Bologna: Gianni Oliva ha presentato “Il purgatorio dei vinti” al Club Atlantico

 

di Carmelo Abisso da Perseo News

Il Club Atlantico ha organizzato il 21 aprile presso The Sydney Hotel di Bologna l’incontro con lo storico, docente e giornalista Gianni Oliva che ha presentato il suo ultimo libro “Il purgatorio dei vinti – La storia dei prigionieri fascisti nel campo di Coltano”. Ha introdotto e moderato l’evento il generale Giorgio Battisti, presidente del Club Atlantico di Bologna.

Il professor Gianni Oliva, docente di Storia delle istituzioni militari, nato a Torino nel 1952, ha dedicato molti studi al periodo 1940-45. Si è laureato con Alessandro Galante Garrone: “Quando scrivi un libro di storia, nessuno di quelli che ti leggono devono sapere per chi voti”. Docente di Scienze strategiche alla Scuola di applicazione dell’Esercito dal 1994 al 2006, da assessore alla Cultura della Regione Piemonte ha curato l’apertura della Reggia di Venaria. Dice di se: “Mi sforzo di scrivere libri leggibili, non saggi da addetti ai lavori, con tre righe di testo e venticinque di note”.

Si può dar corso comunque a un incontro quando il relatore in viaggio per Bologna rimane bloccato sull’autostrada A1 tra i caselli di Terre di Canossa e Reggio Emilia perchè il rimorchio di un tir carico di marmo (nella foto) si ribalta sulla carreggiata ? Al Club Atlantico si può, grazie all’iniziativa di due soci, Beppe, storico direttore di giornale e Stefano, giovane brillante esperto di computer. Con l’aiuto della tecnologia si monta un collegamento via zoom e il relatore puo’ parlare dalla sua autovettura in amplificazione con la sala dell’hotel.

“Nella primavera del 1945 – ricorda Oliva – gli alleati si propongono di creare dei campi nei quali rinchiudere i prigionieri fascisti dopo lo sfondamento della Linea Gotica. Gli americani decidono di costruire un grande campo tra Pisa e Collesalvetti, a Coltano, diviso in due parti, una per i prigionieri tedeschi e l’altra per i fascisti militi di Salò, circa 34.000, distribuiti in dieci grandi capannoni. Le condizioni sono estreme come a Padula nell’autunno del 1943. Lo scopo è sottrarre i militi alla furia della fine della guerra civile, dove il nemico è un traditore che non ha cittadinanza nel nuovo Stato. Diecimila verranno eliminati nei giorni dell’insurrezione.

Il campo di Coltano, aperto fino all’autunno del 1945, diventa un problema di ordine pubblico, cinquecento al giorno vengono rilasciati. Da Raimondo Vianello a Enrico Maria Salerno, da Walter Chiari a Enrico Ameri, dal giornalista Mauro De Mauro all’anziano scrittore americano Ezra Pound, dal futuro ministro Mirko Tremaglia all’olimpionico della marcia Pino Dordoni: ci sono tanti nomi diventati illustri.

Sono i vinti della guerra civile, per la maggior parte «ragazzi di Salò», che dopo l’8 settembre hanno scelto la continuità con i valori del Ventennio e in nome di un malinteso senso della Patria e dell’Onore sono andati a cercare la dannunziana «bella morte», schierandosi dalla parte sbagliata della storia, come ricorda Italo Calvino ne Il sentiero dei nidi di ragno.

Alcuni dei loro camerati hanno avuto un destino drammatico, travolti nella convulsione della resa dei conti. Altri, come Dario Fo, sono riusciti a eclissarsi prima del tracollo. Alcuni di loro ricorderanno l’esperienza senza reticenze e senza orgoglio, riferendosi a una stagione della vita rispetto alla quale serve più comprensione che anatema («non rinnego né Salò né Sanremo» confesserà Raimondo Vianello).

Molti cercheranno di rimuovere e cancellare, altri ancora ammetteranno con imbarazzo rinviando alla confusione del periodo. Una stagione sospesa tra volontà punitiva e bisogno di normalizzazione, i successivi percorsi della memoria. Coltano non si presenta come il campo di prigionia di ex combattenti nostalgici, ma come lo specchio dello smarrimento ideologico e morale lasciato nelle coscienze dal 1943-45.

Noi siamo un Paese che non ha fatto i conti col passato. Siamo democratici e la democrazia è sempre antifascista, mentre l’antifascismo non è sempre democratico. Dopo 80 anni possiamo ragionare con distacco – conclude Oliva – per un 25 aprile sereno. Nelle piazze dovrebbero esserci tutte le parti politiche. Ma oggi la politica non sa progettare il futuro e per darsi un’identità deve mettere le bandierine sul passato”.

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