La cooperazione per la sicurezza migratoria

 

 

La visita a Tunisi dei nostri ministri degli Esteri e dell’Interno ha posto in primo piano il ruolo della Tunisia nella sicurezza migratoria. Con questo termine si indica la sicurezza della vita dei migranti connessa all’attività di soccorso. La protezione della sovranità dello Stato di partenza che non può consentire espatri illegali con imbarcazioni insicure ma anche quella dello Stato di arrivo che ha diritto alla sua integrità territoriale.

Rientrano nello stesso concetto il contrasto al traffico illecito di persone e migranti e la collaborazione giudiziaria tra Stati per la repressione di queste condotte.

Italia e Tunisia hanno già provato in passato a stabilire forme di cooperazione per contrastare il fenomeno. Nel 2011, ad esempio, nel periodo seguente alle c.d. “Primavere Arabe”, si attuò una forma di collaborazione in mare per favorire gli interventi SAR (Ricerca e Soccorso) della Marina Tunisina che, intercettando su segnalazione italiana le imbarcazioni in difficoltà, le riportava ai porti di partenza.

Per consolidare questa attività occorrerebbe definire un Accordo SAR tra i due Paesi.  L’esigenza era già stata delineata dalla nostra Guardia Costiera durante l’audizione  alla Commissione Schengen  nel 2017. Tra l’altro, la Tunisia, a differenza della Libia, è un luogo di sbarco sicuro dal momento che è tra i “Paesi di origine sicuri”, ai sensi del DM  4 ottobre 2019 sulla concessione della protezione internazionale.

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Di rilievo è anche quanto affermato, lo scorso 18 gennaio, dal Capo Reparto operazioni di Maricogecap avanti alle Commissioni Trasporti e Affari costituzionali circa il fatto che, non essendoci alcuna correlazione tra porto sicuro e porto più vicino, «l’individuazione del POS dovrebbe essere effettuata dallo Stato competente per la Regione SAR in cui sono state soccorse le persone in cooperazione con lo Stato di bandiera dell’unita». Tale principio è in linea con quanto previsto dalle normative dell’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), ratificate dall’Italia ma non ritenute vincolanti da Malta.

Esso può essere osservato caso per caso dai singoli Stati interessati, ma potrebbe essere regolamentato in via preventiva con un accordo di cooperazione regionale che definisca le reciproche responsabilità.

Una simile proposta era stata avanzata dall’Italia in sede IMO nel 2011  (v. pag. 26 documento COMSAR 15-16) al fine di redigere  un Memorandum on Procedures relating to the Disembarkation of Persons Rescued at Sea tra Italia, Francia, Malta e Spagna.

Lo strumento fu predisposto in bozza senza tuttavia essere approvato. Sarebbe auspicabile che il ministero delle Infrastrutture assuma nuovamente una tale iniziativa proponendo un accordo mediterraneo o quanto meno una risoluzione IMO.

In campo nazionale occorrerebbe inoltre precisare meglio – in sede di conversione del DL 1-2023 sui flussi migratori – la realtà delle procedure mediterranee di SAR e POS costituente uno dei requisiti stabiliti per l’ingresso delle navi umanitarie delle ONG nelle nostre acque territoriali.

A parere di chi scrive, andrebbe precisata l’effettiva dinamica dell’assunzione di responsabilità del SAR da parte italiana (e, quindi della conseguente assegnazione di un POS) in situazioni in cui la “distress call” venga inviata a più centri di soccorso che dovrebbero coordinarsi tra loro e che, nel nostro caso, sono per contiguità geografica quelli di Libia, Tunisia e Malta.

 

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Come noto, essendo tali centri nella gran parte dei casi “unwilling or unable” a dare risposta, la responsabilità viene assunta di fatto dal centro italiano per motivi morali e giuridici, anche per evitare di incappare nel reato di omissione di soccorso specificatamente previsto dalla nostra legislazione.

Tra l’altro, che ci fosse quasi sempre un intervento italiano si deduceva tra le righe della precedente formulazione dell’art. 1 del DL 130-2020 laddove prevedeva che le ONG dovessero essere coinvolte in «operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto   delle   indicazioni   della competente autorità per la ricerca e soccorso in mare…».

Al fine di definire con chiarezza  la competenza italiana a concedere un porto di sbarco, la seguente frase contenuta nel DL 1-2023 «Le disposizioni del comma 2 d non si applicano nelle ipotesi di operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo nella cui area di responsabilità si svolge l’evento….» potrebbe venire quindi modificata aggiungendo di seguito l’inciso «qualora la responsabilità del soccorso sia stata assunta dalle autorità italiane per la ricerca e il soccorso in mare…».

Foto: Guardia Costiera Libica e Marina Militare

 

 

 

Ammiraglio in congedo, docente a contratto di "Introduzione geopolitica e diritto internazionale del mare" presso l'Università di Bari. E' autore del "Glossario di Diritto del Mare", RM, 2020 disponibile in https://www.marina.difesa.it/media-cultura/editoria/marivista/Documents/supplementi/Glossario_di_diritto_del_mare_2020.pdf

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