Le atomiche tattiche di Mosca per blindare l’alleato bielorusso

 

 

Mosca schiererà armi nucleari tattiche in Bielorussia, collocate a ridosso del confine con la Polonia. Lo ha annunciato oggi l’ambasciatore di Mosca a Minsk, Boris Gryzlov, aggiungendo che i bunker necessari per immagazzinare le armi dovrebbero essere pronti entro il 1° luglio e che “questo avverrà nonostante il clamore in Europa e negli Stati Uniti” che la decisione ha suscitato.

“Dovrebbe esserci una certa parità – ha detto Gryzlov. Se parliamo del dispiegamento di armi nucleari statunitensi in Europa, allora dobbiamo adottare misure che aumenteranno la sicurezza dei nostri stati alleati”.

Nei giorni scorsi il vice ministro degli Esteri russo Serghei Ryabkov aveva detto che i piani russi per dispiegare armi nucleari tattiche in Bielorussia devono “indurre la Nato a valutare la gravità della situazione attuale”.

La decisione di schierare armi atomiche nella nazione alleata era stata resa nota da Vladimir Putin citando un preciso accordo con Minsk: “Dal 3 aprile iniziamo ad addestrare gli equipaggi e il 1° luglio termineremo la costruzione di un deposito speciale per armi nucleari tattiche sul territorio della Bielorussia”. Aveva detto il presidente.

Kiryl Piatrouski, incaricato d’affari dell’ambasciata di Minsk in Italia aveva illustrato le ragioni di questa iniziativa.

“Le misure coercitive unilaterali a livello politico ed economico (varate dall’Occidente, ndr) sono accompagnate dal rafforzamento militare nei territori dei Paesi membri della Nato vicini, nelle immediate vicinanze dei confini della Bielorussia, vicino settentrionale dell’Ucraina, quindi in stretta prossimità all’epicentro dell’instabilità militare e politica in Europa”, ha aggiunto il diplomatico all’agenzia di stampa Adnkronos.

“Negli ultimi anni la Bielorussia è stata soggetta a pressioni senza precedenti politiche, economiche, finanziarie e informative. Proibizioni commerciali, nella concessione dei visti, bancarie e altre restrizioni sono state imposte al governo, a entità giuridiche e individui in Bielorussia dagli Stati Uniti, il Regno unito e dai loro alleati della Nato, inclusi Paesi dell’Unione europea. Tali bandi e restrizioni costituiscono una interferenza diretta e irragionevole negli affari interni di uno Stato indipendente e, in violazione della sua sovranità, hanno come ovvio obiettivo quello di cambiare il percorso geopolitico come l’ordine politico interno della Bielorussia”, ha sottolineato Piatrouski.

“Date queste circostanze e le legittime preoccupazioni per la sicurezza nazionale e dei rischi che ne scaturiscono, la Bielorussia ha coerentemente iniziato ad adottare misure forzate di natura reattiva, in modo trasparente per i suoi vicini e per la comunità internazionale, con l’obiettivo di rafforzare le sue capacità di difesa. Tali azioni sono di natura esclusivamente reattiva, e hanno come obiettivo il rafforzamento delle capacità di difesa della Bielorussia e sono completamente in linea con il Trattato di non proliferazione”, ha precisato l’incaricato d’affari.

Per comprendere il significato dell’iniziativa russa occorre tenere conto di diversi fattori. All’inizio dell’Oper5azionen Militare Speciale russa in Ucraina, la Bielorussia ha cercato di mediare un accordo tra i belligeranti anche se da una posizione di stretta vicinanza alla Russia. Nelle prime fasi delle operazioni russe infatti il territorio bielorusso è stato ampiamente utilizzato dalle forze di Mosca per penetrare in territorio ucraino da nord e successivamente per schierarvi missili balistici tattici Iskander, aerei intercettori e lanciamissili come i Mig 31 in grado di lanciare i missili ipersonici Kinzhal.

In febbraio si sono svolte in territorio bielorusso grandi esercitazioni congiunte con decine di aerei russi e ben 16 mila militari di Mosca che secondo alcuni osservatori si apprestavano ad avanzare nuovamente in territorio ucraino.

Probabilmente un diversivo per trattenere a nord truppe ucraine che avrebbero potuto diversamente rafforzare le difese nel Donbass sotto pressione per le offensive delle forze di Mosca. Del resto Kiev e Varsavia da tempo paventano il rischio che l’esercito bielorusso possa affiancare quello di Mosca nel conflitto benché l’ipotesi sia stata smentita più volte dai vertici politici e militari russi e bielorussi.

Ora Mosca ha ridotto le sue forze nel paese alleato, scese a circa 4.000 militari come ha reso noto a fine marzo il portavoce del Servizio di Guardia di Frontiera dell’Ucraina, Andrii Demchenko.

“Attualmente, secondo i nostri dati, sul territorio della Bielorussia rimangono poco più di 4.000 militari russi, ma sono principalmente coinvolti in esercitazioni congiunte o in addestramenti. Questo numero è leggermente inferiore a quello osservato in precedenza. Questo perché la Russia ha spostato le unità che hanno completato l’addestramento dal territorio bielorusso al proprio territorio per un ulteriore dispiegamento, anche nell’est del nostro Paese, dove si stanno svolgendo operazioni di combattimento su larga scala”, ha detto il portavoce.

Demchenko ha anche affermato che proseguono i lavori dei genieri ucraini per fortificare la linea di confine, in modo da prevenire un’invasione o consentire alle forze di difesa Ucraina di respingere gli attacchi nemici. Pertanto, una striscia di due chilometri lungo l’intero confine tra la Bielorussia e la Russia, indipendentemente dai diritti di proprietà, sarà controllata dalle guardie di frontiera per rafforzare la linea di difesa e prepararsi a un eventuale assalto delle forze russe.

Nonostante i timori ostentati dagli ucraini, il prossimo dispiegamento di armi nucleari tattiche russe in Bielorussia sembra in realtà indicare uno scenario diverso.

Se da un lato Mosca ha definito l’iniziativa come una risposta ai massicci invii di armi occidentali a Kiev e in particolare alla fornitura britannica di munizioni all’uranio impoverito per i carri armati Challenger, dall’altro Stati Uniti, Ucraina e NATO hanno evidenziato i rinnovati rischi di escalation del conflitto determinati dallo schieramento armi atomiche tattiche russe a Minsk.

L’Institute for the Study of War (ISW), think-tank statunitense a tutti gli effetti organico alla campagna d’informazione a sostegno dell’Ucraina, ha rivelato con la solita formula dubitativa (utilizzata anche dai bollettini di guerra quotidiani di Londra recanti il “bollino” dei servizi d’intelligence) che Vladimir Putin “ha probabilmente cercato di dispiegare le armi nucleari russe in Bielorussia sin da prima dell’invasione dell’Ucraina del febbraio 2022 e ha probabilmente scelto questo momento per farlo al fine di servire l’immediata operazione di informazione che sta conducendo”.

L’ipotesi che appare più credibile è invece che Mosca intenda schierare in Bielorussia armi atomiche, che resterebbero sotto stretto controllo russo, con l’obiettivo di scoraggiare un attacco militare al suo alleato proveniente da Ucraina e Polonia (che in più occasioni hanno minacciato azioni militari contro il regime di Aleksander Lukashenko) o un tentativo occidentale di sobillare rivolte contro il governo filo-russo di Minsk impiegando anche insorti bielorussi arruolati nella Legione Internazionale che combatte al fianco delle truppe ucraine.

Il 31 marzo il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko ha annunciato che l’Occidente si prepara a invadere il territorio della Bielorussia per distruggere il Paese. Termini forse esagerati ma è evidente che le tensioni già esistenti da tempo tra Minsk e l’Occidente (anche a causa dei flussi migratori illegali di afroasiatici che penetravano nella Ue dai confini bielorussi) dal febbraio 2022 si sono aggravate con intensificate pressioni politiche ed economiche dell’Occidente nei confronti di Minsk e un più deciso sostegno agli oppositori di Lukashenko alcuni dei quali combattono con lke truppe di Kiev.

Tra sanzioni, minacce militari e messa al bando degli atleti bielorussi, l’Occidente ha finito col favorire indirettamente  un sempre più stretto abbraccio tra Mosca e Minsk e del resto una eventuale defezione dell’alleato bielorusso aumenterebbe non di poco le difficoltà strategiche russe.  Per questo gli ordigni nucleari tattici basati non lontano dai confini tra Bielorussia e NATO (1.250 chilometri di nuova ”Cortina di Ferro” che separano Bielorussia da Lettonia, Lituania e Polonia) sembrano perseguire l’obiettivo di aumentare il peso della deterrenza russa a tutela dell’alleato e a garanzia che nessuno possa attaccarlo o destabilizzarlo.

Del resto gli Stati Uniti schierano da decenni bombe termonucleari B-61 in diverse basi situate in nazioni europee della Nato quali Italia, Germania, Olanda e Belgio e impiegabili a bordo di aerei da combattimento alleati. La presenza di queste armi non ha solo l’obiettivo di schierare ordigni atomici non lontano dal territorio ieri sovietico e oggi russo ma anche quello di rendere di fatto inattaccabili le nazioni alleate che ospitano tali armi con la “garanzia” offerta dalla presenza di basi americane con armi nucleari.

Mosca oggi sembra quindi voler blindare l’alleato bielorusso da attacchi o minacce esterne schierandovi proprie armi atomiche. In tale contesto l’iniziativa di Mosca avrebbe quindi una funzione difensiva, tesa a impedire la destabilizzazione dell’ultimo alleato di cui dispone in Europa Orientale, nella piena consapevolezza che un nuovo “Maidan” a Minsk e la caduta di Lukashenko esporrebbero ulteriormente i confini russi al contatto con le forze dell’Alleanza Atlantica.

Le conseguenze dell’iniziativa di Mosca potrebbero indurre altre nazioni della NATO a chiedere agli Stati Uniti la presenza di armi atomiche sul proprio territorio. La Polonia ha già espresso pubblicamente tale richiesta, la Repubblica Ceca ha voluto invece far sapere che non sta prendendo in considerazione questa ipotesi.

@GianandreaGaian

Foto: Presidenza Bielorussa, Ministero della Difesa Bielorusso e Rosoboronexport

 

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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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