Forze Armate: i punti deboli del futuro Modello a 160.000 militari
In extremis! Questo sembra essere ormai il tratto comune di molte delle ultime decisioni più importanti che riguardano il modello professionale delle nostre Forze Armate e non solo delle ultime, dato che perfino la Legge 31 dicembre 2012, n. 244 (quella che ha fatto nascere l’attuale modello a 150.000 militari) venne approvata sul finire della sedicesima legislatura.
Giusto un anno fa il Senato approvava in via definitiva la Legge 5 agosto 2022, n. 119, ovvero: «Disposizioni di revisione del modello di Forze armate interamente professionali, di proroga del termine per la riduzione delle dotazioni dell’Esercito italiano, della Marina militare, escluso il Corpo delle capitanerie di porto, e dell’Aeronautica militare, nonché in materia di avanzamento degli ufficiali. Delega al Governo per la revisione dello strumento militare nazionale».
Un’approvazione che, per l’appunto, arrivava a pochi giorni dallo scioglimento delle Camere, legato alla fine della diciottesima legislatura.
Del percorso di questo provvedimento, dei limiti insiti nel suo approccio, dei suoi difetti nonché degli effetti che produrrà, Analisi Difesa se ne occupato a più riprese; analizzando i suoi primi passi, elaborando delle proposte alternative, valutando la sua formulazione finale, e infine, esplorandone alcuni aspetti specifici.
Tornare dunque sull’argomento appare poco utile nell’occasione, a fronte della ampia disponibilità di informazioni e analisi in proposito. Fatto salvo il punto in cui quella stessa Legge prevede all’articolo 9 una delega al Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla sua data di entrata in vigore (indicata al 28 agosto 2022), uno o più’ decreti legislativi per la revisione dello strumento militare nazionale.
Delega dunque esercitata ancora una volta in extremis; dato che a pochi giorni dalla scadenza è stato depositato in Parlamento lo «Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di revisione dello strumento militare».
Risulta però necessario precisare che quello stesso articolo 9 prevede infatti la possibilità per il Governo di intervenire su diversi ambiti, i più importanti dei quali sono quelli legati all’aumento organico delle Forze Armate di 10.000 unità di personale, alla riforma del sistema sanitario militare nonché alla creazione di una “riserva ausiliaria dello Stato” (fino a un massimo di 10.000 uomini).
Ebbene, a oggi l’esercizio della delega stessa si limita al primo punto perché, come spiegato dallo stesso Ministro della Difesa in risposta a una interrogazione in Senato il 27 luglio scorso, l’attuazione degli altri punti non è stata possibile per l’assenza delle coperture finanziarie.
A tale scopo, il Consiglio dei Ministri ha approvato il 20 luglio un Disegno di Legge (che dovrà passare dall’approvazione del Parlamento) che delega il Governo ad adottare, entro 24 mesi dall’entrata in vigore del provvedimento, uno o più decreti legislativi per la revisione dello strumento nazionale militare.
Ovvero, nuovamente, tempi praticamente “biblici” per intervenire su questioni cruciali per le Forze Armate; questioni che invece, evidentemente, avrebbero bisogno di essere affrontate con un particolare senso di urgenza.
Fermo restando che è comunque lecito dubitare sulla “qualità” di quanto si andrà a fare dato che il punto di approdo di questo percorso non promette benissimo. Esemplare in questo senso è la costituzione della appena ricordata “riserva ausiliaria dello Stato” che, lungi dall’essere quella “riserva operativa” di cui avrebbero davvero bisogno le Forze Armate medesime, sarà piuttosto una sorta di succursale della Protezione Civile.
Con il Personale volontario a essa assegnato che sarà impiegabile in caso di calamità, a sostegno delle attività di protezione civile o, in forma complementare, per le attività in campo logistico della cooperazione civile e militare. Dato che poi, come vedremo a breve, anche sul fronte del previsto aumento del Personale militare non mancano certo le perplessità (in linea peraltro con lo stesso impianto della Legge 119), i dubbi sul fatto che la politica nel suo complesso abbia ben compreso quali siano le reali esigenze del nostro Strumento Militare restano davvero forti.
Soprattutto se poi l’intero ragionamento viene calato nell’attualità del conflitto in Ucraina con i suoi primi insegnamenti sul alcuni punti specifici; a partire dal rafforzamento della componente operativa.
Il Disegno di Legge non è ancora disponibile e nell’attesa si può provare ad ipotizzare che esso possa contenere anche altri provvedimenti. Come, per esempio, quanto già presentato dal Governo nello scorso giugno, nell’ambito dell’esame parlamentare del Decreto Legge sulla Pubblica Amministrazione; quando cioè la Difesa aveva presentato un emendamento volto a introdurre la separazione delle figure di Segretario Generale della Difesa e Direttore Nazionale degli Armamenti, con una di queste affidata a un civile. Emendamento poi ritirato perché si è ritenuto che un intervento del genere, vista la sua importanza, dovesse essere trattato in un provvedimento ad hoc in chissà quanto tempo…
Il Modello a 160.000 militari
Il primo dato significativo da evidenziare è che questo decreto legislativo non interviene solo sulla parte di delega (Articolo 9, Comma C) che mira ad incrementare gli organici delle Forze Armate; esso infatti risponde anche a quanto indicato nel Comma A, vale a dire una revisione della ripartizione complessiva del personale militare tra le varie Forze Armate.
Il che significa che l’incremento in oggetto non è proporzionale all’attuale consistenza delle Forze Armate stesse, andando invece a intervenire in maniera più “calibrata” su ciascuna di esse. Dunque, come ormai chiaro, l’incremento in termini di organico in oggetto è stato fissato in 10.000 unità di Personale in più rispetto all’attuale “Modello” vigente; quello cioè a 150.000 militari fissato dalla Legge 244/2012.
La data di decorrenza rispetto al quale questo nuovo modello diventerà pienamente “funzionante” (in termini di consistenza numerica e di ripartizione fra i ruoli del Personale stesso) è fissata al 1° gennaio 2034, rispettando quindi i tempi indicati dalla stessa Legge 119 che ha per l’appunto ha spostato in avanti di 10 anni i tempi di completamento del percorso di trasformazione complessiva delle Forze Armate avviato nell’ormai lontano 2012.
Emerge dunque con chiarezza, e ancora una volta, l’elemento critico rappresentato dal fattore tempo; di fatto, dal passaggio epocale avvenuto nel 2000 che ha portato alla sospensione del servizio di leva obbligatoria, le nuove Forze Armate su base volontaria e professionale sono ancora una sorta di “cantiere a cielo aperto”.
Attraversate come sono da un processo di transizione che sta diventando quasi infinito; quasi perché oggi, comunque, è previsto che si completi nel 2034. Scadenza sulla quale, tuttavia, appare perfino ragionevole conservare un certo scetticismo!
Nel dettaglio poi, la ripartizione di questo aumento prevede 3.700 uomini in più per l’Esercito, 3.250 per la Marina Militare e 3.050 per l’Aeronautica Militare. Diventa evidente che (in proporzione) l’aumento più consistente è stato riservato proprio alla Marina Militare. Tema quest’ultimo che era diventato molto presente nel dibattito politico (e non solo), a fronte della considerazione che per effetto di un crescente impegno complessivo gli organici di questa Forza Armata necessitavano di una maggiore attenzione.
Dunque, quando sarà completato il percorso in oggetto, l’Esercito Italiano disporrà di 93.700 effettivi, la Marina di 30.050 e l’Aeronautica di 36.850 effettivi. Un altro elemento di notevole importanza è costituito dal dettaglio dei settori all’interno dei quali saranno immesse queste nuove figure.
Per quanto riguarda l’Esercito Italiano: sanità militare, sostegno logistico, area genio-infrastrutturale, capacità cyber, capacità CBRN (Chimica, Batteriologica, Radiologica, Nucleare), capacità contrattualistica, capacità ingegneristica. Per la Marina Militare: operazioni, cyber/spazio, infrastrutture/logistica, “procurement”, LEGAD (Legal Advisor), sanità.
Per l’Aeronautica Militare: operazioni, sanità, intelligence, difesa aerea missilistica integrata, traffico aereo, cyber, amministrazione e contratti, manutenzione. Per chi volesse poi approfondire ulteriormente il tema, la relazione illustrativa/tecnica fornisce ulteriori elementi di dettaglio che4 costituiscono punti dolenti.
I punti dolenti
Il primo riguarda i tempi di attuazione di questo provvedimento (una volta che sarà approvato) mentre il secondo riguarda le figure professionali coinvolte con una scarsa rappresentazione della componente operativa. Anche andando infatti a scomporre i futuri ingressi per ruolo, sia pure senza particolare sorpresa dato che il perimetro era già stato indicato alla delega, emerge con chiarezza un nuovo fattore critico.
Di queste 10.000 nuove unità di Personale, 2.341 saranno Ufficiali e 1.825 Marescialli (con questi 2 ruoli che aumenteranno ancora il loro “peso” complessivo!), 834 Sergenti, 1.430 i Volontari in Servizio Permanente (SP) e, infine, 3.570 in Ferma Prefissata (triennale e iniziale, FT e FI).
Come illustrato nella tabella, tratta dalla relazione di cui sopra:
Pur comprendendo che i profili professionali richiesti in molti casi non possono essere che soddisfatti rispettando certi criteri (ma magari si poteva anche considerare l’assunzione di persone civile per certi ruoli?), è altresì evidente che in questo modo si mantengono pressoché inalterati i rapporti tra Militari in servizio permanente (Ufficiali, Sottufficiali e Graduati) e quelli in ferma prefissata (triennale e iniziale).
Quindi, 79% per i primi contro il 21% dei secondi; come da tabella estratta sempre dalla relazione illustrativa/tecnica.
Percentuali incompatibili con la prospettiva di uno Strumento Militare che disponga di Personale con una età media bassa nonché con un adeguato tasso di ricambio generazionale; al contrario, quello che emerge è uno Strumento sostanzialmente “sclerotico”. In questo senso, non servono grandi ragionamenti o dotte elucubrazioni; a spiegare al meglio il tutto è la dura realtà dei numeri.
Nel corso infatti di una recente audizione di fronte alla Commissione Difesa della Camera, il Generale Gaetano Lunardo (Capo del I Reparto reclutamento, affari giuridici ed economici del personale dello Stato Maggiore dell’Esercito) ha fornito una “istantanea” a dir poco preoccupante: «Attualmente, quasi il 55 per cento del ruolo di base nell’Esercito ha superato i 40 anni e, nel 2033, si prevede che questo numero aumenterà al 70 per cento». Questi sono numeri di un Modello completamente sbagliato che, detto senza mezzi termini, non ha un futuro.
Un altro punto critico poi è quello dei costi. Tecnicamente parlando, questo aumento degli organici non comporterà nuovo o maggiori oneri a carico dello Stato. E questo perché l’intervento in questione è realizzato all’interno del perimetro dei risparmi ottenuti dalla Legge 244/2012; ovvero, quelli previsti con il passaggio dal modello a 190.000 a quello a 150.000 militari. Nel dettaglio, tali risparmi erano stati quantificati in 1.448,5 milioni di euro; ora, con questi 10.000 militari aggiuntivi il risparmio si riduce a 900,4 milioni.
Tutto questo in teoria perché poi, avendo ormai eroso quel risparmio originale per effetto di costanti aumenti sulla spesa per il Personale nel frattempo intervenuti, in realtà quei 548,1 milioni peseranno comunque sul bilancio della Difesa col rischio è che vadano ad amplificare gli squilibri già presenti fra i vari capitoli di spesa.
E per un Paese che proprio di recente ha visto certificare il primato poco invidiabile di essere quello già con la percentuale di spesa per il Personale più alta di tutta la NATO, questi sviluppi non appaiono certo positivi. Fermo restando che oltre ai costi diretti legati al maggior numero di militari, ci sono anche quelli indiretti legati alle maggiori esigenze rinvenibili negli altri capitoli di spesa.
In particolare quello dell’Esercizio che vive già da tempo una condizione di sofferenza potenzialmente destinata a peggiorare se non si adegueranno rapidamente le risorse rispetto al quadro così modificato. Insomma, se da un lato è da considerare in maniera (teoricamente) positiva lo sforzo volto a intervenire sulla consistenza organica delle Forze Armate che necessitava davvero di aggiustamenti, dall’altro non si può non tornare a evidenziare i punti critici, le lentezze nonché la perdurante assenza di provvedimenti volti a sanare gli squilibri fra i diversi ruoli del Personale.
Problemi cioè sempre più cronici e capaci di produrre danni sempre più profondi in termini di efficacia, efficienza e prontezza operativa delle Forze Armate.
Foto Difesa.it
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Giovanni MartinelliVedi tutti gli articoli
Giovanni Martinelli è nato a Milano nel 1968 ma risiede a Viareggio dove si diplomato presso l’Istituto Tecnico Nautico per poi lavorare in un cantiere navale. Collabora con Analisi Difesa dal 2002 occupandosi di temi navali in generale e delle politiche di Difesa del nostro Paese in particolare. Fino al 2009 ha collaborato con la webzine Pagine di Difesa.