La guerra logora anche chi non la fa

 

 

Costi finanziari alle stelle come i consumi di armi e munizioni per una guerra che sembra lontana dal concludersi e che i russi sembrano per ora voler combattere sulla difensiva con l’obiettivo di logorare gli ucraini e soprattutto i loro alleati.

Se Kiev cerca di arruolare altre truppe per alimentare nuove offensive tese a riconquistare i territori perduti, in Europa e Occidente si cominciano a valutare le difficoltà a mantenere l’alimentazione delle forze ucraine a un ritmo sostenibile nel tempo. Gli Stati Uniti valutano se trasferire o meno all’Ucraina i missili da difesa aerea a lungo raggio Patriot per fornire un maggiore contributo al contrasto degli attacchi missilistici russi che stanno demolendo progressivamente tutte le infrastrutture energetiche del nemico.

Obiettivi legittimi in guerra (del resto bersagli di questo tipo sono stati sempre al centro del mirino di tutte le guerre occidentali, dall’Iraq alla Serbia alla Libia), la cui distruzione sta comportando gravi difficoltà allo sforzo bellico ucraino (senza energia trasporti, industrie e reti informatiche non funzionano) peggiorando sensibilmente anche le condizioni di vita della popolazione che deve affrontare un inverno durissimo.

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L’assenza o la penuria di energia potrebbe mettere a dura prova il consenso nei confronti del governo e del presidente Volodymyr Zelensky che già da tempo ha messo fuori legge ogni forma di opposizione chiudendo televisioni, giornali e ben 12 partiti di opposizione e punendo per legge persino chiunque osi esprimersi a favore di negoziati di pace.

Elementi che confermano come la guerra in atto sia anche una guerra civile, con milioni di cittadini ucraini schierati dalla parte dei russi e decine di migliaia che combattono al fianco delle forze di Mosca. L’offensiva missilistica contro le infrastrutture mira anche a complicare la situazione nei paesi europei, a tutti gli effetti ormai “nazioni ostili” per i russi, poiché è evidente che milioni di civili ucraini privi di luce, acqua e riscaldamento potrebbero cercare un rifugio sicuro e caldo a ovest, in un’Europa già in difficoltà per la sciagurata gestione della guerra e della crisi energetica (che secondo Bloomberg è già costata all’Unione mille miliardi di dollari) da parte della Commissione Ue che già oggi vede ridursi pericolosamente le riserve di gas.

 

Patriot in Ucraina?

Un contesto in cui ben si inserisce la vicenda dei missili Patriot chiesti da Kiev. La prima a proporre di metterli in campo è stata la Germania che voleva però schierarli in Polonia per “prevenire” sconfinamenti di missili russi nel territorio dell’alleato membro della NATO.

Evidentemente un pretesto anche perché finora in Polonia è caduto solo un missile terra-aria ucraino appartenente a un sistema S-300. Berlino, dopo aver colto i potenziali rischi di un maggiore e diretto coinvolgimento nella guerra contro la Russia e aver recepito le minacce russe di rappresaglia, il 6 dicembre ha risposto picche alla proposta polacca di dispiegare in Ucraina i Patriot.

 

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Il ministro della Difesa di Varsavia, Mariusz Blaszczak, si è detto “deluso” dalla decisione di Berlino, dopo aver parlato con il suo omologo tedesco, Christine Lambrecht.

I polacchi non avranno disponibili i Patriot che hanno ordinato agli USA ancora per molto tempo e sono quindi gli Stati Uniti oggi a dover gestire la “patata bollente”, tra indiscrezioni stampa che danno per imminente la consegna di due batterie e Il Presidente Joe Biden che il 16 dicembre ha affermato che una decisione verrà presa presto.

Difficile però credere che simili armi vengano lasciate nelle mani degli ucraini ma è verisimile che nel caso vengano gestite in Ucraina da militari o contractors statunitensi o di altri stati membri della NATO, peraltro già 0resenti con migliaia di effettivi in Ucraina.

La necessità di potenziare le difese aeree ucraine rimane del resto una priorità per l’Occidente e nei giorni scorsi sono circolate le voci circa la consegna di un altro sistema tedesco IRIS-T e di due SAMP/T, uno francese e uno fornito dall’Italia, come hanno rivelato fonti francesi (in barba all’inutile e paradossale segreto posto da Roma sulle forniture militari all’Ucraina). Si tratta di sistemi prelevati direttamente dalle dotazioni dell’aeronautica francese e dell’esercito italiano che si aggiungono ai vecchi Hawk spagnoli e forse ai sistemi Aspide/Spada italiani: armi piuttosto anziane e da tempo “scadute”, il cui impiego quindi non può offrire garanzie di efficacia e sicurezza.

 

Scorte in esaurimento

Il prolungamento del conflitto sta mettendo in grave difficoltà la capacità degli anglo-americani e dei loro alleati di mantenere un elevato ritmo di consegna di armi e munizioni, adeguato ai consumi e al logorio imposto da questa guerra convenzionale ad alta intensità.

A fine novembre il New York Times ha sentito un alto funzionario dell’Alleanza Atlantica che ha ammesso che i due terzi dei Paesi della Nato hanno esaurito armi. mezzi e munizioni che potevano venire ceduti all’Ucraina.

“Le scorte di armamenti di 20 dei 30 membri della Nato sono “piuttosto esaurite”, ha detto il funzionario che ha voluto mantenere l’anonimato, ma “i restanti 10 Paesi possono ancora fornire di più, soprattutto gli alleati più grandi”, ha aggiunto citando tra questi l’Italia, la Francia, la Germania e l’Olanda.

La situazione delle scorte di armamenti è particolarmente difficile per la Polonia e gli Stati baltici, sottolinea il giornale, secondo cui nel complesso i Paesi della Nato hanno trasferito all’Ucraina armamenti per un valore di 40 miliardi di dollari.

Il supporto militare all’Ucraina “non dovrebbe essere inferiore a quello degli ultimi sei mesi…. ma a parte questo, abbiamo bisogno di armi più moderne, più rifornimenti” ha detto il 15 dicembre il presidente Volodymyr Zelensky davanti ai leader Ue durante il suo intervento da remoto al Consiglio europeo. “Questo vale sia per la difesa aerea che per la difesa missilistica. E chiedo a ciascuno dei ventisette paesi dell’Unione Europea di decidere cosa si può fare nello specifico per aumentare la fornitura di sistemi di difesa aerea e missilistica – ha aggiunto Zelensky.

“Questo vale anche per i carri armati moderni. Non c’è alcuna ragione razionale per cui l’Ucraina non dovrebbe riceverli ora. Ciò vale anche per l’artiglieria a lungo raggio e per i sistemi missilistici che potrebbero accelerare la fine dell’aggressione russa”.

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La criticità della situazione dei rifornimenti è stata presa in esame anche dal ministro della Difesa italiano, Guido Crosetto: “In tutto il mondo l’industria militare, e anche in Russia, è in crisi di produzione e di approvvigionamento. Per assurdo questo è uno degli elementi che possono dare una svolta alla trattativa sull’Ucraina che tutti ci auguriamo”, ha detto in un’intervista su RAI 3.

Intervenendo in Senato il 13 dicembre il ministro italiano ha ammesso che gli aiuti militari all’Ucraina possono avere un impatto sulle nostre Forze Armate.

“Non voglio nascondere al Parlamento che quello che abbiamo fatto e che stiamo facendo, pur non comportando oneri diretti e immediati nel lungo periodo, potrebbe incidere sulle nostre capacità”. E’ molto probabile che perdite, usura e consumi mettano in difficoltà anche i russi che devono fare i conti anche con gli effetti delle sanzioni poste dall’Occidente ma la portata di queste difficoltà è tutta da verificare.

Fonti militari ucraine ammettono di aver trovato resti di missili russi esplosi prodotti in ottobre di quest’anno e se si escludono idroni-suicidi (munizioni circuitanti) a lungo raggio Geran-2 di origine iraniana (ma probabilmente ormai prodotti in Russia), tutte le armi impiegate appaiono prodotte in Russia e in molti casi stoccate in depositi sparsi per tutto l’immenso territorio della Federazione da molti anni.

L’intensità dell’offensiva missilistica sulle infrastrutture energetiche e dei bombardamenti dell’artiglieria russa lungo i fronti di guerra non sembrano certo indicare difficoltà nei rifornimenti di munizioni nonostante diversi depositi siano stati colpiti negli ultimi mesi nelle retrovie da sabotatori o dai razzi lanciati dai sistemi HIMARS statunitensi e recentemente lo stesso Vladimir Putin abbia ammesso qualche difficoltà logistica.

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Gli Stati Uniti hanno più volte denunciato forniture alla Russia di armi e munizioni nordcoreane ma finora non ci sono stati riscontri in proposito dai campi di battaglia.

Le previsioni dell’intelligence britannico, che nei suoi bollettini giornalieri riferisce dall’aprile scorso che la Russia sta finendo le scorte di missili balistici e da crociera, si sono rivelate errate o più probabilmente frutto più di intenti propagandistici che di attività d’intelligence (del resto non si sono mai visti i servizi segreti pubblicare bollettini di guerra quotidiani).

Il 27 novembre il ministro della Difesa estone Hanno Pevkur ha ammesso che “dopo nove mesi di conflitto, l’Esercito e l’Aeronautica della Federazione russa non sono state indebolite in modo sensibile”. Pevkur ha sottolineato che nonostante la Russia abbia subito considerevoli perdite, il suo potenziale ritornerà ad essere “prima o poi” quello del 24 febbraio, ponendo l’accento sul fatto che “il pericolo per i Paesi della NATO è pari a quello di inizio conflitto”.

I russi “hanno ancora abbastanza missili per condurre diversi attacchi pesanti. Noi abbiamo abbastanza determinazione e autostima per rispondere” ha detto il 16 dicembre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un video messaggio.

Come abbiamo sottolineato più volte questa è la prima guerra convenzionale ad alta intensità combattuta in Europa dalle ultime offensive alleate nella primavera del 1945.

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Tra le “lezioni apprese” che avevamo indicato già nel giugno scorso vi era l’inadeguatezza delle forze armate europee e occidentali a far fronte a un conflitto del genere perché non potremmo reggere migliaia di morti e feriti e perché le nostre dotazioni di armi pesanti e munizioni verrebbero azzerate dopo una o due settimane di guerra, in molti casi anche in pochi giorni.

Correre ai ripari non è facile e richiede tempi lunghi, determinazione e ampi investimenti  poiché l’industria della Difesa in Occidente non è strutturata per compensare in tempi rapidi perdite e consumi elevati come quelli registrati da una guerra convenzionale come questa in cui le forze ucraine “bruciano” migliaia di proiettili d’artiglieria al giorno e decine o addirittura centinaia di mezzi ogni settimana.

Solo per citare un esempio, il Pentagono ha assegnato a Raytheon un contratto da 1,2 miliardi di dollari per fornire a Kiev 6 batterie di missili terra-aria NASAMS in aggiunta alle due già consegnate ma che verranno realizzate in non meno di due anni.

 

Guerra convenzionale

“Da quando è finita la guerra fredda un po’ tutti gli arsenali militari sono stati ridotti poiché non si pensava certo che una guerra convenzionale potesse tornare in Europa” – ha detto a fine novembre all’Adnkronos il generale Giorgio Battisti, veterano di molte missioni oltremare, membro del Comitato Atlantico e opinionista di Analisi Difesa.

“Ci sono state le diverse missioni di peacekeeping, missioni all’estero che hanno fatto in modo che venisse privilegiata la parte leggera dell’equipaggiamento militare: armi individuali, mezzi non pesanti abbandonando un po’ le caratteristiche di un esercito convenzionale, appunto con carri armati e le artiglierie che servivano appunto durante la Guerra Fredda. 

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Ora la guerra convenzionale ritornata in Europa si combatte con i droni e con i missili, a colpi di artiglieria e si parla di migliaia di colpi che sia i russi che gli ucraini sparano tutti i giorni. Mentre in Afghanistan gli Stati Uniti sparavano 300 colpi di cannone al massimo ogni giorno, nella guerra in Ucraina si sparano 5mila con delle punte di 20mila colpi al giorno.

Questo dimostra come questa guerra abbia messo a nudo le nostre carenze. Una guerra che non può essere paragonata a quelle nei Balcani negli anni ’90 dato che erano guerre a bassa intensità, mentre qui lo scontro è tra due stati che utilizzano tutti gli equipaggiamenti degli arsenali di cui dispongono. Negli ultimi anni, in moltissimi paesi compresa l’Italia, è subentrata una forma di accanimento, possiamo dire, contro le industrie che producevano armi che sono state costrette o a riconvertirsi in altre produzioni o anche a chiudere” – ha evidenziato Battisti.

“Circostanza che ha fatto sì, salvo che negli Usa, che tantissimi paesi abbiamo ridotto sensibilmente i propri magazzini, le proprie riserve militari. Una eventuale riconversione all’industria bellica non sarà facile, ampliare la capacità industriale di un paese non può realizzarsi in breve tempo.

Ritengo che occorra evitare di rimanere completamente privi di armi e gli Stati Maggiori di tutti i paesi, compresi gli Stati Uniti, stanno studiando come non rischiare di rimanere sguarniti e rifornire allo stesso tempo l’Ucraina delle armi necessarie per difendersi. Anche perché gli Stati Maggiori devono tenere conto sempre del rischio che il conflitto si allarghi coinvolgendo direttamente paesi dell’Alleanza Atlantica” – ha concluso Battisti.

 

Armi e munizioni agli sgoccioli

Considerato questo contesto non sorprende che gli anglo-americani cerchino alternative al depauperamento delle proprie riserve di armi e munizioni anche tenendo contro che le capacità produttive statunitense di munizioni da 155 mm raggiungono i 15 mila proiettili mensili (molti meno in Europa), pari più o meno a tre giorni di fuoco dell’artiglieria ucraina: terminate le riserve disponibili, occorrerebbero anni per tornare a disporre di un livello accettabile di munizioni.

Tra le alternative, Washington e Londra cercano di reperire armi e munizioni di tipo russo/sovietico da girare a Kiev in Africa e Asia, come nel caso del Marocco già illustrato da Analisi Difesa.

Da un lato è indubbio che la guerra in Ucraina abbia dato un forte impulso alla spesa militare in diverse nazioni europee e negli Stati Uniti: molte nazioni un tempo membri del Patto di Varsavia hanno già ceduto a Kiev tutti o quasi gli equipaggiamenti ex sovietici di cui disponevano. In termini concreti però questo incremento delle risorse finanziarie richiederà anni per trasformarsi in nuove armi e munizioni per le forze NATO come per quelle ucraine.

Per fare un esempio di sistemi d’arma peraltro di relativamente facile e rapida produzione, il ministero della Difesa britannico ha commissionato l’acquisto di un numero imprecisato di armi anticarro NLAW per 229 milioni di sterline che verranno consegnate tra il 2024 e il 2026 (altri 500 NLAW ordinati in precedenza arriveranno nel 2023) per compensare la cessione all’Ucraina di ben 10 mila armi anticarro (in gran parte NLAW) in pochi mesi.

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Occorre inoltre valutare se gli stanziamenti annunciati in Europa in modo altisonante sull’onda emotiva del conflitto risultino sostenibili di fronte alla crisi energetica e a quella economica e sociale che si stanno abbattendo sul Vecchio Continente.

Secondo uno studio del think-tank britannico Royal United Services Institute (RUSI) “con la fine della guerra fredda l’Europa ha ridotto drasticamente il budget della difesa, ritrovandosi con eserciti e scorte d’artiglieria limitati, inadatti a sostenere nel lungo periodo il ritmo di una guerra come quella combattuta oggi in Ucraina. Ai tassi ucraini di consumo di artiglieria, le intere scorte britanniche potrebbero durare una settimana e gli alleati europei non sono in una condizione migliore”.

Secondo dati ufficiali resi noti il 27 novembre il Regno Unito ha già armato l’Ucraina con quasi 7 mila armi anticarro NLAW, oltre un centinaio di veicoli blindati, semoventi antiaerei Stormer con missili Starstreak, diverse decine di obici M109 e cannoni trainati L119, lanciarazzi campali MLRS M270, oltre 16 mila proiettili d’artiglieria, missili Brimstone e 4,5 tonnellate di esplosivi al plastico. Materiale in parte già usurato o distrutto mentre le munizioni d’artiglieria sono state sufficienti per circa tre giorni di combattimenti.

Per comprendere come anche per le scorte dell’US Army questa guerra non sia sostenibile nel tempo il RUSI evidenzia che nell’estate scorsa gli ucraini sparavano in un giorno 6/7 mila colpi d’artiglieria (i russi fino a 50mila), quando gli Stati Uniti riescono a produrne in un mese solo 15mila.

La costruzione negli USA di uno stabilimento di munizioni ad hoc per l’esercito ucraino richiederà tempo e gli 800 mila proiettili da 155 mm previsti richiederanno due anni per venire prodotti. Secondo il RUSI “al culmine dei combattimenti nel Donbass, la Russia stava usando più munizioni in due giorni di quante ne avesse in magazzino l’intero esercito britannico”.

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Il Pentagono ha ceduto a Kiev circa un terzo delle riserve di missili anticarro Javelin e di quelli antiaerei Stinger: ripianare tali scorte richiederà rispettivamente 5 e 13 anni: troppi, soprattutto tenendo conto che altri conflitti potrebbero esplodere in aree diverse, incluso il Pacifico.

Citando fonti del Pentagono, il New Yorker ha reso noto che gli Stati Uniti non intendono fornire all’Ucraina i lanciarazzi campali multipli HIMARS in grandi quantità a causa del costo (7 milioni di dollari) dei tempi di produzione di nuovi mezzi la limitata ma soprattutto per la difficoltà industriale a far fronte alle commesse di munizioni.

“A fronte di una produzione di 9mila razzi all’anno le forze armate ucraine ne consumano almeno 5mila al mese”, afferma la fonte citata dal giornale.

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E bene evidenziare che gran parte dei 20 miliardi di dollari di aiuti militari statunitensi, degli oltre 3 miliardi di sterline forniti da Londra (secondo contributore) e dei 3,1 miliardi di euro forniti dall’Europa all’Ucraina (l’Italia ha speso finora quasi mezzo miliardo di euro secondo l’Osservatorio MIL€X) riguardano mezzi, armi e munizioni prelevati dai magazzini o dai reparti delle forze armate occidentali, che se ne sono privati non senza critiche da parte di molti ambienti militari.

Citando fonti militari francesi, il magazine statunitense Politico ha rivelato a inizio dicembre che in Francia gli stock di munizioni e artiglieria si sono ridotti pericolosamente a causa delle donazioni all’Ucraina mentre fonti militari tedesche riducono oggi ad appena due giorni l’autonomia di fuoco dell’artiglieria in un conflitto convenzionale.

L’ambasciatore polacco alla NATO, Tomasz Szatkowski, ha dichiarato alla radio polacca RMF che “i depositi militari dei paesi della NATO si stanno vuotando a causa degli aiuti all’Ucraina”. Un allarme che potrebbe aumentare i dissidi tra gli alleati considerato che il segretario generale della NATO, Lens Stoltenberg, continua a esortare gli stati membri a trasferire più armi e munizioni possibile a Kiev.

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Come ha rivelato all’ANSA un’alta fonte diplomatica alla NATO, all’interno dell’alleanza è in corso “un dibattito” sull’ipotesi di dare carri armati di produzione occidentale a Kiev dopo l’appello in tal senso del ministro degli Esteri lituano, Gabrielius Landsbergis.

La questione però, sempre in termini concreti, è dove reperire in Europa tank per l’Ucraina considerato che alcune nazioni NATO hanno rinunciato a mantenere in servizio carri armati e chi ancora ne ha in organico dispone di flotte compresa tra i 150 (l’Italia) o e i 350 (la Germania) esemplari, solo per meno della metà operativi: flotte non cedibili se non si vogliono appiedare gli ultimi reparti corazzati rimasti in Europa. Pochi anche i mezzi in riserva che richiederebbero comunque ampi lavori per tornare a essere operativi.

A Kiev il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha lamentato che la Germania non ha assunto al momento alcun impegno per la fornitura di carri armati Leopard 2 all’Ucraina.

Il 15 dicembre Berlino ha consegnato all’Ucraina missili per il sistema di difesa area IRIS-T, due veicoli corazzati e 30 mila proiettili per lanciagranate da 40 mm, 5 mila munizioni da 155 mm, 4 ambulanze e 18 autocarri. In Belgio, come in altre nazioni europee, le pressioni politiche tese a dare più armi agli ucraini cozzano con le resistenze dei militari che temono di dover domani affrontare un contesto bellico ad alta intensità senza disporre di armi e munizioni.

 

Manutenzioni oltre confine

Sostenere lo sforzo bellico ucraino diventa difficile anche sul piano logistico poiché la carenza di energia e la devastazione dell’apparato industriale militare ucraino rendono ardue se non impossibili anche manutenzioni e riparazioni.

A Michalovce, in Slovacchia, è stato aperto il centro per le riparazioni delle armi pesanti fornite dalla Germania all’Ucraina, come ha comunicato nei giorni scorsi il generale di brigata Christian Freuding, capo dello Stato maggiore speciale per l’Ucraina presso il ministero della Difesa tedesco. Presso il polo di Kosice verranno riparati, in particolare, i 14 obici semoventi Pzh 2000 che la Germania ha fornito insieme a Olanda e Italia all’Ucraina e che vengono ormai “cannibalizzati” per mantenerne qualcuno operativo secondo testimonianze dirette dal fronte

Il centro in Slovacchia curerà la manutenzione anche dei 5 lanciarazzi multipli Mars e dei 37 semoventi antiaerei corazzati Gepard forniti a Kiev e in futuro anche dei 50 blindati ruotati Dingo di prossima consegna. L’ubicazione del centro logistico oltre i confini ucraini offre garanzie contro gli attacchi russi ma impone lunghi trasferimenti dal fronte dei mezzi da riparare.

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il viceministro della Difesa ceco, Tomas Kopecny, ha annunciato che migliaia di tecnici e operai ucraini delle aziende del settore Difesa lavoreranno negli stabilimenti di produzione di armi della Repubblica Ceca dove la produzione di alcuni sistemi d’arma nell’ambito di progetti comuni dovrebbe cominciare nella prima metà del 2023.

La Svizzera invece si è impegnata a non fornire armi all’Ucraina. “Né al tempo della prima guerra mondiale, né durante la seconda guerra mondiale, abbiamo esportato armi. Non esporteremo armi e non parteciperemo direttamente o indirettamente a un conflitto militare né in termini di armi né con le nostre truppe in Ucraina, Russia o in qualsiasi altra parte del mondo”, ha sottolineato il 12 dicembre il presidente della Confederazione, Ignazio Cassis, aggiungendo che “c’è sempre pressione” sulla Svizzera da parte dei Paesi europei”.

@GianandreaGaian

Foto:  Bundeswehr, US DoD e Ministero della Difesa Ucraino
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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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