Se Macron suona (invano) la sveglia all’Europa vassalla degli USA

 

 

(aggiornato alle ore 13,50)

Se si escludono quelle da Pechino, le reazioni alle recenti dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron circa la necessità che l’Europa assuma un profilo strategico autonomo dagli Stati Uniti sono state tutte duramente critiche. Eppure Macron, in visita nei Paesi Bassi, ha ribadito quanto espresso sul volo che lo riportava a Parigi da Pechino.

L’Europa deve ridurre la sua dipendenza dagli Stati Uniti ed evitare di essere trascinata in uno scontro tra Cina e Stati Uniti su Taiwan, aveva detto il 10 aprile rientrando dalla visita di tre giorni in Cina. Parlando con Politico e due giornalisti francesi,  Macron ha invitato gli europei a non essere “vassalli” degli USA e ribadito la necessità di “autonomia strategica” per l’Europa per diventare una “terza superpotenza”.

Per il presidente francese “dobbiamo essere chiari su dove le nostre opinioni si sovrappongono a quelle degli Stati Uniti, che si tratti di Ucraina, relazioni con la Cina o sanzioni, abbiamo una strategia europea. Non vogliamo entrare in una logica blocco contro blocco”, ha aggiunto, dicendo che l’Europa “non deve lasciarsi prendere da un disordine del mondo e da crisi che non sono le nostre”.

L’isola di Taiwan è solo una delle aree che rischiano “un’accelerazione delle tensioni” tra Cina e Stati Uniti e se il confronto si intensifica troppo rapidamente, gli europei “non avranno il tempo o le risorse per finanziare la propria autonomia strategica e diventeranno vassalli, mentre possiamo costruire un terzo polo se abbiamo qualche anno di tempo”, ha aggiunto sostenendo che l’Europa deve ridurre la sua dipendenza dagli Stati Uniti ed evitare di essere trascinata in uno scontro tra Cina e Stati Uniti su Taiwan.

Concetti non nuovi per la Francia fin dai tempi di Charles De Gaulle, né per Macron che ha varato progetti militari europei indipendenti dalla PESCO della Ue (come l’European Intervention Initiative – EI2 – o la Task Force Takuba nel Sahel) e che nel 2019 aveva definito la NATO in stato di “morte cerebrale” : tutte iniziative assunte da Parigi per dare dignità strategica all’Europa ma in contesti in cui le redini sono saldamente in mano a Parigi, peraltro unica potenza nucleare europea.

Pur tenendo conto di questo aspetto, Macron pone temi concreti ed è stato l’unico leader dell’Europa Occidentale a cercare l’anno scorso un dialogo con Mosca per risolvere la guerra in Ucraina, tentativo riproposto a Pechino ma bocciato dal Cremlino che non perdona alla Francia (e ad altre nazioni europee) il pesante sostegno militare offerto all’Ucraina.

Il valore e il peso  delle dichiarazioni di Macron trovano del resto conferma dalla massa di critiche che hanno sollevato. Molti esponenti politici statunitensi hanno mostrato irritazione accusano Parigi (e l’Europa) di aver sempre avuto bisogno degli USA per la sua difesa e a conferma che ogni rigurgito di autonomia dell’Europa innervosisce gli americani sono giunti i commenti di Donald Trump.

“Macron è un mio amico, ma ora è con la Cina e gli lecca i piedi” (letteralmente “kiss the ass”) ha detto commentando le parole del presidente francese circa la necessità che l’Europa non sia un “vassallo” degli Stati Uniti nelle relazioni con la Cina.

Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, in visita ufficiale negli Stati Uniti, ha dichiarato senza mezzi termini che «la Vecchia Europa ha fallito, la Polonia è leader della Nuova Europa» salutando gli stretti legami tra Varsavia e Washington come «i migliori della storia» e ribadendo la determinazione del suo governo a rendere lo strumento militare polacco «il più forte d’Europa», grazie anche e soprattutto alla collaborazione con gli USA.

Morawiecki in un tweet  ha ringraziato la vicepresidente Kamala Harris per il supporto, aggiungendo che gli Stati Uniti e la Polonia «condividono gli stessi obiettivi geopolitici ed economici, nonché gli stessi valori». La Polonia ha quindi costituito un «partenariato strategico a tutti i livelli» con gli Stati Uniti e appare in modo ancor più determinato l’erede del ruolo ricoperto per decenni dalla Gran Bretagna che all’interno della Ue fece di tutto per ostacolare la nascita di una capacità strategica autonoma europea.

Non stupisce quindi che la Polonia si ponga alla testa di una “Nuova Europa” allineata strettamente con gli Stati Uniti con l’obiettivo di azzoppare ogni progetto continentale che abbia un respiro strategico e di ridurre l’influenza delle potenze della “Vecchia Europa”, anche con i suoi massicci acquisti militari effettuasti quasi tutti in USA, Gran Bretagna e Corea del Sud,  non certo favorendo l’industria europea della Difesa.

Dovremmo preoccuparci di queste e di altre esternazioni di Morawiecki, come quelle ricordate da Giacomo Gabellini su L’Antidiplomatico in una intervista rilasciata lo scorso febbraio al «Corriere della Sera» in cui il primo ministro polacco ha dichiarato testualmente che «sconfiggere la Russia è una ragion di Stato sia polacca che europea», e che «con i terroristi non si tratta. E la Russia è diventata oggi uno Stato terrorista».

Nei giorni successivi, ha scritto su Twitter che «l’Impero del Male è rinato ad est. I barbari russi non minacciano soltanto l’Ucraina. Minacciano l’intera Europa e tutto il mondo libero. Non si tratta di un semplice incidente, di una coincidenza, dell’impulso di un maniaco. Putin ha costruito il suo Impero del Male per 23 anni, in preparazione di questo conflitto. La “nuova Europa” lo capisce. È ora che lo comprenda anche la “vecchia Europa”».

Del resto i vertici politici polacchi hanno celebrato apertamente la distruzione dei due gasdotti Nord Stream, la cui esplosione rappresenta il più grave attacco strategico contro la Germania dal 1945, avvenuta lo stesso giorno che la Polonia inaugurava un nuovo gasdotto dalla Norvegia. Stupisce semmai che in Europa nessuno si preoccupi del rischio che tra militarismo e sogni di grande potenza (inclusi i piani di confederazione con l’Ucraina e di schierare sul territorio nazionale armi atomiche statunitensi), la Polonia rischi di trascinare un’altra volta l’Europa in una guerra mondiale.

Va poi rilevato che sulle critiche a Macron, per una volta, Polonia e Germania hanno registrato posizioni convergenti.  Norbert Röttgen (CDU), ha scritto su Twitter che Macron è riuscito a trasformare il suo viaggio in un disastro di politica estera per l’Europa. Un attacco a Taiwan diventa tanto più probabile quanto più Xi crede che l’Europa rimarrà neutrale in un simile conflitto, ha commentato Röttgen. “Ma non siamo neutrali”, ha aggiunto.

Il segretario generale dell’FDP, Bijan Djir-Sarai, ha dichiarato che la posizione di Macron non è una strategia intelligente per l’Europa. “Stati Uniti e l’Europa dovrebbero lavorare a stretto contatto”.  Metin Hakverdi (SPD) ha detto che “l’Occidente, cioè Europa e USA, deve sempre cercare di agire insieme, non divisi, quando si tratta della Cina” mentre per il presidente del Partito Popolare Europeo (PPE), Manfred Weber, si perde di credibilità “se da un lato chiedi la sovranità per l’Europa e poi concludi ogni accordo economico che puoi ottenere con la Cina. In questo modo la leadership cinese non rispetterà gli europei”.

Anche la Germania appare quindi sempre più allineata agli USA rinunciando a ogni velleità di autonomia e indipendenza strategica. Del resto il governo tedesco ha “digerito” senza alcuna reazione la distruzione dei gasdotti Nord Stream del Mar Baltico (di cui, dopo qualche goffo tentativo, non è stato possibile accusare la Russia) e persino la Legge statunitense contro l’inflazione che offre “ponti d’oro” alle aziende tedesche ed europee che si trasferiscono negli USA dove ora l’energia costa molto meno che in Europa.

La debolezza economica, politica e strategica della Germania post-Merkel trova conferme anche nei programmi militari dove, anche in seguito alla profonda crisi dell’asse franco-tedesco, Berlino guarda oggi più a intese con Stati Uniti e Israele che ad accordi in ambito europeo con Francia e altri partner (come dimostra il Programma European Sky Shield) 

Dopo le critiche sollevatesi in tutto l’Occidente, fonti dell’Eliseo hanno specificato meglio il pensiero di Macron. “Il presidente ha spesso detto che la Francia non è equidistante tra gli Stati Uniti e la Cina. Gli Stati Uniti sono i nostri alleati, condividiamo valori comuni. La Cina è al tempo stesso un partner, un concorrente e un rivale sistemico”. Con Pechino “desideriamo costruire un’agenda comune per ridurre le tensioni e trattare le grandi questioni globali e internazionali”.

Il tema del confronto con la Cina per la crisi di Taiwan meriterebbe due precisazioni. Innanzitutto l’intervento di Macron paventa di fatto il rischio che l’Europa ripercorra gli errori del passato facendosi trascinare nelle guerre degli USA come accaduto in Iraq e Afghanistan.

Vale la pena ricordare a tal proposito che la Francia non inviò truppe in Iraq e ritirò per prima il suo contingente dall’Afghanistan, nel 2011, definito da un documento dello Stato maggiore di Parigi “un obolo pagato all’alleanza con gli Stati Uniti”.

Inoltre circa Taiwan occorre valutare, al di là degli slogan e dei finti moralismi, che tutte le nazioni occidentali che si dichiarano pronte a difendere “l’isola – stato” del Pacifico neppure la riconoscono a livello diplomatico, considerato che americani ed europei (come quasi tutto il mondo e persino le Nazioni Unite) riconoscono come “unica Cina” quella di Pechino.

Se davvero, come sostiene Norbert Röttgen “non siamo neutrali”, perché non riconoscere Taiwan e permettere che apra  le sue ambasciate nelle capitali d’Europa? Oppure la nostra determinazione evapora di fronte alla certezza di perdere il giro d’affari con Pechino.

Macron del resto non ha sollevato solo il problema della postura strategica dell’Europa ma anche di quella economica.  “Lavoriamo per condizioni di concorrenza eque per le nostre aziende, per il rispetto da parte dei paesi terzi di standard ambiziosi e valori universali. Un’Europa che difende i propri interessi e i propri valori, mantiene il controllo del proprio destino, crea posti di lavoro, completa con successo la transizione climatica, questo è ciò che stiamo costruendo”.

Macron ha usato Twitter per tornare sul tema della “sovranità economica europea” sostenendo che “promuovere la politica industriale europea significa proteggere meglio le nostre imprese. Questo è il fulcro della nostra strategia per combattere le distorsioni della concorrenza, ridurre le nostre dipendenze strategiche e proteggere la nostra proprietà intellettuale”.

A difesa di Macron si è espresso non a caso il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire. “Il presidente ha perfettamente ragione nel reclamare l’indipendenza e la sovranità europea come fa dal 2017. Non abbiamo la vocazione perché siamo gli alleati degli Stati Uniti – e ovviamo siamo i loro alleati, condividiamo i valori e molti interessi economici in comune – ad essere contro la Cina.

Non dobbiamo essere coinvolti in questa rivalità tra gli Stati Uniti e la Cina. Vogliamo costruire l’indipendenza dell’Europa, rafforzarla. Noi scegliamo la voce del dialogo. Non è preferibile rispetto ad una logica dello scontro? Pensate che l’Europa, che deve già far fronte al conflitto in Ucraina, e il mondo abbiano bisogno di un altro conflitto? No. Quello che ha detto il presidente è necessario: dobbiamo costruire l’indipendenza europea”, sottolinea Le Maire. “Sui temi economici, finanziari e geopolitici l’Europa deve avere il proprio pensiero strategico.

E’ alleata dagli Usa ma non ha necessariamente lo stesso pensiero strategico degli Stati Uniti. Pensate che gli Usa, sui temi economici si chiedano quali saranno gli impatti per l’Europa della loro Inflation Reduction Act quando decidono di rafforzare gli interessi economici Usa e sovvenzionare la loro industria? No. Siamo noi che dobbiamo imparare a difendere i nostri interessi”.

Un riferimento, quello alla legge USA contro l’inflazione, di cui si parla poco e che , come abbiamo scritto, incoraggia le aziende europee a trasferirsi oltre oceano, attratte da condizioni fiscali favorevoli ed energia a buon mercato. Una vera pugnalata alea spalle se si considera che è dai fatti di Kiev del 2014 (Maidan) che gli americani premevano sull’Europa affinché rinunciasse al gas russo che affluiva in grande quantità e a prezzo conveniente.

A sostegno di Macron si è schierata Pechino, che facendolo forse non ha fatto un favore al presidente francese. Il giornale Global Times, quotidiano vicino al potere cinese, elogia le “ottime idee” del presidente affermando che “alcuni vogliono costruire una falsa Europa nell’opinione pubblica, e nascondere le voci e gli interessi veri” degli europei, “Alcuni Paesi non vogliono che altri diventino indipendenti e autonomi e cercano sempre di sottometterli alla propria volontà” ha sottolineato il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin.

Chen Weihua, corrispondente da Bruxelles per China Daily, sostiene che la posizione di Macron “si rivelerà’ una decisione brillante” perché riflette “l’opposizione a una nuova guerra fredda” mentre Hu Xijin, ex direttore del Global Times, ritiene “irrealistico” ritenere che la Francia si schiererà con la Cina in caso di conflitto con gli Stati Uniti.

Di certo la condivisione della Cina non aiuterà Macron a trovare appoggi in Occidente per i suoi piani di autonomia strategica europea. Eppure solo 18 mesi or sono, dopo la fuga da Kabul di USA e alleati, tutti in Europa sostenevano la necessità di tale autonomia dagli Stati Uniti mentre la guerra in Ucraina ha poi intimidito tutti in Europa al punto che oggi si parla di Difesa europea come appendice della NATO.

Se Macron rischia quindi di restare isolato in Occidente e di perseguire il progetto di un’Europa a leadership francese (in una fase di evidente declino della Germania) su cui nessuno sembra voler investire, dall’altro gli va riconosciuto di essere l’unico ad avere il coraggio di porre oggi la questione dell’autonomia strategica del Vecchio Continente dal vassallaggio nei confronti degli Stati Uniti.

Anche per questo, pur con tutte le ombre che caratterizzano la sua presidenza, Macron appare oggi come l’unico statista rimasto in Europa Occidentale.

@GianandreaGaian

Foto Xinhua

 

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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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