Il tramonto della Francia (e dell’Europa) in Africa

 

Alla base della presenza per molti versi ancora imperiale della Francia in Africa, o perlomeno in quei Paesi dell’Africa che erano stati un tempo sue colonie e con cui comunque Parigi era riuscita a mantenere vivo un legame che trascendeva l’aspetto politico affondando le sue radici in un substrato culturale comune, vi era un accordo estremamente equilibrato che assegnava a ciascuna delle parti oneri e diritti ben precisi.

Da un lato infatti gli Stati cosiddetti “francofoni“ si impegnavano a rimanere nella zona di influenza esclusiva della Francia, accettando in questo modo a priori limitazioni molto forti non soltanto nell’ ambito della loro politica estera ma altresì in quello, molto più delicato, della loro politica interna nonché di quella economica. Dall’altro la Francia si poneva nei loro confronti nella posizione di paese guida, imponendo un controllo strettissimo alla loro economia con il sistema, ora da qualche tempo cancellato, del franco d’Africa, moneta teoricamente locale ma garantita, e quindi controllata, da Parigi.

La sicurezza dei vari Paesi della organizzazione era inoltre garantita dalla presenza costante sul territorio di reparti transalpini, scelti fra Paracadutisti, Truppe di Marina e soprattutto Legione Straniera, vale a dire selezionati unicamente fra il personale di carriera della Armée.

Ogni paese dell’Africa francofona era così obbligato a sopportare la presenza, spesso molto ingombrante, di quella che veniva chiamata una “Compagnie Tournante“delle forze francesi. Un Reparto che solo in alcuni casi poteva veramente essere una Compagnia ma che molto spesso, soprattutto in momenti delicati, assumeva dimensioni maggiori, di livello battaglione o reggimento. L’aggettivo “tournante” si riferiva poi al fatto che l’assegnazione del reparto a quella sede non era permanente. Completato il proprio “Turno “ di servizio l’unità poteva quindi essere richiamata in patria o spostata in un altro paese francofono.

La “Compagnie” risiedeva di norma in caserme molto prossime alla Presidenza del paese africano nonché all’Ambasciata francese ed obbediva ad ordini di una chiarissima semplicità: “In caso di torbidi impadronirsi immediatamente del Presidente in carica e della sua famiglia, trattandoli con estrema gentilezza ed offrendo loro totale protezione. Nel contempo contattare tramite l’Ambasciata il Quay d’Orsay (il Ministero degli Esteri Francese) per sapere se la Francia appoggia il Presidente o i rivoltosi e ricevere adeguate istruzioni“.

Un sistema che aveva finito col rendere la Francia l’unico effettivo giudice della possibilità dei politici locali di accedere al potere e che le aveva permesso di mantenere al governo nei Paesi che Parigi considerava come fondamentali – il Senegal, il Camerun, la Costa d’Avorio ed altri – uomini che Parigi valutava come particolarmente fidati per tempi lunghissimi.

Come compenso per le restrizioni che essa imponeva la Francia offriva comunque ai paesi della comunità francofona due speranze. La prima riguardava il campo economico, in cui grazie al legame del franco d’Africa con il franco francese prima, con l’euro poi, l’idea era che la condizione dei paesi della comunità potesse profittare, se non altro di riflesso, dello slancio nel settore della Unione Europea.

La seconda si riferiva poi, come già accennato, al campo della sicurezza, di cui le varie compagnies tournantes avrebbero dovuto essere gelosi custodi costituendo, soprattutto in caso di torbidi maggiori, il nucleo di forze di intervento ad hoc designate dalla Francia, nonché il riferimento per le Forze Armate locali , spesso prive di parti fondamentali di un equipaggiamento militare che l’elettronica e l’informatica rendono di giorno in giorno più costoso.

La promessa francese era dunque quella di garantire all’Africa francofona, sia pure attraverso un percorso destinato a durare un ragionevole numero di anni l’accesso al benessere da un lato e ad una condizione di accettabile sicurezza dall’altro.

In fondo, a ben guardare, si tratta delle medesime promesse, implicite anche se non sempre compiutamente espresse, che noi paesi membri della NATO e della Unione Europea abbiamo fatto, dopo il crollo del Muro di Berlino, agli altri Stati Europei che uscivano stremati da quella che avrebbe dovuto essere l’eternità comunista.

E che noi abbiamo puntualmente rispettato, riuscendo ad integrare in tempi estremamente ridotti un mondo che almeno in partenza appariva estremamente diverso dal nostro. In Africa purtroppo la Francia non è stata invece in condizione di far fronte in maniera soddisfacente agli impegni che aveva assunto.

Le condizioni economiche dei paesi francofoni sono così costantemente peggiorate nel corso dell’ultimo decennio, riducendone più d’uno in quelle terribili condizioni in cui per ogni capo famiglia l’unica scelta ragionevole rimasta, come diceva un tempo il Presidente della FAO, è quella di decidere se si preferisce morire, emigrare o ribellarsi e alcuni dei paesi africani francofoni hanno di recente chiaramente optato per questa ultima soluzione .

Anche sul piano della sicurezza poi lo scatenarsi, soprattutto nell’area sahelica, di tensioni di vario tipo cui l’estremismo islamico ha aggiunto una grande facilità di reclutamento ha creato situazioni che la Francia si è illusa di poter superare nella maniera tradizionale, cioè facendo ricorso soltanto alle sue forze ed alla cooperazione di contingenti locali posti alle sue dipendenze.

Ciò che Parigi purtroppo in questo caso non è riuscita a capire è stato come l’universalità del richiamo religioso estremista, innestato su una condizione di malcontento pressoché onnipresente, conferisse ai movimenti di rivolta una ampiezza che la Francia da sola non sarebbe stata in condizione di fronteggiare. A questo punto forse l’unica soluzione efficace sarebbe stata quella di aprire ad una maggiore presenza ed influenza di altri paesi europei nell’area, un provvedimento che ci avrebbe probabilmente consentito di raggiungerà la massa critica indispensabile per fronteggiare l’esigenza.

Si è trattato di una strada su cui la Francia si è però seccamente rifiutata di procedere insistendo per continuare a mantenere un completo ed esclusivo controllo della situazione, nella circostanza assolutamente inaccettabile.

Persino noi italiani, dopo aver tentato invano di ottenere condizioni possibili per l’inserimento in Niger di un nostro contingente, siamo stati costretti a lasciar cadere l’idea di una cooperazione paritaria con la Francia ed abbiamo cercato accordi separati con altri paesi presenti in area. A far poi pendere definitivamente la bilancia a sfavore della Francia, almeno nell’area sahelica, è stata la crescente tensione fra l’Occidente e la Russia che ha permesso a parecchi Stati locali di affidarsi, in un perverso domino , alla formazione  mercenaria della Wagner , strumento di punta della politica russa di questo periodo .

Così dall’Africa francofona se ne è andata per prima la Repubblica Centroafricana, seguita poi da Mali e Burkina Faso, mentre il Niger dopo il recente colpo di stato rimane per il momento ancora nel limbo. A questo punto però il problema rischia di allargarsi e di assumere una dimensione per lo meno sub regionale. A difesa del deposto Presidente e dell’ordinamento democratico nigerino è infatti previsto a brevissima scadenza un intervento armato dell’Ecowas, l’organizzazione regionale del Golfo di Guinea, guidata dalla Nigeria, il gigante dell’Africa Occidentale .

Il tutto in un quadro di assoluta legittimità, derivante da una decisione in merito di una decina di anni fa con cui l’Organizzazione per l’Unità Africana delegava alle sue Organizzazioni Regionali l’intervento in eventuali crisi locali. L’unica possibile difficoltà a questo punto deriva dal fatto che le truppe nigeriane godono di una consolidata fama di gestire ogni loro intervento con particolare rudezza.

Al momento non ci resta quindi che sperare che il rimedio non si riveli peggiore del male, sollevando risentimenti che potrebbero far superficie di nuovo non appena si ripresenteranno condizioni favorevoli.

A media ed a lunga scadenza vi è poi un lavoro che dovrebbe impegnare a fondo tutti noi europei e condurci a convincere tutti gli Stati del nostro continente, in primo luogo la Francia ma non soltanto essa, che il periodo del colonialismo è definitivamente terminato, sotto qualsiasi forma, e che soltanto un accordo corale e paritario con gli Stati africani potrà consentirci nel futuro di progredire di pari passo con grande vantaggio reciproco.

Foto: Ministero Difesa Francese, CEDEO, Difesa.it e Peoples Dispatch.

 

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Giuseppe CucchiVedi tutti gli articoli

Entrato alla Scuola Militare di Napoli nel 1955, il Generale Cucchi ha avuto una lunghissima carriera conclusa nel 2008 come Direttore Generale dell'Intelligence Nazionale. Dopo il definitivo pensionamento ha lavorato due anni per le Nazioni Unite come esperto nell'ambito della crisi del Mali/Sahel. Attualmente insegna management alla Università LUISS di Roma ed alla Business School della Università di Bologna.

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