La caduta di Bakhmut

 

 

(Aggiornato alle ore 23,55)

“Nell’area di Bakhmut il nemico continua a condurre azioni offensive. Le pesanti battaglie per la città non si fermano” scriveva ieri su Facebook lo stato maggiore ucraino specificando che “le battaglie più feroci si combattono per Bakhmut e Maryinka” le città roccaforti dell’esercito di Kiev da tempo sul punto di venire completamente conquistate dai russi sul fronte incandescente di Donestk.

La caduta di Artemovsk (il nome russo di Bakhmut) è stata però annunciata ieri pomeriggio da Yevgeny Prigozhin che ha reso noto la fine delle operazioni per strappare gli ultimi edifici nel quartiere occidentale “dei grattacieli” (e soprattutto nei pressi del monumento aeronautico), una delle zone nuove alla periferia della città caratterizzate da edifici molto alti dove si è consumata l’ultima tenace resistenza.

“Il 20 maggio 2023, a mezzogiorno, Artemovsk è stata completamente presa dopo un’operazione durata 224 giorni, iniziata l’8 ottobre 2022. Abbiamo combattuto non solo con le forze armate ucraine, ma anche con la burocrazia militare. Ciò è particolarmente vero per il ministro della Difesa Sergey Shoigu e il capo di stato maggiore della Difesa, che hanno trasformato la guerra nel proprio divertimento. Decisero che i loro capricci in guerra sarebbero stati soddisfatti, ma a causa dei loro capricci sono morti cinque volte più ragazzi che avrebbero dovuto morire. E un giorno risponderanno dei loro crimini”.

Senza risparmiare le consuete dure critiche ai vertici militari, il capo della compagnia militare privata (PMC) Wagner ha sottolineato che “entro il 25 maggio ritiriamo le nostre unità per il riposo e la riqualificazione”. L’agenzia RIA Novosti riferisce che la PMC Wagner lasciando la città nelle mani dei militari regolari di Mosca dopo aver costituito “le necessarie linee difensive” e alcuni osservatori ritengono che rimpiazzare Wagner giungeranno i reparti ceceni della “Forza speciale Akhmat” che ha ricevuto nei giorni scorsi nuovi rinforzi, volontari che hanno completato l’iter addestrativo a Grozny.

Difficile dire se la PMC Wagner uscirà davvero di scena da questo conflitto che l’ha vista protagonista in numerose rilevanti battaglie (e vittorie) o se per alcuni mesi le unità combattenti verranno riorganizzate e riceveranno nuovi armamenti: molto dipenderà dalle valutazioni politiche a Mosca tenuto conto del braccio dio ferro tra Prigozhin e i vertici militari che non ha però mai riguardato la fedeltà del capo della Wagner nei confronti del presidente Putin, ringraziato nel comunicato di ieri “per averci dato l’opportunità di difendere la Patria”.

Dopo le dichiarazioni di Prigozhin anche il comandante Alexander “Ratibor” Kuznetsov, ex membro delle forze speciali “Eroe della Russia” che ha guidato le unità della Wagner sul campo di battaglia, ha realizzato un video impugnando la bandiera russa e di Wagner per celebrare la vittoria a Bakhmut. Kuznetsov, sottoposto a sanzioni, è stato alla testa della Prima Compagnia Esplorante d’Assalto della PMC Wagner e venne ferito nel 2019 in Libia durante la battaglia per Tripoli.

La conferma ufficiale della conquista della città giunta questa mattina dal ministero della Difesa russo e dal Cremlino (qui sotto la mappa più recente fornita dall’agenzia RIA- FAN.

“Nel settore di Artemovsk, le squadre d’assalto della compagnia militare privata Wagner con il supporto dell’artiglieria e dell’aviazione del Gruppo Tattico Meridionale hanno completato la liberazione della città di Artemovsk”, ha affermato il ministero mentre la TASS ricorda che “i feroci combattimenti per liberare la città sono iniziati il 1° agosto 2022” e che “circa 72.000 persone vivevano ad Artemovsk prima dell’inizio della battaglia”.

Vladimir Putin si “congratula con le unità d’assalto di Wagner e con i militari di tutte le forze dell’armata russa, che hanno fornito il sostegno necessario e la copertura per portare a termine la liberazione di Artemovsk” si legge nel comunicato del Cremlino di questa mattina.

 

Le (confuse) smentite di Kiev

A Kiev invece ieri sera le forze armate ucraine hanno smentito Prigozhin e la caduta di Bakhmut da parte delle forze russe: il portavoce militare Serhiy Cherevaty ha detto a Sky News britannica che “non è vero. In città si combatte ancora”.

Meno certezze ha mostrato ieri sera (ora italiana) il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che nel suo incontro con il presidente Usa Joe Biden al vertice del G7 in Giappone, ha indirettamente confermato che le forze russe avevano preso Bakhmut. Alla domanda se la città fosse ancora sotto il controllo ucraino ha fornito una risposta confusa: “Penso di no, ma ormai credo non sia rimasto nulla, hanno distrutto tutto, tutti gli edifici. E’ una tragedia. Per ora, Bakhmut è solo nei nostri cuori.

Il crollo delle ultime difese a Bakhmut deve aver preso in contropiede i vertici ucraini considerato che alle frasi di Zelensky ha fatto seguito una dichiarazione del suo portavoce Sergiy Nykyforov su Facebook: “Il presidente ha negato la cattura di Bakhmut” che vikene però implicitamente ammessa da un’altra dichiarazione si Telegram ambigua e un po’ confusa, del viceministro della Difesa Hanna Maliar. “L’avanzata delle nostre truppe in periferia sui fianchi, che continua, rende molto difficile la presenza del nemico a Bakhmut. Le nostre truppe hanno parzialmente circondato la città”.

Il riferimento di Maliar è alle controffensive lanciate dagli ucraini a partire da 12 maggio contro le ali dello schieramento russo a nord e sud di Bakhmut; contrattacchi che hanno imposto ai russi di ritirarsi di alcuni chilometri e di ridurre la minaccia sulla strada che conduce a Chasyv Yar ma senza però impedire alle forze della PMC Wagner di continuare la conquista degli ultimi rioni occidentali di Bakhmut.

Al momento nessun elemento sembra indicare né che l’avanzata ucraina a nord e a sud della città stia conseguendo ulteriori progressi, né addirittura che possa portare a “circondare i russi a Bakhmut” mentre l’affermazione di Maliar relativa a “rendere difficile la vita al nemico in città” sembra indicare che Bakhmut sia ormai tutta in mani russe anche se è indubbio che le forze di Kiev possano essere schierate ancora in qualche edificio della estrema periferia o si trovino a distanza ravvicinata dal centro urbano.

Non va però dimenticato che gli ucraini non sono nuovi a posizioni che contro ogni evidenza contraddicono la realtà: Zelensky per primo ammise nei mesi scorsi la caduta di Soledar solo molti giorni dopo e non ha mai riconosciuto che il missile antiaerei del sistema S-300 caduto in territorio polacco uccidendo due civili era ucraino e non russo. Inoltre nella serata del 21 maggio Wagner ha reso noto di aver lanciato una serie di attacchi nel settore di Khromovo.

La ridda di dichiarazioni contrastanti da parte degli ucraini è continuata nel pomeriggio del 21 maggio. Zelensky è tornato sul tema da Hiroshima spiegando che “ad oggi, Bakhmut non è occupata dalla Russia, non ci sono due o tre interpretazioni di queste parole. Stiamo combattendo grazie al coraggio del nostro popolo, dei nostri guerrieri, io so chiaramente quello che sta succedendo a Bakhmut, ma non possono rivelarvi le valutazioni tattiche dei nostri militari”.

Per il capo di stato maggiore dell’esercito ucraino, generale Oleksandr Syrskyi “nonostante il fatto che ora controlliamo una parte insignificante di Bakhmut, l’importanza della sua difesa rimane. Ci dà l’opportunità di entrare in città qualora la situazione cambiasse, e questo accadrà sicuramente”, ha detto in una nota riportata dalla CNN.

Il comandante ha poi ribadito quanto affermato dal vice ministro Maliar precisando che le truppe ucraine stanno avanzando lungo i fianchi della città, avvicinandosi all'”accerchiamento tattico” di Bakhmut: “Questo ci consentirà di controllare tutti i palazzi occupati dal nemico e di distruggerli gradualmente. Continuiamo la nostra difesa. La situazione è difficile, ma sotto controllo”.

Il portavoce del Comando Orientale delle forze ucraine, colonnello Serhiy Cherevaty, ha affermato che “il ritiro dalla città o la sua difesa sarà deciso solo tenendo conto dell’opportunità e preservando le nostre forze e mezzi. Sono possibili varie opzioni, ma questo dipende solo dalla valutazione del comando, che per più di un anno di guerra ha dimostrato di prendere sempre le decisioni giuste, quindi consentirà di infliggere ancora più danni al nemico”.

Le difficoltà di Kiev a definire una posizione chiara e univoca sulla situazione militare a Bakhmut, la cui caduta viene ormai commentata e considerata assodata anche dagli osservatori militari russi e ucraini che animano diversi canali Telegram, potrebbero indicare una certa confusione negli apparati decisionali determinata forse anche dall’assenza da Kiev di Zelensky: se fino a pochi mesi or sono il presidente ucraino non lasciava mai la capitale collegandosi via teleconferenza con summit e consessi internazionali, negli ultimi mesi ha al contrario moltiplicato le missioni all’estero.

 

Dubbi sul generale Zaluzhny

Potrebbero esserci però anche altre motivazioni legate al lungo braccio di ferro tra i vertici politici e quelli militari ucraini proprio riguardo alle battaglie “tritacarne” di Marynka, Avdiivka e Bakhmut, costate agli ucraini il sacrificio di decine di migliaia di militari incluse le brigate di veterani. Il generale Valery Zaluzhny (nella foto sotto), capo delle forze armate ucraine, avrebbe secondo molte fonti più volte chiesto di far arretrare le truppe da quella linea per riposizionarsi su linee più vantaggiose e risparmiare forze, mezzi, e munizioni preziosi.

La difesa a oltranza della seconda linea difensiva ucraina a Donetsk e in particolare di Bakhmut è stata invece considerata indispensabile da Zelensky sia per ragioni simboliche sia nella convinzione che l’accanita resistenza casa per casa avrebbe indotto l’Occidente a credere nelle possibilità di vittoria ucraina continuando a fornire aiuti militari in misura adeguata.

A complicare la situazione contribuiscono anche le voci, diffuse dai russi ma anche da diverse fonti ucraine che il generale Valeriy Zaluzhnyy sia stato ferito gravemente in un raid missilistico russo contro il quartier generale delle forze ucraine schierate nel Donbass nella prima settimana di maggio a Pavlovgrad, nella regione di Dnepropetrovsk, e che si trovi in condizioni critiche e quindi non più in grado, neppure se sopravvivesse, di guidare le forze armate.

Il ministero della Difesa ucraino ha smentito: il viceministro Anna Malyar ha negato la “morte” di Zaluzhny affermando che “il comandante è a posto. Sta facendo il suo lavoro. Il 18 maggio lo stato maggiore delle forze armate ucraine aveva riferito di una conversazione telefonica tra Zaluzhny e il capo dello stato maggiore degli Stati Uniti, Mark Milley.

Per le forze armate ucraine le illazioni sul ferimento di Zaluzhny sono disinformazione per colpire il “morale delle forze armate ucraine” ma va rilevato che in alcuni recenti eventi il generale è stato sostituito dal vice capo di stato maggiore Difesa, il generale Serhiy Ivanovych Nayev. Resta evidente che il modo migliore per Kiev per sgombrare il campo da ogni speculazione è mostrare in pubblico il generale Zaluzhny.

 

Quali ripercussioni

Sul piano militare la difesa ucraina di Bakhmut e degli ultimi quartieri sotto il controllo delle forze di Kiev era già apparsa da settimane disperata e tesa solo a consumarsi senza possibilità di invertire il corso degli eventi bellici a causa del superiore volume di fuoco dei russi che oltre ai veterani di Wagner avevano schierato in alcuni settori sui fianchi truppe aeromobili. Una situazione fotografata chiaramente dalle tre mappe della PMC Wagner qui sotto che evidenziano il progredire dell’avanzata nel centro urbano dal 19 aprile al 20 maggio).

Il contrattacco ucraino sulle ali dello schieramento russo che a nord e a sud della città si erano spinte a ovest con l’obiettivo di circondare Bakhmut, ha costituito un rilevante atto tattico che ha mostrato la capacità dell’esercito di Kiev di tentare di riassumere l’iniziativa militare (almeno sul fronte di Donetsk) che da gennaio era in mano ai russi e di conseguire alcuni successi obbligando i russi a ritirarsi di alcuni chilometri in almeno tre aree.

Un successo solo tattico, comunque insufficiente a scoprire i fianchi degli uomini della PMC Wagner che combattevano in città e che ha indotto i russi a intensificare i raid aerei (che sarebbero responsabili di buona parte delle ingenti perdite ucraine sofferte negli ultimi giorni) e a inviare rinforzi per arginare gli attacchi ucraini e riguadagnare le posizioni perdute. Inoltre i russi continuano a colpire con missili e munizioni circuitanti i depositi di armi, munizioni, carburante e i concentramenti di truppe con l’obiettivo di indebolire le difese aeree ucraine e provare l’esercito nemico dei rifornimenti necessari ad alimentare controffensive.

Fino a ieri fonti ufficiali ucraine e russe riferivano di combattimenti sui fianchi settentrionale e meridionale di Bakhmut nei settori di Ivanivske (6 km a ovest di Bakhmut), Stupochky (13 km a sud-ovest) e Bila Hora (12 km a sud-ovest). Il 19 maggio gli ucraini hanno rivendicato la conquista di circa quattro chilometri quadrati di territorio vicino a Bakhmut mentre i russi hanno reso noto di aver contrastato attacchi nemici a Klishchiivka (6 km a sud-ovest di Bakhmut).

In azzurro le aree riconquistate dal contrattacco ucraino al 18 maggio

La caduta di Bakhmut, per il suo significato militare, politico, simbolico e morale sta mettendo in difficoltà anche gli alleati dell’Ucraina e il relativo circo mediatico. L’Istituto per lo studio della guerra (ISW), think-tank statunitense che non ha mai nascosto il sostegno alla causa ucraina commentava nel suo ultimo bollettino che “la presunta cattura da parte di Prigozhin degli isolati rimanenti a Bakhmut non è strategicamente significativa in quanto non consentirà all’esausto Wagner o alle forze russe convenzionali di stabilire un trampolino di lancio significativo per ulteriori operazioni offensive. I continui contrattacchi ucraini a nord, ovest e sud-ovest di Bakhmut complicheranno qualsiasi ulteriore avanzata russa oltre Bakhmut nel breve termine” (qui sotto la mappa della situazione a Bakhmut secondo l’ISW il pomeriggio del 20 maggio).

In realtà non vi sono certezze sugli sviluppi che si registreranno sul campo di battaglia. La caduta della città e le perdite sofferte potrebbero indurre gli ucraini a ripiegare sulla linea difensiva più arretrata che fa perno su Chasyv Yar, come sembrano indicare le ultime notizie raccolte da diversi osservatori militari che riferiscono di 40 mila militari di Kiev che stanno attestandosi sulle nuove posizioni (nella mappa qui sotto).

Oppure Kiev potrebbe decidere di scatenare qui la pesante controffensiva di cui si parla da molti mesi per la quale sono state raccolte 9/12 brigate con equipaggiamento occidentale e che in russi continuano ad attendersi sul fronte di Zaporizhia. Il momento giusto per una simile operazione potrebbe essere la fine di maggio o durante l’avvicendamento delle forze della PMC Wagner.

Molto dipenderà anche dall’impatto che la sconfitta a Bakhmut avrà sull’esercito ucraino che proprio nella difesa di questa località si è dissanguato impegnandovi dall’ottobre scorso 25 brigate, 12 reggimenti/battaglioni autonomi (incluse forze speciali) e 6 reparti composti da volontari stranieri (georgiani, ceceni ed europei).

 

Cortine fumoigene

Un impegno e un sacrificio in termini di perdite che rende oggi molto arduo sostenere (come si fece dopo la caduta si Soledar) che la perdita di Bakhmut non abbia un valore militare o una rilevanza strategica.  Un’operazione propagandistica e mediatica già in atto comprensibilmente in Ucraina dove si teme per la tenuta del “fronte interno” e un po’ meno comprensibilmente in Occidente (con l’eccezione dei grandi media statunitensi) e soprattutto in Europa, dove vengono impiegate le tecniche del silenzio e delle “cortine fumogene” per coprire il traballare dell’intera narrazione “mainstream” su questa guerra.

Questa mattina nessun giornale italiano riportava in evidenza la notizia della caduta di Bakhmut preferendo concentrarsi sul rinnovato impegno assunto al G7 di Hiroshima a sostenere in armi l’Ucraina finché sarà necessario.

Gli Stati Uniti hanno deciso di sostenere addestramento e supporto al personale ucraino che verrà istruito in Europa all’impiego degli F-16 dopo che alcune nazioni europee hanno accettato di fornire a Kiev i loro vecchi F-16 A/B ammodernati che vengono radiati dalle aeronautiche danese, norvegese, olandese e belga dove verranno rimpiazzati dagli F-35. Altre nazioni europee che impiegano o riceveranno in diverse versioni questo tipo di velivoli (portoghesi, rumeni, slovacchi, bulgari) potrebbero offrire formazione e supporto tecnico.

 

F-16 all’Ucraina: l’ennesimo autogol dell’Europa

Si tratta sulla carta di circa 60/70 velivoli da combattimento potenzialmente cedibili all’Ucraina dopo almeno 18 mesi di addestramento di piloti e personale tecnico oltre a investimenti di alcuni miliardi per ricostituire il supporto logistico ai velivoli, ai motori e alle armi negli aeroporti ucraini oggi devastati dalla guerra.

Una fornitura che permetterà di convertire le forze aeree ucraine dai velivoli russo/sovietici di oggi ad aerei statunitensi e che permetterà ad alcuni stati europei di liberarsi di vecchi aerei risalenti agli anni ’80 e in molti casi con le cellule ormai a fine vita operativa ma che sarà possibile sviluppare solo dopo la fine delle ostilità mentre nei prossimi mesi si potrà iniziare ad addestrare il personale ucraino nelle nazioni europee.

L’Aeronautica di Kiev si aspetta che arrivino diverse decine di caccia di fabbricazione occidentale, dopo che Washington ha dato la luce verde. “I velivoli non vengono consegnati in modo singolo, ma in un’unità, con uno squadrone che nel nostro caso è composto da 12 aerei, mentre per gli alleati occidentali può arrivare a 18”, ha detto alla televisione ucraina il portavoce dell’Aeronautica militare Yuri Ihnat, precisando quindi che “diverse decine di caccia potranno essere inizialmente consegnati.”

Come per i missili da crociera Storm Shadow, circa i quali Londra ha avuto garanzie da Kiev che non sarebbero stati impiegati contro il territorio russo, anche il presidente Joe Biden ha precisato oggi di aver avuto “la netta assicurazione da Zelensky che non useranno F-16 su territorio geografico della Russia” spiegando che l’eventuale fornitura di questi caccia è intesa in una prospettiva lunga e non avrebbe nessun ruolo in questa fase in cui aspettava la controffensiva di Kiev.

L’iniziativa, gradita da Kiev che ha espresso la richiesta di 200 F-16, rappresenta un ulteriore autogol per l’Europa e la sua industria della Difesa che perde l’occasione di imporre all’Ucraina (in cambio degli aiuti militari ed economici e dell’impegno a farla entrare nella Ue) di riorganizzarsi nel dopoguerra sui velivoli europei, ipoteticamente addestratori avanzati Leonardo M-346 e aerei da combattimento Eurofighter Typhoon e/o Dassault Rafale, disponibili oggi anche di seconda mano e già equipaggiabili con i missili da crociera Storm Shadow/SCALP di MBDA che la Gran Bretagna ha fornito a Kiev e la Francia fornirà presto e che non sono mai stati integrati sugli F-16 di Lockheed Martin.

Armi che avrebbero già colpito comandi russi a Lugansk e Berdyansk lanciati a quanto sembra da Sukhoi Su-24 e Mig 29 sui cui l’integrazione dei missili da crociera europei è stata effettuata nei mesi scorsi in segreto.

@GianandreaGaian

Immagini: RIA-Fan, PMC Wagner, Ministero Difesa Ucraino, Z -Komitet,  RvVoenkory, Rybar, Aeronautica Belga,

 

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Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli

Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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