Il futuro di Prigozhin e del Gruppo Wagner si gioca a Bakhmut?

 

 

Le immagini dei feroci combattimenti a Bakhmut mostrano solo una parte di quanto sta accadendo attorno al capoluogo minerario dell’Ucraina orientale e all’omonimo distretto. Sullo sfondo del devastante assedio russo cinto ormai da maggio 2022, infatti, è in corso uno scontro collaterale tra Yevgeny Prigozhin, patron della compagnia militare privata (PMC) Gruppo Wagner e i vertici militari russi.

Una partita a scacchi per acquisire influenza e potere al Cremlino che, fino alla vigilia della conquista della città di Soledar, vedeva il Gruppo Wagner all’offensiva e nelle grazie di Putin. Ben presto, però, la mancanza di progressi significativi ha spinto il presidente russo a riporre nuovamente fiducia nei militari.

Questi hanno, conseguentemente, adottato una strategia volta ad indebolire o mettere fuori gioco la nota PMC ibrida russa: bloccandone i rifornimenti, complicandone gli arruolamenti e creando compagnie militari private concorrenti.

Prigozhin si trova quindi impegnato in una fase di disperata offensiva per trasformare un lungo e sanguinoso assedio nella prima significativa vittoria russa da diverso tempo a questa parte, nonché a garantire la sopravvivenza del Gruppo Wagner.

”Le forze ucraine stanno continuando a resistere ai tentativi di Mosca di conquistare la città orientale di Bakhmut, che ora potrebbe essere conquistata in tre o quattro settimane” ha detto oggi su Telegram il capo del gruppo Wagner ma a preoccuparlo maggiormente non sono tanto gli ucraini o le armi occidentali, bensì la coalizione anti-Prigozhin che si è formata nelle istituzioni e che sfrutta ogni occasione per indebolirlo. Tanto determinata, forse, da arrivare a mettere una bomba in un suo bar di San Pietroburgo.

 

Soledar: La vittoria “mutilata” di Prigozhin

Dopo gli intoppi dell’Operazione Militare Speciale, le deludenti prestazioni sul campo delle truppe regolari e le pressioni degli alti comandi per una mobilitazione su larga scala il presidente Putin ha concesso a Prigozhin e al suo alleato, generale Sergey Surovikin l’opportunità di dare nuovo slancio alla campagna militare.

Ad inizio estate, infatti, Prigozhin l’avrebbe convinto di poter prendere la città di Bakhmut senza troppe difficoltà. Una rapida vittoria attraverso un ampio reclutamento di carcerati, l’accesso ad armi ed equipaggiamenti delle Forze Armate russe ed una parallela campagna missilistica lanciata da Surovikin sulle infrastrutture energetiche ucraine.

Nel frattempo le truppe regolari russe avrebbero potuto concentrarsi sull’addestramento delle reclute dell’impopolare mobilitazione parziale.

Una decisione, quella di Putin, che da una parte ha irritato il ministro della Difesa Shoigu e il capo di Stato Maggiore della Difesa Gerasimov a cui è stato chiesto di condividere con la Wagner equipaggiamenti, munizioni e fondi tanto importanti in quella che è ormai diventata una guerra d’attrito.

Dall’altra ha galvanizzato Prigozhin, facendogli maturare un senso d’impunità tale da sfidare apertamente Gerasimov e Shoigu, accusandoli ripetutamente di incompetenza e corruzione.

Entrambe le tattiche sono però fallite: Prigozhin ha conquistato solamente e con estrema difficoltà Soledar, cittadina 15 chilometri a nord di Bakhmut, mentre Surovikin ha ottenuto risultati marginali a fronte di un consumo di ingenti quantità di munizionamento di precisione. Il presidente Putin ha così deciso di tornare a puntare sulle Forze Armate.

Come prima mossa l’11 gennaio ha posto il generale Gerasimov al comando delle forze russe in Ucraina, al posto di Surovikin. Nelle stesse ore, tuttavia, Prigozhin annunciava che “unità del Gruppo Wagner avevano preso il controllo dell’intero territorio di Soledar” e, attribuendo tutti i meriti ai suoi uomini, rimarcava che “nessuna unità ad accezione dei combattenti della PMC Wagner aveva preso parte alla battaglia.”

Sia gli ucraini che il Cremlino stesso l’hanno però smentito parlando di una prosecuzione dei combattimenti in città e della contestuale presenza di truppe regolari russe. Il 13 gennaio è stato il Ministero della Difesa a dichiarare che i suoi uomini ne erano prossimi alla conquista, senza alcun accenno al contributo del Gruppo Wagner.

In seguito alle proteste di Andrei Troshev, collaboratore di Prigozhin, il dicastero ha timidamente riconosciuto la presenza di un’”eterogeneo contingente militare” e che “l’assalto diretto alle aree residenziali di Soledar …è stato condotto con successo grazie alle coraggiose ed altruistiche azioni dei volontari delle squadre d’assalto del Gruppo Wagner.”

Nell’occasione Prigozhin ha anche esternato una maggior preoccupazione per “lotte interne, corruzione, burocrazia e funzionari che vogliono restare al loro posto” che non per ucraini ed alleati occidentali. Infine, in un’intervista televisiva del 15 gennaio il presidente Putin ha parlato della città recentemente conquistata, evitando completamente di menzionare il Gruppo Wagner.

Prigozhin pare così essere stato emarginato. I riferimenti al Gruppo Wagner nei media statali russi si sono fatti meno frequenti e il suo fondatore non è stato nemmeno invitato all’anniversario dell’Operazione Militare Speciale, dove il presidente Putin ha tenuto un discorso al cospetto delle massime cariche politiche e religiose del Paese.

Per Prigozhin, quindi, la conquista di Soledar è risultata più una vittoria “mutilata” se non, addirittura, una sconfitta.

 

Il “tritacarne” di Bakhmut

 Nonostante la rinnovata inclinazione del presidente Putin per i militari ed un maggior dispiegamento di truppe regolari per consolidare posizioni, l’offensiva su Bakhmut è proseguita con un ruolo di preminenza del Gruppo Wagner.

Diversi analisti ritengono che alla base di tale scelta vi sia un preciso intento dell’establishment militare russo di far perire nel cosiddetto “tritacarne” di Bakhmut il maggior numero possibile di uomini di Prigozhin per contenere le sue ambizioni politiche. Per settimane, infatti, il dicastero avrebbe ostacolato le operazioni del Gruppo Wagner, interrompendone il flusso di rifornimenti e l’arruolamento di carcerati.

Il rischio, ha dichiarato Prigozhin ad inizio marzo, è un accerchiamento dei suoi uomini ed un crollo totale del fronte russo: “se il Gruppo Wagner dovesse ora ritirarsi da Bakhmut, allora l’intero fronte — che la PMC ibrida sta ora cementando — crollerebbe”. Allo stesso tempo i militari avrebbero risparmiato le proprie unità per impiegarle alla fine della battaglia ed attribuirsi i meriti in caso di vittoria o accusare lo “chef di Putin” di un eventuale fallimento.

Prigozhin ha ammesso che la battaglia è “molto difficile, con il nemico che combatte per ogni metro”. Oltre agli ex detenuti usati come carne da cannone, egli ha dovuto sacrificare anche un gran numero di operatori esperti a Bakhmut, da cui la Wagner sta uscendo “piuttosto malconcia”.

Nel frattempo l’avanzata continua lenta, ma costante con Prigozhin che ha dichiarato il 2 aprile di aver preso il centro amministrativo della città, issando la bandiera russa su ciò che rimane del municipio. Kiev ha smentito e continua a difendere la parte occidentale della città diventata ormai l’ennesimo centro di gravità di questa guerra.

 

“Fame di munizioni”…

 Quello dei rifornimenti di munizioni è da mesi uno degli aspetti più controversi, propagandistici e conflittuali tra Prigozhin e i vertici del Ministero della Difesa.

Già da fine dicembre, al culmine della battaglia di Soledar, gli uomini del Gruppo Wagner avevano diffuso un video in cui lamentavano la mancanza di proiettili d’artiglieria, accusando il generale Gerasimov e definendolo un “fottuto bastardo”. Lo stesso Prigozhin era intervenuto in loro sostegno, approfittando per attaccare nuovamente i nemici istituzionali.

Il 16 febbraio un gruppo di artiglieri del Gruppo Wagner era tornato a fare appelli sui social per ottenere il necessario per combattere, essendo stati “completamente tagliati fuori dalla fornitura di munizioni”.

Il giorno seguente avevano mostrato anche una stanza piena di cadaveri, denunciando che il Gruppo Wagner perdeva centinaia di uomini al giorno per la “Shell Hunger” (fame di munizioni). Addirittura, diversi canali Telegram e blogger si erano mobilitati con l’hashtag #GiveShellstoWagner (date munizioni al Gruppo Wagner).

Il 20 febbraio Prigozhin ha definito l’interruzione dei rifornimenti il risultato di una sua “complicata relazione” con non meglio precisati ufficiali del Ministero della Difesa, che gli avrebbero chiesto di “scusarsi e obbedire” per risolvere la situazione. Nel frattempo i suoi uomini morivano in gran quantità perché non in grado di contrastare il fuoco dell’artiglieria ucraina.

Il Ministro della difesa ha respinto le accuse, apostrofandole come “assolutamente false” ed ha assicurato di aver sempre fatto il possibile per garantire un flusso sufficiente di rifornimenti. Tra il 18 e il 20 febbraio avrebbe consegnato alla PMC 1.660 razzi, 10.171 proiettili di grosso calibro e bombe da mortaio e 90 proiettili per carri armati. Dal dicastero hanno colto anche l’occasione per accusare Prigozhin di fomentare divisioni interne, controproducenti e ad esclusivo vantaggio del nemico.

Prigozhin ha parlato di menzogne del ministero, precisando che il Gruppo Wagner aveva ricevuto solamente il 20% di quanto promesso e che erano stati ostacolati anche i relativi trasporti aerei e, perfino, la fornitura di pale per scavare trincee. Per rincarare la dose ha postato la fotografia di caduti del Gruppo Wagner ammassati nella neve e ha chiesto ai cittadini russi d’intercedere presso il ministero della Difesa.

Il 23 febbraio sembrava che le cose si stessero risolvendo. Prigozhin ha annunciato su VKontakte l’imminente invio di una completa fornitura di munizioni ringraziando non meglio precisati personaggi di potere – ovviamente, non i vertici della Difesa – per il loro contributo nella risoluzione dell’impasse, salvando così centinaia di suoi uomini.

Ben presto però è tornato a denunciare che, per questioni di “ordinaria burocrazia o tradimento”, la maggior parte delle munizioni promesse non era ancora stata inviata. Il 5 marzo ha scritto al comandante dell’Operazione Militare Speciale una lettera per chiederne conto ma il suo incaricato non è stato ricevuto presso il quartier generale russo.

Il tira e molla continua ad accompagnare l’evoluzione della battaglia.

 

…e di uomini

 Dopo aver reclutato circa 40.000 carcerati (nella foto sotto) da settembre 2022, il 9 febbraio Prigozhin ha annunciato che il Gruppo Wagner aveva completamente interrotto tale pratica.

Nell’assedio di Bakhmut, secondo stime occidentali, il Gruppo Wagner avrebbe perso circa 30.000 uomini tra feriti, morti (9.000) e disertori. Numeri da prendere con le molle e non verificati ma rilevanti che potrebbero aver avuto ripercussioni sull’assedio della città. Diverse, infatti, le pause tattiche che la PMC ibrida si è dovuta concedere per la carenza di munizioni e la necessità di rinforzi.

Inoltre, nelle prossime settimane migliaia di ex carcerati avranno scontato i sei mesi di servizio militare in Ucraina e potranno tornare in libertà. Il 25 marzo Prigozhin ha parlato di almeno 5.000 di loro già congedati. Il Gruppo Wagner ha quindi l’estrema urgenza di rinfoltire i ranghi. Per tale motivo si è trovato ad aprire centri di reclutamento in diverse regioni della Russia, ricorrendo anche ad uffici mobili per raggiungere le comunità e città rurali più piccole.

Tra il 2 e il 4 marzo ha annunciato l’apertura di centri di reclutamento presso club sportivi come il Dynamo a Samara, Antares Sports Club a Rostov e presso la Federazione Pugilistica russa a Tyumen.

La campagna di reclutamento del Gruppo Wagner si è estesa anche agli studenti, con centri di arruolamento in strutture scolastiche nei territori dell’Altai, Zabaykalsky e Krasnoyarsk e nell’oblast di Irkutsk. Il Gruppo Wagner ha aperto anche un circolo giovanile – il ”Wagneryonok” o “Piccolo Wagner” – a San Pietroburgo e un campo estivo in Crimea.

Sulle emittenti televisive locali negli oblast di Rostov, Tyumen, Novosibirsk e nel territorio del Krasnodar ha fatto trasmettere spot per incentivare gli arruolamenti. Addirittura, si è servito della piattaforma Pornhub per raggiungere potenziali reclute: immagini provocanti e voci suadenti per invitare ad unirsi all’esercito privato più figo del mondo”.

In una sorta di rendiconto della campagna di reclutamento, a metà marzo Prigozhin parlava di 42 centri in altrettante città russe, in grado di apportare tra le 500-800 nuove reclute al giorno. Risultati definiti migliori del previsto, sia a livello quantitativo che qualitativo, con soggetti in condizioni fisiche nettamente superiori agli ex carcerati.

Tanto da poter permettere, a detta di Prigozhin, di aumentare di 30.000 unità il numero di combattenti entro la metà di maggio. Anche in questo caso si tratta di numeri impossibili da verificare.

Pur non avendo inizialmente denunciato alcun intervento o divieto governativo, il 3 marzo Prigozhin ha accusato dell’ennesimo sabotaggio nei confronti del Gruppo Wagner il ministero della Difesa che aveva iniziato a sua volta il reclutamento di carcerati per inquadrarli nel 2º Corpo d’armata della Milizia Popolare di Lugansk, sottraendoli a Prigozhin.

Il ministero avrebbe cancellato i voli militari con cui il Gruppo Wagner cercava di far giungere rinforzi in Ucraina richiamando parte dei combattenti sparsi in diversi Paesi del mondo, soprattutto in Africa e Medio Oriente. E ancora, il Cremlino aveva autorizzato e pubblicizzato il rilascio di provvedimenti di grazia “preventivi” per incentivare i detenuti in forza al Gruppo Wagner ad abbandonarlo alla scadenza dei 6 mesi.

 

I competitors di Wagner…ed anche qualche amico

 L’andamento delle ostilità e soprattutto la crescente influenza di Prigozhin sembrano aver indotto Putin ad optare per un’ulteriore esternalizzazione della guerra, coinvolgendo una serie di compagnie militari private o eserciti mercenari. Fin da dicembre, schierata nella zona di Stepne, 25 km ad est di Vuhledar sarebbe presente la compagnia militare privata Patriot.

Dopo aver fatto la sua comparsa in Siria nel 2018, la PMC è stata impegnata per anni in Africa e Medio Oriente.

Sarebbe espressione di “militari imprenditori” che supportano e si coordinano con l’Esercito regolare e l’intelligence militare: quindi, un asso nella manica del ministro Sergey Shoigu (al centro nella foto sotto durante la visita a uno stabilimento per la produzione di veicoli da combattimento).

Rispetto al Gruppo Wagner, Patriot ha sempre puntato sul reclutamento di personale militare esperto e, una volta arruolato, meglio equipaggiato e pagato. Operativamente, oltre alla protezione di miniere e pozzi petroliferi, sono sempre stati maggiormente concentrati sulla protezione ravvicinata di importanti personalità economiche e politiche, spesso impresentabili.

Con un decreto firmato dal Primo ministro russo Mikhail Mishustin il 4 febbraio, il gigante energetico russo Gazprom ha creato una propria compagnia militare privata. Il 70% della PMC apparterrebbe a Gazprom Neft, mentre il restante 30% alla compagnia di sicurezza privata Staf-tsentr con sede ad Omsk.

Una realtà, quella della PMC di Gazprom, creata in ottemperanza alla legislazione russa che consente alle società attive in ambito energetico di creare società private a cui affidare la sicurezza delle proprie infrastrutture. Gazprom, infatti, ha dichiarato al Time la costituzione di una compagnia di sicurezza privata – PSC – per proteggere i propri assetti ed infrastrutture all’estero da attacchi e sabotaggi in un periodo tanto delicato. Si pensi al Nord Stream…

Poco probabile invece un impiego sul campo di battaglia. Essa, infatti, non costituirebbe una particolare minaccia per l’Ucraina dato che Mosca utilizza già compagnie militari private. Anzi, potrebbe disperdere risorse già scarse e causare problemi di coordinamento, controllo e comando.

Piuttosto, potrebbe essere l’ennesimo strumento per compiacere Putin e supportare gli interessi nazionali con una particolare vocazione per l’Artico, o all’estero specialmente in quei Paesi pesantemente indebitati con Gazprom o che ospitano sue infrastrutture come Kyrgyzstan e Bielorussia. Per il momento, l’unica cosa certa è che facendo capo ad un’azienda di Stato, non sarà possibile per Mosca prendere le distanze dalla nuova PMC come avveniva, invece, con il Gruppo Wagner.

Il Cremlino avrebbe, anche, cercato di reclutare fino a 2.000 uomini della compagnia di sicurezza privata bielorussa GuardService, fondata dal presidente Lukashenko nel 2019 e costituita principalmente da ex membri delle forze speciali di Minsk.

Si è parlato anche di Redut, compagnia militare privata dell’oligarca Gennady Timchenko. Nata nel 2008 da gruppi di veterani ed ex membri dei servizi segreti e Forze Armate russe, sarebbe composta da circa un migliaio di uomini. Oltre a proteggere gli assetti dell’azienda Stroytransgaz di Timochennko, avrebbe operato nel Caucaso, ex Yugoslavia, Iraq, Afghanistan e Siria.

All’inizio della guerra i suoi uomini sarebbero entrati in Ucraina dalla Bielorussia, conquistando la centrale nucleare di Chernobyl per poi operare clandestinamente a Kiev, cercando di infiltrare ed eliminare la leadership politica e i servizi segreti. Avrebbe partecipato anche alle battaglie di Kharkiv, Siverskyi Donets e Balakliia.

L’8 marzo è comparso su Vkontakte un annuncio di reclutamento per la Yastreb, PMC fondata nel 2014 e legata all’FSB. Oltre alle posizioni aperte e i requisiti di selezione richiesti, la compagnia ha promesso bonus fino a circa 194.000 dollari a chi avrebbe distrutto veicoli, armamenti ed equipaggiamenti occidentali come carri armati Leopard, veicoli corazzati Bradley e lanciarazzi HIMARS.

Fonti del ministero della Difesa russo hanno rivelato ieri la costituzione del Battaglione degli Urali finanziato dal magnate del rame Igor Altushkin, patrimonio stimato in 3,4 miliardi di dollari (Forbes) e “da altri privati” di cui non viene fornita l’identità. Del battaglione si sa poco, se non che a febbraio combatteva a Kreminna.

Altuskin, i cui recenti sforzi di reclutare uomini nelle prigioni sono stati bloccati da Prigozhin, ha iniziato la sua carriera come rottamatore di metalli, arrivando a fondare la Russian Copper Company nel 2004 a Ekaterinburg, oggi la terza produttrice di rame in Russia, con miniere e impianti in Russia e Kazakistan.

Lo scorso anno la società ha perso una quantità mostruosa di denaro a causa della crisi del settore provocata dalle sanzioni. Non diversamente dalle famiglie di molti altri esponenti dell’establishment russo, la moglie e almeno uno dei figli ha un passaporto britannico. A Londra è proprietario, fra gli altri immobili, di una residenza del valore di 17 milioni di sterline (21 milioni di dollari) che già apparteneva a Madonna.

E’ stato definito “il miliardari ortodosso” per i finanziamenti assicurati alla costruzione, o al restauro, di chiese nella regione di Sverdlovsk e in Cecenia. Ha ospitato il Patriarca Kirill sul suo aereo privato diretto a Ekaterinburg ed è considerato vicino al Cremlino, soprattutto dopo che ha donato fondi per il monumento ad Alessandro III inaugurato da Putin in Crimea nel 2017.

Il sito di notizie Moscow Times, che ha dato la notizia del Battaglione, sottolinea che sono decine di migliaia i russi che combattono volontari fra le fila di unità private organizzate dalle autorità locali, da gruppi cosacchi e dalla cosiddetta “Riserva speciale di combattenti”, alcuni dei quali finanziati da un altro tycoon filo ortodosso, Konstantin Malofeev, patron dell’ideologo Dugin, padre di Darya, uccisa lo scorso agosto in un attentato.

Nei giorni scorsi, il direttore dell’Agenzia federale della comunità degli Stati indipendenti e i russi all’estero Rossotrudnichestvo a cui fanno capo i Centri di cultura russa nel mondo, Evgheny Primakov, nipote dell’ex premier e ministro degli Esteri omonimo, ha annunciato la creazione della compagnia militare privata, per proteggere i centri nei Paesi “ostili”, quindi potenzialmente anche a Roma (come evidenzia l’agenzia di stampa Adnkronos), dove a Piazza Cairoli si trova il Centro russo di scienza e cultura.

Secondo Primakov, “la presenza di persone ben armate, robuste e motivate” negli uffici renderà “più visibile” il lavoro che l’agenzia fa a livello umanitario e culturale. Il direttore di Rossotrudnichestvo, fondata nel 2008 dall’allora presidente Dmitry Medvedev, ha poi citato i due nomi presi in considerazione per la compagnia: Puskinisty, che significa i seguaci del poeta russo Aleksandr Puskin, o Whiskers, sempre come riferimento a Puskin, perché il poeta aveva i basettoni.

Perfino il leader ceceno Ramzan Kadyrov (nella foto sopra) il 19 febbraio si è detto ispirato a creare una propria compagnia militare privata: “Sto seriamente pensando, dopo che ho finito il mio lavoro nell’amministrazione pubblica, di far concorrenza al nostro caro fratello Yevgeny Prigozhin e creare una private military company”.

In realtà, più un elogio allo “chef di Putin” e ai “risultati molto impressionanti” ottenuti dal Gruppo Wagner che non una reale intenzione.

Sergey Askyonov, capo della Repubblica di Crimea avrebbe invece creato una compagnia militare privata affiliata al Gruppo Wagner. Schieratosi con Prigozhin contro il Ministero della Difesa, Askyonov ha fondato Convoy e l’ha affidata a Konstantin Pikalov alias Mazai, braccio destro di Prigozhin nonché ex responsabile delle operazioni del Gruppo Wagner in Africa.

Si tratta di un’unità attiva nell’oblast di Kherson e formata da circa 300 uomini armati anche di carri armati T-80 e T-90. Il nome deriverebbe da un’unità della Guardia Imperiale russa che forniva guardie del corpo allo Zar. Attraverso Convoy Prigozhin potrebbe tentare di creare formazioni paramilitari di supporto all’assediato ed indebolito Gruppo Wagner e lanciare nuove campagne di reclutamento.

Egli infatti sembra mantenere ancora una forte influenza politica e contatti con le autorità regionali all’interno della Russia, sebbene diversi suoi alleati abbiano preso le distanze.

 

La bomba di San Pietroburgo

Attorno alle 18 del 2 aprile un’esplosione ha ucciso il noto blogger militare Vadem Tatarsy (nella foto sotto) – al secolo Maxim Fomin – e ferito 32 persone in un bar di San Pietroburgo. Lo Street Food Bar N° 1, in cui Tatarsky stava parlando ad un centinaio di persone e sede del gruppo nazionalista Cyber Front Z, è un locale di proprietà di Yevgheny Prigozhin.

Le autorità hanno fermato e poi convalidato l’arresto della 26enne Daria Trepova per aver consegnato alla vittima, poco prima dell’inizio dell’evento politico, una statuetta in cui erano stati occultati 200 grammi di TNT. La Trepova ha dichiarato di essere stata incastrata, usata e di non sapere che il mezzo busto era, in realtà un ordigno esplosivo. Versione che troverebbe conferma in un video in cui si vede la donna intrattenersi nel bar ed uscirne, illesa, solo dopo l’esplosione.

Alla Trepova sarebbe stato promesso un posto da giornalista a Kiev da un imprecisato attivista conosciuto su Telegram. In cambio avrebbe dovuto superare alcune prove, tra cui la consegna della statuetta.

Secondo i media locali la Trepova (nella foto sotto), già arresta per aver manifestato contro l’Operazione Militare Speciale, avrebbe legami con il Partito Libertario di Russia, a cui appartiene anche il marito. Dal partito, però, hanno smentito. Fomin, invece, era uno dei principali esponenti della comunità di blogger militari russi con “profondi” legami con Cremlino, nazionalisti russi, separatisti del Donbass e Gruppo Wagner.

Con circa 560.000 follower su Telegram, Fomin era un acceso sostenitore della guerra in Ucraina, ma anche uno dei più feroci critici della sua gestione. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova ha immediatamente puntato il dito contro Kiev e i suoi servizi segreti. Il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak ha, però, accusato il “terrorismo interno” russo per quello che si è rivelato “strumento di lotta politica interna”.

Intanto Prigozhin, oltre a dedicare alla memoria di Tatarsky la bandiera russa issata sulle macerie dell’edifico dell’amministrazione pubblica di Bakhmut, ha dichiarato che il vile gesto non sarebbe da attribuire a Kiev, bensì ad un “gruppo di radicali che è difficilmente collegato con il governo”.

Il 4 aprile si è recato al suo bar di San Pietroburgo, incontrando e spendendo apprezzamenti per gli attivisti di Cyber Front Z, nonché promettendo risarcimenti per il blogger ucciso e le altre persone presenti all’attentato.

Il giornalista Christo Grozev, della testata investigativa Bellingcat, ha escluso la pista interna: “per quanto si possa sperare che vi sia una resistenza attiva all’interno della Russia che si assume dei rischi, penso che gran parte di quanto abbiamo visto – compreso l’attentato a Daria Dugina – siano in realtà operazioni ucraine presentate come resistenza locale”.

H, inoltre definito Tatarsky un bersaglio legittimo in quanto militare attivo in Donbas nel 2014 e propagandista, mentre il bar dell’attentato un luogo di ritrovo di “cyber-combattenti russi” che bersagliano infrastrutture ucraine. Quindi l’obiettivo non era “propriamente civile”.

 

Alcune considerazioni

Prigozhin sperava di conquistare Bakhmut in poco tempo, ottenendo grossi vantaggi in termini di popolarità ed influenza ma, nonostante l’avanzata costante dei suoi uomini, i quartieri occidentali della città ancora resistono pur se stanno circolando voci di una ritirata ucraina tesa a evitare l’accerchiamento dei reparti ancora presenti nel centro urbano.

Prigozhin potrebbe essere consapevole che il suo destino – politico e non – è sempre più collegato all’esito di questa battaglia. All’interno del ministero della Difesa si è formata una fazione anti-Prigozhin che, incoraggiata dalle difficoltà del Gruppo Wagner sul campo, cerca di liberarsi di lui e della sua organizzazione nel “tritacarne” di Bakhmut.

Prigozhin ha forse commesso un errore strategico, arrivando a costituire una minaccia comune a più figure istituzionali. Le sue ambizioni – vere o presunte – di diventare ministro della Difesa, di fondare un partito politico e addirittura, ritenere di poter sostituire Putin hanno pregiudicato quelle sue relazioni con il presidente che probabilmente aveva sopravvalutato.

Il presidente Putin, sentitosi minacciato dalla sua ascesa e dagli attacchi a quei personaggi ritenuti a lui più fedeli – tra cui il ministro Shoigu e il generale Gerasimov, ha dato fiducia ai militari continuando comunque ad assecondare Prigozhin per la necessità di colmare rapidamente il gap di personale delle Forze Armate, in attesa dei 300 mila riservisti mobilitati e della mobilitazione parziale e dei 200 mila volontari arruolati.

Invece di attacchi diretti, Putin ha spinto il ministero della Difesa a creare le condizioni per indebolire il Gruppo Wagner, rivelatesi così difficili da portare Prigozhin ad intensificare gli attacchi contro l’establishment militare per poi, ad ammorbidirsi e spendere parole di apprezzamento per ottenere quanto utile alla sopravvivenza dei suoi combattenti.

Se Prigozhin e il Gruppo Wagner riusciranno a conquistare Bakhmut otterranno una significativa vittoria russa presentandosi come eroi. Una vittoria non solo sulle Forze Armate ucraine, ma soprattutto sui vertici di quelle russe.

In caso di fallimento Prigozhin si troverebbe a dover rispondere di mesi di combattimenti e di migliaia di morti, decretando forse la sua fine e quella del Gruppo Wagner.

O forse no, poiché Prigozhin gode ancora di maggior credibilità rispetto ai militari accusati di alcune sconfitte sul campo e potrebbe quindi risorgere nel momento in cui Gerasimov o Shoigu dovessero tornare a deludere lo Zar. Ad esempio, sfruttando – i maligni dicono auto-organizzando –

un attentato nel suo locale di San Pietroburgo per suscitare solidarietà, magari riallacciando i rapporti con Putin o concentrandosi su obiettivi alternativi in Ucraina o in uno di quei Paesi africani che tanto lustro avevano conferito al Gruppo Wagner.

Il regime di Putin ha sempre adottato un modello concorrenziale tra i diversi gruppi, basato su conflitti che si acuiscono e attenuano sotto la sua supervisione. Perciò non si può escludere che la diatriba tra Prigozhin e Shoigu sia stata giostrata da Putin per “punire” a fasi alterne il ministro della Difesa per alcune sconfitte subite nell’Operazione Militare Speciale e il suo “ex chef” per le eccessive ambizioni e il l’approccio duramente critico verso le istituzioni.

In ogni caso alimentando questa rivalità è stato impedito che dalla guerra emergessero figure in grado di mettere in ombra Putin o di rivaleggiare con lui.

L’assassinio di Tatarsky nel bar di Prigozhin rappresenterebbe, quindi, un’esclation nel conflitto interno tra Prigozhin e vertici militari, un avvertimento per le incertezze sulla conduzione dell’Operazione Militare Speciale.

Alcuni analisti hanno sostenuto, perfino, che il vero obiettivo dell’attentato fosse lo stesso Prigozhin, che avrebbe dovuto presenziare all’evento di Tatarsky.  

Il Gruppo Wagner e Prigozhin sono ancora molto utili al Cremlino come combattenti, come capro espiatorio per eventuali fallimenti o per occultare le pesanti perdite subite dalle truppe regolari. La vita dei soldati russi vale di più di quella degli uomini di Prigozhin!

Parrebbe quindi poco probabile che si sia trattato di un tentativo di eliminare Prigozhin. Anche perché sono mesi che lo “chef di Putin” si muove lungo le linee più calde del fronte e si poteva trovare ben di meglio di una statuetta esplosiva per eliminarlo.

Su molti aspetti dell’attentato è ancora necessario fare chiarezza, ma la presenza di Prigozhin sul luogo dell’attentato il 4 aprile, le parole proferite e provvedimenti adottati mostrano la sua intenzione di continuare a perseguire una posizione centrale nella comunità ultra-nazionalista russa pro-guerra; nonostante minacce e resistenze.

Per quanto riguarda la “fame di munizioni”, gli analisti si sono più volte interrogati sulla sua veridicità o, semplicemente, se si tratti di una mera trovata propagandistica di Prigozhin per dimostrare l’abnegazione dei suoi uomini, attaccare i vertici militari ed, eventualmente, utilizzarla come attenuante in caso di mancato successo.

Resta il fatto che la questione ben si presta a speculazioni anche da parte ucraina ed occidentale. Più volte si è parlato di forniture di armi e munizioni da parte della Corea del Nord e dall’Iran che potrebbe fornire droni suicidi agli uomini di Prigozhin. Ipotesi per ora prive di conferme.

Alla base dell’interruzione del reclutamento di carcerati da parte del Gruppo Wagner invece vi può essere tutta una serie di motivazioni plausibili, imputabili sia al Ministero della Difesa che allo stesso Prigozhin. Da una parte si ritiene che le voci delle forti perdite subite in battaglia si siano talmente diffuse anche nelle prigioni da portare ad un drastico calo degli arruolamenti di carcerati.

Dall’altra, visto che le spese per armi, attrezzature, addestramento, trasporti e vitto e alloggio erano a carico di Prigozhin, le sue società possono semplicemente aver esaurito i fondi a disposizione. L’intelligence britannica stima in circa 100 milioni di dollari al mese i costi del Gruppo Wagner.

Più probabile che, alla stessa stregua dei rifornimenti di munizioni, l’establishment militare abbia bloccato al Gruppo Wagner anche quell’accesso ai carcerati che richiedeva un iter burocratico abbastanza complesso, mettendo d’accordo l’Amministrazione Penitenziaria, il ministero dell’Interno ed altre agenzie. Una collaborazione che gli attacchi di Prigozhin alle istituzioni hanno certamente indebolito e contribuito a spingere verso il ministero della Difesa che ora pare essere l’unico a beneficiarne.

Infine, il Cremlino sembrerebbe intenzionato a favorire la proliferazione di compagnie militari e di sicurezza private, misura atta a ridurre la sua dipendenza dal Gruppo Wagner ed evitare che, in futuro, un’unica PMC possa diventare così potente da sfidare il ministero della Difesa.

Allo stesso tempo però gli stretti legami tra queste realtà private, le Forze Armate e servizi d’intelligence potrebbero indicare una volontà, sia del presidente Putin che del ministro Shoigu, di continuare a servirsi di loro.

Foto: TASS, RIA-FAN, Ministero Difesa Russo, Telegram e Ministero Difesa Ucraino

 

 

 

Nato nel 1983 a Brescia, ha conseguito la laurea specialistica con lode in Management Internazionale presso l'Università Cattolica effettuando un tirocinio alla Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite in materia di terrorismo, crimine organizzato e traffico di droga. Giornalista, ha frequentato il Corso di Analista in Relazioni Internazionali presso ASERI e si occupa di tematiche storico-militari seguendo in modo particolare la realtà delle Private Military Companies.

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