La distruzione della Diga di Nova Kalhovka: cui prodest?

 

Nel leggere i commenti italiani sul danneggiamento della Diga di Nova Kakhovka appare evidente che da subito vi sia stata una certa uniformità di vedute nell’attribuirne la responsabilità alla Russia. Cosa che appare naturale.

Incominciamo con il dire che realizzare ampi allagamenti e prevedere la distruzione di opere stradali e ferroviarie e soprattutto di viadotti è un qualcosa che è sempre stato fatto soprattutto durante le manovre in difensiva. In questo caso, dato che ci si aspetta la tanto pubblicizzata controffensiva ucraina, è chiaro che la manovra difensiva sarebbe quella condotta dai russi.

Ricordiamoci che fino a quando le nostre Forze Armate si preparavano ad affrontare un’aggressione da est, ovvero sino all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, anche noi italiani avevamo dei “piani di ritardo” che prevedevano il minamento e la distruzione all’occorrenza di importanti opere infrastrutturali.

Opere che, se fossero cadute in mano all’aggressore, ne avrebbero facilitato l’avanzata. Analogamente si prevedeva di rendere impraticabili alcune vie tattiche che avrebbero potuto essere utilizzate da forze meccanizzate e corazzate del Patto di Varsavia.

 

 

 

A tali compiti all’epoca erano destinati prioritariamente il 1° Battaglione Genio Minatori di Udine e il 2° Battaglione Genio Minatori di Bolzano, reparti oggi non più previsti nell’ordinamento del nostro Esercito).

I “piani di ritardo”, essendo venuta meno la minaccia alla nostra frontiera nord-orientale, non sono stati più oggetto di attenzione da parte delle nostre Forze Armate ma lo sono tutt’ora presso nazioni del fianco orientale della NATO.

Questo per dire che la distruzione /danneggiamento di infrastrutture anche importanti e la realizzazione di ostacoli al movimento nemico (mediante il ricorso a campi minati e allagamenti) sono attività che nelle guerre convenzionali (come quella in corso in Ucraina) sono sempre state fatte e che non dovrebbero stupirci più di tanto.

Nel caso specifico, il primo effetto pratico del danneggiamento della diga è che il Dnepr, già di difficile superamento nel suo tratto finale stante la sua notevole ampiezza, diventa un ostacolo ancora più impervio da Kakhovka sino alla foce. Ciò, però, implica anche che con lo svuotamento del bacino artificiale dovrebbe aumentare la velocità della corrente del Dnepr a monte della diga con una possibile riduzione dell’ampiezza dello stesso fiume a nord di Kakhovka, dove sicuramente il fiume era già prima meno difficoltoso da superare per una offensiva ucraina.

Dalle mappe rese sinora disponibili appare che l’inondazione abbia colpito in maniera molto più estesa la sponda sinistra del Dnepr, ovvero quella in mano ai russi in cui i tutti questi mesi di relativa stasi operativa in quel settore avevano avuto la possibilità di organizzarsi a difesa con la realizzazione di ostacoli sia “attivi” (ovvero i campi minati) sia “passivi” ovvero trincee, ostacoli anticarro, demolizione ecc.

Ostacoli che nelle aree allagate possono aver perso parte delle proprie potenzialità. Appare quindi evidente che mentre può essere abbastanza agevole ritirare in fretta e furia un dispositivo di attacco, per sua natura estremamente mobile, ciò non è possibile farlo per un dispositivo difensivo, per sua natura incardinato al terreno e in particolare al principale ostacolo naturale che avrebbe contrastato l’avanzata ucraina, ovvero il Dnepr stesso.

Dispositivo, inclusi mezzi da combattimento e scorte di munizioni e carburanti, che se disposti nell’area alluvionata saranno in gran parte andati perduti. Analogamente, le trincee situate nella zona alluvionata saranno ora inutilizzabili e le mine, che in gran parte resteranno attive, non saranno però più nelle posizioni in cui erano state posate in relazione alla manovra difensiva pianificata, rappresentando ora un fattore di rischio sia per i russi che per gli ucraini.

È inoltre discutibile che gli ucraini intendessero effettuare lo sforzo principale della propria controffensiva a sud di Kakhovka, proprio per via della grande difficoltà rappresentata dall’ampiezza del fiume e dalla ormai consolidata struttura difensiva russa in quel settore.

Il danneggiamento della diga e la successiva esondazione del Dnepr a sud di Kakhovka potrebbe avvantaggiare gli ucraini anche senza considerare il problema del rifornimento idrico della Crimea, per il quale verosimilmente si tornerà alle soluzioni alternative sperimentate dal 2014 fino all’occupazione russa e del bacino della diga di Kakhovka.

Questo potrebbe farci pensare che allora non si sia trattato di una demolizione pianificata e condotta dai russi? Difficile dirlo.

Un bombardamento con ordigni di potenziale tale da provocare una frattura in una struttura così massiccia come questa diga sarebbe stato complicato e comunque non sarebbe passato inosservato. La parte che non avesse effettuato il bombardamento sarebbe ora in grado di produrre documentazione probatoria della colpa della controparte. Inevitabile che si sia operato sulla diga dall’interno, danneggiando macchinari e ponendo cariche esplosive in punti critici.

Un’operazione agevole da portare a termine per chi controlla la diga, ovvero, ancora i russi. Ma possiamo pensare che chi ha pianificato l’azione non abbia verificato, sulla base dello studio del terreno, i danni che l’alluvione avrebbe comportato per organizzazione difensiva russa?

Non si sono preavvisati i propri reparti affinché operassero un calibrato e celere arretramento? Se così fosse, si sarebbe trattato di un esempio di imperizia e di superficialità che si stenta a credere.

Per contro, una operazioni condotta da resistenti ucraini che operavano sulla diga, eventualmente supportati da forze speciali apparirebbe una operazione davvero eccezionale ma anche ben più semplice del sabotaggio dei gasdotti Nord Stream  che in questi giorni il Washington Post attribuisce proprio a Kiev,supportando alcuni nostri dubbi espressi in epoca non sospetta (vedi Il “mistero” dell’attacco ai gasdotti Nord Stream – Analisi Difesa).

La verità non la sapremo domani e neanche dopodomani. Aspetteremo un po’ di tempo, poi a seconda di chi sia stato il responsabile del danneggiamento/sabotaggio, ce ne parlerà forse il sempre loquace Prigozhin, rivelando l’incriminazione da parte di un furioso Putin di qualche generale che gli stava antipatico, oppure (ma appare abbastanza inverosimile) ce lo dirà di nuovo il Washington Post, svelando accordi tra le forze ucraine, la resistenza anti-russa e forse qualche servizio d’intelligence di un paese NATO. È la nebbia della guerra e dell’informazione ai giorni nostri!

Foto: Telergram, @Zhivoff e  Slavyangrad

 

 

Antonio Li GobbiVedi tutti gli articoli

Nato nel '54 a Milano da una famiglia di tradizioni militari, entra nel '69 alla "Nunziatella" a Napoli. Ufficiale del genio guastatori ha partecipato a missioni ONU in Siria e Israele e NATO in Bosnia, Kosovo e Afghanistan, in veste di sottocapo di Stato Maggiore Operativo di ISAF a Kabul. E' stato Capo Reparto Operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze (COI) e, in ambito NATO, Capo J3 (operazioni interforze) del Centro Operativo di SHAPE e Direttore delle Operazioni presso lo Stato Maggiore Internazionale della NATO a Bruxelles. Ha frequentato il Royal Military College of Science britannico e si è laureato con lode in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Trieste.

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