Credere, Obbedire, Soccombere
Dopo un anno di guerra in Ucraina non è ancora chiaro chi potrà forse vincere il conflitto sul campo di battaglia ma tra gli sconfitti senza appello, “senza se e senza ma” ci sono i media occidentali, in particolare quelli europei, in special modo la gran parte di quelli italiani.
Studi televisivi riempiti con bandiere giallo-blu, anchor-man che tolgono l’audio in diretta a un discorso di Vladimir Putin atteso dal mondo intero “per non dare spazio alla propaganda russa”, conduttori che prendono le distanze dalle dichiarazioni di ospiti che indugiano nello sposare ogni tweet della propaganda di Kiev o nell’accusare solo i russi per ogni responsabilità e nefandezza di questa guerra.
Che dire poi delle interviste al presidente ucraino Volodymyr Zelensky talmente in ginocchio da far apparire equilibrata e pure aggressiva la “mitica” intervista di Gianni Minà a Fidel Castro del 1987?
Nessuna domanda scomoda sulle opposizioni messe al bando, il patrimonio personale del presidente e di diversi ministri e generali, le leggi che soffocano la libertà di stampa ed espressione, la corruzione dilagante anche a danno dei militari che ha portato alla rimozione di molti funzionari, il rapporto di Amnesty International che accusa le truppe ucraine di crimini di guerra, le armi donate dall’Occidente rinvenute su fronti bellici in altri continenti, le rappresaglie sui “collaborazionisti” nelle città riconquistate, i video che mostrano le truppe di Kiev ferire o uccidere prigionieri…solo per citare alcuni dei temi più eclatanti.
Aggiungiamoci poi opinionisti statunitensi che attribuiscono patenti di “affidabilità atlantica” a politici e commentatori oppure i professori e giornalisti da anni organici con università e think-tank d’oltre Atlantico o con istituzioni della NATO che presentano il conflitto ucraino come la lotta tra il Bene e il Male, tra Democrazia e Tirannia.
Uno dei centri studi statunitensi che più di altri si è distinto pubblicando analisi e mappe quotidiane del conflitto, l’Institute for the Study of the War (ISW), ha utilizzato queste parole per la sua campagna di raccolta fondi.
“Abbiamo bisogno di finanziamenti per aggiungere più membri al team e continuare il nostro lavoro nel 2023 e oltre. L’eroica resistenza dell’Ucraina contro l’invasione non provocata di Vladimir Putin salvaguarda la sicurezza di europei e americani.
I notevoli successi dell’Ucraina in questa devastante guerra testimoniano la forza di un popolo libero che lotta per la sua sopravvivenza contro un brutale dittatore. L’invasione di Putin può creare pericolosi precedenti per altri aspiranti aggressori e la difesa dell’Ucraina per altri paesi liberi e indipendenti. L’Ucraina ci ispira a fare tesoro delle nostre libertà e a riconoscere i sacrifici che richiedono”.
Da un centro studi sarebbe lecito attendersi un approccio più equilibrato, meno incline a slogan “scongelati” dal freezer della Guerra Fredda. Ma non c’è nulla da fare, la tendenza dominante oggi in Occidente è la piena militanza all’insegna del “Credere e Obbedire”.
Libertà e Democrazia
Persino ai tempi dell’URSS e del Patto di Varsavia il confronto era più pacato, argomentato, strutturato e all’epoca c’erano davvero i filo-sovietici, comunisti sostenuti e finanziati dal Cremlino.
Eppure già ben prima dell’attacco russo del 24 febbraio, era evidente che l’Ucraina non potesse venire considerata un paradiso della democrazia e dei diritti umani e civili, come abbiamo raccontato su Analisi Difesa fin dal giugno scorso: 79° posto nel Global Democracy Index 2020 redatto da The Economist, 92° (dietro alla Birmania) nel Ranking of Countries by Quality of Democracy stilato nel 2020 dall’Università di Wurzburg, 122° su 180 nel Corruption Perceptions Index che nel 2021, 98° posto nello Human Freedom Index, 130° nella classifica delle libertà economiche e 106° nel 2022 nella classifica della Libertà di Stampa redatta da Reporter Sans Frontiéres (dietro a Gabon e Ciad).
Si tratta di classifiche stilate prima dell’inizio dell’attacco russo e quindi prima che il governo ucraino ponesse fuori legge 12 partiti (incluso il secondo per consensi elettorali), reprimesse più duramente la stampa (l’ultima legge-bavaglio è del 30 dicembre 2022) e punisse i reati di opinione, incluso quello di contraddire la narrazione ufficiale sulla guerra che di fatto impedisce a chiunque di parlare del conflitto in termini di guerra civile.
Termine idoneo a un conflitto in atto da 9 anni e che vede milioni di ucraini vivere nei territori in mano ai russi o fuggiti in Russia e decine di migliaia di combattenti ucraini combattere al fianco dei russi. Ma parlare di guerra civile è vietato dal regime di Kiev e anche quasi tutti i media occidentali si sono adeguati,
Credere e Obbedire!
Il trionfo della propaganda
Del resto con la guerra in Ucraina se ne sono viste e sentite di tutti i colori. Opinionisti a conoscenza del tasso alcoolico dei carristi russi e giornali on-line che propongono un’intervista sulla caduta del governo Draghi ma solo se viene attribuita alle “ombre russe”; per radio, TV e giornali i militari russi sono sempre criminali, incapaci, ubriaconi e codardi, i loro bombardamenti sono sempre indiscriminati e contro i civili e i loro generali sono sempre stati soprannominati “macellai” in Siria.
E se qualcuno fa notare tali eccessi è un “filorusso” e un “putiniano”, bersaglio delle liste di proscrizione redatte da qualche giornale e dei centri studi che realizzano analisi preoccupate per il peso e l’influenza della propaganda russa in Italia. Che certo esiste ma dovrebbe preoccuparci almeno quanto quella, molto più strutturata e influente, dei nostri “alleati”.
Basti osservare che ogni notizia diffusa da fonti ucraine è stata raccontata come un fatto assodato anche quando era palesemente forzata o inattendibile mentre quelle diffuse dai russi vengono citate solo se è possibile smentirle o se ammettono perdite e sconfitte.
Per non correre rischi, i media russi sono stati subito bannati e censurati in un’Europa che è così sicura dei propri valori e principi liberali e democratici su cui dice di fondarsi da temere persino il confronto con la narrazione altrui.
Da quando la città di Kherson è tornata sotto il controllo degli ucraini ogni giorno agenzie e giornali riprendono le notizie da Kiev dei bombardamenti russi che colpiscono sempre e solo civili e ospedali: la stessa città è stata sotto il fuoco dell’artiglieria ucraina per sette mesi quando era sotto controllo russo, al punto che migliaia di civili sono stati fatti evacuare ma di quei bombardamenti non parlava nessuno.
In più occasioni le foto dei bombardamenti ucraini sulla città di Donetsk, capitale dei secessionisti del Donbass, sono state utilizzate dai media italiani ed europei con didascalie che descrivevano bombardamenti russi su città ucraine.
Ogni ritirata russa è una disfatta totale e ogni progresso ucraino una vittoria folgorante. Le brigate ucraine mandate al massacro a Soledar e Bakhmut sono un tema trattato solo da qualche testata anglosassone e la sconfitta delle forze di Kiev in questi settori viene ignorata o sminuita nella sua entità. I combattenti del Gruppo Wagner sono “mercenari”, europei e americani che combattono con l’uniforme ucraina “volontari”.
Credere e Obbedire!
Buoni e Cattivi
La narrazione di un anno di guerra in Ucraina l’ha dettata la NATO con le sue ossessive note di linguaggio che definiscono in ogni discorso o documento ufficiale l’aggressione russa all’Ucraina “brutale” e “non provocata”. I nostri media si sono rapidamente e per la stragrande maggioranza adeguati: nessun dubbio, nessuna valutazione, nessuna analisi deve mettere in discussione il verbo diffuso a piene mani dai principali giornali e da TV.
Persino i dogmi politically correct sono stati sacrificati sull’altare della causa giallo-blu: resta vietato discriminare le persone per la loro etnia, il colore della pelle o la religione ma atleti e artisti vengono banditi da competizioni ed esibizioni solo perché russi e potranno forse ricevere qualche indulgenza solo abiurando la loro colpa.
Il governo lituano è arrivato a lamentare che le regole contro i “messaggi d’odio” impediscono di apostrofare adeguatamente i russi sui social media.
Persino il premio Pulitzer Seymour Hersh è stato messo alla berlina (un altro “putiniano”?) quando ha osato realizzare un’inchiesta che indica negli Stati Uniti e in alcuni loro alleati del Nord Europa i responsabili degli attentati ai gasdotti Nord Stream nel Mar Baltico, vicenda su cui è stranamente calato un silenzio assordante.
Censure, attacchi personali e liste di proscrizione contro chi osa contestare narrazione del mainstream non sono peraltro una novità, le prove generali vennero messe a punto durante l’epidemia di Covid 19, come evidenziammo oltre un anno or sono.
Anche oggi le poche eccezioni al dilagante “pensiero unico” dettato da un orwelliano “Ministero della Verità” hanno dimostrato che si può fare informazione ascoltando più campane, valutando più aspetti, allargando gli orizzonti per comprendere e trovare soluzioni e risposte, rinunciando a un grottesco tifo da stadio.
Ci siamo sorbiti propaganda e fake-news su una dozzina di malattie letali che avrebbero portato entro breve alla tomba Putin e Lavrov, previsioni che davano l’economia russa al collasso dopo poche settimane di sanzioni, il bollettino quotidiano dei servizi segreti britannici (tipico prodotto delle Psy Ops il cui scopo è influenzare l’opinione pubblica) ci disse già nella tarda primavera del 2022 che i russi stavano esaurendo i missili.
E poi il “revival” di alcuni classici della propaganda bellica come gli stupri programmati, il bombardamento di scuole e ospedali, le stragi dei bambini nelle incubatrici e la distribuzione di viagra ai soldati russi perché violentassero più ucraine possibile.
I più attenti ricorderanno che le stesse notizie erano state fatte filtrare nei confronti dei soldati iracheni in Kuwait, dei miliziani dell’Isis e delle truppe libiche di Muammar Gheddafi: cioè tutti i “cattivi” di turno.
Certo, anche in Russia e in Ucraina i media si sono prestasti alla propaganda governativa ma a Mosca come a Kiev, vale la pena ricordarlo, vi sono leggi che puniscono severamente chi diffonde “disinformazione” anche perché si tratta di nazioni in guerra mentre in Europa (per ora) non lo siamo.
Invece di spiegare gli aspetti complessi, di fare inchieste e approfondimenti, l’informazione si è in molti casi messa al servizio della propaganda che ha invece il compito di semplificare gli aspetti complessi per trasformarli in slogan e note di linguaggio.
Credere e Obbedire!
Aggressori e aggrediti
La più importante in questa guerra è la distinzione tra “aggressori e aggrediti”, cioè tra i russi e gli ucraini che dovrebbe indurre tutti noi a separare meglio i “buoni” dai “cattivi”.
Se consideriamo la guerra in Ucraina iniziata il 24 febbraio 2022 gli aggressori sono i russi ma se andiamo a ritroso solo di una decina di giorni qualche dubbio potrebbe coglierci poiché le truppe di Kiev iniziarono a bombardare pesantemente i territori del Donbass in mano ai secessionisti. I russi sostengono si trattasse della preparazione all’offensiva contro i territori in mano ai filo-russi, Kiev nega.
Se andiamo indietro fino al 2014, passando dalla violazione degli accordi di Minsk, dalla secessione del Donbass e dalla discriminazione dei russi d’Ucraina dopo il golpe/rivoluzione del Maidan voluto e pilotato da Stati Uniti e alcuni alleati NATO (che non a caso hanno infarcito di loro consiglieri e qualche ministro il governo di Arseny Yatsenyuk) diventa più difficile attribuire nettamente le patenti di “aggressore” e “aggredito”.
Ancor di più se si ripercorrono tutti i tentativi russi di negoziare con USA e NATO lo stop all’ampliamento all’est dell’Alleanza Atlantica e la realizzazione delle basi missilistiche americane in Europa Orientale, ufficialmente per proteggerci contro i missili balistici iraniani!
Certo, tutti temi complessi che richiedono illustrazioni articolate e quanto meno un po’ di memoria storica: ingredienti odiati da propagandisti e censori sempre a caccia di formule che semplifichino i concetti e additino chiaramente il nemico.
Se così non fosse la dilagante propaganda USA/NATO avrebbe colto tutti i rischi di autogoal insiti nella formula “aggressore e aggredito”. Perché se in Ucraini i cattivi sono i secessionisti del Donbass come facevano quelli del Kosovo (provincia della Serbia agli effetti del diritto internazionale) a esseri buoni?
E se la secessione delle province russofono e filo-russe del sud est ucraino è illegale come può essere invece legale che il Kosovo sia divenuto indipendente e si sia candidato a entrare nella UE e nella NATO? Se i russi sono gli “aggressori” in Ucraina allora dobbiamo essere pronti ad accettare che dai Balcani all’Afghanistan, dall’Iraq alla Libia, gli aggressori eravamo noi.
Una narrazione “fanciullesca”
Del resto affrontare temi quali guerra, geopolitica e interessi nazionali con gli occhi di un fanciullo che ha bisogno di distinguere i buoni dai cattivi non ci aiuterà a uscire da una guerra in cui gli europei recitano il ruolo di un gregge di comparse e di cui sono le prime vittime in termini economici e di sicurezza.
“Credere e Obbedire” ma non “Combattere”!
Quello lo lasciamo fare volentieri agli ucraini con le armi che doniamo loro. Sosteniamo che combattono per noi, per la Democrazia e la Libertà ma il risultato è “Armiamoci e partite!” Eppure molte delle testate oggi prone alle note di linguaggio scritte da USA e NATO e genuflesse davanti ai proclami di Zelensky (anche quando insulta politici italiani) sono le stesse che fino a un anno or sono pubblicavano inchieste, interviste e reportage che riferivano della deriva nazista e illiberale dell’Ucraina post 2014.
Difficile dimenticare che prima del 24 febbraio 2022 abbondavano analisi e interviste a tanti politici ed esperti che non esitavano a evidenziare la necessità di tenere conto delle richieste russe in termini di sicurezza dei loro confini e a criticare l’allargamento a est della NATO come fattore di provocazione militare nei confronti di Mosca.
Non tutti i media hanno accettato l’omologazione né tutti i giornalisti anche se duole notare come una lettera aperta che critica aspramente la deriva propagandistica dell’informazione italiana pubblicata a inizio gennaio sia stata firmata solo da 10 reporter di guerra, tutti nomi di grande prestigio, ma quasi tutti da tempo in pensione.
Il problema certo non è solo italiano. Sul britannico The Guardian, il 13 maggio 2014 John Pilger scriveva: “In Ucraina, gli Stati Uniti ci stanno portando alla guerra con la Russia. Il ruolo di Washington in Ucraina e il suo sostegno al regime neonazista ha gravi conseguenze per il resto del mondo”.
Il nazismo ignorato
Il tema del nazismo in Ucraina e delle sue radici storiche è stato trattato da molti media negli otto anni trascorsi tra il 2014 e l’attacco russo (Analisi Difesa se ne occupò già nel febbraio 2014 con l’editoriale “Quei nazisti ucraini che piacciono tanto a NATO e Ue”) dopo il quale invece è diventato tabù, specie per i media italiani.
Il tema merita approfondimenti senza preconcetti perché in Ucraina come nelle Repubbliche Baltiche le truppe del Terzo Reich nel 1941 vennero accolte da molti come i liberatori dall’occupazione sovietica stalinista e in Ucraina continuò fino al 1956 la resistenza ai sovietici dei seguaci di Stepan Bandera, la cui figura è stata recentemente resa più presentabile anche con la modifica di migliaia di pagine web.
Tema dolente quest’ultimo, che dovrebbe indurci a rivalutare la “vecchia” carta stampata, almeno finché non tornerà di moda bruciare i libri come già si fa in Ucraina con quelli scritti in lingua russa. Da un anno i nostri media hanno affrontato il tema del nazismo ucraino (cavalcato dalla propaganda russa) semplicemente negandolo nonostante reggimenti e brigate di Kiev si ispirino ai reparti di SS degli anni ’40.
C’è persino chi ha celebrato il reggimento Azov assediato a Mariupol (ennesima battaglia raccontata a senso unico) paragonandoli ai 300 spartani alle Termopili e negandone la fede nazista. Le immagini diffuse dai russi dopo la caduta dell’Azovtsal hanno mostrato citazioni e simboli hitleriani tatuati sui corpi dei combattenti ucraini e stranieri. Immagini scivolate via senza commenti e approfondimenti, in gran parte oscurate dalla censura contro le TV russe.
Credere e Obbedire!
Decorati da Zelensky
Abbiamo accettato senza battere ciglio che il direttore del quotidiano Repubblica, Maurizio Molinari, abbia ricevuto nel novembre scorso dal presidente ucraino l’Ordine al Merito di III classe per il sostegno all’Ucraina, come ci ha ricordato il 24 novembre 2022 un articolo dello stesso quotidiano.
Decorata pere motivazioni analoghe ma con l’Ordine della Principessa Olga (lo stesso consegnato da Zelensky anche alla speaker della Camera statunitense Nancy Pelosi) l’inviata del Tg1 in Ucraina Stefania Battistini.
Che esponenti politici ricevano decorazioni da Kiev non stupisce considerato il posizionamento di gran parte dell’Occidente nella guerra in atto ma le medaglie di un belligerante ai giornalisti italiani dovrebbero suscitare qualche perplessità anche all’Ordine dei Giornalisti.
Il confine tra informazione, anche orientata e faziosa, e pura propaganda è stato ampiamente superato. La piena disponibilità di molti media europei (un po’ meno in quelli statunitensi, forse perché già bruciatisi con “l’eccesso di patriottismo” durante le guerre post 11 settembre 2001) all’assumere una posizione prona di fronte alla propaganda di Kiev e anglo-americana deve suscitare qualche dubbio.
Specie dopo le rivelazioni della reporter danese Matilde Kimer (nella foto a lato), che ha rivelato che i servizi segreti ucraini [SBU] avevano annullato il suo permesso di lavoro e lo avrebbero restituito solo se avesse accettato di pubblicare informazioni e immagini fornite dallo stesso SBU.
Kimer avrebbe dovuto accettare di produrre una serie di “buone storie” sulla guerra, basate interamente su video e fotografie fornitele dai servizi ucraini.
La notizia ha avuto un’ampia eco in Danimarca e in altre nazioni, molto meno in Italia. Eppure qualche domanda dovremmo forse porcela. Quanti giornalisti hanno subito richieste e diktat simili a quelli rivolti a Matilde Kimer? La giornalista danese è stata finora l’unica a denunciare simili pressioni e questo non sembra essere un buon segno.
A un anno dall’avvio dell’operazione militare speciale in Ucraina la gran parte dei media continua a propinarci una narrazione militante e partigiana ma sempre meno aderente alla realtà e soprattutto priva di elementi fondamentali idonei a tenere in considerazione gli interessi nazionali e se la postura assunta da Italia ed Europa in questo conflitto consenta o meno di perseguirli.
Ci troviamo nel mezzo della prima guerra convenzionale combattuta sul nostro continente dal 1945 e le sue gravi conseguenze strategiche, energetiche ed economiche hanno colpito duramente l’Europa e l’Italia mentre il futuro potrebbe portarci a fare i conti con sviluppi e realtà concrete ben diversi da quelli prefigurati dalle fanfare propagandistiche che ci siamo sorbiti finora.
Credere, Obbedire, Soccombere.
Foto Sky News, Ministero Difesa Ucraino, Casa Bianca, Cremlino, Telegram e Ministero Difesa Russo
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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.