestiscono tutta l’intelligence satellitare (nella foto sopra un’immagine delle postazioni russe sulla riva sinistra del Dnepr, sul fronte di Kherson) ed elettronica messa a disposizione dell’Ucraina, distribuiscono sofisticati sistemi d’arma e partecipano alla realizzazione e al concepimento dei principali piani strategici, è evidente che il ruolo dei militari Usa è molto più ampio di quanto dichiarato. Ed è direttamente correlato alle attività belliche.

Come hanno confermato fonti militari Usa citate dal New York Times i dati dell’intelligence statunitense, oltre ad aver permesso l’affondamento dell’incrociatore Moskva, la nave ammiraglia della Flotta del Mar Nero, hanno anche contribuito all’eliminazione di alcuni generali russi.

Più in generale, come emerge da una serie di supposti documenti segreti NATO, di cui pubblichiamo un paio di stralci qui sotto, resi noti dal canale Telegram del Gruppo Beregini (hacker ucraini che si dichiarano indipendenti e critici verso il governo di Kiev: il 25 ottobre hanno rivelato la triangolazione di armi dal Kazakhistan all’Ucraina via Bulgaria) è evidente che i satelliti statunitensi monitorano le posizioni di gran parte delle unità di Mosca dispiegate al fronte e nelle retrovie, in territorio ucraino come nella Federazione Russa, per poi comunicarle tempestivamente alle forze di Kiev.

DOC SECRET NATO PER UKRAINI

Tanto per fare un esempio il memo A5982 classificato come Segreto e Prioritario illustra così “l’Attività russa in Ucraina” in data 21- 22 luglio 2022.

“Il 22 luglio varie formazioni russe sono rimaste vicino alla strada T-21-09 in Ucraina vicino a Logacheva. Vari equipaggiamenti sono arrivati e partiti sia sulla strada del ritorno in Russia dopo esser stati ritirati dalle operazioni di combattimento o alternativamente dopo aver attraversato il confine per ulteriori dispiegamenti in Ucraina. Sono stati identificati come segue:

  • Elementi minori di un battaglione di possibili IFVs o APCs sono rimasti presso (coordinate) 49.99750 37.94444 495951N 0375640E. Un totale di 23 veicoli erano presenti in questa posizione il 20 luglio e solo 7 rimangono il 22 luglio dopo la partenza degli altri.

Il documento – dopo diverse pagine dedicate alla dettagliata localizzazione delle forze russe presenti sul territorio dell’Ucraina – si sposta sul Mar Nero Occidentale e Orientale divulgando le coordinate di tutte le navi militari e commerciali battenti bandiera di Mosca.

NATO REPORTO A UCRAINI

Difficile verificare l’attendibilità di questi documenti segreti ma i dettagli contenuti, forniti alle forze di Kiev, spiegherebbero la chiave dei successi conseguiti dagli ucraini nelle controffensive e nel colpire con precisione gli obiettivi nelle retrovie nemiche.

Va inoltre ricordato che lo scorso settembre il ministro della Difesa russo, Sergey Shoigu, ha dichiarato che il supporto militare di USA e NATO all’Ucraina include la presenza di un “comando con 150 militari occidentali dislocato a Kiev” che rappresenta “il vero comando delle forze armate ucraine, composto sia da ex militari che da personale in servizio attivo” e che “gestisce tutte le operazioni”.

 

Le operazioni gestite dai britannici

Altrettanto diretta è l’attività delle forze speciali di Londra coordinate dall’Mi6, responsabile delle operazioni d’intelligence all’estero. I britannici sono stati i primi a metà aprile a divulgare, in via non ufficiale, la presenza di alcune unità di forze speciali impiegate nell’addestramento delle truppe ucraine e il passaggio dal semplice addestramento alla pianificazione di sofisticate operazioni militari è stato assai breve.

Secondo quanto emerso sui media britannici un distaccamento dello Special Boat Service (SBS), le forze speciali della Royal Navy, ha curato l’addestramento in territorio ucraino del 73° Centro Operazioni navali speciali protagonista il 30 giugno scorso della riconquista dell’Isola dei Serpenti.

Oltre ad aver fornito agli ucraini i mezzi subacquei cruciali per lo sbarco sull’isola, l’SBS ha garantito il coordinamento di   tutta l’operazione. Proprio il coinvolgimento dell’SBS nell’addestramento e nelle attività del 73° ha spinto l’intelligence russa ad avvalorare un ruolo britannico anche nel sabotaggio del gasdotto Nord Stream.

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“I nostri servizi d’intelligence sono in possesso di dati da cui risulta che le forze speciali britanniche hanno diretto e coordinato gli attacchi” – ha dichiarato il 1° novembre il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov.

Secondo Mosca, la Royal Navy avrebbe messo a disposizione degli incursori ucraini le informazioni, i mezzi subacquei e le dotazioni indispensabili per il sabotaggio delle condotte situate sul fondale del Mar Baltico, a circa 70 metri di profondità. Ma fonti dell’intelligence di Mosca ipotizzano un ruolo britannico anche nella pianificazione delle operazioni di sabotaggio condotte in Crimea, come il recente attacco con droni navali alla base di Sebastopoli (nella foto sopra) e sullo stesso territorio russo.

 

Operazioni in profondità 

I sospetti sul ruolo britannico traggono spunto dalla teoria del “Deep Battle Space”, che prevede l’allargamento del campo di battaglia alle operazioni in profondità (glubokaya operatsiya) per colpire le retrovie nemiche. Formulata negli anni ’20 dal generale russo Vladimir Triandafillov (nella foto sotto), è stata ripresa e aggiornata nell’ultimo decennio dai pianificatori occidentali con particolare attenzione alla dimensione satellitare e cibernetica oltre che all’impiego di forze speciali.

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La strategia è particolarmente cara a Mark Carleton Smith, il generale britannico proveniente dai vertici delle forze speciali e rimasto al comando delle forze armate di Sua Maestà dal 2018 fino allo scorso luglio.

Nei quattro anni trascorsi al comando il generale ha insistito per pianificare un ruolo attivo di incursori e intelligence in caso d’intervento russo in Ucraina. Inoltre ha suggerito di applicare le stesse strategie nell’ambito dell’operazione Orbital, la missione d’addestramento dell’esercito ucraino avviata da Londra fin dal 2015.

Tra le forze istruite dai britannici c’erano anche le forze d’élite ucraine, supervisionate dallo Special Air Service (SAS) che nelle prime ore di guerra presero in consegna il presidente Zelensky.

Sul piano militare l’operazione (raccontata da Analisi Difesa raccogliendo le ricostruzioni rese note all’autore di questo articolo da fonti russe) salvò la vita al presidente ucraino ma su quello politico vanificò, per precisa volontà del governo Johnson e della sua intelligence, i piani della Casa Bianca, decisa a trasferire Zelensky fuori dal paese.

Da allora gli incursori il SAS , come rivelato  il 15 aprile scorso,  non hanno mai smesso di addestrare gli omologhi ucraini. Un’operazione condotta sotto lo stretto coordinamento di quell’Mi6 a cui Mosca attribuisce anche l’identificazione degli obiettivi in territorio russo.

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Coniugando osservazioni satellitari a intercettazioni elettroniche e trasmettendole ai distaccamenti responsabili   degli omologhi ucraini, l’Mi6 avrebbe pianificato i devastanti attacchi all’arsenale di Timonovo  (nella foto sopra) e all’aeroporto di Stary Oksol condotti, a metà agosto, nella regione russa di Belgorod. Una “doppietta” seguita, sempre secondo le accuse russe, dall’attentato al ponte di Kerch e dall’incursione di droni aerei e navali nella base della Flotta del Mar Nero a Sebastopoli.

Foto: Forze Armate Ucraine, Planet Lab, Twitter,  Dark Angels e Mozart Group

 

 

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Nato a Trieste nel 1960, è uno dei più noti e apprezzati reporter di guerra italiani. Dal 1983 ha seguito sul campo decine di conflitti inclusi i più recenti in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e Ucraina. Reporter e opinionista per Il Giornale e il sito Gli Occhi della Guerra, nella sua carriera ha collaborato con Corriere della Sera, Repubblica, Panorama, Libération, Der Spiegel, El Mundo, L'Express e Far Eastern Economic Review oltre che con le emittenti televisive CBS, NBC, Channel 4, TF1, France 2, NDR, TSI, RaiNews24, RaiUno, Rai 2, Canale 5 e LA7. Per il suo lavoro di reporter di guerra ha ricevuto il Premio Antonio Russo (2003), il Premio giornalistico Cesco Tomaselli (2007) e il Premio Ilaria Alpi (2011).

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