Forniture militari scadenti all’Ucraina: le responsabilità di alleati e contractor
L’Ispettore Generale del Dipartimento della Difesa ha recentemente attribuito pesanti responsabilità all’Esercito degli Stati Uniti e al contractor Amentum Services, Inc. per non aver eseguito le manutenzioni previste sui materiali del magazzino pre-posizionato APS-5, in Kuwait, destinati all’Ucraina.
Non solo non erano pronti per l’impiego in combattimento, contravvenendo agli standard e, più in generale, alla logica dei magazzini pre-posizionati delle Forze Armate americane, ma avrebbero potuto, addirittura, ferire o uccidere il personale a cui erano destinati.
Ciò ha consentito di aprire una parentesi su aspetti delle forniture militari occidentali all’Ucraina passati per lo più inosservati. Oltre a materiali tra i più sofisticati ed efficaci al mondo, agli ucraini ne sono stati consegnati altri con tutta una serie di carenze manutentive, qualitative e prestazionali.
Per rifornire Kiev, infatti, sono stati letteralmente svuotati gli arsenali dei Paesi alleati con relativi fondi di magazzino. Allo stesso tempo, per evitare pericolose escalation con la Russia o che sistemi troppo avanzati cadessero in mani sbagliate, sono stati inviati armi ed equipaggiamenti nelle versioni più datate e limitate.
Si aggiungano ordini inevasi, contratti non rispettati e beni o servizi scadenti anche da parte dei contractor; tanto ucraini, quanto stranieri. Insomma, quel fondamentale supporto militare all’Ucraina che per molti aspetti è apparso un capolavoro di logistica, per altri si è rivelato decisamente meno entusiasmante.
Materiali “Not Combat -Ready”
Nel Rapporto DODIG-2023-076 – Preoccupazioni per la Manutenzione dei Materiali del Magazzino Preposizionato dell’Esercito-5 destinati all’Ucraina del 23 maggio 2023, l’Ispettore Generale del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha segnalato “una serie di problematiche che hanno comportato manutenzioni impreviste, riparazioni e tempi di consegna prolungati per l’invio di aiuti militari alle Forze Armate ucraine”.
Poco dopo l’inizio dell’invasione russa, infatti, l’Esercito degli Stati Uniti aveva richiesto al 401° Battaglione di Supporto sul Campo di trasferire urgentemente tutti e sei gli obici M777 dal proprio magazzino pre-posizionato – APS-5 – in Kuwait all’Ucraina.
Tuttavia, non essendo stato in grado di garantire che negli ultimi 19 mesi la società Amentum Services, Inc. avesse eseguito le manutenzioni trimestrali ed annuali previste per gli obici destinati a Kiev, il 401° Battaglione ha obbligato il Comando Materiali dell’Esercito a richiedere l’intervento di una squadra di riparazione mobile.
Al personale del Tank Automotive-Armament Command dell’Esercito – TACOM – arrivato da Anniston (Alabama) a Camp Arifjan (Kuwait) nel marzo 2022, Amentum ha mostrato uno dei pezzi d’artiglieria ritenuto conforme agli standard e pronto per il fronte. Secondo i tecnici del TACOM, invece, il sistema d’arma “avrebbe ucciso qualcuno [il servente]” se avesse sparato.
Successivamente, è stato scoperto che anche gli altri cannoni presentavano grossi problemi. Quattro avevano blocchi di culatta allineati in modo errato con l’ingranaggio a cremagliera, impedendone il corretto bloccaggio. Una culatta non adeguatamente bloccata può provocare un’esplosione in grado di uccidere i serventi.
Inoltre, tutti gli obici contenevano fluido idraulico riutilizzato che, degradandosi nel tempo, avrebbe potuto portare a “risultati disastrosi e malfunzionamenti dei sistemi critici”. Amentum ha dovuto, quindi, pagare al team di riparazione mobile 114.000 dollari per manodopera e spese di viaggio.
Il 21 giugno 2022, mentre gli obici stavano lasciando il Kuwait per fare tappa in Europa, uno di essi ha subito un incendio del freno di stazionamento, causato probabilmente dal mancato rilascio durante la movimentazione da parte dei contractor di Amentum.
Giunti in Polonia, su tutti e sei gli obici sono stati riscontrati percussori usurati e problemi al meccanismo di sparo. Le riparazioni sono costate circa 17.490 dollari tra manodopera e materiali. Gli obici, però, non sono stati gli unici materiali a dare problemi. Precedentemente all’agosto 2022 i logisti del 401° Battaglione avevano dichiarato 28 dei loro 29 M1167 (versione rinforzata del tradizionale Hummer) pienamente operativi.
Quando, poi, il 24 agosto è stato richiesto il trasferimento di tutti i 29 mezzi, invece, è risultato che ben 26 non erano funzionanti. Batterie scariche, fari fuori uso, guarnizioni usurate, cinture di sicurezza difettose, sistemi di chiusura delle portiere rotti, manometri malfunzionanti e perdite di liquidi hanno richiesto lavori di ripristino, nonché la cannibalizzazione di altri veicoli.
Arrivati in Polonia nel settembre 2022, uno dei pneumatici degli M1167 era danneggiato da “marciume secco”; quello di scorta presentava lo stesso problema. Il personale sul posto ha, quindi, aperto un ordine di lavoro per la completa sostituzione degli pneumatici dei veicoli, salvo poi scoprire che non erano stati spediti. Ciò ha obbligato a reperirli da altri veicoli.
Il tutto ha provocato ritardi nelle consegne all’Ucraina, nonché una considerevole quantità di lavoro e di materiali per un costo di 173.524 dollari. Senza contare l’aver dovuto “distogliere personale militare da compiti primari”.
Alle segnalazioni di inadeguata manutenzione dei materiali del magazzino pre-posizionato in Kuwait dell’Ispettore Generale, il Comando Mantenimento dell’Esercito ha risposto minimizzando l’entità dei ritardi. Ha lamentato, poi, una considerevole riduzione degli stanziamenti per le attività di manutenzione: solo 27,8 milioni contro i 91,3 milioni di dollari previsti per l’anno fiscale 2023.
Inoltre, ha dichiarato che il contractor “non è contrattualmente obbligato o appropriatamente dotato di risorse per mantenere l’equipaggiamento [APS]” secondo quanto riportato nel Manuale Tecnico 10/20 utilizzato dall’Ispettore Generale per determinarne lo stato di approntamento.
L’Ispettore Generale ha, però, ribattuto esprimendo il proprio disappunto per l’utilizzo del Manuale Tecnico 38-470 da parte del contractor e ha inoltre precisato che l’Esercito aveva già adeguatamente finanziato Amentum per immagazzinare e mantenere il materiale secondo gli standard previsti: 971,8 milioni di dollari dal 31 agosto 2016 al 13 aprile 2023.
Il rapporto si conclude con raccomandazioni sulla verifica del livello di manutenzione e tempo di esecuzione richiesto per la selezione dell’equipaggiamento del magazzino pre-posizionato 5 da inviare alle Forze Armate ucraine. Viene raccomandato, inoltre, lo sviluppo ed implementazione di “procedure d’ispezione rafforzate non solo per convalidare che il contractor dell’APS abbia adeguatamente colmato le lacune manutentive, ma che abbia anche effettuato un’approfondita ispezione visiva dei materiali, nonché la correzione di qualunque carenza – inclusi i danni degli pneumatici da marciume secco – prima dell’invio dell’equipaggiamento allo European Command degli Stati Uniti per il trasferimento alle Forze Armate Ucraine”.
Magazzini pre-posizionati
Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti dispone di Riserve di Materiali di Guerra Preposizionate (PWRM) o, più semplicemente, magazzini pre-posizionati da impiegare in caso di emergenza in giro per il mondo: attrezzature ed equipaggiamenti, veicoli, armi, munizioni e rifornimenti, sia sulla terraferma che imbarcati, situati in prossimità di potenziali teatri operativi.
Il ricorso a tali riserve consente di ridurre il tempo necessario al dispiegamento di unità militari e la necessità di trasporti aerei e navali. Questo, mentre vengono stabilite le linee di rifornimento ed aumentata la produzione industriale a sostegno dell’eventuale sforzo bellico.
I magazzini pre-posizionati permettono, anche, di esercitare deterrenza, dimostrando l’impegno americano nei confronti di alleati e partners nel cui territorio vengono dislocati.
Il meccanismo è stato concepito durante la Guerra Fredda, per consentire alle Forze Armate americane di rispondere tempestivamente ad un attacco sovietico dalla Germania Est, senza dover aspettare materiali e mezzi dagli Stati Uniti.
Operazioni di portata ridotta come l’invasione di Grenada o di Panama negli anni 80 si sono basate quasi esclusivamente sull’impiego dei magazzini pre-posizionati. Durante l’Operazione Desert Shield (1990-1991) questi hanno consentito al Corpo dei Marines di disporre di unità corazzate nel Golfo Persico con un mese d’anticipo rispetto ad altre inviate dagli Stati Uniti. Anche con Iraqi Freedom si è fatto un ampio ricorso a magazzini pre-posizionati in Medio Oriente e Europa, per non parlare del supporto alla NATO Response Force in seguito all’invasione russa dell’Ucraina.
L’importanza di questi magazzini li rende anche potenziali bersagli per armi a lungo raggio in scenari di conflitto e/o attacchi terroristici. Per tale motivo si stanno sviluppando soluzioni di varie dimensioni, facilmente e selettivamente accessibili e velocemente riposizionabili perfino in contesti bellici.
Ogni branca delle Forze Armate americane mantiene e gestisce i propri magazzini, contando sul supporto dell’Agenzia della Logistica della Difesa e contractor, ma anche del Paese ospitante. Quelli dell’Esercito prendono il nome di Army Prepositioned Stock (APS): APS-1 (Stati Uniti), APS-2 (Europa), APS-3 (imbarcato), APS-4 (Asia nord-orientale) e APS-5 (Asia sud-occidentale).
La Marina e il Corpo dei Marines possono contare sulla Maritime Prepositioning Force (MPF) imbarcata su due squadroni navali e la Marine Corps Prepositioning Program-Norway (MCPP-N) a terra, in Norvegia.
L’Aeronautica, invece, dispone di 23 magazzini pre-posizionati in giro per il mondo e a bordo di due navi.
Equipaggiamenti obsoleti e difettosi
In più di un anno di guerra gli alleati occidentali hanno inviato all’Ucraina aiuti militari per molti miliardi di dollari. Solo gli Stati Uniti hanno fornito finora più di 34 miliardi di dollari; oltre 37 pacchetti di aiuti che, attraverso la Presidential Drawdon Autorithy – Autorità Presidenziale di Prelievo, hanno consentito di fornire armi, munizioni ed altri equipaggiamenti prelevandoli dalle proprie scorte; evitando, così, lunghi processi di procurement.
Tuttavia, l’estrema urgenza di fornire un così ampio e costante flusso di armi ha obbligato i Paesi donatori a svuotare letteralmente i propri arsenali. Diversi dei materiali inviati sono risultati, quindi, datati o mantenuti in condizioni tali da necessitare, nella migliore delle ipotesi, considerevoli attività di riparazione o ricondizionamento.
Nelle peggiori, di essere cannibalizzati per ricambi per altri sistemi d’arma più performanti. Gli esperti affermano, infatti, che fino ad un 30% dell’arsenale di Kiev è costantemente in riparazione. Una percentuale non indifferente per Forze Armate impegnate in una difficile controffensiva!
Per esempio, dei 30 obici semoventi britannici AS-90 che il 14 gennaio 2023 il ministro della Difesa britannico Ben Wallace ha annunciato di voler trasferire all’Ucraina, 12 richiedevano importanti attività di ripristino se non, addirittura, di essere cannibalizzati.
E ancora, lo stesso presidente Zelensky aveva rivelato a marzo che era stato necessario “sostituire ripetutamente” il sistema di difesa aereo fornito da un alleato europeo in attesa dei tanto agognati missili Patriot americani. Per non parlare di molti altri sistemi d’arma promessi: non ancora ricevuti o solo dopo lunghissimi ritardi.
Diversi Paesi Occidentali, quindi, non avrebbero dato propriamente un grande supporto, inclusa l’Italia. A fine aprile il Financial Times riportava lamentele di un anonimo consigliere del Ministero della Difesa ucraino sulla qualità degli armamenti forniti dall’Italia.
Non sarebbe infatti stato possibile utilizzare nemmeno uno dei primi 20 obici semoventi M109L da 155 mm consegnati da Roma ad inizio 2023 a causa di difetti, avarie e la mancata esecuzione di una serie di non meglio precisate riparazioni e revisioni.
Critiche a cui il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha replicato parlando di “mezzi che erano stati dismessi dalle Forze armate italiane e mai offerti proprio per il loro stato di manutenzione e vetustà”, ma che “sono stati richiesti, comunque, da parte Ucraina, nonostante le condizioni, per essere revisionati e messi in funzione, vista la urgente necessità di mezzi per fronteggiare l’aggressione russa. Sull’esito della rimessa in efficienza il ministero della Difesa italiano non è stato aggiornato, trattandosi solo di mezzi classificati come di non conveniente riparazione”.
Del ricondizionamento, infatti, avrebbero dovuto occuparsi gli Stati Uniti o società da loro incaricate. Altri semoventi inviati dall’Italia a metà aprile sarebbero giunti in Ucraina ed immediatamente impiegati sul campo di battaglia.
Precedentemente, altre forniture militari italiane avevano attirato pesanti critiche per la scarsa qualità. A dicembre i mortai Mod.63 da 120 mm sono stati definiti dagli ucraini “molto peggiori dei loro equivalenti sovietici della II Guerra mondiale”, con problemi inerenti anche alla consegna di munizioni che ne hanno ulteriormente limitato l’impiego: “Oggi riusciamo a malapena a sparare due colpi al minuto che non superano i 3-4 km, vale a dire meno della metà di quanto ci aspettavamo”.
Tali armamenti sono stati, perciò, ritenuti non idonei al combattimento, sostituiti da mortai svedesi e ritirati rapidamente dalla prima linea. Gravi carenze sono emerse anche su forniture tedesche.
Il Der Spiegel ha riferito a fine luglio che gli obici semoventi tedeschi Panzerhaubitze 2000, ritenuti da molti i migliori al mondo, hanno mostrato significativi segni di usura dopo appena un mese di servizio. L’Ucraina è stata, quindi, costretta a contare su soluzioni americane e sovietiche significativamente più affidabili.
Inoltre, il PHZ 2000 ha avuto problemi di compatibilità con il munizionamento di altri Paesi NATO, nonostante l’insistenza posta dall’Alleanza Atlantica sull’interoperabilità. Lo stesso problema è stato riscontrato anche dal semovente antiaereo tedesco Gepard. Riguardo agli aiuti inviati dal Canada, sui social media è circolato il video di un veicolo trasporto truppe blindato Senator della società canadese Roshel, in Ucraina, con l’avantreno completamente collassato.
Dalla clip di 15 secondi non si evincono tracce di attacchi d’artiglieria né armi leggere. Perciò, la causa sarebbe il terreno accidentato o settimane di forte usura. L’azienda si è giustificata ribadendo che i suoi veicoli non erano progettati per un intenso impiego sul campo di battaglia o in prima linea. Pertanto, le sospensioni e il gruppo ruote non sarebbero così robusti come quelli di veicoli per uso militare come gli Hummer, Oshkosh o i russi Tigr.
Il Senator è, infatti, tipicamente impiegato dalle forze di pubblica sicurezza ed agenzie governative quali NASA, Canadian Security Intelligence Service o la U.S. Customs and Border Protection. In Ucraina il Senator è comunque, diventato fondamentale per il trasporto di truppe, evacuazioni mediche, consegna rifornimenti e scambi di prigionieri.
A novembre 2022 il Governo canadese aveva acquistato 8 Senator per l’Ucraina. Altre dozzine erano state fornite anche da NATO ed altri alleati occidentali allo scoppio della guerra. Sarebbero, quindi, almeno un centinaio gli esemplari attualmente in servizio nell’Esercito e Forze dell’Ordine ucraini. Entro maggio la Rosheld avrebbe dovuto inviare ulteriori 200 Senator per un contratto da 90 milioni di dollari annunciato durante una visita a Kiev di Anita Anand, Ministro della Difesa canadese.
Società canadesi erano già state criticate per la fornitura di materiali scadenti. Nell’agosto 2022 erano stati infatti forniti alla Polizia e volontari ucraini giubbotti antiproiettile ed elmetti non in grado di fermare proiettili o schegge. Con l’inizio dell’Operazione Militare Speciale russa i sopraccitati articoli sono andati letteralmente a ruba ed esemplari scadenti o non certificati hanno invaso il mercato.
Stessa sorte è toccata a numerosi Turniquet (lacci emostatici arteriosi) prodotti in Canada che si spezzavano al momento della chiusura. Washington, invece, oltre ai materiali non sufficientemente mantenuti di cui abbiamo parlato in precedenza, ha fornito anche sistemi d’arma senza l’adeguato supporto tecnico, addestramento all’impiego e pezzi di ricambio. In particolare, relativamente ad uno dei più noti simboli del supporto militare a stelle e strisce a Kiev: il Javelin.
Nell’estate scorsa il Washington Post segnalava, infatti, che gli Stati Uniti avevano inviato in Ucraina oltre 5.000 letali ma costosi e delicati missili anticarro.
Al Pentagono, però, non hanno pensato di attivare un numero verde per l’assistenza in caso di malfunzionamenti, di fornire un adeguato addestramento all’uso e tantomeno di predisporre l’invio di determinati componenti come batterie, connettori, unità di addestramento tattico da campo e libretti di istruzioni. O forse, sono andati semplicemente persi perché inviati separatamente.
Gli ucraini hanno quindi dovuto ricorrere all’inventiva, cannibalizzando parti di controller di videogiochi, batterie di motociclette, connettori dai cablaggi di ventole dei pc, oppure usando stampanti 3d oltre a tradurre e correggere libretti di istruzioni con Google.
Addirittura, arrivando a telefonare dal campo di battaglia, mentre affrontavano il nemico, a personale militare americano conosciuto in precedenza. A proposito di vetustà, il Pentagono ha fornito all’Ucraina anche mine anticarro M-21. Entrate in servizio almeno nei primi anni 60, sono ancora disponibili in gran quantità negli arsenali USA.
Versioni limitate e d’esportazione
All’Ucraina è stata consegnata anche tutta una serie di armamenti nelle versioni limitate e d’esportazione. Al fine di evitare pericolose escalation con la Russia, ad esempio, gli Stati Uniti hanno fornito lanciarazzi HIMARS con munizionamento a corto raggio – fino a 80 km di gittata, evitando (finora) di fornire gli MGM-140 ATACMS ed altri missili in grado colpire in profondità le retrovie russe.
Allo stesso tempo sono stati, addirittura, modificati i lanciatori in modo che non avessero potuto sparare tali tipologie di missili, anche qualora gli ucraini fossero riusciti a procurarseli altrove.
Altro esempio è quello dei carri armati M1 Abrams che gli Stati Uniti dovrebbero essere in grado di fornire entro l’autunno in 31 esemplari. Dai modelli più vecchi, infatti, stanno rimuovendo le “mattonelle” di corazzatura reattiva prima di schierarli in Ucraina. Kiev, infatti, riceverà la stessa versione d’esportazione fornita ad Egitto, Arabia Saudita e Iraq. La corazzatura sarà comunque a livello dei carri armati forniti da altri Paesi, ma si è presa fortemente in considerazione la possibilità che qualche esemplare possa essere catturato e studiato dai russi.
Basti pensare ai Leopard abbandonati sul campo nei primi giorni della controffensiva – non per tutti è stato possibile il recupero – o ai Javelin finiti a fare da trofeo o testatri e smontati in Russia e Iran. Per far fronte alle limitazioni riguardanti alcuni sistemi d’arma forniti dall’Occidente, gli ucraini hanno utilizzato soluzioni locali. Per gli obici M777 ricevuti senza sistemi GPS o altra strumentazione, per esempio, sono stati installati sistemi e software locali.
Ordini inevasi
Secondo documenti del Governo ucraino, dall’inizio dell’invasione russa alla fine del 2022, Kiev ha pagato più di 800 milioni di dollari ai contractor per armi che non sono mai state consegnate o solo parzialmente. L’annoso processo di procurement ha reso necessario un lavoro di analisi e rivalutazione dei fornitori, con la relativa sostituzione di quelli più problematici.
E’ emerso, ad esempio, che alcuni dei più importanti contratti non onorati erano stati sottoscritti con aziende di Stato ucraine che operavano in maniera indipendente. Negli ultimi mesi il Ministero della Difesa ucraino ha quindi citato in giudizio almeno due di queste società ed è stato annunciato un progetto di riforma per renderle più efficienti.
In altri casi invece si è proceduto all’annullamento di contratti e ad ottenere il rimborso delle somme già corrisposte. Un pagamento di 19,8 milioni di dollari sarebbe stato effettuato alla Ultra Defense Corporation di Tampa, Florida per la riparazione dei 33 obici semoventi M-109L inviati dall’Italia. A gennaio 13 di questi sono stati spediti in Ucraina ma sono arrivati “non adatti a missioni di combattimento”. Kiev ha accusato la società americana di non aver portato a termine il lavoro che avrebbe dovuto essere completato entro la fine di dicembre.
Matthew Herring, amministratore delegato di Ultra Defense Corporation ha negato categoricamente le accuse: “Ognuno di loro era funzionante quando li abbiamo consegnati” aggiungendo che erano stati gli ucraini a non aver eseguito adeguatamente gli interventi di manutenzione sugli obici dopo la consegna.
Errori di calcolo
Un errore relativo all’invio di supporto militare da parte di Washington può, invece, giocare a favore della causa ucraina. Nel contabilizzare le armi prelevate dai propri magazzini, il Pentagono ha considerato il loro costo di sostituzione, invece del valore di acquisto e relativa svalutazione; quindi un valore superiore a quello effettivamente consegnato.
Da un errore di 3 miliardi stimato inizialmente, si è arrivati ad un totale di 6,2 miliardi di dollari (3,6 relativi all’anno fiscale 2022 e 2,6 per il 2023). Pertanto, se prima del 13 giugno si pensava che gli Stati Uniti avessero destinato più di 40 miliardi di dollari in supporto militare all’Ucraina dall’inizio dell’invasione russa, alla luce dei nuovi calcoli tale cifra è scesa a meno di 34 miliardi.
L’adeguamento contabile rientrerà nel fondo stanziato per il supporto all’Ucraina ed impiegato per l’invio di ulteriori pacchetti d’aiuti, senza la necessità per l’amministrazione Biden di richiedere nuovi fondi al Congresso.
Alcune considerazioni
I materiali del magazzino pre-posizionato APS-5 in Kuwait avrebbero dovuto essere mantenuti in condizioni tali da consentirne un impiego immediato o, comunque, in tempi rapidi ed in completa sicurezza. Il concetto alla base dei preposizionamenti è, appunto, proprio quello e le preoccupazioni dell’Ispettore Generale riguardano la – non troppo remota – possibilità che siano le Forze Armate americane a trovarsi a fronteggiare direttamente situazioni simili in caso di crisi.
Diversi episodi precedenti hanno, infatti, confermato lacune nella manutenzione e mantenimento dei suddetti materiali.
Un report del 2018 indicava che il 401° Battaglione non era stato in grado di garantire che il proprio contractor avesse fornito adeguatamente le attività di sua competenza. Difformità nel programma di manutenzione erano state riscontrate su ben 314 dei 433 veicoli ispezionati.
All’epoca il contractor era URS Federal Services, successivamente acquisito da AECOM da cui, a sua volta, è fuoriuscita Amentum. Secondo contractor di servizi del Governo degli Stati Uniti dopo Leidos, Amentum Services, Inc. nasce il 1° febbraio 2020. Attualmente opera in 85 Paesi con 44.000 dipendenti ed un fatturato di 9 miliardi di dollari nel 2022. Per conto dell’Esercito degli Stati Uniti si occupa della manutenzione e mantenimento dei materiali dei magazzini pre-posizionati APS-2 ( in Germania e Polonia) e APS-5 (in Kuwait e Qatar).
Anche per l’APS-2 non sono mancati problemi. Il 405° Battaglione di Supporto sul Campo stavolta, ha avuto difficoltà nel coordinare la manutenzione di equipaggiamenti e la loro distribuzione alle truppe americane dispiegate in Europa a supporto del sistema di deterrenza NATO. Sebbene il tutto sia riuscito, comunque, alquanto puntualmente, alcuni veicoli non erano in condizione tali da consentire un dispiegamento rapido delle unità a cui erano stati destinati.
Grazie ad un aumento dei controlli, al momento non sono più stati distribuiti materiali in condizioni non ottimali. Tuttavia, alla luce di quanto accaduto, l’Esercito degli Stati Uniti sta rivalutando attentamente modalità e procedure relative alla manutenzione e mantenimento dei materiali all’estero, adottando relativi raccomandazioni e miglioramenti.
Per quanto riguarda le forniture militari all’Ucraina, armi datate e vetuste – ma comunque efficaci – hanno da tempo fatto la loro comparsa tra gli schieramenti contrapposti per sopperire alla mancanza di nuovi e/o più avanzati sistemi d’arma. In particolare, a causa di sanzioni e mancanza di componenti tecnologici per gli uni, per l’impellente e costante necessità di grandi quantitativi di equipaggiamento per gli altri.
Vaisly Nebenzya, rappresentante permanente della Federazione russa alle Nazioni Unite ha dichiarato che l’Occidente invia all’Ucraina armamenti obsoleti che vengono prontamente distrutti dalle forze russe e che il Paese si è trasformato in un “vero banco di prova per armi, dove ne vengono testate di nuove tipologie, modificate e migliorate sulla pelle di russi ed ucraini.”
Il tutto a beneficio delle forze della NATO che vengono modernizzate e dei produttori di armi occidentali che ottengono notevoli profitti. Anche i gruppi pro-Cremlino hanno dato ampio spazio alle problematiche relative alle forniture militari occidentali sui social che, al netto di tentativi propagandistici, si sono obiettivamente verificate.
Oltre agli inevitabili e fisiologici danni e perdite sul campo, la guerra in Ucraina ha fatto emergere particolari vulnerabilità dei sistemi d’arma, soprattutto americani. Rispetto a quelli di alleati e rivali, Washington produce infatti materiali tecnologicamente più avanzati, ma delicati, costosi e meno rifornibili, gestibili e riparabili in battaglia.
E’ questo il caso dei carri armati Abrams, dei cacciabombardieri F-16 o dei veicoli corazzati ruotati Stryker, solo per fare degli esempi. Scarse performance e sostenibilità in azione non arrecano danni solo a Kiev, ma possono avere serie ripercussioni anche sui produttori di armi – occidentali e non – impegnati a capitalizzare sulla guerra e sugli aumenti dei budget della difesa di molti Paesi.
Sintomatica potrebbe essere la decisione del Ministro della Difesa polacco di non acquistare ulteriori Leopard 2 o Panzerhaubitze 2000, preferendo concorrenti sudcoreani quali i carri K2 e obici K9, ritenuti entrambi molto più affidabili (anche se su tale scelta pesano anche considerazioni politiche).
Invece sulla precisa volontà invece di fornire a Kiev armi ed equipaggiamenti nelle versioni più datate e limitate, tale scelta può aver senso nell’ottica di non rischiare che armi e mezzi cadano in mani anche anche se i più bellicosi tra le fila della NATO lamentano un eccessivo timore degli Stati Uniti nei confronti della Russia.
Secondo loro, infatti, il territorio russo non dovrebbe essere preservato da attacchi, proprio per il vantaggio di cui Mosca ha potuto godere nell’ammassare truppe ed equipaggiamenti al confine con l’Ucraina, senza rischi.
E ancora, pur ritenendo che la NATO non debba prendere direttamente parte alle ostilità, qualunque restrizione nella fornitura di armi all’Ucraina, così come le numerose discussioni che hanno accompagnato il supporto militare a Kiev in questi mesi, lascerebbero trasparire una mancanza di determinazione. Ciò lascerebbe pensare a Mosca di poter vincere la guerra semplicemente standosene sulla difensiva e lasciando il conflitto in stallo.
In fin dei conti, concludono i falchi, non vi sono state particolari escalation dopo la fornitura di missili Storm Shadow a Kiev da parte di Londra. In realtà sostenere lo sforzo militare ucraino risulta sempre più difficile per l’Occidente. Da una situazione sostanzialmente di pace, con qualche intervento anti-insurrezionale, si è passati improvvisamente ad una guerra convenzionale con un rischio crescente di scontro tra grandi potenze. Ciò richiede, sostanzialmente, materie prime, personale specializzato e ritmi produttivi adeguati.
Nonostante il più grande budget militare al mondo e la più sofisticata industria della difesa, secondo il Center for Strategic and International Studies (CSIS), gli Stati Uniti ci metteranno almeno cinque anni per ripristinare le scorte di missili anticarro Javelin, dei missili terra-aria Stinger e di altro munizionamento ai livelli precedenti l’Operazione Militare Speciale russa.
Quello del procurement, invece, per l’Ucraina è un problema che ha, almeno, 30 anni e si attribuisce sostanzialmente alla presenza di fazioni e visioni contrapposte in fatto di industria nazionale degli armamenti, nonché lo spettro della corruzione che continua ad aleggiare anche ad altissimi livelli.
Dopo l’indipendenza del 1991 il Paese ha venduto considerevoli quantità di armamenti di produzione sovietica, riducendo così il proprio arsenale, in particolare negli anni 2010-2014 con il presidente filo-russo Yanukovich.
In seguito all’annessione russa della Crimea nel 2014, si è aperto un acceso dibattito sull’opportunità di rinvigorire la propria industria bellica. Tuttavia, i cambiamenti sono stati lenti e quando la Russia ha lanciato la sua Operazione Militare Speciale, l’Ucraina si è trovata a doversi procacciare disperatamente armi e munizioni ovunque.
E così, i fornitori, molti dei quali inaffidabili, hanno inondato il Paese di offerte e promesse più o meno false. Ora sembra che gli ucraini abbiano imparato la lezione, cercando di aumentare la propria capacità di deterrenza grazie a trattative con società francesi, tedesche, italiane e dell’Europa dell’est per accrescere, sviluppare e potenziare il proprio settore della difesa.
Nel frattempo continuano a richiedere armi all’Occidente, cercando di ripagarle con faticosi e limitati risultati sul campo di battaglia e, soprattutto, contenendo lamentele sulle condizioni di quelle ricevute, per non imbarazzare e/o contrariare i donatori.
Anche per gli armamenti pare proprio valere il detto: A caval donato…
Foto: Telegram, Us Army/US DoD, Lockheed Martin, Ministero Difesa Ucraino e Esercito Italiano
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Pietro OrizioVedi tutti gli articoli
Nato nel 1983 a Brescia, ha conseguito la laurea specialistica con lode in Management Internazionale presso l'Università Cattolica effettuando un tirocinio alla Rappresentanza Italiana presso le Nazioni Unite in materia di terrorismo, crimine organizzato e traffico di droga. Giornalista, ha frequentato il Corso di Analista in Relazioni Internazionali presso ASERI e si occupa di tematiche storico-militari seguendo in modo particolare la realtà delle Private Military Companies.