Come cambiano i Marines statunitensi: Force Design 2030 e Marine Littoral Regiment

 

 

Fin dalla sua apparizione nel marzo del 2020, il nuovo documento strategico dello US Marine Corps (USMC) ha diviso in maniera spesso “radicale” chi lo approva e chi invece lo critica anche pesantemente. Del resto era inevitabile: Force Design 2030 è probabilmente la più profonda trasformazione dello USMC da molto tempo a questa parte, destinata a cambiarne profondamente il volto, la composizione e le dotazioni. E come tutte le “rivoluzioni”, anche questa crea aspettative ma anche malcontenti.

Questi ultimi, peraltro, nonostante siano passati oltre 2 anni dall’apparizione del documento, non si sono certo ancora sopiti. Anzi, complici gli aggiornamenti che lo stesso USMC propone nonché una serie di fattori esterni (come la guerra tra Russia e Ucraina o le difficoltà di alcuni nuovi programmi), periodicamente tendono a riemergere anche con forza.

 

Perché Force Design 2030?

A questa domanda esiste una risposta doppia, una per così dire “ufficiale” e l’altra “ufficiosa”. La prima trae spunto da un passaggio fondamentale della National Defense Strategy (NDS) del 2018 perché con esso viene sancito un cambiamento profondo della strategia di Washington.

I decenni della “Global War on Terror (o GWOT) sono superati perché la minaccia del terrorismo non è più considerata quella principale per la sicurezza degli Stati Uniti come ha evidenziato il ritiro dall’Afghanistan.

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Lo scenario strategico internazionale è infatti profondamente cambiato, con il risultato più evidente rappresentato dal ritorno della competizione tra Stati. La stessa NDS provvede a chiarire che in questa competizione si distinguono Cina e Russia; laddove poi, stretta attualità a parte, proprio Pechino e il teatro operativo dell’Indo-Pacifico sono inequivocabilmente diventati i punti di riferimento principali per Washington.

Teatro operativo quest’ultimo che presenta caratteristiche del tutto particolari. Ed è qui che parte la sfida specifica per il Corpo dei Marines; e, al tempo stesso, che arriva la riposta “ufficiosa”. I decenni di GWOT avevano infatti visto impegnato quest’ultimo prevalentemente nel Medio-Oriente e nell’Asia Centrale (soprattutto Iraq e Afghanistan), con i deserti polverosi di questi Paesi che finiscono perciò con il diventare quanto di più lontano possa esserci dal “DNA” dei Marines.

In pratica, lo USMC si era trasformato in una forza terrestre pressoché classica (non caso, ormai definito “a second US Army”) e impegnata nel contrasto di terroristi e insorti. La NDS 2018 diventa dunque la migliore occasione per riscoprire le “radici anfibie” dei Marines, da impiegare poi contro i nemici più tradizionali.

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Ma a incidere sulle scelte operate dal Generale Berger (nuovo Comandante Generale dello USMC e grande protagonista di questa svolta) sono stati anche altri elementi. Perché la trasformazione imposta da Force Design 2030 nel modo in cui si organizzeranno, si addestreranno e saranno equipaggiati i Marines in futuro è segnato anche da altri fattori, in particolare, l’evoluzione tecnologica.

Le armi hanno infatti accresciuto la loro letalità, accuratezza e portata perché il campo di battaglia è sempre più occupato da velivoli d’attacco, missili, “droni” e ora “loitering munition”. Aumentano poi in numero e capacità anche i vecchi e nuovi sensori che a loro volta incidono sulle capacità di Intelligence, Surveillance, and Reconnaissance o ISR. A tutto questo, si aggiunge il crescente peso rappresentato dai nuovi domini operativi (spazio e cyber).

Insomma, una spinta più verso la necessaria innovazione e verso una direzione diversa dal passato. Per un Corpo dei Marines che, al di là della parentesi della GWOT, è rimasto comunque fondamentalmente attrezzato per operazioni anfibie su larga scala che affondano le proprie radici addirittura negli anni ’50 (lo sbarco di Incheon in Corea), è arrivato il momento di cambiare anche da questo punto di vista, adottando cioè una struttura e una organizzazione più leggere, agili e flessibili.

I Marines del futuro dovranno dunque saper operare in formazioni più piccole, capaci di effettuare veloci operazioni di attacco, di ricognizione e contro-ricognizione di allestire basi avanzate temporanee dalle quali condurre attacchi rapidi od offrire un punto di appoggio per poi abbandonarle altrettanto rapidamente e, infine, acquisire capacità di attacco a lungo raggio.

Al centro di tutto però, un punto fermo: la storica “collaborazione” con la US Navy che proprio in un ambiente operativo diverso dal passato porta a una integrazione ancora più spinta tra le 2 Forze Armate.

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Prima di entrare neldettagli del soggetto del presente articolo, citiamo solo alcuni elementi che illustrano la portata della trasformazione che subirà il Corpo dei Marines nei prossimi anni. L’organico totale è previsto scenda da 186.000 circa a 174.000 unità. Un calo di 12.000 militari da intendersi come “trade-off”; altrimenti detto, meno Marines ma più risorse per l’ammodernamento e il rinnovamento del Corpo.

Altri aspetti salienti, la riduzione da 24 a 21 degli “Infantry Battalion” (il cui organico finale è ancora in fase di definizione) mentre il settore dell’artiglieria nel senso più ampio del termine sarà rivoluzionato. Delle 21 “Cannon Artillery Batteries” fino a 2 anni fa presenti, ne resteranno solo 7 ma sembrava dovessero ridursi appena a 5.

Sette saranno anche le “Rocket Artillery Battery” dotate dei sistemi lanciarazzi multipli HIMARS mentre l’altra grossa novità in questo campo sarà l’arrivo di 14 “Medium-range Missile Batteries” (MMSL), principalmente, in funzione antinave ma è evidente che in futuro il ventaglio di missili e conseguenti capacità si amplierà ancora.

Per esempio con armi “land attack” anche ipersoniche. Sempre per rimanere nell’ambito della componente terrestre, la misura che ha destato più scalpore è stata senza ombra di dubbio quella che ha portato alla completa eliminazione della componente pesante dei Marines.

Le 7 “Tank Companies” sono state sciolte e tutti gli MBT M1A1 Abrams dismessi, così come le 3 “Bridge Companies”. E mentre anche le “Assault Amphibian Vehicle Companies” subiscono un taglio da 6 a 4 (per effetto della diminuzione degli organici), l’altra modifica di rilievo con il segno “più” è quella legata alle “Light Armored Reconnaissance (LAR) Companies” che saranno dotate probabilmente del futuro Advanced Reconnaissance Vehicle (ARV).

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E se questo è il quadro per quello che viene definito il “Ground Combat Element”, anche il cosiddetto “Aviation Combat Element” è diventato oggetto di modifiche.

I “Marine Attack Fighter Squadron (VMFA” resteranno infatti 18 ma la loro composizione sarà standardizzata su 10 velivoli ciascuno mentre prima erano presenti configurazioni con formati diversi mentre restano confermati i piani di acquisto per tutti i 420 F-35B e C previsti, che sostituiranno gradualmente gli AV-8B e FA-18 F/D). Per quanto riguarda i “Marine Medium Tilt Rotor Squadron (VMM)”, la riduzione è all’apparenza modesta per effetto del taglio di un solo Squadron ma anche in questo caso la configurazione di 10 convertiplani V-22 per ciascuno di essi farà scendere i numeri complessivi.

Fenomeno che diventa ancora più evidente per i “Marine Heavy Helicopter Squadron (HMH)” dotati del CH-53K destinati a passare da 8 a 5 Squadron e per i “Marine Light Attack Helicopter Squadron (HMLA)” dotati degli elicotteri AH-1Z e UH-1Y, che passeranno da 7 a 5. Tutta un’altra “musica” quando si parla con di altre 2 componenti fondamentali.

La prima è rappresentata dai “Marine Aerial Refueler Transport Squadron” (VMGR) che passeranno da 3 a 4; tutti dotati dei KC-130J, che per l’appunto svolgeranno un’ampia gamma di missioni; dal trasporto al rifornimento in volo, e anche altro. Mentre ancora più significativa è l’espansione dei “Marine Unmanned Aerial Vehicle Squadron” (VMU), destinati a raddoppiare da 3 a 6 e che, soprattutto, dismetteranno l’attuale linea di UAV RQ-21 Blackjack per passare agli MQ9A Reaper nella versione Extended Range.

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E se questi sono gli interventi più significativi, ve ne sono altri di carattere “minore” (per esempio, l’eliminazione dei 3 “Law Enfrocement Battalion” e della “Chemical Biological Incident Response Force”); questo sempre per ribadire la magnitudine delle novità introdotte nonché di apportare eventuali correzioni.

Con un costante contributo in termini di trasparenza, rappresentato dai periodici aggiornamenti (a cadenza annuale, come per il Force Design 2030 Annual Update April 2021), all’interno dei quali sono illustrati  i progressi compiuti, le modifiche introdotte e le principali direttrici del lavoro futuro.

Inevitabilmente però, questa autentica rivoluzione ha finito con l’innescare (come già ricordato) anche molte critiche, spesso feroci. Tutto ruota intorno a uno specifico aspetto: il fatto che cioè il futuro Corpo dei Marines non avrà più quella tipica e specifica capacità di operare ad “armi combinate”, in quanto dotato della significativa varietà/qualità di assetti tipici della Marine Air-Ground Task Force o MAGTF.

Alla fine, così sostengono in molti, esso sarà trasformato in una forza troppo leggera, che perderà quelle caratteristiche tipiche di flessibilità operativa che aveva fino a oggi. Una flessibilità che si traduceva in capacità e assetti operativi in molti campi. In pratica, una forza che poteva essere impiegata in molti ambiti e contesti contro molti possibili nemici.

 

Marine Littoral Regiment

All’interno di questa ampia trasformazione spicca poi un’altra grande novità: la nascita dei Marine Littoral Regiment o MLR che sotto molto punti di vista diventano il simbolo della FD 2030 stessa.

Secondo infatti la visione proposta, i MLR nascono dall’esigenza di rispondere ai cambiamenti del carattere della guerra. E per far fronte a questi nuovi scenari, la risposta dello USMC sono le “Stand-in Forces”; forze cioè dislocate in basi avanzate all’interno di un’area contesa. Le loro caratteristiche saranno dunque quelle di essere forze ridotte nei numeri ma letali, poco visibili, mobili, relativamente semplici da sostenere, attrezzate per operare attraverso il continuum della competizione (inteso come processo che può evolvere dal semplice confronto alla crisi, fino a giungere alla guerra vera e propria), come avanguardia di un più ampio dispositivo aero-marittimo; con il tutto finalizzato a disturbare/interrompere i piani di un avversario potenziale o reale.

Ecco dunque che proprio da questi concetti nascono gli MLR, Reggimenti dotati della capacità di dispiegare/disperdere piccoli team di una consistenza tra i 75 e 100 uomini (un plotone rinforzato) a grandi distanze e in profondità nelle aree contese da potenziali nemici.

Piccoli gruppi che saranno caratterizzati da una configurazione “multi-domain” (capace cioè di operare autonomamente in tutti i domini operativi), flessibili per poter rispondere a più compiti/più contesti operativi, relativamente semplici da sostenere logisticamente e in grado di integrare eventuali altri assetti sia delle altre Forze Armate statunitensi sia di quelle di Paesi alleati.

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Il passo successivo diventa dunque quello legato al concetto delle Expeditionary Advanced Base Operations (EABO), cioè operazioni che si sviluppano a partire da basi operative avanzate temporanee, destinate a diventare per l’appunto lo scenario impiego privilegiato degli MLR.

Su queste basi potrebbero essere schierate batterie di missili antinave in grado di colpire in profondità le unità navali nemiche o più semplicemente, svolgere una funzione di deterrenza in chiave A2/AD (Anti-Access/Area Denial).

Grazie al dispiegamento di sensori adeguati, i contingenti ivi schierati possono infatti diventare un elemento di supporto in tutto lo spettro di attività quali “Command, Control, Communications and Computers” (C4), “Intelligence, Surveillance and Reconnaissance” (ISR) nonché “Targeting, and Counter-Targeting”, funzioni che si riflettono sulla capacità di contribuire al conseguimento di una “Maritime Domain Awareness” più ampia possibile nonché alle operazioni in ambito “Air and Missile Defense” (in entrambi i casi, inteso come punto di acquisizione/distribuzione di informazioni  raccolte).

Infine, possono fungere da punto di rifornimento avanzato (Forward Arming and Refuelling Point o FARP) per esempio per piattaforme aeree ad ala fissa così come di convertiplani o elicotteri ma anche di altri assetti operativi. Fermo restando che in un ambito di operazioni Joint e Combined, lo stesso ragionamento potrebbe essere replicato per assetti delle altre forze statunitensi così come per quelli di altri Paesi.

Nella visione che emerge dalla FD 2030, nonostante le loro ridotte dimensioni, questi team di Marines numericamente ridotti dovrebbero comunque possedere sufficienti capacità operative (di fuoco e di sensori) ma, al tempo stesso, dovrebbero essere anche in grado di agire in relativa sicurezza proprio per le loro stesse caratteristiche fisiche intrinseche (dimensioni e dispersione).

E se questo è il quadro di riferimento che spiega la nascita di questa nuova formazione, è arrivato il momento di scendere nei dettagli.

Prima di tutto, evidenziando che la stessa FD 2030 a oggi indica in 3 il numero dei MLR che saranno attivati: il primo dettaglio interessante è che tutti saranno parte della III MEF (Marine Expeditionary Force), una delle 3 grandi “unità” nelle quali è organizzato il Corpo dei Marines.

Una scelta non casuale, perché proprio questa MEF è quella più proiettata ben all’interno della regione del Pacifico dunque, il soggetto ideale per l’applicazione del concetto delle “Stand-In Forces” e di tutto ciò che a esso è collegato. Gli MLR nasceranno dalla trasformazione di Marine Regiment esistenti, questo processo in realtà è già iniziato poiché il 3 marzo del 2022 con una cerimonia presso la propria base alle Hawaii ha portato il 3rd Marine Regiment a lasciare il posto al 3rd Littoral Marine Regiment.

La stessa sorte toccherà agli altri 2 Marine Regiment in forza alla III MEF e cioè il 4th e il 12th: il primo dovrebbe completare la sua transizione nel periodo 2025-2026 mentre l’ultimo arriverà intorno al 2027, Entrambi sono basati a Okinawa e lì resteranno anche dopo la trasformazione; al netto dei futuri possibili ricollocamenti di uomini e basi tra Giappone e Guam.

 

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Per quanto riguarda la sua struttura, il MLR sarà composto da un cosiddetto “Command Element” (CE), da un “LIttoral Combat Team” (LCT), da un “Littoral Anti-Air Battalion” (LAAB) e da un “Combat Logistic Battalion” (CBL).

Peraltro, come vedremo in seguito, questa configurazione potrebbe non essere quella definitiva. A oggi comunque, l’organico previsto è di circa 2.000 uomini ma anche in questo caso per effetto delle sperimentazioni in atto ci potrebbero essere delle modifiche. Nel dettaglio poi, la parte destinata al comando del Reggimento dovrebbe essere basata sulla tradizionale “Headquarters and Service Company” a livello Reggimentale; al più, con i necessari aggiustamenti legati alle peculiari caratteristiche dell’MLR.

Il reparto sicuramente più interessante è invece il LCT; che consiste di un “Marine Infantry Battalion” e di una “Anti-Ship Missile Battery” (cioè, una delle 14 MMSL previste e sopra ricordate). Il primo rispecchierà la tradizionale configurazione (a oggi una “Headquarters and Service Company”, 3 “Rifle Companies” e una “Weapons Company”) mentre per la seconda si ipotizza una struttura basata su 2 plotoni dotati di 9 veicoli lanciatori ciascuno, ogni plotone dovrebbe essere infatti composto da 3 sezioni, ciascuna delle quali con 3 lanciatori.

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Il LCT sarà ovviamente la componente più “operativa” del nuovo MLR, fornendo anche la cornice in termini di Comando e Controllo (C2) degli altri assetti integrati. Circa il LAAB la cui esatta composizione è ancora in fase di più puntuale definizione; nel frattempo, quello che è già noto è il ventaglio di compiti che gli saranno assegnati. Oltre ovviamente alla difesa aerea, si occuperà anche della sorveglianza dello stesso spazio aereo, di allerta/scoperta precoce, di controllo aereo e delle attività legate alla creazione/gestione di FARP.

Infine, per quanto riguarda il CBL si può ipotizzare la classica configurazione adottata da questi reparti  all’interno del Corpo dei Marines, con una “Headquarters and Service company” e 3 “Support Companies”, dedicate rispettivamente al genio, alla manutenzione e ai trasporti.

A questo battaglione saranno quindi affidati i compiti di supporto logistico quali il rifornimento delle EABO, la gestione di queste stesse basi avanzate, il supporto medico, la distribuzione di munizioni e carburante nonché infine, la manutenzione sul campo.

 

I sistemi chiave del MLR

Questo nuovo reparto che nasce all’interno del Corpo dei Marines porta con sé anche alcune novità in termini di sistemi; novità tutto sommato non “banali”. La prima di queste sarà la nuova Light Amphibious Warship (LAW); ormai classificata in maniera ufficiale Landing Ship Medium (LSM). La missione di questa piattaforma sarà proprio quello di trasportare/supportare quei team di 75/100 Marines (e i loro mezzi nonché sistemi).

Con questa LAW, di fatto, si fa tornare ancora più in voga un tipo di nave introdotta con la seconda Guerra Mondiale e caratterizzato dalla capacità di sbarcare direttamente uomini e mezzi direttamente sulle spiagge. Si sta parlando, più in particolare, delle Landing Ship Tank (o LST), ancora oggi in realtà in servizio in molte Marine del mondo in versioni ovviamente aggiornate.

A oggi le LAW sono ancora in fase di studio, tanto è vero che se ne conoscono solo le caratteristiche di massima, che derivano a loro volta dai requisiti fissati dalla US Navy.

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Lunghezza fra i 60 e i 120 metri circa, con pescaggio contenuto in poco più di 2 metri (evidentemente, allo scopo di favorire le operazioni in acque poco profonde nonché le stesse operazioni si sbarco/imbarco) e un dislocamento massimo di circa 4.000 tonnellate. Si prevede un equipaggio contenuto in 40 uomini mentre le capacità di trasporto saranno di almeno 75 Marines.

Per il materiale imbarcato poi dovranno essere disponibili adeguate aree di carico mentre per la loro movimentazione nonché sbarco è prevista una rampa di carico/scarico con la più tradizionale installazione a prua o, in alternativa, con quella più innovativa di un suo posizionamento a poppa.

Alla LAW sarà richiesta una velocità di transito pari a 14/15 nodi (valore invero molto modesto) e un’autonomia di 3.500 miglia. L’armamento infine sarà limitato a cannoni di piccolo calibro e mitragliatrici esclusivamente per l’autodifesa e anche la suite C4I sarà basica; con le capacità di sopravvivenza della nave principalmente devolute alle sue caratteristiche costruttive.

E’ da evidenziare che in futuro la stessa US Navy punta a immettere in servizio anche una nuova classe di navi logistiche e da rifornimento (Next Generation Logistic Ship o NGLS), che per le dimensioni contenute previste potrebbero essere impiegate a loro volta a supporto delle operazioni del MLR. Il secondo sistema tanto innovativo quanto cruciale è il Navy Marine Expeditionary Ship Interdiction System (NMESIS),

Esso consiste in un veicolo tattico leggero (per la precisione, il Joint Light Tactical Vehicle o JLTV) al quale viene rimosso l’abitacolo per essere trasformato così in un veicolo “unmanned”; assumendo così la definizione di Remotely Operated Ground Unit for Expeditionary (ROGUE) Fires. Al posto dell’abitacolo sono così installati 2 contenitori-lanciatori elevabili per altrettanti missili antinave Naval Strike Missile (NSM). La configurazione scelta serve da una parte per garantire una maggiore sicurezza al personale (che può gestire il mezzo e i missili in una posizione separata/protetta) e, dall’altra, per ridurre gli ingombri e i pesi anche per un più agevole trasporto da parte di vari vettori.

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La scelta del missile non è casuale: si tratta infatti del più moderno ordigno antinave oggi in produzione, scelto già da numerosi Paesi e anche dalla US Navy per molte sue unità. La sua stealthness, l’avanzato sistema di guida, la gittata di oltre 185 km, la testata esplosiva di 125 Kg a fronte di una massa complessiva di 410 e la capacità di operare sia in ambienti “littoral” che in mare aperto (oltre che in funzione “land attack”) fanno di questo missile della Kongsberg Aerospace Defense (poi affiancata dalla Raytheon per il mercato Americano) l’arma ideale per i compiti previsti.

Gli UAV MQ-9A Reaper in versione Extende Range (ER) saranno invece “gli occhi e le orecchie” dei MLR e a questi UAS saranno affidate missioni ISR, fondamentali per raccogliere le informazioni necessarie sia per garantire la sicurezza delle basi avanzate, sia per offrire la posizione del nemico in vista di possibili attacchi.

La caratteristica principale di questa versione del celebre velivolo della General Atomics è per l’appunto l’elevata autonomia; grazie infatti a una maggiore quantità di carburante interno e alle ali allungate, questa potrà raggiungere le 40 ore. E’ da notare che, almeno fin ora, non sono emerse particolari intenzioni da parte dello USMC di impiegare il MQ-9A in funzione “strike” dotandolo di armamenti.

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Una dotazione invece cruciale per il Littoral Air Battalion sarà il radar AN/TPS-80 Ground/Air Task Oriented Radar (G/ATOR); un sensore molto avanzato, che racchiude le funzioni di sorveglianza/difesa aerea (anche nei confronti di missili, UAV e razzi) e di Air Traffic Control (ATC).

La caratteristica fondamentale di questo radar della Northrop Grumman è, ancora una volta, il ridotto impatto logistico: il radar in quanto tale (montato su un carrello) e un veicolo HMMVV che esercita le funzioni di controllo/comunicazione e infine un generatore montato su pallet, a sua volta trasportabile da un veicolo Medium Tactical Vehicle Replacement o MTVR; che poi è lo stesso mezzo che rimorchia il radar.

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Sempre a proposito del Battaglione dedicato alla difesa aerea dovrebbe essere dotato del Marine Air Defense Integrated System (MADIS), caratterizzato dalla particolare configurazione incentrata su 2 mezzi, entrambi basati sul veicolo JTLV: il primo monta una torretta dotata di 4 missili Stinger e un cannone da 30 mm dedicato all’ingaggio di aerei ed elicotteri mentre il secondo dispone di un radar ottimizzato per la scoperta di piccoli bersagli e di una mitragliatrice a canne rotati da 7,62 mm M134 destinato all’ingaggio di piccoli droni.

L’ultimo sistema critico individuato dai Marines per le operazioni del MLR è un altro tipo ancora di mezzo “unmanned”; questa volta navale. Nello specifico, si tratta del Long Range Unmanned Surface Vessel (LURSV); un mezzo ancora in fase sperimentale (con i primi esemplari in fase di costruzione/allestimento presso la Metal Shark). Delle sue caratteristiche si sa ancora poco: lunghezza di poco più di 12 metri e autonomia di 1.000 miglia. Le sue missioni principali saranno ancora in ambito ISR; con secondarie capacità di attacco date dalla futura installazione di “loitering munition” Hero-120, già selezionate dai Marines stessi.

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Per quanto poi non citati direttamente, è comunque evidente che alcuni velivoli dei Marines potrebbero giocare un ruolo determinante nell’ambito del concetto delle “Stand-in Forces” e quindi, del MLR.

Si pensi all’F-35B Lightning II che per le sue caratteristiche STOVL (Short Take-Off, Vertical) potrebbe diventare facilmente un “cliente” dei FARP allestiti presso le basi avanzate. Ma anche il convertiplano MV-22B Osprey (grazie alle sue doti di velocità e autonomia) appare un “asset” operativo in grado di svolgere un ruolo di una qualche importanza.

Al pari del resto degli altri elicotteri del Corpo di Marines, dal nuovo elicottero da trasporto pesante CH-53 K King Stallion a quello da attacco AH-1Z Viper.

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Analogamente, ma questa volta in quanto a mezzi navali, le basi potrebbero raggiunte dai mezzi a cuscino d’aria Ship to Shore Connector (SSC), particolarmente adatti per le loro elevate velocità nonché capacità di carico; nonché dagli LCU (Landing Craft Utility) sia della US Navy che, in teoria, da quelli dello US Army in una chiave di operazioni interforze.

 

Considerazioni

La svolta impressa dal generale Berger solleva molte domande. Ci si chiede come potranno “team” di così ridotta consistenza riuscire a stabilire queste basi e da lì condurre quella così ampia gamma di missioni offensive, difensive, di raccolta informazioni, di rifornimento, eccetera.

E se queste stesse basi non corrono il rischio di essere facilmente individuate e neutralizzate. Infine, quanto e come sarà possibile rifornirle considerando le distanze in gioco? E alla fine, c’era proprio così bisogno di creare un reparto apposito per svolgere queste missioni? Domande legittime, che non a caso comincia a porsi lo stesso Corpo dei Marines.

 

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Nell’ultimo aggiornamento del maggio 2022 (Force Design 2030 Annual Update May 2022) è infatti presente un passaggio che lascia aperto qualche dubbio, laddove cioè si ricorda che nel corso delle esercitazioni effettuate, “normali” MAGTF create per alcune missioni specifiche hanno svolto normalmente i compiti assegnati proprio in funzione di “stand-in forces”.

Non è chiaro se questo indichi la volontà di un più semplice aggiustamento del percorso fin qui seguito o, addirittura un suo totale ripensamento; quello che invece è sicuro (nonché chiaramente esplicitato) è che sarà svolta una riflessione sul fatto che sino a oggi sia stata riservata troppa attenzione agli aspetti legati alla “lethality” (ovvero, alle capacità offensive) e poca invece al “sensing” (ovvero, alla capacità di raccogliere informazioni). Tema rispetto al quale però non sono state fornite ulteriori indicazioni su quali correttivi saranno intrapresi.

Un ulteriore passaggio (anche questo molto importante) che sarà ulteriormente approfondito nel corso delle future esercitazioni/ sperimentazioni sarà quello della struttura dell MLR; nello specifico, sarà infatti oggetto di valutazione il mantenimento dell’attuale configurazione con riferimento alla presenza o meno dell’Infantry Battalion. Tra le ipotesi che saranno valutate c’è la sua sostituzione con un “Reconnaissance Battalion”; se non addirittura con un “Artillery Battalion”. Una scelta che renderebbe ancora più atipico (e, presumibilmente, ancora più oggetto di critiche in quanto a “debolezza” complessiva) il MLR.

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Ma i problemi non finiscono qui e comunque non riguardano solo aspetti organizzativi ma anche altri più prettamente tecnici. Si prenda per esempio la situazione del programma LAW. Quella che, sotto molti punti di vista, dovrebbe essere la piattaforma più importante per lo stesso MLR si trova infatti ancora avvolta in una sorta di limbo.

Nel quadro di un più ampio contrasto tra la US Navy e lo US Marine Corps sul futuro dell’intera flotta di navi anfibie, anche la LAW risulta bloccata da incomprensioni reciproche. Con i secondi che vorrebbero una piattaforma semplice ed economica soprattutto in funzione del fatto che possa essere costruita in più esemplari, senza gravare troppo sui bilanci, mentre la prima riflette ancora sul fatto che debba avere caratteristiche/capacità specifiche con inevitabile aumento dei costi e conseguente riduzioni dei numeri.

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Nel complesso poi, rimangono anche altri punti interrogativi circa lo LRUSV che è pur sempre un sistema ancora in fase di sviluppo, le capacità del MQ-9A proprio nel momento in cui gli UAV mostrano ampie vulnerabilità e le reali capacità di difesa rispetto alle molteplici minacce aeree e missilistiche.

Insomma, quello in corso sull’MLR è un vero e proprio “work in progress” con il giudizio finale che rimane così inevitabilmente sospeso, in attesa che esso raggiunga la sua configurazione finale. E che così facendo riesca, nel caso, a fugare i tanti dubbi fin qui emersi.

Foto USMC

 

 

 

Giovanni MartinelliVedi tutti gli articoli

Giovanni Martinelli è nato a Milano nel 1968 ma risiede a Viareggio dove si diplomato presso l’Istituto Tecnico Nautico per poi lavorare in un cantiere navale. Collabora con Analisi Difesa dal 2002 occupandosi di temi navali in generale e delle politiche di Difesa del nostro Paese in particolare. Fino al 2009 ha collaborato con la webzine Pagine di Difesa.

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