La visita di Zelensky a Washington lascia delusi statunitensi e ucraini
(aggiornato alle 23,30)
La visita del presidente ucraino a Washington si presta a diverse valutazioni e interpretazioni che vanno ben al di là del linguaggio propagandistico ed enfatico che l’ha accompagnata paragonandola addirittura a quella di Winston Churchill del dicembre 1941.
La visita di Zelensky alla Casa Bianca e l’intervento al Congresso, in cui ha promesso che l’Ucraina non si arrenderà chiedendo ulteriori aiuti militari e finanziari, sono stati interpretati da molti come la conferma della solidità dell’asse tra Washington e Kiev, cementato da un nuovo maxi-stanziamento di quasi 2 miliardi di dollari in armi e addestramento.
Tuttavia non mancano le valutazioni più caute tese a evidenziare perplessità e limiti nel sostegno americano: il leader repubblicano alla Camera, Kevin McCarthy, pur apprezzando il discorso del presidente ucraino al Congresso (istituzione a cui Zelensky ha donato una bandiera firmata da militari sul fronte caldo di Bakhmut – nella foto in fondo) ha ribadito che “non diamo mai un assegno in bianco. Vogliamo garanzie che ci si assicuri responsabilità per ogni dollaro speso”.
La prima tappa del viaggio negli Stati Uniti di Volodymyr Zelensky è stata fatta in treno, di notte, verso la Polonia dove il presidente ucraino ha raggiunto l’aeroporto di Rzeszow dove si è imbarcato per Washington insieme all’ambasciatore americano a Kiev, Bridget Ann Brink.
Dettagli non insignificanti sia perché Zelensky e Biden hanno tenuto segreta fino all’ultima la visita, sia perché il presidente ucraino per ragioni di sicurezza si è mosso in treno e di notte sul territorio ucraino e infine perché l’aeroporto polacco di Rzeszow è di fatto una grande base aerea USA/NATO dove affluisce la gran parte delle armi e munizioni occidentali diretti in Ucraina.
Non si può quindi escludere che Zelensky, solitamente pronto a collegarsi via web col mondo intero ma restio a lasciare Kiev, sia stato “convocato” a Washington dove in molti ambienti l’entusiasmo per la guerra contro la Russia e il sostegno “senza se e senza ma” al regime di Kiev (che ha messo fuori legge 12 partiti di opposizione e chiuso giornali e televisioni) si sono notevolmente raffreddati.
Il presidente Zelensky ”non avrebbe intrapreso questo viaggio se non fosse in calo il sostegno negli USA mentre i russi tagliano le risorse energetiche e bombardano le città” ha scritto ieri su Twitter l’ex portavoce di Biden alla Casa Bianca Jen Psaki, che ora lavora per la tv MSNBC. Altre fonti però valutano che Zelensky stia preparando visite analoghe a Londra, Parigi e Berlino.
Il magazine statunitense Politico aveva anticipato che il presidente ucraino avrebbe chiesto la fornitura di missili balistici tattici ATACMS, capaci di colpire obiettivi a 300 chilometri di distanza e lanciabili dai lanciarazzi campali HIMARS già consegnati agli ucraini pur se con munizioni con un raggio d’azione limitato a 70 chilometri.
Gli ATACMS consentirebbero alle forze ucraine di colpire più agevolmente in profondità il territorio russo, oggi bersagliato occasionalmente con vecchi droni modificati Tu-141. Secondo una fonte citata da Politico la delegazione ucraina avrebbe chiesto anche droni armati a lungo raggio Grey Eagle e Reaper.
La Casa Bianca finora ha rifiutato categoricamente l’invio a Kiev di queste armi per evitare che vengano impiegate contro il territorio russo, elemento che innalzerebbe ulteriormente l’escalation tra Mosca e Washington tenuto conto che ieri il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, ha evidenziato quanto gli stati membri della NATO e soprattutto gli stati Uniti siano ormai coinvolti direttamente nel conflitto in Ucraina.
Shoigu ha riferito che più di 500 satelliti statunitensi e della NATO vengono utilizzati nell’interesse delle forze armate ucraine, inclusi più di 70 satelliti militari, che gli ufficiali di stato maggiore della NATO sono in zona di guerra in Ucraina e che più di 25 paesi hanno speso finora 97 miliardi di dollari per fornire armi all’Ucraina.
Inoltre migliaia di combattenti occidentali affiancano le truppe di Kiev per addestramento ma anche in combattimento come dimostrano numerosi video diffusi dallo stesso esercito di Kiev: ufficialmente si tratta di “volontari” ma è forte il sospetto che si tratti di militari regolari e contractors.
Il segretario di Stato, Anthony Blinken, ha annunciato un nuovo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina da 1,85 miliardi di dollari che comprenderà anche il sistema di difesa aerea missilistico Patriot, chiesto da tempo da Kiev. Un’arma in grado di intercettare aerei a lungo raggio (quindi anche sullo spazio aereo russo o bielorusso) e, su distanze più brevi, missili balistici e da crociera.
“La tranche di aiuti di oggi include per la prima volta il sistema di difesa aerea Patriot, in grado di abbattere missili da crociera, missili balistici a corto raggio e aerei ad altitudini significativamente più elevate rispetto ai sistemi di difesa forniti finora”, ha dichiarato Blinken in un comunicato
Nei giorni scorsi la Germania aveva negato lo schieramento dei suoi Patriot in Ucraina, come chiedeva la Polonia, ma l’impiego di questi missili richiederà però una forte presenza di personale e tecnici statunitensi poiché addestrare le truppe di Kiev a utilizzarlo richiederebbe molti mesi.
Un alto funzionario del Pentagono ha detto alla CNN che ci vorranno diversi mesi perché le forze armate ucraine vengano addestrate. “Il Patriot richiede addestramento e prevediamo che ci vorranno diversi mesi per garantire che le forze ucraine abbiano le competenze necessarie per impiegarlo con successo per difendersi a lungo raggio da missili da crociera, missili balistici e aerei”.
Inoltre il numero di lanciatori e di missili da fornire a Kiev sarà limitato a una sola batteria, costringendo quindi gli ucraini a scegliere quali obiettivi proteggere.
Il dispiegamento di pochi Patriot in Ucraina non sarà quindi risolutivo nel fermare gli attacchi russi alle infrastrutture energetiche ma potrebbe avere un doppio valore politico: da un lato confermare che gli USA offrono le loro migliori armi all’Ucraina e dall’altro accontentare solo parzialmente le pretese di Zelensky offrendo armi difensive come i Patriot pur continuando a negare quelle offensive come i missili ATACMS e i droni Grey Eagle e Reaper, che il Pentagono vorrebbe peraltro evitare cadano in mani russe in caso di (possibile) abbattimento.
Lo ha detto chiaramente il presidente Biden, pur scaricando la responsabilità sugli alleati europei, in conferenza stampa co giunta con Zelensky.
“L’invio di materiali militari diversi da quelli che stiamo inviando ora all’Ucraina potrebbe creare divisioni nella NATO e nel resto del mondo. Passo centinaia di ore a colloquio con gli europei e ho fatto del mio meglio per potenziare il sostegno all’Ucraina ma l’Europa non cerca una terza guerra mondiale e una guerra con la Russia”.
In effetti la poderosa lista della spesa resa nota dal Pentagono non include né gli ATACMS né Reaper o Grey Eagle. Nel dettaglio gli Stati Uniti forniranno rapidamente un miliardo di dollari in donazioni di armi e munizioni provenienti dalle scorte militari statunitensi e 850 milioni per acquisire armi e munizioni dall’industria della Difesa, quindi con almeno diversi mesi di attesa prima della consegna.
Tra le forniture figurano:
- Munizioni a razzo per gli MLRS HIMARS
- 500 proiettili guidati di precisione da 155 mm
- 10 mortai da 120 mm con 10mila proiettili
- 10 mortai da 82 mm
- 10 mortai da 60 mmm
- 37 veicoli protetti MRAP Cougar
- 120 veicoli 4×4 HMMWV
- 6 autocarri ad alta mobilità
- razzi guidati aria-terra
- 2700 lancia granate e armi leggere
- Mine antiuomo Claymore
- Esplosivi per demolizioni
- Visori notturni
- Sistemi radio pet comunicazioni tattiche
- Giubbotti antiproiettile ed equipaggiamento individuale
- Apparati per comunicazioni satellitari
- Fondi per addestramento e manutenzioni
Una lunga lista da integrare con i pacchetti di supporto logistico e addestrativo ma in cui mancano però gli ingenti quantitativi di munizioni d’artiglieria da 105 e 155 mm apparsi in gran numero nei pacchetti precedenti, a conferma forse delle resistenze del Pentagono a ridurre ulteriormente le scorte di Esercito e Marines mentre non si può neppure escludere il drastico ridimensionamento dei 150 obici M777 da 155 mm e 90 L118 e M119 da 105 mm (donati per lo più da USA e Gran Bretagna con qualche pezzo fornito da Australia e Canada) sopravvissuti al fuoco russo e all’intensa usura del campo di battaglia.
Valutazioni che potrebbero riguardare anche i semoventi di costruzione occidentale come l’ottantina di M109 tenuto conto che in questo pacchetto di aiuti il Pentagono fornirà comunque all’Ucraina oltre 200 mila proiettili d’artiglieria ma dei calibri di tipo russo/sovietico in uso anche nell’Esercito Ucraino, evidentemente reperiti dagli Stati Uniti presso nazioni amiche.
Questa la lista:
45.000 proiettili per obici calibro 152 mm
20.000 proiettili d’artiglieria da 122 mm
50.000 razzi campali da 122 mm GRAD
100.000 proiettili da 125 mm per i cannoni dei tank
Al di là dei baciamano, degli applausi scroscianti, degli abbracci calorosi riservati al presidente ucraino la visita a Washington sembra rappresentare un fallimento per tutti: Zelensky non ha ottenuto le armi pesanti offensive su cui contava per colpire sistematicamente la Russia in profondità mentre i suoi proclami davanti al Congresso in cui si dice pronto a trattare con Mosca solo una volta riconquistata anche la Crimea hanno deluso molti negli Stati Uniti, come ha rivelato una fonte della Casa Bianca al Washington Post.
L’obiettivo di Zelensky era ottenere “armi più potenti e aumentare la capacità dell’Ucraina di lanciare importanti operazioni offensive” l’anno prossimo. “Non c’è praticamente alcuna indicazione che abbia avuto successo, almeno a breve termine”, afferma l’articolo. Da parte sua, l’amministrazione USA voleva “discutere di ciò che Zelensky pensa della diplomazia”, ha detto al giornale una fonte della Casa Bianca.
Al tempo stesso la guerra ad oltranza e ad ogni costo umano e materiale combattuta dagli ucraini rischia di trovare un limite nel rapido depauperamento degli stock di armi e munizioni che l’Occidente può ancora donare.
Il sistema d’arma più importante, anche sul piano simbolico, dell’ultimo pacchetto di aiuti militari all’Ucraina, resta il Patriot anche se non è chiaro quando verranno effettivamente consegnati questi missili definiti “estremamente necessari” da Yuriy Ignat, portavoce del Comando dell’Aeronautica Ucraina.
“Il Patriot è un’arma a lungo raggio che può ingaggiare i suoi bersagli aerei a una distanza fino a 150 chilometri. Questi complessi in determinate direzioni potrebbero aiutare ad allontanare l’aviazione russa dai nostri confini, in particolare bombardieri come il TU-22M3 o gli equipaggi degli aerei tattici del nemico”, ha spiegato Ignat, secondo cui l’esercito ucraino sarà in grado di padroneggiare abbastanza facilmente i nuovi sistemi missilistici antiaerei Patriot.
Va infine tenuto presente che l’ampio impiego di droni-kamikaze a lungo raggio da parte dei russi esporrebbe anche la batteria di Patriot al rischio di venire colpita, come ha più volte anticipato Dimitri Medvedev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa, ieri non a caso recatosi a Pechino per consegnare personalmente un messaggio di Putin a Xi Jinping
Una visita non programmata, che potrebbe indicare che Mosca ha informato tempestivamente i cinesi circa le prossime iniziative politiche e militari che verranno adottate in risposta agli esiti della visita di Zelensky a Washington.
Per ora Vladimir Putin si è limitato ad assicurare che la Russia troverà un “antidoto” ai Patriot che Washington darà all’Ucraina aggiungendo che i missili americani sono “abbastanza vecchi ma ci ricorderemo che sono stati forniti” a Kiev.
Foto: Presidenza dell’Ucraina
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.