Il lanciarazzi multiplo K239 Chunmoo e la “Kill Chain” della Corea del Sud

 

Modulare e promettente, il lanciarazzi multiplo K239 Chunmoo della sudcoreana Hanwha sta riscuotendo un successo commerciale via via crescente. E’ stato concepito alla fine degli anni 2000 come successore del K136 Kooryong, un lanciarazzi multiplo da 36 tubi e 131 mm di calibro, installato su uno scafo KM500, versione sudcoreana dell’M-809 statunitense.

Tutto è iniziato con un contratto di sviluppo assegnato ad Hanwha nel 2009 dall’esecutivo di Seul. Completato nel 2013, il Chunmoo è entrato in servizio con l’esercito sudcoreano nel 2014 ed è stato poi ordinato anche dai Marines.

La commessa complessiva porta su 218 sistemi, che offrono alle forze sudcoreane un’arma di saturazione ogni tempo, per il tiro indiretto contro batterie d’artiglieria nemiche, sistemi di difesa aerea, reparti corazzati e altri obiettivi paganti, schierati in profondità su tutto il campo di battaglia.

La missione primaria di questi lanciarazzi rimane però la soppressione di fonti di fuoco e di forward area air defense target.. Basato uno scafo Doosan 8×8 K239L, con cabina blindata e protetta da contaminazioni NBCR, il K239 misura 9 metri in lunghezza, 2,9 in larghezza e raggiunge un’altezza di 3,3. Ha una massa a vuoto di 31 t ed è equipaggiato con un motore diesel da 450 cavalli, che garantisce al mezzo una velocità di 80 km/h su strada e un’autonomia di 450 chilometri.

Il veicolo è munito di un sistema per la gestione centralizzata della pressione delle ruote, a beneficio di una migliore mobilità fuori strada. Una volta in posizione di tiro è mantenuto in asse da quattro stabilizzatori e il lanciatore, mobile in orizzontale e in verticale su 360°, è azionato idraulicamente. Il sistema è abbastanza versatile.

Permette l’installazione su qualsiasi tipo di camion idoneo allo scopo, tanto è vero che la Polonia, ordinandolo in 288 esemplari nell’ottobre 2022, ha adottato come scafo la versione 8×8 dello Jelcz, un veicolo prodotto dall’azienda omonima del Polish Armament Group, ampiamente in uso nelle forze armate nazionali e adatto per dimensioni e carico utile a supportare il K239.

La commessa polacca vale 3,55 miliardi di dollari e include anche un pacchetto logistico e formativo, munizioni associate, assistenza tecnica e un trasferimento tecnologico, in vista della produzione su licenza in territorio polacco.

La consegna dei primi 18 esemplari avverrà nel corso del 2023, seguita da lotti successivi da qui al 2028. Tutti i K239 polacchi integreranno un combat management system Topaz prodotto da WB Electronics, sistemi di comunicazione digitale autoctoni Fonet e un sistema indigeno per la gestione del campo di battaglia.

Il Topaz permette la fusione dei dati provenienti da diversi sensori, come gli UAV FlyEye o i radar di controbatteria Liwiec, sempre di fattura polacca. Proposto in versioni differenti a seconda delle esigenze dell’utilizzatore finale, il Topaz è abbastanza compatto da poter essere operato da un veicolo, in marcia o meno, tramite radio digitali sviluppate localmente.

La prima unità polacca a ricevere il Chunmoo sarà verosimilmente il 18° Reggimento di artiglieria campale, creato di recente in seno alla 18a Divisione meccanizzata. Vedremo che configurazione adotterà il neonato reggimento, tenendo a mente che ogni battaglione sudcoreano comprende 18 lanciatori K239L e altrettanti veicoli portamunizioni K239T, dotati di un pianale e di una gru idraulica che permettono di movimentare i quattro pod di munizioni su cui sono articolati, più un veicolo da posto comando basato sull’IFV K200A1 e diversi veicoli per la protezione ravvicinata.

Anche gli Emirati Arabi Uniti (EAU) che, nel 2017, hanno acquistato 12 Chunmoo, conservano la configurazione sudcoreana di un veicolo di supporto per ogni lanciatore. E’ probabile che pure la Polonia faccia lo stesso, similmente all’Arabia Saudita che ha acquistato un numero ignoto di batterie.

Due sistemi sono stati segnalati di recente al confine con lo Yemen. L’informazione è trapelata grazie a un video girato in occasione dell’ispezione del generale Fayyad bin Hamed al-Ruwaili, capo di stato maggiore saudita, alle unità militari schierate nei settori di Jizan e Najran.

Fayyed ha incontrato al fronte anche i soldati del Bahrain e degli EAU, parte della coalizione anti-Houthi. Sebbene alcuni sospettino che i Chunmoo ripresi nel video siano parte dell’equipaggiamento bellico emiratino, i segni distintivi sui lanciatori e sui veicoli porta-munizioni sono inequivocabilmente sauditi.

Riad avrebbe pertanto preferito i K239 sudcoreani agli HIMARS statunitensi, anche alla luce del riorientamento strategico del regno. Ci azzardiamo inoltre a dire che il prossimo cliente del Chunmoo potrebbe essere la Norvegia, già acquirente del K9. A breve, il paese scandinavo emetterà una Request for Information per un sistema d’artiglieria a lungo raggio. Se l’affare con Seul andasse in porto, Oslo punterebbe a integrare nel lanciarazzi sudcoreano il missile NSM di Kongsberg, sulla falsariga di quanto già proposto per l’M-142. Il futuro dirà se l’indiscrezione è corretta e se per il K239 si spalancheranno nuove porte.

 

Alcuni dettagli

Entriamo ora nei dettagli del lanciatore del Chunmoo, che riprende molte caratteristiche dell’americano M-270 MLRS, pur presentando peculiarità proprie. L’idea di base è la stessa, ovvero abbinare pod intercambiabili di identiche dimensioni. Il K239 ne ha due e può essere messo in batteria in meno di dieci minuti. Le operazioni di puntamento e di programmazione delle munizioni si effettuano dalla cabina, che ha un equipaggio di tre uomini.

Si sa poco purtroppo del sistema di controllo del fuoco, tranne che è informatizzato e che può ricevere le coordinate dei bersagli direttamente dal posto di comando della batteria. Ovviamente è possibile il lancio dei razzi anche dall’esterno della cabina, tramite un comando a distanza.

Il Chunmoo adotta vari tipi di munizioni, di calibri differenti, concepite e prodotte da Hanwha per soddisfare un ampio ventaglio di esigenze in fatto di effetti terminali e di gittata, superiori per opzioni a quelle offerte dall’M-270 o dall’M-142. Ecco pertanto che i pod del Chunmoo permettono lo stoccaggio di lunga durata dei seguenti razzi e missili:

  • K33, razzi non guidati da 131 mm impiegati anche dal K136. Ognuno dei due pod del Chumoo può essere caricato con 20 di questi razzi, che hanno una gittata di 36 km (https://www.asianmilitaryreview.com/2022/10/poland-commits-to-hanwha-chunmoo-mrls/).
  • KM-26A2, altri razzi non guidati da 230 mm. Il loro raggio d’azione è di 45 km. Ad armarli è una testata con submunizioni non guidate DPICM (Dual Purpose Improved Conventionnal Munitions). Ogni pod comprende sei di questi razzi. Sia Seul sia Varsavia non hanno firmato la convenzione che mette al bando le bombe a grappolo e che interdice in particolare l’uso delle DPICM.

  • Razzi guidati da 239 mm, concepiti espressamente per il K239. A guida GPS e dotati di superfici di controllo, hanno una gittata di 85 km. Ne vanno sei in ogni pod. Sono disponibili in due varianti, una delle quali dotata di una carica unitaria ad alto potenziale e un’altra a sub-munizioni. Diversamente dagli altri due, questi razzi sono stati comprati dalla Polonia, anche se non è chiaro in quale variante (https://www.janes.com/defence-news/news-detail/poland-orders-chunmoo-mrls-receives-first-k2-mbts-and-k9-sphs). Segnaliamo inoltre che, dall’anno scorso, Seul sta sviluppando un’ulteriore variante di questi razzi, per dotarli di una gittata di 200 km, con prese d’aria abbinate a generatori di gas, a garanzia di una durata di spinta maggiore.
  • Chunmoo 2, un razzo da 400 mm con gittata superiore a 200 km sistemabili in due esemplari per pod. Il sistema è in fase di sviluppo e servirà da contromisura ai lanciarazzi multipli nordcoreani, in grado di tenere sotto tiro le basi sudcoreane a distanze di 200-300 km. Per migliorare l’efficienza della combustione, gli ingegneri di Hanwha aggiungeranno ai motori di questi razzi una valvola che modula il flusso di gas durante il volo. Una volta operativo, il razzo permetterà di risparmiare i 600 missili balistici a corto raggio Hyunmoo-2 (300-800 km) e di impiegarli per trattare i soli obiettivi di alto valore aggiunto.
  • Razzi da 227 mm e missili ATACMS utilizzati sugli M-142 HIMARS e sugli M-270 statunitensi.
  • KTSSM (Korean Tactical Surface to Surface Missile) 2, un missile balistico a corto raggio sviluppato fra il 2014 e il 2017 da Hanwha e dall’Agenzia per lo sviluppo della Difesa nell’ambito di un contratto da 418 milioni di dollari. Il vettore ha una configurazione simile a quella dell’ATACMS, con un missile per pod e una guida GPS/inerziale. Ha una gittata di circa 290 km, compatibile con l’export, visto che rispetta i limiti dell’MTCR. La Polonia ne ha acquistato un numero imprecisato e potrebbe a termine produrlo localmente, come farà con i razzi da 239 mm. Il primo test di lancio del KTSSM-2, riuscito, è intervenuto nell’ottobre 2017 e, nel marzo successivo, l’esercito sudcoreano ha annunciato che avrebbe creato una nuova brigata di artiglieria per operarlo coi lanciarazzi Chunmoo.

Il 21 dicembre scorso, l’Agency for Defense Developmente sudcoreana ha inoltre condotto un secondo test del missile, al poligono di prova di Anheung. Previsto nel 2019, l’ingresso in servizio del KTSSM-2 è stato posticipato a quest’anno, per motivi legati all’import di componenti statunitensi. Questo missile è concepito per ingaggiare i lanciarazzi multipli nordcoreani KN-09 e KN-SS-X-09 da 300 mm e gli SRBM KN-02 ubicati a ridosso della Korean Demilitarized Zone. Esiste in due varianti, la Block 1, armata con una testata penetrante e la Block 2 che monta una testa unitaria ad alto potenziale esplosivo. Entrambe sono un perno della Kill Chain di Seul, un concetto mutuato dalla teoria sovietica degli anni ’70-’80, per una sinergia fra ricognizione e strike.

 

La Kill Chain

Il governo sudcoreano ha annunciato il progetto della Kill Chain nel 2013, poco prima del terzo test nucleare nordcoreano. Punta oggi all’implementazione dei sistemi d’arma e degli assetti militari che lo compongono a partire dalla metà del decennio corrente. A quella data avrà un sistema di sistemi capace di fare detezione, di identificare, di decidere e di colpire preventivamente in meno di trenta minuti, prevenendo un lancio missilistico nemico.

In pratica, la Kill Chain riunirà n rete tutti i sistemi di guerra a distanza, enfatizzando il ruolo dei missili balistici KTSSM 2B (500-800 km) e KTSSM 2C (800 km) e da crociera SSM-700K Haesong 1 (150 km), Haesong 2 (500 km) e Haesong 3 (1.500 km) e Hyunmoo-3A (500 km), 3B (1.000 km), 3C (1.500 km), in attesa del 3D (3.000 km?).

Come se non bastasse, la Kill Chain esalta l’importanza del binomio ricognizione-intelligence, per scoprire i preparativi di un lancio nemico e colpirne preventivamente i siti balistici e nucleari, in una sorta di equilibrio del terrore ante litteram. L’obiettivo principe è poter individuare precocemente i lanciatori mobili del Nord.

Qualcosa che la Corea del Sud è già in parte in grado di fare grazie ai 4 velivoli HALE RQ-4 Global Hawk, ai 4 E-7A Peace Eye AEW&C, al leasing di immagini satellitari israeliane e al supporto dei sensori spaziali da ricognizione statunitensi, in attesa che il programma nazionale di satelliti ISR maturi definitivamente.

Hanwha Systems è già coinvolta con KAI (Korea Aerospace Industries) in un progetto governativo per realizzare piccoli satelliti da sorveglianza del peso inferiore a 100 kg, che orbiteranno in orbite basse. Lo sviluppo dei sensori è finanziato con una linea di credito da 970 milioni di dollari, parte del Programma 425 che federa l’ADD e KARI (Korean Aerospace Research Institute).

Anche Korea Aerospace Industries partecipa allo sforzo, con un investimento di 880 milioni di dollari nei prossimi quattro anni per la produzione satellitare, per una stazione di controllo terrestre e per un servizio di analisi di immagini satellitari. A fine 2023, dovrebbe essere inoltre lanciato da un razzo Falcon 9 di Space X il primo dei cinque satelliti di sorveglianza da 800 kg progettato dall’Agency for Defense Development e dal Korea Aerospace Research Institute. L’intera costellazione sarà in orbita entro il 2025, frutto di una commessa da 970 milioni di dollari partita nel 2017.

Quattro satelliti saranno in versione radar ad apertura sintetica, che sfruttano le onde elettromagnetiche, mentre un altro adotterà un payload elettrottico all’infrarosso. Seul punta così a svincolarsi dalle capacità di early warning e di monitoraggio fornite dai partner internazionali. Il grosso delle ricognizioni aeree sul territorio nordcoreano è ancora oggi opera dei velivoli americani RC-135W Rivet Joint ed E-8C.

Ecco perché Seul si sta attrezzando per fare da sola. La sua Kill Chain si appoggerà anche sulle special forces, chiamate a informare tempestivamente i comandi superiori e a monitorare i siti di lancio e i centri nevralgici nemici, così da poterli colpire e distruggere, anche con raid aerei, visto che gli F-35 e gli F-15K sono considerati un altro pilastro del sistema.

Armati di missili AGM-84E SLAM-ER (Expanded Response) o di missili da crociera Taurus, gli Slam Eagle potrebbero colpire obiettivi ubicati in qualunque punto del Nord della Corea restando nello spazio aereo di Seul.

Infine, le famiglie di munizioni per il Chunmoo e i missili balistici e da crociera Hyunmoo, lanciati da terra o dal mare, rappresentano le ultime capacità chiave del concetto. I KTSSM-2 del Chunmoo saranno cruciali perché impiegheranno non più di tre-cinque minuti per colpire qualsivoglia punto del Nord ubicato nel raggio di 290 km, investendolo con la loro carica bellica. Secondo fonti sudcoreane hanno un CEP di appena due metri.

Impiegati da lanciatori mobili, questi missili sarebbero difficilmente individuabili. Una volta in servizio, abiliteranno agli strike di precisione senza il pericolo di azioni preventive da parte del Nord, anche se permangono alcune problematiche che potrebbero ostacolare la fluidità della Kill Chain, a partire dall’esigenza di una catena informativa affidabilissima, che dovrebbe essere sempre precisa al millimetro e permanentemente aggiornata, passando inoltre per le difficoltà insite nel localizzare tutti i siti di lancio nordcoreani, induriti e protetti, che potrebbero inficiare l’efficacia dei raid, senza contare la prevista reazione nordcoreana, ostacolo principale all’ordine di strike preventivo da parte di Seul.

Negli ultimi anni, Pyongyang ha ampliato la sua capacità migliorando mobilità e sopravvivenza dei suoi sistemi di lancio nucleari. Ha testato con successo la capacità di sparare missili balistici (Pukguksong) e da crociera da sottomarini, estremamente difficili da individuare e da colpire preventivamernte. Ha sviluppato lanciatori su rotaia per missili balistici a corto raggio KN-23, lanciatori su TEL stradali e silos subacquei, altrettanto complessi da tracciare e colpire, senza contare i veicoli di rientro ipersonici e i missili balistici a corto raggio capaci di seguire traiettorie depresse, più elusive dei sistemi di contrasto.

Di recente, il governo nordcoreano ha inoltre annunciato di esser riuscito a testare con successo il drone sottomarino Haeil, equipaggiato con una testa nucleare, sorta di emulo del Poseidon russo anche se, per alcuni analisti, si tratterebbe di mera propaganda.

 

Un nuovo arrivato per potenziare la Kill Chain

Per garantirsi maggiore flessibilità nella risposta preventiva, Seul ha pertanto affiancato alla Kill Chain un nuovo concetto, ribattezzato Kill Web e incentrato su un mix di tattiche che spaziano dalla guerra elettronica alle operazioni cibernetiche, più altre misure ancora imprecisate che dovrebbero permettere di scongiurare e prevenire lanci missilistici nemici.

Il Kill Web è parte centrale del progetto Military Innovation 4.0, che punta a massimizzare gli impieghi dell’intelligenza artificiale e di altre tecnologie di punta per forgiare uno scudo più versatile, plastico e resiliente, potenziando gli effetti della Kill Chain e intervenendo in anticipo sulle decisioni iniziali di quest’ultima per modificarle in tempo reale.

Ad ogni modo, il governo sudcoreano sta facendo un grande affidamento sul binomio Kill-Kill e sul suo Triad System in generale che, oltre alla Kill Chain, comprende anche il Korea Air and Missile Defense System (KAMD) e il Korea Massive Punishment and Retaliation plan (KMPR).

La Triade assorbirà il grosso del budget previsto dal ministero della Difesa per il piano militare di medio-termine (2023-2027). Approvato il 28 dicembre scorso, quest’ultimo prevede un investimento complessivo di 268,8 miliardi di dollari e un bilancio della difesa in crescita annua del 6,8%.

Priorità assoluta sarà data ai sistemi che implementano proprio il Korean Triad Systems: in particolare saranno finanziati proprio gli acquisti di sistemi per la Kill Chain, compresivi di 20 F-35A, di missili KTSSM-2 per il Chunmoo e di satelliti ISR.

 

Conclusioni

Concludiamo spendendo altre due parole sul K239, grazie al quale Seul ha potenziato non solo la Kill Chain nazionale, ma offerto sul mercato un’arma di saturazione in profondità che supera in qualità gli HIMARS e gli altri MLRS in circolazione.

Il Chunmoo abbina infatti una maggiore potenza di fuoco per veicolo rispetto a quella degli M-142, con una panoplia di razzi e missili più diversificata e più adatta alle esigenze di tutti quei paesi che non aderiscono alla Convenzione di Oslo sulle armi a sub-munizioni, un trattato che potrebbe presto essere superato dalle lezioni della guerra in Ucraina.

La Polonia sembra volersi limitare per ora ai sistemi guidati, rispettosi della Convenzione, ma niente garantisce che continui a farlo. Ed è per questo che per le munizioni di Hanwha potrebbero aprirsi nuove prospettive.

Non meno roseo è l’avvenire di tutto il sistema K239, il cui successo di mercato è favorito dalla politica sudcoreana, molto aperta in fatto di trasferimenti tecnologici, di cessioni di licenza per la delocalizzazione produttiva e d’integrazione di sistemi locali. Le formule proposte da Seul sono meno restrittive di quelle imposte dagli Stati Uniti, in genere poco propensi a cedere sui propri sistemi di comando e controllo. Inoltre, in Corea del Sud le cadenze produttive battono i ritmi industriali dell’America del Nord, permettendo di onorare le commesse più rapidamente, un dato importante soprattutto ora che la domanda cresce, galvanizzata dal ritorno della guerra ad alta intensità.

I lanciarazzi a lunga gittata vi giocheranno una parte fondamentale e il Chunmoo sudcoreano non fa che confermarlo. Il sistema è la prova lampante della dirompenza dell’industria militare di Seul, frutto di scelte lungimiranti e della politica di indipendenza nazionale lanciata all’inizio degli anni ’70.

All’epoca, la Corea del Sud aveva compreso l’imprescindibilità di avere un’industria della difesa forte e competitiva, per colmare il ritardo nel settore degli armamenti convenzionali.

Temeva già di essere abbandonata dall’alleato americano, scottata dalla lezione della cosiddetta “Dichiarazione Acheson” del gennaio 1950 (con cui il Segretario di stato Dean Acheson escluse la Corea dalla linea di difesa statunitense – nella mappa qui sotto – contro le potenze comuniste nel Pacifico che correva dalle Isole Aleutine alle Filippine includendo Giappone e Okinawa) e dall’assenza di menzione di risposta automatica statunitense in caso di aggressione nordcoreana.

Il presidente Park Chun-hee si allarmò e promulgò il famoso principio di autodifesa, viatico all’autonomia decisionale. Il budget della difesa fu immediatamente aumentato, balzando da 719 milioni di dollari nel 1975 a 1,8 miliardi nel 1977. Fu in quel contesto che iniziò a germogliare lo sviluppo della base industriale e tecnologica della difesa sudcoreana.

Nel 1971, nacque l’Agency for Defense Development, con l’obiettivo di favorire la ricerca e lo sviluppo nel settore degli armamenti. Furono promulgate leggi che favorivano le industrie belliche, garantendo loro privilegi come l’esenzione dalle tasse, tuttora vigenti.

Oggi l’80-90% dell’armamento sudcoreano è prodotto nazionalmente e Hanwha figura stabilmente fra le prime 100 aziende belliche mondiali. Defense News, che stila una classifica aggiornata anno per anno, la colloca alla 30esima posizione, grazie a una cifra d’affari di 4,7 miliardi di dollari nel 2021. Ma l’azienda sudcoreana è molto ambiziosa. Punta a scalare la graduatoria e a piazzarsi fra le prime 10 corporation della Difesa entro il 2030

Foto Hanwha, Korea Times, Korea Defence Blog, Asian Military Review, KCNA e Twitter

 

 

Francesco PalmasVedi tutti gli articoli

Nato a Cagliari, dove ha seguito gli studi classici e universitari, si è trasferito a Roma per frequentare come civile il 6° Corso Superiore di Stato Maggiore Interforze. Analista militare indipendente, scrive attualmente per Panorama Difesa, Informazioni della Difesa e il quotidiano Avvenire. Ha collaborato con Rivista Militare, Rivista Marittima, Rivista Aeronautica, Rivista della Guardia di Finanza, Storia Militare, Storia&Battaglie, Tecnologia&Difesa, Raid, Affari Esteri e Rivista di Studi Politici Internazionali. Ha pubblicato un saggio sugli avvenimenti della politica estera francese fra il settembre del 1944 e il maggio del 1945 e curato un volume sul Poligono di Nettuno, edito dal Segretariato della Difesa.

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