Il Vertice NATO di Vilnius e i rischi di escalation in Ucraina

 

Nonostante i limitati progressi territoriali e le numerose fonti (anche provenienti dagli stessi reparti ucraini in prima linea) che riferiscono di perdite spaventose tra gli attaccanti, la controffensiva ucraina continua impiegando a fondo le riserve disponibili.

Il 5 luglio il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, ha riferito che dal 4 giugno, giorno in cui è scattata la controffensiva, gli ucraini hanno perso un totale di circa 2.500 veicoli, mezzi, cannoni e armamenti pesanti mentre la contraerea russa ha abbattuto 158 missili HIMARS, 25 missili da crociera Storm Shadow (nella foto sotto un esemplare “dirottato” dalle ECM russe) e 386 droni ucraini, grazie anche ai sistemi di disturbo elettronico, come ha confermato al Financial Times il ministro della difesa ucraina Reznikov.

Numeri che non possono venire confermati o smentiti da fonti neutrali ma, come era prevedibile, gli attacchi ucraini si sono intensificati in vista del Vertice NATO di Vilnius che si tiene oggi e domani e che costituisce per Kiev uno spartiacque tra il sostegno occidentale allo sforzo bellico e le pressioni su Zelensky a negoziare un accordo che faccia cessare le ostilità, ammesso che Mosca sia disponibile al dialogo.

Già da tempo fonti statunitensi vicine all’amministrazione Biden e fonti diplomatiche europee hanno evidenziato che gli aiuti militari occidentali non potranno continuare in eterno.  Gli europei hanno ormai ben poco da offrire a Kiev e il successo (anche parziale) o meno della controffensiva sancirà probabilmente il destino dell’Ucraina in questa guerra.

Del resto, come abbiano già nelle scorse settimane evidenziato, lo stesso segretario generale della NATO Lens Stoltenberg ha detto in almeno un paio di occasioni che le conquiste territoriali ucraine, frutto auspicato della controffensiva, permetteranno a Kiev di negoziare da una posizione di maggiore forza con Mosca.

 

Il nervosismo di Kiev

Opzione per ora non accettabile da Zelensky che avendo messo al bando opposizioni e libertà di stampa è oggi legato agli ultranazionalisti non disposti ad accettare negoziati che prevedano cessioni territoriali. l nervosismo di Kiev nei confronti degli alleati occidentali e degli esiti della controffensiva è apparso sempre più evidente con l’avvicinarsi del vertice di Vilnius.

Ieri un portavoce militare aveva annunciato la riconquista, la scorsa settimana, di appena 4 chilometri quadrati di territorio intorno a Bakhmut e subito dopo il comandante dell’Esercito, generale Oleksandr Sirsky, ha rilanciato affermando che “il nemico è intrappolato. La città è sotto il controllo del fuoco delle forze armate” dell’Ucraina.

A Sirsky ha fatto eco il vice ministro della Difesa ucraino, Hanna Malyar che ha parlato di “nemico in trappola e città posta sotto il controllo delle forze di difesa” con le forze di Kiev che “hanno tenuto sotto controllo le entrate, le uscite e i movimenti del nemico in città per diversi giorni” e che questo è “reso possibile dal fatto che nel corso della loro avanzata, le nostre truppe hanno preso il controllo delle principali alture intorno a Bakhmut”.

Affermazioni utili forse a sbandierare un successo all’apertura del vertice NATO di Vilnius ma prive di riscontri come mostra anche la mappa (che pubblichiamo qui sotto) diffusa questa mattina dal bollettino quotidiano dell’Institute for the Study of the War, think-tank statunitense “militante” al fianco di Kiev.

In cinque settimane di attacchi furiosi sui fianchi di Bakhmut, a nord e a sud della città, gli ucraini hanno guadagnato alcuni chilometri quadrati di territorio sulle colline che dominano la città. Postazioni da cui potranno colpire più agevolmente le truppe russe nel centro urbano qualora riuscissero a consolidarsi e a schierarvi artiglierie.

Non ci sono quindi per ora le condizioni, se non quelle propagandistiche, per parlare di russi in trappola e di controllo ucraino su Bakhmut, anche perché proprio ieri i russi hanno fatto sapere di aver trasferito in quest’area i ceceni della Forza speciale Akhmat, ritirati dal settore di Marynka (a sud di Bakhmut).

Nel nuovo schieramento ieri sera le truppe di Ramzan Kadyrov, guidate dal comandante Apty Alaudinov, venivano segnalate al contrattacco nei pressi di Kleshchivka.

La necessità di portare agli occidentali qualche successo conseguito sul campo ha indotto gli ucraini a quantificare i successi territoriali conseguiti dal 4 giugno scorso in chilometri quadrati con il rischio concreto di un “effetto boomerang” considerato che finora sono stati annunciati come strappati ai russi su tutti i fronti (inclusi quelli più caldi e sanguinosi nella regione di Zaporizhia dove gli attacchi ucraini si sono finora infranti contro la “Linea Surovikin”) territori in gran parte ancora contesi, la cui superficie in ogni caso è inferiore complessivamente a quella dell’isola d’Elba (223 kmq).

Il 5 luglio la CNN aveva sottolineato come le conquiste territoriali ucraine si misurino “in metri” anche se l’esercito ucraino non ha ancora dispiegato tutto il suo potenziale e le sue riserve, come ha assicurato nei giorni scorsi il generale Syrskyi, spiegando che le sue truppe devono superare ampi campi minati e linee di difesa pesantemente fortificate attaccando il nemico senza avere alcun supporto aereo o quasi.

La controffensiva “va un po’ piano, ma questo fa parte della natura della guerra”, ha detto prudentemente il capo delle forze armate USA, generale Mark Milley ma quasi nessuno ha evidenziato che a nord, ai confini tra le regioni di Luhansk e Kharkiv, sono i russi ad avere assunto l’iniziativa avanzando gradualmente da diversi giorni verso i capisaldi di Kupyansk e Lyman.

Le truppe russe hanno respinto anche le limitate forze ucraine sbarcate sulla riva sinistra del Dnepr nella regione di Kherson annunciando ieri la riconquista di tutta la riva e delle isole.

lo sbarco di piccoli reparti da unità fluviali leggere ucraino era stato reso possibile dal ritiro obbligato delle forze di Mosca dalla riva del fiume dopo che il crollo della diga di Novaya Khakovka aveva spazzato via le difese russe in quel settore.

 

Ammissione a sorpresa

Un altro evidente segnale del nervosismo di Kiev alla vigilia del vertice NATO è rappresentato dall’ammissione delle responsabilità ucraine nell’attentato al Ponte di Crimea, l’8 ottobre scorso, in cui l’Ucraina aveva sempre negato ogni coinvolgimento ma che ha finito per ammetterlo (guarda caso) il giorno in cui Stati Uniti e i principali alleati si sono espressi per un non immediato ingresso dell’Ucraina nella NATO.

Un’ammissione con cui il governo ucraino sembra voler “ricordare” agli alleati occidentali di potere e volere attuare ulteriori azioni contro la Russia (secondo Mosca un missile da crociera ucraino lanciato contro il Ponte di Crimea il 9 luglio è stato abbattuto) che possano determinare un’escalation del conflitto e del resto è stato solo per un “atto di fede” che l’Occidente ha finto a lungo di credere che i russi abbiano autodistrutto le proprie infrastrutture strategiche (dai gasdotti del Baltico al Ponte di Crimea alla diga di Novaya Khakovka).

A questo proposito sono state indicative le polemiche dei giorni scorsi tra i vertici ucraini e l’agenzia dell’ONU per l’energia atomica (AIEA) e il suo direttore Rafael Mariano Grossi con quest’ultimo impegnato a ribadire che i suoi tecnici presenti nella centrale nucleare Energodar non avevano trovato alcun riscontro alle accuse di Kiev che denunciavano il minamento della centrale da parete dei russi.

Chiarificatore e imbarazzante al tempo stesso l’intervista di France 24 al diplomatico argentino (che riproponiamo qui sotto).

Anche a questo proposito è superfluo evidenziare che i russi difficilmente avrebbero interesse a far esplodere una centrale atomica sotto il loro controllo con il rischio concreto che la fuga di radiazioni raggiunga non solo le proprie truppe e gli abitanti filorussi deli territori ucraini sotto il controllo di Mosca, ma pure il territorio della Federazione Russa che dista in linea d’aria non più di 200 chilometri dalla centrale di Energodar (molti meno nel caso della Crimea).

Per la stessa ragione non può essere escluso che gli ucraini puntino a danneggiare la centrale con l’obiettivo di dare la colpa ai russi e sperare in un’escalation che imponga il coinvolgimento diretto degli occidentali nella guerra, opzione che al momento appare l’unica in grado di aumentare in modo significativo le possibilità di vittoria di Kiev in questa guerra.

Che l’Ucraina cerchi un’escalation appare chiaro anche dai recentissimi attacchi con droni su Mosca e dall’impiego dei missili antiaerei americani Patriot per abbattere aerei nemici nello spazio aereo russo.

Al tempo stesso la propaganda ucraina punta a esasperare l’indignazione dell’opinione pubblica occidentale per le vittime civili provocate dai russi, come è emerso anche nella strage della pizzeria di Kramatorsk dove i russi sostengono invece di aver colpito il locale perché ospitava un incontro tra alti ufficiali ucraini e mercenari stranieri (secondo il ministero della Difesa russo i combattenti stranieri uccisi dal febbraio 2022 sarebbero 4.845 mentre altri  4.801 avrebbero lasciato l’Ucraina e in 2.029 continuerebbero a combattere a fianco dell’esercito ucraino).

Versione quasi del tutto ignorata da media occidentali ma confermata indirettamente da CBS News che ha riferito che uno dei morti nell’attacco missilistico contro il ristorante a Kramatorsk era un veterano dei marines, Jan Frank Tortorici (nella foto sotto), che combatteva a fianco delle forze armate ucraine da almeno 15 mesi.

Del resto già l’estate scorsa Amnesty International denunciò la consuetudine delle forze di Kiev di mischiare truppe e armi nel Donbass alla popolazione e alle abitazioni mettendole così a rischio.

Proprio queste iniziative tese a provocare una pericolosa escalation del conflitto dovrebbe imporre a NATO e UE di tenere sotto stretto controllo l’alleato ucraino che, in assenza di successi militari rilevanti, potrebbe essere tentato dal giocare il tutto per tutto.

Ieri il presidente Volodymyr Zelensky ha cercato di smorzare la delusione per l’assenza di una precisa road map per l’ingresso di Kiev nell’Alleanza Atlantica dichiarando che l’Ucraina è già, “de facto”, nella NATO.

“Le nostre armi sono le armi dell’Alleanza. I nostri valori sono ciò in cui crede l’Alleanza”, ha affermato Zelensky nel suo consueto discorso serale in cui ha che ci sono “posizioni diverse”, ma “è chiaro che l’Ucraina merita di stare nell’Alleanza, non ora, che c’è la guerra, ma serve un gesto chiaro e ne abbiamo bisogno adesso”.

Questa mattina il presidente ucraino è stato ancora più esplicito. “E’ assurdo e senza precedenti che non sia fissata una cornice temporale né per l’invito né per l’adesione dell’Ucraina. Mentre allo stesso tempo viene aggiunta una formulazione vaga su ‘condizioni’ anche per l’invito all’Ucraina. Sembra che non vi sia sollecitudine né per invitare l’Ucraina nella NATO, né per farne un membro dell’Alleanza.

Ciò significa che viene lasciata una finestra di opportunità per contrattare l’adesione dell’Ucraina alla NATO in negoziati con la Russia. Per la Russia questa è una motivazione per continuare col suo terrore. L’incertezza è debolezza. E ne parlerò apertamente al summit”.

 

La polemica sulle munizioni a grappolo

La recente decisione statunitense di fornire munizioni cluster (o a grappolo) all’Ucraina ha determinato diverse reazioni critiche. Mosca la considera un’ulteriore escalation del conflitto mentre Dimitrii Medvedev ha ironizzato sulle precarie condizioni del presidente Joe Biden, definito “un nonno col piede nella fossa” che vuole provocare un’escalation nucleare.

Critiche sono giunte però da tutti i governi europei, inclusi quello italiano, tedesco, britannico e spagnolo mentre la NATO non si esprime su questo tema lasciando che a farlo siano i singoli stati membri.

Un atteggiamento motivato dal fatto che gli USA, come Russia, Ucraina e altre nazioni nel mondo (Cina, Israele, paesi arabi….), non hanno mai ratificato la Convenzione internazionale del 2008 che vieta produzione, stoccaggio, impiego e vendita delle armi a dispersione.

L’arrivo di queste munizioni americane “a dispersione” (cioè in grado di seminare sul terreno centinaia di sub munizioni) impiegabili da cannoni da 155mm e forse anche lanciarazzi HIMARS o bombe d’aereo, è stato invece accolto con entusiasmo dall’Ucraina.

“Le munizioni a grappolo sono estremamente importanti per l’Ucraina. Compensano in qualche modo il nostro deficit di proiettili e ripristinano parzialmente la parità sul campo di battaglia”, ha twittato il consigliere principale di Volodymyr Zelensky, Mykhailo Podolyak.

Ciò nonostante non saranno certo le munizioni a grappolo a cambiare i destini di questa guerra dopo che diversi armamenti occidentali erano stati definiti inopinatamente risolutivi (game changer) da esperti e media occidentali: prima i missili anticarro Javelin, poi gli obici semoventi e trainati, poi i lanciarazzi HIMARS, infine i carri Leopard 2….

D’altra parte le armi contenenti sub-munizioni sono già ampiamente impiegate in questa guerra: le usano i russi ma pure gli ucraini che hanno peraltro seminato mine antiuomo nella città di Donetsk impiegando testate dei missili Tochka-U caricate con sub-munizioni come ha raccontato il reporter Gian Micalessin su Analisi Difesa.

 

Aspetti militari

Certo le cluster americane aumenteranno le capacità delle truppe di Kiev di saturare aree del campo di battaglia e gli ucraini garantiscono che non colpiranno il territorio russo né i centri abitati da civili anche se da tempo bombardano la città di Donetsk anche con gli obici statunitensi M777 e con i lanciarazzi HIMARS.

La polemica sulla cluster bombs appare in realtà ipocrita e pretestuale perché i belligeranti già le impiegano (e le impiegarono fin dall’inizio del conflitto nel 2014, come documentò Human Rights Watch) e perché nessuno dei tre paesi coinvolti (USA, Russia e Ucraina) viola una convenzione che non ha mai firmato.

In termini militari restano tre aspetti da valutare. Il primo riguarda l’impatto sui civili celle sub-munizioni inesplose che è stato devastante in Kosovo, Iraq, Siria, Afghanistan, Yemen e in altri teatri bellici. Non a caso il primo ministro cambogiano Hun Sen ha messo in guardia Kiev contro l’uso delle bombe a grappolo, ricordando la “dolorosa esperienza” della Cambogia negli anni ’70 e il fatto che saranno gli ucraini i primi a patirne,

“Sarebbe il maggiore pericolo per gli ucraini per molti anni a venire, anche fino a cento anni, se le bombe a grappolo fossero usate nelle aree occupate dai russi sul territorio ucraino”, ha twittato Hun Sen ricordando che a causa delle bombe a grappolo statunitensi lanciate nei primi anni ‘70 decine di migliaia di cambogiani sono stati uccisi o mutilati.

Con un po’ di cinismo sembra evidente che Kiev possa non avere scrupoli a seminare ordigni pericolosi nei territori del Donbass e nelle regioni annesse dai russi e che è possibile ipotizzare resteranno almeno in parte sotto il controllo della Federazione e dove la popolazione sostiene Mosca.

Il già citato rapporto di Amnesty International (pesantemente censurato in Italia e in altre nazioni occidentali schierate con Kiev) evidenziò che le truppe ucraine non avevano alcuno scrupolo nello schierare armi e truppe in mezzo ai civili del Donbass, evidentemente considerati ostili.

Un ultimo aspetto militare riguarda la relativa pericolosità delle sub-munizioni in un’Ucraina sconvolta da 17 mesi da una guerra ad alta intensità in cui vengono esplosi a volte più di 20 mila proiettili d’artiglieria al giorno e dove sono già tantissime le munizioni e gli ordigni rimasti inesplosi e che costituiranno domani un grave pericolo per i civili. Per farsi un’idea di questa minaccia basti pensare a quante bombe e proiettili inesplosi risalenti alla Seconda guerra mondiale vengono rivenuti ancor oggi ogni anno in Italia.

Le regioni ucraine dove si combatte o si è combattuto vivono e vivranno comunque l’incubo degli ordigni inesplosi indipendentemente dal fatto che si impieghino o meno le munizioni cluster.

Basti pensare che il ministero russo per le Emergenze ha reso noto che quasi 30.000 mine e proiettili inesplosi sono stati eliminati tra gennaio e giugno di quest’anno dai genieri russi (nella foto sopra) sul territorio della Repubblica Popolare di Donetsk sotto il controllo delle forze di Mosca.

Infine, un’ultima (ma non certo per importanza) motivazione militare per cui gli Stati Uniti forniranno a Kiev questo tipo di munizioni è l’ormai cronica carenza di munizionamento convenzionale che gli USA hanno già fornito in grandi quantità agli ucraini riducendo pericolosamente le scorte di artiglieria di US Army e Marines.

Lo hanno rivelato diversi media statunitensi, citando fonti militari: nei depositi vi sarebbero quasi 5 milioni di bombe, razzi e proiettili caricati con sub-munizioni, inclusi oltre mezzo milione di proiettili da 155mm M864 (contenenti ognuna 72 sub-munizioni M42 e M46)  oltre a un numero imprecisato di proiettili cluster M80 per gli obici M119 da 105mm e di razzi da 227 mm per HIMARS/MLRS.

Munizioni in parte realizzate tra gli anni ’80 e i primi anni 2000, quindi ormai vicine alla scadenza: per questo fornirle all’Ucraina comporterà non solo un vantaggio militare per Kiev ma risparmierà al Pentagono elevati costi di smantellamento e smaltimento.

 

Aspetti politici

Diversi parlamentari statunitensi hanno espresso dubbi e critiche in proposito a conferma che il vero problema costituito dalle forniture di munizioni a grappolo è soprattutto di tipo politico, anche se è curioso notare come, dopo l’uranio impoverito, anche le munizioni a grappolo risultino per molti osservatori occidentali meno dannose per le persone e l’ambiente se impiegate contro i russi o gli ucraini filorussi.

La questione è sostanzialmente politica per gli ucraini, pronti a compiere ogni passo che venga definito “di escalation” da Mosca nel tentativo di coinvolgere gli alleati della NATO nella guerra alla Russia. Lo è anche per gli europei, considerato che gli USA avevano duramente condannato i russi per l’impiego di munizioni cluster in Ucraina definendole armi vietate benché gli stessi americani non abbiano aderito alla Convenzione internazionale firmata da 111 nazioni.

La decisione statunitense rappresenta uno schiaffo morale e politico agli alleati europei, sia perché non sembra si siano consultati con loro prima di prendere la decisione di fornire tali armi agli ucraini, sia perché tutti gli stati europei (inclusa la Gran Bretagna) hanno aderito alla messa al bando delle munizioni a grappolo.

Le reazioni contrariate di diversi paesi europei per quanto deciso oltreoceano evidenziano come questa vicenda rischi di minare la coesione tra gli alleati occidentali rispetto al conflitto in atto. Del resto era difficile attendersi che Washington tenesse in maggior contro il parere degli europei (più vassalli che alleati), o che li preavvisasse o si confrontasse con loro.

Fin dall’inizio dell’intervento russo in Ucraina, l’Europa ha seguito supinamente gli Stati Uniti nella gestione di questa guerra, senza assumere nessuna iniziativa autonoma nonostante il conflitto si combatta in Europa e abbia determinato effetti pesantissimi sulla nostra sicurezza e sulla nostra economia.

@GianandreaGaian

Foto: ministero Difesa Ucraino, ministero Difesa Russo, ministero Emergenze Russo, Gian Micalessin, ISW e CBS News

 

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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