VFI e VFT: l’evoluzione dell’arruolamento dei volontari di truppa dell’Esercito Italiano

 

Sin dall’inizio degli anni settanta del secolo scorso l’Esercito Italiano avvertì l’esigenza di affiancare al personale di leva un certo numero di volontari di truppa a lunga ferma, con i quali fronteggiare da un lato la progressiva riduzione della durata del servizio di leva e dall’altro assicurare un utilizzo più efficace ed economico di armamenti, equipaggiamenti e strumentazioni sempre più complessi.

I primo volontari di truppa a ferma prolungata, poi divenuti Volontari Tecnici Operatori, contraevano una ferma di due anni ed erano destinati a ricoprire incarichi tecnico-logistici che trovassero, in un’ottica di impegno sociale, utile ed immediata applicazione anche nella vita civile.

L’esperimento sostanzialmente fallì per le ridotte risorse economiche ad esso assegnate e per le limitate prospettive lavorative che assicurava.

La materia venne quindi affrontata con maggiore determinazione a metà degli anni ottanta con la legge 958 del 24 dicembre 1986 che prevedeva che i militari ed i graduati in servizio di leva potessero essere ammessi, a domanda, alla commutazione della ferma di leva in ferma di leva prolungata, biennale o triennale. Nascevano così i Volontari a Ferma Prolungata (VFP) che dopo tre anni di servizio, prorogabili a cinque, potevano raggiungere il grado di sergente di complemento. Di questi ultimi poi solo un’aliquota molto limitata poteva accedere al concorso per il passaggio in servizio permanente.

Anche questa figura, inizialmente destinata prevalentemente all’impiego nei settori logistici ed amministrativi, non produsse risultati soddisfacenti, generando, in mancanza di concrete possibilità di impiego stabile, un’adesione piuttosto limitata da parte dei giovani ed un rendimento qualitativo insoddisfacente.

Proprio in quegli anni, però, la situazione politica internazionale stava radicalmente mutando, con un sempre maggior coinvolgimento del nostro Paese in operazioni umanitarie di gestione delle crisi in Libano, Albania, Somalia e Mozambico, missioni nelle quali il ricorso al personale di leva cominciava ad essere considerato problematico dal punto di vista operativo e soprattutto politico e mediatico, prestando il fianco al dissenso ed alla perdita di legittimazione da parte dell’opinione pubblica.

Per fronteggiare queste nuove esigenze l’Esercito iniziò nel 1993 a destinare i VFP ad incarichi prettamente operativi, migliorandone l’addestramento e concentrandoli prevalentemente presso alcuni reparti, in particolare nella Brigata Garibaldi, che divenne pertanto la prima Grande Unità dell’Esercito pressoché interamente professionalizzata.

Tuttavia risultava evidente l’urgenza di una revisione completa della materia, che si concretizzò nel 1995 con il decreto legislativo n. 196 del 12 maggio, che istituiva le figure del Volontario a Ferma Breve (VFB) e di quello in Servizio Permanente (VSP).

La riforma, poi formalizzata con decreto del 2 settembre 1997 n. 332, diede risultati apprezzabili, suscitando notevole interesse tra i giovani, che risposero in gran numero ai bandi, un successo che permise in pochi anni di professionalizzare altre brigate, con le quali l’Esercito affrontò un notevole picco di impegni esterni che si profilarono in rapida successione, con le missioni in Bosnia, Kossovo, Afghanistan ed Iraq.

I VFB, di età compresa tra 17 e 22 anni, erano reclutati mediante una procedura interforze ed interministeriale, contraevano una ferma di 3 anni e dovevano indicare nella domanda la Forza Armata nella quale intendevano prestare servizio e la forza armata o di Polizia (Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Polizia Penitenziaria, Corpo Forestale dello Stato e Vigili del Fuoco) cui desideravano essere ammessi al termine della ferma iniziale.

Prima del completamento del triennio delle apposite commissioni tecniche interministeriali redigevano le graduatorie di merito finali dei volontari, elaborate sulla base dei dati selettivi iniziali e dell’attitudine e rendimento dimostrati in servizio. In base a tali valutazioni complessive i migliori VFB venivano ammessi, dopo un quarto anno di rafferma, nel ruolo dei VSP o accedevano alle carriere iniziali delle Forze di Polizia o delle altre Amministrazioni. I VSP potevano poi accedere, per concorso, al ruolo Sergenti o, in numero limitato, a quello dei Marescialli.

La concreta possibilità di intraprendere una carriera stabile nel mondo militare o nel comparto sicurezza rappresentò la chiave di volta del successo della riforma che, nella sua concezione iniziale, assicurava ad un’aliquota consistente, ancorché minoritaria, di volontari una concreta certezza occupazionale, limitando a soli 3 anni il periodo di incertezza e precarietà.

I VFB dell’esercito venivano formati presso i Reggimenti Addestramento Volontari (RAV), dove affluivano in tre scaglioni annui per la frequenza di un corso basico della durata di 12 settimane, comprensive del corso caporali. A questo faceva seguito una fase di specializzazione presso le Scuole d’Arma di durata compresa fra 6 e 10 settimane, con l’obiettivo di abilitare il militare a svolgere i compiti relativi all’incarico di base. Successivamente il personale, inviato al reparto di assegnazione, era sottoposto ad una ulteriore fase di completamento dell’operatività, della durata di 8-9 settimane, per conseguire l’abilitazione ad operare nell’ambito delle minori unità di impiego.

Poiché in quegli anni l’Esercito manteneva un modello a composizione mista tra reparti di leva e di volontari, accanto ai VFB destinati alle unità da professionalizzare venne creata la figura del Volontario in Ferma Annuale (VFA), costituita da personale che assolveva gli obblighi di leva attraverso un servizio volontario retribuito, di durata superiore di due soli mesi rispetto ai 10 del semplice coscritto.

Tale modalità riscosse un’ampia adesione grazie ad un sistema di reclutamento decentrato di estrema semplicità, che consentiva al singolo di scegliere il reparto presso il quale prestare servizio e il periodo di inizio della ferma.

Nel frattempo istanze sociali sempre più pressanti, accompagnate dalla percezione del superamento dei vecchi equilibri internazionali di stampo bipolare, portarono all’adozione in sede politica di un modello di difesa basato interamente sul volontariato, trasformazione prevista dalla legge delega 331 del 14 novembre 2000 che sospendeva il ricorso alla coscrizione obbligatoria a partire dal 1° gennaio 2007.

I VFA vennero individuati inizialmente come un mezzo indispensabile per consentire il graduale passaggio dello strumento militare da una conformazione mista ad una interamente professionale, permettendo di sostituire in tempi brevi il personale di leva. Allo stesso scopo vennero adottati altri provvedimenti, come la facoltà concessa ai VFB non vincitori di concorso di rimanere in servizio per un ulteriore biennio.

La completa trasformazione dell’Esercito in chiave professionale rappresentava una svolta epocale per la Forza Armata, non priva di difficoltà ed incertezze, che vennero ulteriormente aggravate nel 2004, quando presunte motivazioni di carattere sociale e di opportunità politica portarono all’anticipazione di due anni della sospensione della leva, fissata ora al 1° gennaio 2005 grazie all’approvazione della cosiddetta legge Martino del 23 agosto 2004 n. 226.

 

VFP1 e VFP4

Tale norma, recependo anche le indicazioni di leggi precedenti, decretava l’istituzione dei Volontari di truppa in Ferma Prefissata di un anno (VFP1) ed in Ferma quadriennale (VFP4), abrogando di conseguenza le precedenti figure dei VFB e dei VFA. Tra le numerose innovazioni previste figurava l’introduzione del cosiddetto “patentino”, ossia la costituzione della riserva totale dei posti a concorso nei Corpi di Polizia ad ordinamento militare e  civile a favore dei VFP1 in servizio o già in congedo.

L’arruolamento in qualità di VFP1 costituiva ed ha costituito sino ad oggi il primo gradino obbligatorio della possibile carriera del personale di truppa delle Forze Armate e segnatamente, per quanto qui di interesse, dell’Esercito, la fonte unica per il successivo passaggio, su concorso, alla ferma quadriennale, a sua volta preludio all’eventuale transito in servizio permanente effettivo in qualità di VSP, ruolo a sua volta destinato ad alimentare in via esclusiva quello dei Sergenti ed, in piccole aliquote, anche quello dei Marescialli.

Gli aspiranti VFP1, di età non superiore a 25 anni, partecipavano ad un concorso pubblico che prevedeva la formazione di una prima graduatoria basata sui titoli di merito (essenzialmente scolastici), cui facevano seguito le verifiche di efficienza fisica e gli accertamenti psico-fisici ed attitudinali.

Le prove fisiche prevedevano valori minimi di sbarramento. Ad esempio la corsa piana di 2000 metri doveva essere conclusa nel tempo massimo di 10 minuti per i maschi e 11 minuti per il personale femminile.

I vincitori del concorso affluivano ai RAV in quattro differenti scaglioni annui per frequentare un corso basico, inizialmente di 10 settimane, destinato a fornire una formazione elementare a livello individuale e di coppia, valida per ogni possibile incarico futuro. Al termine gli idonei, prima di essere assegnati alle sedi definitive, proseguivano la loro formazione presso le Scuole d’Arma o gli stessi RAV con il cosiddetto Modulo K, una fase specialistica di 8 settimane tesa a completare la preparazione individuale del combattente ed a fornirgli gli strumenti conoscitivi necessari ad operare a livello di team e di squadra.

Al termine della ferma i VFP1 potevano concorrere per l’ammissione alla ferma quadriennale (VFP4) nelle Forze Armate o per l’accesso alle carriere iniziali delle Forze di Polizia. Questo transito era inizialmente regolamentato in modo minuzioso, sulla base di una programmazione predisposta annualmente da ciascuna amministrazione che prevedeva la formazione di apposite graduatorie di merito. Sulla base di queste l’accesso alle carriere iniziali dei vari corpi are riservato per un’aliquota minoritaria direttamente ai VFP1 reputati più meritevoli, mentre la restante parte, più numerosa, era invece destinata ai VFP4 e richiedeva pertanto 4 ulteriori anni di servizio nella Forza Armata.

A complicare la situazione, altrimenti lineare e ragionevolmente meritocratica, intervennero ulteriori norme che prevedevano che i VFP1 risultati idonei ma non vincitori del concorso per VFP 4, potessero essere ammessi, a domanda e nel limite dei posti disponibili, a due successivi periodi di rafferma della durata di un anno ciascuno. Anche i VFP4 che non fossero rientrati nelle aliquote per l’accesso al servizio permanente o per il transito nelle Forze di Polizia potevano optare per due ulteriori rafferme biennali, estendendo il periodo complessivo di servizio in ferma prefissata a ben 11 anni, nella speranza di trovare in seguito una stabile occupazione.

Dopo un periodo di servizio anche molto lungo il personale poteva ritrovarsi congedato e senza concreti strumenti di reinserimento nel mondo del lavoro. L’intento iniziale di limitare ad un massimo di 5 anni il periodo di relativa incertezza del futuro professionale dei volontari finiva pertanto per essere totalmente vanificato, creando insicurezza, precarietà e rinnovate aspettative, non sempre soddisfatte.

Le maggiori criticità nel sistema complessivo di arruolamento dei volontari di truppa iniziarono però nel 2016, in seguito all’abolizione della riserva assoluta dei posti nelle carriere iniziali delle Forze di Polizia a favore dei militari che avessero terminato senza demerito le ferme previste. Tale norma, che garantiva un afflusso costante di personale di qualità, venne soppiantata da una generica disposizione che rimandava ad una non precisata riserva di posti messi a concorso, lasciando così a ciascuna amministrazione interessata l’autorità di stabilire criteri e modalità di ammissione dei candidati. Quindi, in estrema sintesi, nessuna certezza su tempi, termini e volumi organici delle possibili assunzioni.

Con questi presupposti non sorprende che negli ultimi anni oltre il 60% dei candidati VFP1 vincitori del concorso non si siano nemmeno presentati presso i centri di selezione e che tra quanti si presentavano un numero elevatissimo risultasse non idoneo alle visite mediche o ai test attitudinali.

Per cercare di porre rimedio a tali drastici cali di affluenza e consentire comunque il raggiungimento dei volumi organici richiesti l’Esercito fu costretto ad abolire i limiti di sbarramento delle prove fisiche, il cui mancato superamento divenne negli ultimi anni non escludente ai fini dell’arruolamento.

La decisione sottolineava in modo clamoroso i limiti di una figura professionale, quella del volontario in ferma prefissata di un anno, creata sostanzialmente ad imitazione del militare di leva in ferma annuale, ma che di questa sembrava possedere più i difetti che i pregi.

I VFP1 vivevano infatti una forte incertezza sul loro futuro professionale, non solo come detto per il progressivo affievolirsi delle garanzie occupazionali inizialmente previste, ma anche nel caso in cui intendessero proseguire la propria esperienza militare.   I concorsi per l’ammissione alla ferma quadriennale, infatti, permettevano un tale ricollocamento solo ad un quinto circa dei VFP1 arruolati.

Anche da un punto di vista professionale e delle concrete possibilità di impiego i VFP1 rappresentavano una categoria problematica. L’incertezza della loro permanenza in servizio rendeva sconsigliabile e non economica la loro formazione, mentre la brevità della ferma ne precludeva all’atto pratico ogni possibile impiego operativo nelle missioni esterne, non per specifici divieti ma per mancanza di tempo. Per tali ragioni i VFP1 vennero sempre più sotto utilizzati ed impiegati prevalentemente nei servizi di caserma ed in incarichi logistici di supporto. La frequenza del Modulo K venne gradualmente abolita e la stessa durata del corso basico presso i RAV ridotta a sole 6 settimane!

Evidenti i riflessi negativi sull’immagine della Forza Armata che tale situazione può aver prodotto negli ultimi anni presso le reclute e le percezioni negative generate in tema di motivazioni ed aspettative professionali.

Divenne pertanto sempre più urgente prevedere un’ampia revisione dei criteri di reclutamento dei volontari di truppa, adottando modalità e soluzioni in grado di assicurare una risposta adeguata a tre differenti problematiche: selezionare candidati più idonei e motivati, abbassare se possibile l’età media dei graduati e ridurre drasticamente il cosiddetto precariato militare.

Risultava inoltre opportuno apportare al sistema i correttivi idonei a razionalizzare e se possibile semplificare le procedure concorsuali, per abbattere i periodi di attesa per l’incorporazione, ritenuti eccessivi. I tempi erano pertanto maturi per la completa revisione del modello di reclutamento e per la creazione di nuove figure professionali più rispondenti alle necessità delle Forze Armate ed alle aspettative della nostra società.

 

VFI e VFT

Si giunge così alla legge n. 119 del 5 agosto 2022 approvata sul finire della XVIII legislatura che, oltre a prorogare al 2034 il termine per la riduzione delle dotazioni organiche complessive delle Forze Armate previste dalla legge n.244 del 2012 (Modello a 150.000 effettivi, cosiddetta legge Di Paola), apporta importanti modifiche all’iter di reclutamento dei volontari di truppa ed al loro status giuridico, per far fronte alle necessità funzionali e di stabilizzazione delle carriere delle Forze Armate, introducendo anche modalità destinate ad influenzare le procedure di reclutamento nelle Forze di Polizia.

La riforma prevede due nuove figure professionali, entrambe in ferma triennale: il Volontario in Ferma Prefissata Iniziale (VFI) ed il Volontario in Ferma Prefissata Triennale (VFT), in sostituzione, a partire dal 2023, delle precedenti VFP1 e VFP4.

I VFI costituiscono la nuova ed esclusiva modalità di accesso alle forze armate per quanto riguarda il personale di truppa e sono reclutati con un concorso pubblico riservato ai giovani di età compresa tra 18 e 24 anni, in possesso di diploma di istruzione secondaria di primo grado e della prevista idoneità fisica e psico-attitudinale.

A tale riguardo la tipologia delle verifiche fisiche del concorso per VFI non si discosta da quella precedentemente in vigore per i VFP1, ma sono ora introdotti nuovamente specifici valori minimi per le singole prove, il cui mancato raggiungimento, anche in un solo esercizio, comporta l’esclusione dall’iter concorsuale.

Tali punteggi di sbarramento, differenziati tra uomini e donne, sono ora fissati rispettivamente a 11 e 13 minuti nella corsa piana di 2.000 metri, 12 e 2 piegamenti sulle braccia in massimo due minuti, 15 e 10 sollevamenti delle ginocchia al petto. A questi si aggiunge la prova facoltativa delle trazioni alla sbarra, mentre l’esito di ogni esercizio eseguito con un valore migliore del minimo determina ai fini concorsuali un punteggio incrementale importante.

Il provvedimento risponde alla necessità, emersa sia ai RAV che ai reparti di impiego, di migliorare la componente fisica dell’addestramento. Si tratta di una norma assolutamente necessaria, ma che fissa peraltro valori nettamente inferiori a quelli previsti fino al 2017 per i VFP1. In particolare i livelli minimi assegnati al personale femminile appaiono davvero molto blandi e sembrano tradire il desiderio di agevolarne comunque l’inserimento in servizio, in un’ottica più attenta forse alle tematiche sociali e di parità di genere che ai requisiti operativi e funzionali.

L’andamento futuro dei reclutamenti, il numero e la qualità degli aspiranti potranno probabilmente consentire una rimodulazione di tali criteri.

Rispetto alla precedente figura del VFP1 i VFI vedono, oltre all’ovvio aumento della durata della ferma iniziale, un abbassamento da 25 a 24 anni dell’età massima per la partecipazione al concorso, il mantenimento di una sola rafferma annuale possibile ed un generale miglioramento del trattamento economico, incluso un riconoscimento forfettario dello straordinario.

La formazione iniziale dei nuovi volontari, per certi aspetti ancora in corso di definizione nel dettaglio e soggetta alle modifiche che si rendessero necessarie sulla base delle esperienze concrete, sembra ricalcare, per molti versi, quanto previsto in passato per i VFB. Essa prevede infatti un corso di formazione di base della durata di 12 settimane da svolgersi presso i RAV, che dovrà conferire al soldato, in modo uniforme ed indipendentemente dalla sua destinazione futura, la capacità di impiegare l’equipaggiamento in dotazione, l’armamento individuale ed i sistemi di comunicazione.

Tra gli argomenti approfonditi, soggetti peraltro ad aggiustamenti e verifiche che si dovessero rivelare opportuni in base alle esperienze che matureranno nei primi corsi, figurano l’Addestramento Individuale al Combattimento, Armi e Tiro, Topografia, Trasmissioni ed Educazione Fisica. Tutta la programmazione sarà orientata verso l’addestramento tattico di tipo operativo (warfighting), con particolare riguardo alle esercitazioni pratiche, quali il tiro con le armi portatili, sia con l’arma lunga che con la pistola, prevedendo anche alcune attività orientate all’addestramento di squadra.

Terminato l’iter di base presso i RAV i volontari iniziano, senza soluzione di continuità, la formazione di specializzazione presso le Scuole ed i Comandi d’Arma.

Tale fase, in via di definizione nei dettagli da parte del Comando per la Formazione, Specializzazione e Dottrina dell’Esercito in sinergia con gli Enti interessati all’organizzazione dei corsi, avrà una durata massima di 12 settimane, sulla base dei programmi redatti dai Comandi e Scuole d’Arma e di Specialità dei frequentatori.

In questo periodo i VFI acquisiranno le competenze correlate all’incarico assegnato, oltre a conoscenze tipiche dell’Arma o Corpo di destinazione.   La maggiore durata della ferma iniziale rispetto al modello precedente garantirà inoltre un investimento in termini formativi del personale più economico e razionale, anche negli incarichi di più elevata specializzazione, come nel caso delle Aviotruppe o dei Lagunari.

Per quando riguarda le specifiche esigenze del Comando Forze Speciali dell’Esercito (COMFOSE), l’arruolamento dei Volontari in Ferma Prefissata Triennale destinati al comparto avverrà, in analogia a quanto accade attualmente per i VFP4, attraverso un concorso straordinario aperto solo ai VFI che abbiano conseguito i previsti corsi basici nelle Forze Speciali.

Dopo aver maturato 12 mesi di servizio i VFI possono partecipare ai concorsi per l’accesso alle carriere iniziali delle Forze di Polizia. Attualmente la riserva di posti a favore dei volontari di età non superiore a 25 anni risulta essere del 70% nell’Arma dei Carabinieri e nel Corpo della Guardia di Finanza, del 60% nel Corpo della Polizia Penitenziaria e del 45% nella Polizia di Stato e nel Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco. Dati gli inevitabili tempi concorsuali e le necessarie verifiche il transito al comparto sicurezza di questo personale avverrà probabilmente non prima di 22-24 mesi dall’inizio della ferma.

Dopo almeno 24 mesi di servizio il Volontario in Ferma Prefissata Iniziale, di età non superiore a 28 anni, potrà poi partecipare al concorso per titoli ed esami per l’ammissione alla Ferma Prefissata Triennale, acquisendo il grado di caporale. Anche ai VFT saranno riservate migliorie nel trattamento economico, l’istituzione dell’orario di servizio equiparato al personale in servizio permanente ed il riconoscimento di straordinario e recuperi compensativi.

Al termine della ferma triennale si prevede che la totalità dei volontari siano ammessi al Servizio Permanente nel ruolo Graduati (ex VSP) sostanzialmente in modo automatico, purché in possesso dei requisiti psico-fisici richiesti, secondo modalità e criteri in corso di definizione.

Per quanto riguarda il transito per concorso alla categoria dei sottufficiali del ruolo Sergenti, ora riservato al solo personale già in servizio permanente, sono attualmente allo studio alcune varianti normative che, se approvate, renderebbero possibile l’accesso a tale ruolo anche al personale in ferma prefissata.

La completa sostituzione delle vecchie figure professionali con le nuove avverrà con gradualità nel rispetto dei diritti e delle aspettative maturate. Pertanto fino al 2024 saranno emanati bandi per VFP4: quelli con anzianità 2020 e 2021 transiteranno in servizio permanente al completamento della ferma quadriennale secondo le procedure precedenti, mentre quelli con anzianità 2022, 2023 e 2024 lo saranno secondo le nuove norme previste per i VFT.

 

Il ricollocamento

Al momento in cui scriviamo l’Esercito ha emesso per il 2023 un primo bando finalizzato al reclutamento di 6.500 VFI, ripartiti in tre blocchi di incorporamento rispettivamente di 2.200, 2.150 e 2.150 posti, per ognuno dei quali va presentata domanda separata entro determinate scadenze.

Siamo ovviamente alle battute iniziali di un profondo processo di trasformazione, ed alcuni dati numerici risultano ancora non facilmente quantificabili, ma dalla normativa vigente appare evidente l’intenzione del legislatore di assicurare alla maggior parte dei volontari uno sbocco professionale stabile.

Dei circa 6.500 VFI che l’Esercito prevede di arruolare ogni anno si presume che almeno 3.000 transiteranno, come detto, nel comparto sicurezza, mentre circa 1.750 riusciranno a raggiungere il servizio permanente nella Forza Armata passando da VFI a VFT (seconda ferma triennale) e quindi a VSP/Graduati, assicurando in tal modo stabilità di impiego futuro ad oltre il 70% dei volontari arruolati.

Ogni anno però circa 1.700-1.800 VFI dell’Esercito non saranno assorbiti, dopo il triennio iniziale, né dalle Forze Armate né dai Corpi di Polizia.

Premessa l’opportunità di mantenere un certo livello minimo di selezione meritocratica nelle valutazioni del personale in ferma prefissata, rimane la necessità di predisporre nuovi strumenti normativi per il reinserimento nel mondo del lavoro di quanti abbiano comunque terminato senza demerito le ferma iniziale e che ne consenta il reimpiego in tempi ragionevoli.

Le riserve di posti nei concorsi pubblici attualmente previste, il 30% delle assunzioni di personale non dirigente nelle Pubbliche Amministrazioni, il 20% dei concorsi per l’accesso ai Corpi di Polizia municipale e provinciale ed il 50% delle assunzioni del personale civile della Difesa, si sono infatti rivelate nel tempo insufficienti, poco efficaci ed in certi casi facilmente aggirabili, mentre del tutto insufficienti risultano gli sforzi sinora posti in essere per il ricollocamento dei volontari congedati tramite un’apposita agenzia.

Al di là di queste problematiche e fatta salva l’esigenza di una concreta verifica dettata dall’esperienza, la riforma delle figure professionali dei volontari di truppa sembra garantire nel complesso una risposta adeguata alla necessità di garantire stabilità dei ruoli e di contrastare il fenomeno del precariato militare, assicurando in tempi accettabili uno sbocco professionale soddisfacente ad un’ampia maggioranza degli arruolati. Molto dipenderà dalla efficace collaborazione tra la Difesa e le altre Amministrazioni, in particolare nell’emanazione dei bandi di reclutamento nei Corpi di Polizia, al fine di evitare blocchi temporanei nelle assunzioni e conseguenti incertezze nelle tempistiche.

La ripartizione tra i vari ruoli del personale dell’Esercito prevista dal modello di difesa dopo le modifiche apportate dalla legge n. 119 del 2022 prevede ora un totale di 40.000 Graduati e 23.000 Volontari in Ferma Prefissata. Quest’ultimo valore risulterebbe pertanto composto dai circa 6.000 volontari che sesterebbero in servizio una media di due anni prima di transitare al comparto sicurezza (3000×2), da almeno 11.000 VFI che in mancanza di tale opportunità completerebbero il primo triennio di ferma (3.500×3 più qualche rafferma annuale) e dagli oltre 5.000 VFT impegnati nel loro secondo triennio di ferma, in attesa del transito al servizio permanente (approssimativamente 1.750×3).

Rimane invece insoluta l’altra grave criticità che caratterizza le nostre Forze Armate ed in particolare l’Esercito: l’invecchiamento del personale.

A questo problema strutturale la riforma non fornisce soluzioni concrete, innalzando invece ulteriormente la percentuale del personale destinato a prestare servizio sino ad un’età avanzata in quanto già in servizio permanente o, nel caso dei VFT, ragionevolmente certo di accedervi.

Per fronteggiare il fenomeno appaiono pertanto sempre più urgenti provvedimenti straordinari, quali forme di esodo anticipato per il collocamento in quiescenza o di sospensione dal servizio in attesa della maturazione dei termini per il pensionamento. Anche queste tematiche dovranno a nostro avviso essere prima o poi affrontate.

Foto Alberto Scarpitta e Esercito Italiano

 

Alberto ScarpittaVedi tutti gli articoli

Nato a Padova nel 1955, ex ufficiale dei Lagunari, collabora da molti anni a riviste specializzate nel settore militare, tra cui ANALISI DIFESA, di cui è assiduo collaboratore sin dalla nascita della pubblicazione, distinguendosi per l’estrema professionalità ed il rigore tecnico dei suoi lavori. Si occupa prevalentemente di equipaggiamenti, tecniche e tattiche dei reparti di fanteria ed è uno dei giornalisti italiani maggiormente esperti nel difficile settore delle Forze Speciali. Ha realizzato alcuni volumi a carattere militare ed è coautore di importanti pubblicazioni sulle Forze Speciali italiane ed internazionali.

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