L’Italia torna a ritagliarsi un ruolo nella crisi balcanica?

 

 

 

La missione congiunta in Serbia e Kosovo del 22 novembre scorso dei ministri degli Esteri  Antonio Tajani e della Difesa Guido Crosetto, benché poco enfatizzata mediaticamente, merita un’attenzione di riguardo in quanto trattasi di una prima volta in contemporanea di due ministri italiani di peso in Serbia e Kosovo e, al tempo stesso, lascia intravedere finalmente una svolta politica sia a livello bilaterale che strategico in contrasto con la ultradecennale felpata, sonnolenta e delegante politica estera italiana verso un’area di prioritaria importanza per il nostro Paese.

L’indubbia pressione della Federazione Russa da un lato, di Ue e Nato dall’altro su Serbia e Kosovo unitamente alle fallimentari, finora, mediazioni della Ue per una composizione definitiva delle questioni irrisolte fra i due contendenti e, infine, alla proposta di risoluzione del contenzioso Serbia- Kosovo elaborata da Francia e Germania, Italia esclusa, scavalcando perfino l’infruttuoso approccio Ue, hanno di fatto sollecitato una reazione.

Sembra ci si sia resi conto che privilegiare comunque l’approccio multilaterale a discapito di una identificabile azione bilaterale italiana si sia rivelato quanto mai dannoso nel tempo.

In attesa di risultati concreti, cancellando l’inconcludenza retorica del passato, rispetto agli interessi nazionali e soprattutto alle risorse umane e finanziarie dispiegate da decenni, si può senz’altro affermare che una svolta per riposizionare il nostro Paese nel ruolo che gli competerebbe, era attesa da anni.

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Inspiegabile per chi avesse vissuto esperienze operative in quell’area l’assuefazione Italiana a logiche esclusivamente multilaterali mentre Germania, Francia e Turchia, per citare i nostri maggiori competitori, erodevano impunemente la ultra secolare, millenaria se partiamo dall’impero romano, influenza italiana nei Balcani. Influenza politica, culturale, economica peraltro bene accolta in generale dalle stesse popolazioni locali.

Come si è giunti al cambio di rotta quasi repentino rispetto alla esasperata prudenza diplomatica nostrana? Possibile che la concomitanza di eventi non più trascurabili, pena una disonorevole, quasi definitiva ritirata italiana dall’arena balcanica, abbiano contribuito all’attesa accelerazione.

In primo luogo i rischi di instabilità e le conseguenze della guerra russo-ucraina sempre più palpabili. A seguire la bocciatura sul campo della ultradecennale mediazione Ue, incapace, fino al 23 novembre scorso, persino di portare le due parti ad un accordo sul pretestuoso contenzioso delle targhe automobilistiche.

Sull’orlo del precipizio si è faticosamente giunti ad un accordo non definitivo. Il Kosovo non esigerà la sostituzione immediata delle targhe serbe ancora circolanti sul suo territorio mentre la Serbia sospenderà i rinnovi delle vecchie targhe e non procederà al rilascio di nuove targhe per i distretti in Kosovo con popolazione a maggioranza serba.

Tuttavia è bene tenere presente la provvisorietà di una situazione degenerata a tal punto da registrare le dimissioni in massa dei serbi dalle istituzioni kosovare, compresa la polizia mentre si è reso necessario un deciso intervento degli Usa a sostegno della mediazione Ue.

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In precedenza da segnalare gli interventi bilaterali di Germania e Francia che, di fatto, scavalcando l’azione multilaterale Ue, hanno tenuto a confermare il loro ruolo predominante elaborando una bozza di soluzione del contenzioso Serbia-Kosovo come base dei negoziati fra i due contendenti.

Per salvare la faccia il responsabile della politica estera e della sicurezza della Ue, Josep Borrell, ha dichiarato (excusatio non petita), che l’Unione è stata coinvolta nell’elaborazione dell’iniziativa franco-tedesca sin dall’origine. Un ennesimo pasticcio per i vertici della Ue completato, secondo fonti stampa autorevoli, dalle gaffes della presidente della commissione Von Der Leyen, in particolare sulla guerra russo-ucraina, e dai pessimi rapporti personali intercorrenti fra quest’ultima ed il presidente del Consiglio Europeo, il belga Charles Michel.

Infine, ma non ultima, la questione delle rotte terrestri delle migrazioni irregolari, tema quanto mai sensibile per il nostro Paese.

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Con l’invio accelerato di una missione congiunta dei due ministri italiani, appena prima del vertice Ue Balcani Occidentali del 6 dicembre 2022, appare abbastanza evidente la volontà del nuovo governo italiano di ottenere un doppio risultato: da un lato chiarire ai partner europei, Francia e Germania in testa, e alla Ue la presenza attiva, non più subordinata, che il nostro Paese intende svolgere; dall’altro mostrare la palese insoddisfazione per essere stati scavalcati da iniziative che avrebbero dovuto coinvolgere le parti maggiormente impegnate nell’area balcanica.

Risultano rivelatrici in tal senso le dichiarazioni rilasciate dai due ministri al termine della missione riportate dalle agenzie di stampa. “Vogliamo riprendere un ruolo strategico nella regione fondamentale per normalizzare l’attuale situazione e avere un ruolo anche sulla questione dei flussi migratori lungo la rotta balcanica”. “Abbiamo deciso di portare a livello politico lo stesso peso che abbiamo qui dal punto di vista militare” ha sottolineato Crosetto.

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Infine, l’Italia mira ad un possibile incontro multilaterale, che potrebbe svolgersi a Roma, dei rappresentanti dei governi di tutti i Balcani, ha significativamente concluso Tajani.

Quest’ultima proposta da parte del nostro ministro degli esteri, gli stessi esiti della missione sono apparsi come risposte, seppur tardive, ai tanti sgarbi diplomatici subiti da decenni dal nostro Paese a partire dall’esclusione nel 1995 dell’Italia dal primo Gruppo di Contatto per cercare di risolvere la grave crisi allora in atto in Bosnia-Erzegovina.

Sgarbi periodici quali esclusioni dell’Italia anche da importanti iniziative formali e informali, subiti da Parigi e Berlino senza reazioni significative, anzi ampliatisi con la fallimentare gestione del dossier Balcani in atto fino a pochi mesi or sono, evidentemente incapace di far passare una linea italiana che non fosse il semplice appiattimento sulle decisioni di altri.

Debolezza e vuoti prontamente sfruttati dai nostri alleati/competitori i quali, ironia della sorte, si sono affrettati a lodare l’operato del nostro ex ministro degli Esteri alla sua uscita di scena, verosimilmente una sorta di malizioso ringraziamento per aver indebolito ulteriormente il ruolo italiano nei Balcani e non solo.

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Ritornare oggi ad una forte iniziativa italiana nelle aree di prioritario interesse nazionale diviene quanto mai necessario per gli interessi nazionali tenuto conto delle debolezze del passato e del nuovo contesto internazionale. Una nuova linea di condotta da noi auspicata e riportata da anni su Analisi Difesa.

Per i lettori che volessero approfondire le origini e le conseguenze, ancora attuali, del nostro declino nei Balcani e nelle altre aree di influenza italiane, rimandiamo a quanto scritto oltre 2 anni fa nell’articolo pubblicato da Analisi Difesa “L’Italia sta cedendo quote d’influenza nelle aree prioritarie per gli interessi nazionali”.

 

Alta tensione tra Serbia e Kosovo

Fra le conseguenze della guerra russo-ucraina non poteva mancare, e non sta mancando, una pericolosa deriva conflittuale fra Serbia e Kosovo.

Come già indicato, risolta apparentemente la pretestuosa questione delle targhe, ma non quella ben più grave delle dimissioni in blocco di funzionari e agenti di polizia di etnia serba dalle istituzioni kosovare, è rapidamente deflagrata la tensione mai sopita fra i due contendenti malgrado l’ultradecennale mediazione Ue, i dialoghi, le riunioni congiunte, quelle bilaterali, la firma di accordi dal 2015 mai resi completamente operativi, la prospettiva europea ecc.

L’escalation, non solo verbale, è arrivata al punto da richiedere il rinvio delle elezioni comunali nelle città a maggioranza serba del Kosovo del nord previste per il 18 dicembre 2022, l’invio da parte kosovara di rinforzi di polizia con blindati, ovviamente di etnia albanese essendosi dimesse le unità di etnia serba, per sedare gravi episodi di violenza registrati a seguito delle dimissioni in massa e dell’arresto di un ex poliziotto di etnia serba.

Il tutto ha comportato anche attacchi agli uffici della commissione elettorale, barricate serbe e blocco della viabilità intorno a Mitrovica. La reazione di Belgrado non si è fatta attendere, sono state inviate unità militari meccanizzate alla frontiera con il Kosovo mentre il Presidente serbo ha manifestato l’intenzione di richiedere alla Nato l’autorizzazione all’ingresso in Kosovo del nord di unità serbe da affiancare a Kfor e Eulex per la protezione dei kosovari serbi in quanto questi ultimi sarebbero sottoposti a minacce e pericoli da parte dei kosovari albanesi.

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Un quadro che sembra riportare al periodo post conflittuale 2000-2001 che ho vissuto direttamente in Kosovo come sindaco dell’amministrazione dell’Onu di una città mista.

Una situazione che certifica, purtroppo, l’impotenza della Ue, l’incapacità di portare Serbia e Kosovo ad un ragionevole compromesso, a rispettare accordi siglati dal 2015, ad attenuare una conflittualità pronta a riesplodere alla minima scintilla. Quel che dovrebbe far riflettere dopo oltre 10 anni di mediazioni è la mancanza di fiducia fra le parti, che permane, quasi accettassero di incontrarsi ma senza voglia di concludere, quasi mancasse il rispetto e la fiducia dovuti al mediatore Ue.

Troppo il tempo trascorso fra il 2015 ed il 2022 senza ad esempio che venisse creata l’associazione dei comuni a maggioranza serba pur prevista dal 2015 ed accettata dal governo kosovaro, in seguito ritrattata da un successivo governo con il pretesto di non rispettare la carta costituzionale.

Pacta sunt servanda si usa dire ancor oggi eppure si è accettato che così non fosse dilungando i tempi con altre discussioni, riunioni ecc., dando modo alla parte serba di avere sempre un argomento più che valido per dilazionare a sua volta le decisioni da prendere, rinviare, recriminare.

Entrambe le parti poi, per chi conosce bene i Balcani, sono maestre della disinformazione, vivono di un nazionalismo inculcato dal passato e dagli eventi ante e post 1999.

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Nulla è come sembra, un buon negoziatore dovrebbe ragionare come le controparti, giusto o sbagliato che sia, per portarle ad un compromesso accettabile da entrambi. L’errore è stato forse credere di poter giungere alla svolta pensando che le parti dovessero ragionare come il negoziatore vorrebbe ragionassero.

In questa situazione di provvisorietà, debolezza negoziale appaiono scontate le intromissioni esterne soprattutto a seguito del conflitto russo ucraino.

La Federazione Russa sostiene da sempre la Serbia, lo ha fatto nei momenti più critici, pone il veto, assieme alla Cina, al riconoscimento del Kosovo in sede di Consiglio di sicurezza Onu. Le Serbia deve molto alla Russia, non può che essere sensibile alla sua influenza, alla sua protezione esterna che tuttavia non ha mai comportato impedimenti alla richiesta di Belgrado di adesione alla Ue e alla mediazione Ue.

Dall’altra parte il Kosovo deve molto agli Stati Uniti, al Regno Unito oltre alla Ue e agli stati membri più importanti fra cui l’Italia. La predilezione va tuttavia agli Usa tanto che all’ex presidente Clinton è stata eretta una statua di 3,5 metri in pieno centro di Pristina ed a lui è dedicata la principale arteria del centro della capitale, Clinton Boulevard.

In conclusione per evitare una pericolosa deriva conflittuale e riportare al tavolo negoziale Kosovo e Serbia con qualche speranza di normalizzare le relazioni, si è delineata sul campo la necessità di un maggior coinvolgimento degli Stati Uniti non più da semplice supporto alla mediazione Ue.

Cosa che sta avvenendo puntualmente. Non a caso nelle drammatiche circostanze di inizio dicembre, l’inviato speciale statunitense per i Balcani occidentali, Escobar, e l’ambasciatore Usa in Kosovo sono stati tanto attivi da precedere i vari inviati e negoziatori Ue negli incontri con le massime autorità serbe e kosovare.

L’inviato speciale di Washington ha espresso chiaramente la categorica contrarietà a qualsiasi invio di unità serbe in Kosovo mentre ha ribadito altrettanto chiaramente che l’attuazione dell’associazione delle municipalità serbe resta un obbligo tanto per il Kosovo che per la Serbia e il mediatore Ue, lasciando trasparire una velata critica all’operato dell’Unione Europea e alle tempistiche troppo lunghe concesse in fase negoziale.

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E’ la realtà dei fatti come l’aggiornamento della proposta negoziale franco-tedesca approvato dai 27 Paesi Membri Ue. Quest’ultima costituirà la base negoziale fra le due parti in vista della completa normalizzazione dei rapporti, il riconoscimento reciproco e il superamento della Risoluzione Onu 1244 ancora in vigore.

La soluzione definitiva della questione, a prescindere dal ridimensionamento del ruolo della Ue in quanto tale e dell’Onu, dalle prossime riunioni del Consiglio Europeo, dalle mediazioni varie bilaterali e non, dovrà prevedere in qualche modo anche un coinvolgimento della Federazione Russa non solo per gli stretti, ineludibili legami con la Serbia, un’influenza naturale, volente o nolente sui Balcani, ma anche per il diritto di veto che esercita assieme alla Cina contro il riconoscimento del Kosovo.

Va ricordato che i russi hanno sempre sostenuto formalmente la soluzione diplomatica e l’accordo diretto fra Serbia e Kosovo che sarebbe quindi da loro sostenuto qualora si giungesse ad un’intesa definitiva siglata da entrambi.

Foto: Ministero della Difesa Italiano, Ministero della Difesa Serbo e Ministero della Difesa del Kosovo

 

 

E' uno dei maggiori esperti italiani di operazioni internazionali di stabilizzazione, peacebuilding, cooperazione e comunicazione nelle aree di crisi. Dagli anni 80 ha ricoperto incarichi di responsabilità crescenti per l’Onu, la UE e il Ministero degli Esteri in Africa (13 anni), Medio Oriente e Balcani. Specialista di negoziati complessi, è stato Sindaco Onu in Kosovo della città mista di Kosovo Polje dal 1999 al 2001, ha guidato, primo non americano, il PRT di Nassiriyah in Iraq nel 2006 ed è stato Portavoce e Capo della comunicazione della missione europea di assistenza antiterrorismo EUCAP Sahel Niger fino al 2016. Destinatario di un’alta onorificenza presidenziale Senegalese, per l’editore Fermento ha scritto "Alla periferia del Mondo". Scrive su riviste specializzate ed è un apprezzato commentatore per radio e tv.

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