Kazakistan: fine di un’epoca
di Alberto Cossu
Il libro” Kazakistan fine di un’epoca. Trent’anni di neoliberismo e geopolitica nel cuore della terra” di Fabrizio Vielmini, esperto di relazioni internazionali e grande conoscitore dei paesi dell’Asia centrale e Russia, fa luce su un mondo spesso sconosciuto in Occidente ma di grande valenza geopolitica: l’Asia centrale e il Kazakistan.
L’autore descrive come nello spazio euroasiatico, nel periodo post-sovietico, si forma la Repubblica del Kazakistan e come essa riesce, considerata anche la centralità geografica, ad assumere un ruolo di ponte tra Asia ed Occidente, grazie anche ad un leader che instaura un regime di “democrazia guidata” ove coniuga elementi del modello neoliberale con quelli tradizionali che caratterizzano il paese.
Un esperimento politico sicuramente originale, come riconosce l’autore, che con l’uscita di scena del padre della patria Nazarbaev deve affrontare diverse sfide, tra cui non ultima quella derivante dal conflitto tra Russia e Ucraina che sul modello del Kazakistan incombe. minacciando di scardinare equilibri ormai consolidati in questa area.
Il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991, che il Presidente della Federazione Russa ha definito qualche anno fa come “la catastrofe peggiore del XX secolo”, ha modificato profondamente lo spazio eurasiatico, generando la nascita di 15 repubbliche indipendenti.
Dal quel momento si producono radicali trasformazioni politiche, economiche, sociali e di sicurezza le cui conseguenze ancora oggi subiamo come nel caso del conflitto tra Russia e Ucraina.
Tra le repubbliche dell’Asia centrale, che occupa uno spazio enorme di oltre 4 milioni di km2, ha una popolazione complessiva di circa 70 milioni e comprende 5 repubbliche indipendenti, emerge il Kazakistan nettamente la più grande per superficie e la seconda per popolazione.
Il Kazakistan si caratterizza per una stratificazione culturale che fonde elementi della civiltà delle steppe (Sciti, Turchi, Mongoli), con elementi islamici e russi. Il Kazakistan è da sempre un’area di incontro-scontro fra civiltà differenti, un crocevia dove da secoli si compenetrano le influenze della civiltà iranica, buddista, cristiana, musulmana, confuciana.
L’autore delinea la storia del grande paese del centro Asia da quando nel 1500 si forma l’identità kazaka fino all’inclusione nell’impero russo e poi nell’Unione sovietica. Divenuto stato indipendente alla caduta dell’Unione sovietica costruisce un suo percorso che lo porta ad allontanarsi dall’esperienza sovietica in cerca di alternative che ancora oggi appaino fragili.
I fatti del gennaio 2022 caratterizzati da violente proteste di massa, sedate con l’intervento militare dell’Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (OTSC alleanza militare tra stati dell’Asia centrale) guidato dalla Federazione Russa, evidenziano le grandi contraddizioni del paese che lo segneranno ancora nel prossimo futuro.
Sin dalla metà degli anni Novanta il Kazakistan sceglie un modello di sviluppo neoliberale tanto da contendere il primato della modernizzazione alla Federazione Russa guidata da El’cin. L’autore inquadra questa scelta in uno schema neocoloniale, in quanto il Kazakistan da area economica “diversificata” durante il periodo sovietico si propone invece come fornitore “sottosviluppato” di materie prime destinate all’Occidente, prevalentemente petrolio, altri prodotti provenienti dalle estrazioni minerarie come rame, zinco e uranio. Questo modello di sviluppo produce una borghesia “compradora” la cui funzione è di fungere da elemento di raccordo fra il regime di Nazarbaev e il capitale finanziario transnazionale attivo soprattutto nel settore estrattivo.
Le privatizzazioni, richieste dal sistema internazionale guidato dagli USA attraverso il FMI, impediscono la nascita di una classe media nazionale e contribuiscono, invece, alla crescita di uno stato neo-patrimoniale guidato da clan chiusi raccolti intorno alla famiglia al potere di Nazarbaev.
Pertanto si forma una miscela sociale esplosiva. Viene generata una ristretta élite che diventa ricca, anche grazie alla diffusa corruzione, mentre ampie fasce della popolazione, invece, traggono pochi benefici dal nuovo modello di sviluppo.
Anzi rispetto al periodo sovietico le fasce più povere della popolazione perdono i vantaggi del welfare statale allora piuttosto numerosi. In queste dinamiche contraddittorie vanno inquadrate le proteste del gennaio 2022 che hanno segnato la crisi del modello neoliberale basato prevalentemente su privatizzazioni e esportazioni di prodotti petroliferi senza realizzare una vera diversificazione economica a beneficio della classe media e operaia.
Pertanto- secondo l’autore- Il Kazakistan di Nazarbaev si configura quale Stato neo-patrimoniale, ovvero un sistema dove il controllo di gran parte delle risorse pubbliche diviene la base su cui il Presidente costruisce il proprio potere personale e famigliare.
Le liberalizzazioni e le privatizzazioni promosse dalle istituzioni finanziarie internazionali sono state alla base della creazione del meccanismo patrimoniale e hanno alimentato l’impero economico controllato dalla presidenza. Vielmini attribuisce esplicitamente alla classe imprenditoriale occidentale anglo-americana la responsabilità di aver avallato e contribuito a perfezionare schemi di corruzione dove le tangenti sono parte strutturale di ogni contratto.
Seguendo questo modello di sviluppo il Kazakistan diviene lo stato post-sovietico di maggior successo nell’attrazione di investimenti esteri e una piattaforma logistica inserita nella strategia della Nuova Via della Seta concepita dal suo ingombrante vicino, la Cina.
Nel 2018 viene lanciato il Piano Vision 2050 in cui è delineata un precisa strategia per sviluppare il paese in diversi settori e prepararsi alle sfide e alle opportunità del futuro.
Tra gli obiettivi principali del Piano Vision 2050 ci sono la trasformazione del Kazakistan in un centro di transito e di logistica globale, lo sviluppo di un’economia innovativa e basata sulla conoscenza, la promozione dell’inclusione sociale e della diversità culturale, la preservazione e la promozione dell’ambiente naturale del Kazakistan e la promozione di un governo aperto e trasparente.
Per raggiungere questi obiettivi, il Piano Vision 2050 del Kazakistan prevede una serie di misure specifiche, tra cui la creazione di zone economiche speciali, l’incremento degli investimenti in ricerca e sviluppo, la promozione del turismo e dell’agricoltura sostenibili, la riforma dell’amministrazione pubblica e la promozione della partecipazione civica.
Tutto funziona relativamente bene si può dire fino al gennaio 2022 in cui molte delle contraddizioni su descritte esplodono in proteste piuttosto violente che portano ad un’esplicita richiesta di aiuto alla Organizzazione del Trattato di sicurezza collettiva (OTSC) e all’intervento militare con in prima linea Mosca che permette all’attuale presidente Tokayev di restare al potere.
In questo contesto va collocato il rapporto con la Federazione Russa la quale vede il territorio del Kazakistan come parte consustanziale del proprio dispositivo militare e di un perimetro in cui non sono ammesse interferenze esterne. Importanti basi militari e spaziali di rilevanza strategica per Mosca sono collocate nel territorio della Repubblica del Kazakistan.
Mosca vede la regione dell’Asia centrale ed in particolare il Kazakistan quale piattaforma per la proiezione russa verso il mondo musulmano, l’Iran, la Cina ed il subcontinente indiano che le consente di giocare un ruolo strategico globale.
Vielmini è lapidario sull’azione degli Stati Uniti ed afferma che “è stata coerente con l’obbiettivo geopolitico principale della potenza talassocratica: sabotare la ricomposizione geopolitica dell’Eurasia centrale secondo il disegno di Brzezinski”. Bruxelles invece negando la legittimità degli interessi di Mosca nel paese contribuisce a creare situazioni di crisi che possono avere esiti anche militari.
In conclusione, un libro affascinante perché esplora orizzonti geopolitici futuri muovendo da situazioni storiche che stanno rilasciando ancora effetti nelle vicende odierne e che ci fa riflettere sulla complessità di aree geografiche che richiedono una certa umiltà culturale per essere comprese al fine di evitare nuovi scenari di crisi. L’eurocentrismo unito alla convinzione della supremazia culturale conduce su sentieri che precludono la comprensione di situazioni che possono diventare critiche. Il caso del Kazakistan è emblematico.
Infatti, è un paese in bilico tra il modello della Federazione Russa con il quale ha un forte legame strategico e che offre stabilità e sicurezza, quello cinese che si propone come generatore di opportunità economiche di primaria importanza, e infine quello occidentale che offre un neoliberismo che sta avendo effetti dirompenti in una società forse ancora non preparata per sopportarne tutte le conseguenze.
L’autore disegna diversi scenari futuri per in centro Asia e dichiara in modo esplicito che il Kazakistan deve ripensare il modello neo-liberista, sostenuto dagli USA, che crea problematiche e crisi tali da compromettere la stabilità e il rapporto con Mosca.
Quale sarà il percorso del dopo Nazarbaev dipende dalle abilità politiche del suo successore Tokayev di mantenere una politica “multi-vettoriale” che finora ha caratterizzato il Kazakistan tra le insidie geopolitiche che sono numerose e dagli esiti il più delle volte drammatici.
Fabrizio Vielmini è professore associato di Relazioni internazionali alla Webster University di Tashkent (Uzbekistan). Esperto in politica estera, storia e affari della Russia, del Caucaso e dell’Asia centrale. Fra il 2002 ed il 2021 ha risieduto nell’ex-URSS, dove ha lavorato per l’OSCE (Organisation for Security and Cooperation in Europe) e l’Unione Europea. Da oltre un quarto di secolo, si dedica allo studio delle dinamiche politico-economiche del Kazakistan, Paese in cui ha vissuto a lungo.
Kazakistan: fine di un’epoca
Trent’anni di neoliberismo e geopolitica nel cuore della terra
Mimesi Edizioni
2023, 408 pp.
ISBN: 9788857590431
€ 30,40
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