Quante IPOCRISEA su immigrazione e Ong
Viaggio tra le principali favole e ipocrisie raccontate sull’immigrazione che prende le mosse da un reportage a bordo della nave Aquarius della ONG SOS Méditerranée realizzato per la trasmissione di Rai3 Report. Durante i soccorsi a circa 20 miglia dalla costa libica, quando vengono intercettate 12 imbarcazioni cariche di migranti compare qualcosa che nonostante decine di reporter a bordo delle ONG nessuno aveva mai mostrato prima. Le navi di soccorso non sono sole.
Accanto a loro ci sono altre imbarcazioni ma l’unico giornalista a documentarne la presenza è l’autrice del libro. Il filmato mostra gli operatori umanitari gomito a gomito con personaggi chiave del traffico di uomini. I soccorritori li chiamano “pescatori” ma è evidente che più che ai pesci sono interessati a condurre i migranti verso le navi di soccorso. Questa però è solo una delle tante operazioni di storytelling portate avanti con il favore di media e politica.
Dal Paese d’origine a quello d’arrivo, il viaggio di chi migra attraverso il Mediterraneo sembra ormai il plot di una triste favola moderna dove le vittime si trasformano in eroi diviso in “buoni” o “cattivi”.
Alla radice di questa lettura salvifico favolistica, c’è un filone di pensiero ormai dominante sui media e nella politica secondo il quale l’immigrazione è la soluzione ai problemi demografici ed economici dell’Italia nonché al perenne fabbisogno di manodopera dequalificata.
Anche di fronte ai milioni di persone costrette a fuggire dalle bombe, i fautori dell’immigrazione incontrollata continuano a chiedere a gran voce che i migranti che attraversano il Mediterraneo vengano equiparati a quelle dei profughi in fuga dalla guerra in Ucraina.
Eppure si tratta di flussi completamente diversi come confermano i dati del Ministero dell’Interno secondo i quali almeno l’80% di quanti sbarcano sulle coste italiane sono migranti economici.
Gli stessi rifugiati politici per eccellenza, gli eritrei, che per anni hanno rappresentato uno dei più importanti flussi che hanno attraversato il Mediterraneo, sono protagonisti di un fenomeno curioso documentato per la prima volta dall’autrice del libro: ogni estate tornano a casa per le vacanze.
Com’è possibile che chi scappa da violenze e persecuzioni faccia ritorno nelle mani del proprio “carnefice” come nulla fosse? Evidentemente, quello ci è stato raccontato sui molti dei paesi d’origine di questi migranti, in particolare sull’Eritrea, descritta come “la Corea del Nord dell’Africa” non corrisponde a verità e per capirlo occorre indagare le ragioni del perché e da chi sia stata etichettata in questo modo.
Dalle esperienze vissute sul campo emerge dunque come il fenomeno migratorio venga continuamente sottoposto a ipocrisie e falsificazioni retoriche. Dal tentativo di apporre un manto di umanitarismo ad un flusso sistematico che si caratterizza per essere un processo di trasformazione economica, all’utilizzo della parola stessa “migrante” che nel suo sottolineare un’inesistente volontà di nomadismo, falsifica le reali motivazioni di chi lascia il suo Paese non certo per “spondeggiare” tra le rive del Mediterraneo o le lacune della nostra legislazione, ma per cercare una terra in cui collocarsi e avere un futuro migliore.
Queste continue falsificazioni hanno creato il terreno fertile per un utilizzo distorto delle convenzioni internazionali con il supporto di autorevoli economisti e istituti di ricerca convinti che “i migranti ci pagano le pensioni” o che le regolarizzazioni di stato siano la soluzione alle condizioni di sfruttamento e marginalità vissute da centinaia di migliaia di irregolari.
Affermazioni sistematicamente sconfessate dalla realtà perché nonostante le continue sanatorie, ci sono 600mila “invisibili” che non accennano a diminuire e 2 migranti regolari su 3 che vivono in condizioni di povertà assoluta o relativa.
L’intento di IpocriSea è dunque quello di andare oltre i principali luoghi comuni che si sono imposti sul tema. Se dovessimo ad esempio scoprire che le ONG oltre a salvare vite incentivano le partenze, che gli immigrati non rappresentano alcun “tesoretto”, che la maggior parte di quanti consideriamo rifugiati non sono ciò che abbiamo sempre creduto, che in nome di un’idea romantica dell’immigrazione tutta occidentale stiamo impoverendo molti Paesi africani privandoli delle proprie risorse e che l’attuale sistema di accoglienza, con la continua immissione nel mercato del lavoro di nuova manodopera a basso costo, spinge queste persone nei circuiti del lavoro nero e dello sfruttamento, che oltre agli stessi immigrati questa lettura favolistica danneggia anche la società che accoglie, continueremmo a portare avanti questo modello di immigrazione?
Il merito maggiore di questo libro è l’esperienza di Francesca come reporter in prima linea, sul fronte rovente e tragico degli attraversamenti del Mediterraneo. L’odissea dei disperati che affidano il proprio futuro a quelle traversate ha già fatto troppi morti, ha seminato troppo dolore.
È una delle ragioni per cui tante italiane e tanti italiani sono sinceramente, giustamente solidali con chi è spinto dalla miseria a rischiare la vita su un barcone. Francesca però ha visto anche un’altra realtà: le collusioni tra il mondo delle ong umanitarie e quello degli scafisti, le complicità tra l’ideologia no border e la criminalità che gestisce il traffico degli esseri umani disperati. IpocriSea è un documento di denuncia: grave, originale, coraggioso. Nessuno ha il diritto di ignorare queste pagine per partito preso, perché smentiscono una leggenda nobile. Per contestare queste osservazioni di una reporter in prima linea, che racconta quel che ha visto con i propri occhi, bisogna contrapporre dei fatti, non delle opinioni.
Federico Rampini
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di Francesca Ronchin ( con la Prefazione di Federico Rampini)
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