La Bulgaria riprende la produzione di munizioni russo/sovietiche per rifornire l’Ucraina

 

 

La fabbrica di munizioni di Terem, alla periferia della città di Kostenets, in Bulgaria, ha ripreso la produzione a gennaio per fornire munizioni all’Ucraina. Lo scrive il New York Times   riprendendo una notizia già resa nota a metà gennaio dalle stesse autorità di Sofia che hanno confermato l’apertura di un nuovo stabilimento per la produzione di esploszivi e munizioni presso il complesso industriale di Terem-Tsar Samuil, di proprietà della società a controllo pubblico Terem Holding,

Il ministro della Difesa, Dimitar Stoyanov, ha dichiarato il 17 gennaio che il nuovo impianto produttivo garantirà 30 posti di lavoro aggiuntivi agli organici di Terem Holding.

Lo stabilimento aveva cessato la produzione di proiettili di artiglieria da 122 millimetri nel 1988 alla fine della Guerra Fredda, ma l’invasione russa dell’Ucraina ha trasformato “le armi e le munizioni dell’era sovietica in materiale cruciale”, specie se si tiene conto che l’Europa non è più in grado di fornire rapidamente munizioni e armi di tipo occidentale e anche gli Stati Uniti sono sempre più restii a sguarnire i propri depositi per alimentare le forze di Kiev.

Reperire armi e munizioni di tipo russo/sovietico, reperite sul mercato internazionale o di nuova produzione consente anche di risparmiare tempo e risorse nell’addestramento dei militari ucraini, abituati a impiegare tali equipaggiamenti al contrario di quelli standard NATO.

Nonostante le pesanti perdite subite, l’esercito ucraino dispone infatti in larga misura di armi che impiegano munizioni di calibro standard russo/sovietico (per l’artiglieria da 122 e 152 mm contro i 105 e 1255 delle produzioni occidentali).

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I proiettili da 122 mm prodotti in Bulgaria vengono impiegati dagli obici trainati D-30 (circa 450 a inizio guerra) e dai semoventi  2S1 Gvozdika (circa 600 nel febbraio 2022 – nella foto sotto) forniti a Kiev anche da paesi NATO dell’Est Europa)

Come sottolinea il New York Times, gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO non producono queste munizioni e sono costretti a trovare soluzioni alternative che “mantengano tranquille le transazioni ed evitino ricadute politiche e ritorsioni russe”.

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Rappresentanti dell’Ambasciata degli Stati Uniti a Sofia hanno partecipato il mese scorso all’inaugurazione della nuova produzione presso lo stabilimento statale di Kostenets, rivela il quotidiano, che ricorda che un altro stabilimento analogo (sempre di proprietà statale)  ha riaperto i battenti nella vicina Sopot e che la Bulgaria non è l’unico Paese che contribuisce discretamente allo sforzo bellico dell’Ucraina: oltre a Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca anche il Lussemburgo fornisce a Kiev armi di tipo russo/sovietico provenienti da Praga.

Blindati BTR, cingolati da combattimento BMP-1, carri armati T-72, obici trainati e semoventi, elicotteri Mi-8/17 e Mi-24 e aerei da attacco Su-25 giungono in Ucraina da molti stati europei che fecero parte del Patto di Varsavia.

Le previste esportazioni di armi della Bulgaria lo scorso anno sono aumentate vertiginosamente, superando i 3 miliardi di dollari, circa cinque volte le vendite all’estero nel 2019, secondo le stime del governo basate sui dati raccolti a ottobre 2022. Sofia ha ceduto all’Ucraina anche mezzi e armi provenienti dalle sue forze armate tra i quali tank T-72 e aerei da attacco Sukhoi Su-25 (e forse anche Mig 29).

Secondo il New York Times gli Stati Uniti stanno perlustrando le fabbriche in Bosnia ed Erzegovina, Serbia e Romania alla ricerca di proiettili per l’esercito ucraino e la Gran Bretagna avrebbe costituito una task force segreta per reperire nel mondo armi e munizioni per l’Ucraina.

L’importanza di tali fonti sta crescendo mentre l’Ucraina brucia le munizioni a un ritmo insostenibile che Jens Stoltenberg, il segretario generale della NATO, ha detto essere “molte volte superiore al nostro attuale livello di produzione”.

Foto Ministero Difesa Bulgaro e Ministero Difesa Ucraino

 

 

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