I droni sul Cremlino tra ipotesi e propaganda
Mosca ha aperto un’inchiesta per terrorismo dopo il tentato attacco con droni sul Cremlino della notte del 3 maggio attribuito all’Ucraina ma considerato da alcuni osservatori occidentali una sceneggiata ad uso e consumo della propaganda di Vladimir Putin.
L’abbattimento dei due droni alla luce dei riflettori e davanti alle telecamere induce a nutrire sospetti e interrogativi peraltro non estranei alla propaganda, sia quella russa che quella ucraina sostenuta a spada tratta dalla narrazione che domina quasi incontrastata politica, media e think-tank in Occidente.
Se da un lato infatti si grida alla messa in scena (o all’operazione di “false flag” per attribuire agli ucraini un’azione attuata dagli stessi russi), dall’altro viene fatto trapelare che i servizi d’intelligence in Occidente sono in allarme poiché gli attacchi dei droni potrebbero indicare un’azione condotta da gruppi russi ostili a Putin.
Secondo l’Institute for the Study of War (ISW) di Washington, la presenza di sistemi di difesa aerea Pantsir a protezione di Mosca induce a ritenere “altamente improbabile” che due droni possano eludere questi sistemi per poi essere abbattuti proprio sopra il Cremlino. Washington Post, New York Times, Guardian e i maggiori quotidiani anglo-sassoni ed europei hanno sottolineato in coro l’ipotesi che l’attacco dei droni sia un falso per favorire e giustificare l’iniziativa del Cremlino tesa a determinare un’escalation militare contro Kiev, una ulteriore mobilitazione militare di riservisti e volontari e il consenso popolare per fronteggiare l’imminente controffensiva ucraina.
Speculazioni giornalistiche ben supportate dalle solite fonti anonime vicine a governi e servizi di sicurezza da prendere in esame con cautela. Da un lato è infatti credibile che un attacco al Cremlino possa costituire un pretesto per nuove rappresaglie o per innalzare la consapevolezza nel popolo russo che il “nemico (USA, NATO e regime ucraino) è alle porte”. D’altra parte però è evidente come i due droni che sono riusciti a raggiungere il tetto del Cremlino (pur in assenza di Putin che pare si trovasse fuori dall’edificio) mettano in luce l’incapacità della difesa aerea russa di proteggere al meglio il luogo più importante del potere.
Per scatenare l’indignazione popolare e mobilitarla a favore del pugno di ferro contro Kiev sarebbe stato forse più utile ai russi inscenare un simile attacco a un ospedale o a un obiettivo civile che per la sua natura non ci sarebbe stato motivo di difendere con batterie antiaeree. Inoltre l’andamento del conflitto vede in maggiore difficoltà gli ucraini, incapaci finora di scatenare la controffensiva a lungo preannunciata e a quanto sembra in procinto di perdere Bakhmut e altre roccaforti del Donbass, anche se il 9 maggio un contrattacco ucraino eseguito dalla Brigata Azov (Terza Brigata Indipendente) in questo settore ha conseguito un successo tattico penetrando per oltre due chilometri nelle linee russe a spese di un paio di compagnie della 72a Brigata Motorizzata.
In questo contesto compiere attacchi diversivi dell’elevato valore simbolico e mediatico appare oggi utile a Kiev come sembra indicare anche l’attentato che a Pionerisky, nella regione di Nizhny Novgorod, ha ferito lo scrittore russo Zakhar Prilepin uccidendone la guardia del corpo e per il quale è stato arrestato Alexander Permyakov, che avrebbe confessato di aver agito su istruzioni dell’intelligence ucraina che lo aveva reclutato nel 2018.
Al tempo stesso è curioso che governi e intelligence occidentali definiscano l’attacco una messa in scena russa ma al tempo stesso si preoccupino che sia stato condotto dalla “dissidenza” anti Putin. Curioso anche che le stesse fonti abbiano attribuito il “finto attacco” all’esigenza di Putin di disporre di un pretesto per dichiarare “guerra totale” all’Ucraina e la mobilitazione generale in Russia nel discorso del 9 maggio in occasione della Giornata della Vittoria nella Seconda guerra mondiale.
Proclami dello stesso tenore di quelli previsti in Occidente anche in occasione della parata sulla Piazza Rossa del 9 maggio dell’anno scorso e che sono andati anche quest’anno completamente disattesi. da un discorso che non ha nemmeno citato l’attacco con i droni al Cremlino.
Gli eventi bellici delle ultime settimane impediscono in realtà di escludere che l’attacco al Cremlino sia stato portato da militari o sabotatori ucraini. Almeno 7 droni ucraini sono stati abbattuti o si sono schiantati al suolo da soli nei dintorni di Mosca nei giorni precedenti l’incursione sulla sede della presidenza russa nel cuore della capitale e del resto alcuni droni prodotti in Ucraina hanno dimostrato di avere l’autonomia necessaria a raggiungere Mosca, che dista circa 500 chilometri dal confine ucraino.
Che i droni, inclusi quelli kamikaze che esplodono schiantandosi sul bersaglio, siano una delle armi maggiormente impiegate da entrambi i belligeranti è noto ormai da molti mesi e le incursioni si susseguono quotidianamente. Il 7 maggio un drone russo da ricognizione è stato rilevato e abbattuto nello spazio aereo di Kiev mentre in molte regioni dell’Ucraina l’allarme aereo segnalava la presenza di droni nemici.
Lo stesso giorno le difese aeree russe hanno reso noto di aver abbattuto ben 22 droni ucraini sopra il Mar Nero durante la notte mentre si dirigevano verso la base navale di Sebastopoli e i servizi di sicurezza (FSB ex KGB) hanno annunciato di aver sventato ”un attacco terroristico e un atto di sabotaggio” impedendo ai ”droni ucraini” di colpire un aeroporto militare di Severny, nella regione di Inanovo (dove sono basati gli aerei radar russi A-50) a oltre 100 chilometri in linea d’aria a est del centro di Mosca quindi ancora più lontano del Cremlino.
Gli ucraini dispongono quindi di droni a così lunga autonomia benché non si possa escludere che gruppi di sabotatori al servizio di Kiev operino in profondità in territorio russo e quindi possano aver fatto decollare droni carichi di esplosivo a poca distanza da obiettivi paganti quali il Cremlino o un base aerea. Del resto negli ultimi mesi non sono certo mancati attacchi e sabotaggi a infrastrutture civili e militari anche se concentrati soprattutto nelle aree adiacenti l’Ucraina come la Crimea e gli oblast di Belgorod e Bryansk.
Del resto nella notte in cui è stato attaccato il Cremlino è stata colpita da droni ucraini anche una raffineria russa sul Mar Nero, vicino al porto di Novorossiysk: nel giugno 2022 un’altra raffineria russa, la Novoshakhtinsk nella regione di Rostov al confine con l’Ucraina, era stata costretta a sospendere le attività dopo l’attacco di due droni.
Al netto della propaganda che in Occidente sta ormai accecando ogni tipo di analisi e valutazione su questo conflitto, non dovrebbe essere così arduo accettare l’ipotesi che l’attacco al Cremlino, per sua natura puramente simbolico, sia stato effettuato dagli ucraini, che non lo rivendicano come non hanno in passato rivendicato nessuna altra azione eclatante in territorio russo, limitandosi a irridere Mosca per gli smacchi subiti.
Le ragioni di questo comprensibile atteggiamento sono almeno due. Innanzitutto i russi sono soliti rispondere con una escalation nelle operazioni in profondità sul territorio ucraino in risposta ad attacchi di questa portata. Meglio non dimenticare infatti che i devastanti raids contro le infrastrutture elettriche ucraine hanno preso il via dopo l’attentato al ponte di Crimea sullo stretto di Kerch l’8 ottobre 2022.
Dopo i droni contro il Cremlino, il vice presidente del Consiglio di sicurezza (ed ex presidente e premier) Dimitri Medvedev ha affermato che l’attacco a Putin “non ha lascia altra scelta che liquidare fisicamente Zelensky” e del resto il presidente ucraino sembra avere preso sul serio la minaccia prolungando la sua presenza all’estero.
In termini di rappresaglia l’ambasciatore russo a Washington, Anatoli Antonov, ha accusato Washington di proteggere “i criminali di Kiev” assicurando che “la Russia risponderà quando lo riterrà necessario”, e lo farà attenendosi “all’esito delle valutazioni della minaccia che Kiev ha posto alla leadership del nostro paese”.
La seconda ragione potrebbe dipendere dalla necessità di non mettere in imbarazzo gli Stati Uniti, impegnati a sostenere Kiev cercando però di evitare uno scontro diretto con Mosca. Non a caso la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean-Pierre, ha ricordato che gli USA non incoraggiano l’Ucraina a colpire al di fuori dei suoi confini. “Gli Stati uniti non stanno certamente incoraggiando o consentendo all’Ucraina di colpire oltre i suoi confini. Siamo stati molto chiari su questo”.
Forse per queste ragioni i colpi migliori, almeno sul piano simbolico, messi a segno dagli ucraini non vengono rivendicati. Curioso però che, come accadde dopo l’attentato al ponte di Crimea, anche poche ore dopo l’attacco al Cremlino le Poste Ucraine siano state in grado di emettere un francobollo commemorativo che ritrae l’esplosione causata da un drone vicino al Cremlino come ha annunciato il 4 maggio Ukrposhta, divulgando su Twitter il disegno del francobollo.
“Amici, storicamente i francobolli Ukrposhta sono forieri di buoni eventi”, ha scritto il direttore generale della compagnia Ihor Smilyanskyi condividendo uno “schizzo di lavoro” del francobollo.
Foto: Novosti, Telegram e Presidenza Federazione Russa
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.