La Francia al bivio: in Niger scade l’ultimatum ma un intervento militare farebbe esplodere il Sahel
(aggiornato alle ore 23,55)
E’ scaduto a mezzanotte del 6 agosto l’ultimatum della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO o ECOWAS) alla giunta militare golpista del Niger per indurla a riconsegnare il potere nelle mani del presidente Mohamed Bazoum. Nessuna azione militare è stata finora segnalata ai confini nigerini con le nazioni da cui potenzialmente potrebbe partire un attacco, Nigeria e Benin, anche se su queste due frontiere la giunta di Niamey ha schierato rinforzi per precauzione dopo aver reso noto di aver rilevato un “pre-schieramento per la preparazione dell’intervento in due paesi dell’Africa centrale”, senza specificare quali.
Il CNSP resta convinto del rischio di attacco militare e ha chiuso nuovamente lo spazio aereo nazionale affermando che “qualsiasi tentativo di violazione” porterà a “una risposta energica e istantanea. Qualsiasi stato coinvolto sarà considerato cobelligerante”. La compagnia aerea Air France ha già sospeso i voli su Niamey annunciando lo stop anche a quelli verso Mali e Burkina Faso.
Un possibile intervento militare dell’organizzazione regionale africana non viene quindi escluso ma si tratta di un’opzione che ha ricevuto forti critiche da più parti, in Africa come in Occidente.
Se ne riparlerà il 9 agosto ad Abuja (Nigeria) al prossimo vertice dell’ECOWAS che ha già applicato, come Francia e Unione europea, sanzioni economiche al Niger (uno dei paesi più poveri del mondo) per indurre i golpisti a desistere bloccando il flusso di aiuti economici e i programmi di assistenza militare tesi a rafforzare le truppe nigerine che da anni combattono l’insurrezione jihadista.
Proprio la Nigeria sembra voler premere per un intervento militare contro i golpisti anche se rischia di doverlo effettuare da sola o affiancata solo da contingenti simbolici di Senegal, Costa d’Avorio e Benin. Mali, Guinea e Burkina Faso invece sostengono la giunta golpista nigerina anche per solidarietà considerato che anche i loro governi golpisti sono stati colpiti da sanzioni dell’ECOWAS.
Mali e Burkina Faso ha no inviato a Niamey una delegazione ufficiale congiunta come prova di “solidarietà” con il Niger dopo le minacce dell’ECOWAS mentre altre nazioni della regione, come il Ciad, non intendono dare il via a un conflitto che potrebbe spaccare l’Africa Occidentale e il Sahel.
Verso la cacciata dei francesi
L’ECOWAS ha confermato il 5 agosto la disponibilità a intervenire militarmente probabilmente sostenuta dalla Francia che schiera in Niger 1.500 militari che i golpisti hanno di fatto invitato con fermezza a lasciare il paese entro un mese, come previsto dal trattato di cooperazione militare del 1977, dopo aver denunciato tutti gli accordi con la Francia e sospeso lo status giuridico che autorizzava i militari di Parigi a operare in territorio nigerino.
Per la Francia, le cui truppe sono state cacciate negli ultimi tempi da Mali, Burkina Faso e Repubblica Centrafricana, un ulteriore smacco in Niger avrebbe ripercussioni gravissime sulla credibilità militare e politica e sugli interessi economici di Parigi in Africa. Il Ministero degli Esteri francese ha sottolineato ieri il suo forte sostegno agli sforzi dell’ECOWAS per riportare al potere il presidente Mohamed Bazoum.
La giunta golpista nigerina, che oggi ha nominato primo ministro l’economista ed ex ministro delle finanze Ali Mahaman Lamine Zeine, ha ribadito di aver voluto cacciare una serie di politici corrotti al soldo di francesi e occidentali e ha accusato Parigi di aver cercato di corrompere alcuni governi dei paesi ECOWAS per indurli a un’azione militare contro Niamey. Con la minaccia di dover far fronte a un attacco militare, da più parti giunge voce che il CNSP abbia chiesto aiuto alla società militare privata russa Wagner (già presente a sostegno dei governi di Bamako, Bangui e Ouagadougou) che secondo alcune fonti starebbe valutando la proposta.
I filorussi a Niamey
Benché Mosca non si sia espressa a favore dei golpisti potrebbe cogliere l’occasione per allargare la sua sfera d’influenza in Africa e colpire sul piano strategico gli stati membri della NATO che sostengono l’Ucraina e su quello economico l’Europa sempre più in difficoltà nel reperire fonti energetiche e materie prime.
Il golpe a Niamey potrebbe infatti far tramontare il progetto finanziato dalla Ue per un gasdotto trans-sahariano che attraverso il Niger trasporterebbe il gas nigeriano fino ai gasdotti algerini diretti in Europa.
Non ci sono al momento notizie né conferme circa la presenza di contractors della Wagner in Niger anche se potrebbero rapidamente affluire dai confinanti Libia, Mali e Burkina Faso. Secondo il canale russo Telegram Vcp-Ogpu, uomini della Wagner si appresterebbero a venire trasferiti in Libia dalla Bielorussia: notizia non confermata ma che potrebbe preludere a un trasferimento di contractors russi in Niger via terra invece che con mezzi aerei per dare meno nell’occhio.
Ieri a Niamey si sono registrate nuove manifestazioni popolari a favore della giunta militare con migliaia di persone che mostravano bandiere russe riempendo lo stadio di Niamey da 30 mila posti, arringati dal generale Mohamed Toumba, uno dei leader del Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Patria (CNSP) che sta procedendo alle nomine di nuovi comandanti nelle forze armate e di sicurezza.
La Russia viene vista in molte nazioni africane come una valida alternativa all’influenza post-coloniale occidentale e in particolare francese e il Niger non costituisce un’eccezione tenuto conto che il movimento politico M62 che propone di cacciare i francesi e le altre truppe straniere ha visto il suo leader, Abdoulaye Seydou, arrestato nel febbraio scorso.
Il golpe dei militari e le sue conseguenze rappresentano quindi al momento un successo per il Mouvement 62 che ha sostenuto i golpisti e messo in guardia ECOWAS e Francia dal tentare un blitz militare e non ha mai nascosto simpatie e ammirazione per la Russia e Putin pur rivendicando la sovranità e dignità nazionale contro gli interessi neocoloniali occidentali.
“L’M62 nutre la speranza che questo colpo di stato sia l’ultima opportunità per riparare agli eccessi del regime caduto e ripristinare la dignità del popolo del Niger”, ha dichiarato il 27 luglio il suo segretario generale Mahaman Sanoussi.
M62 “riunisce diverse organizzazioni della società civile e si dichiara antimperialista e antifrancese”, ha scritto sui Le Monde il ricercatore Rahmane Idrissa, specialista in Africa ma rivendica anche salari più alti in una nazione in cui il 40 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà. Come in altre nazioni africane il sentimento anti francese sta facendo proseliti anche tra i militari anche a causa dei ripetuti scandali legati a corruzione e malgoverno.
La riluttanza nigeriana
La pretesa del presidente nigeriano Bola Tinubu di guidare un’operazione militare in Niger sta sollevando molte resistenze nella stessa Federazione Nigeriana, dove gli stati settentrionali temono di venire sconvolti da una nuova guerra dopo quella contro gli insorti jihadisti di Boko Haram che insanguina da anni ampie aree del paese coinvolgendo parte dei 100 mila militari dell’esercito nigeriano (i nigerini dispongono invece di 30 mila militari cui si affiancano 15mila membri di Gendarmeria e Guardia Nazionale).
Nigeria Newspapers Online, citato da Agenzia Nova, ha riportato che nel dibattito a porte chiuse in Senato ad Abuja i rappresentanti di sette Stati del Nord (Sokoto, Kebbi, Katsina, Zamfara, Jigawa, Yobe e Borno) che condividono il confine di 1.500 chilometri col Niger, hanno respinto la proposta di un intervento militare a Niamey.
Il sito Legit sostiene che “almeno il 90% del Senato nigeriano ha respinto la richiesta” di Tinubu “di invadere la Repubblica del Niger”. La circostanza è rilevante in quanto la Costituzione della Nigeria impone che le truppe non possano combattere all’estero senza la preventiva approvazione del Senato, tranne in casi di “rischio o pericolo imminente” per la sicurezza nazionale.
Per i senatori l’esercito nigeriano è mal equipaggiato e non preparato a combattere una guerra. “I senatori ritengono che il governo federale dovrebbe concentrarsi sulle minacce di Boko Haram invece di contemplare l’idea di entrare in guerra in un paese straniero”, ha detto un senatore al quotidiano Premium Times.
Inoltre tali notizie confermano come un’azione militare in Niger possa non solo dividere le nazioni aderenti all’ECOWAS ma anche destabilizzare la Nigeria, potenza regionale peraltro poco amata da diversi paesi limitrofi per le sue tendenze egemoniche.
“La democrazia deve essere ripristinata, con la diplomazia o con la forza” ha detto il generale Christopher Gwabin Musa, Capo di stato maggiore della Difesa nigeriana, in un’intervista al New York Times pur aggiungendo che “non c’è bisogno di una guerra. Questo porterebbe altra distruzione. Culturalmente, religiosamente, siamo quasi uguali. Sarebbe come combattere contro un fratello”.
In Nigeria molti esprimono scetticismo per un intervento militare in Niger definito “costoso, irrealizzabile e che porterebbe a conseguenze controproducenti per l’Africa occidentale”, da un rapporto visionato dal quotidiano Premium Times e realizzato dal centro studi strategici OSPRE.
Studio che raccomanda all’ECOWAS di vietare azioni militari anche a forze straniere non africane (con un chiaro riferimento al rischio di un blitz francese) poiché “un’azione militare precipitosa contro il nuovo regime destabilizzerà sicuramente il Niger e, per estensione, il Sahel”.
Inoltre un alto ufficiale di uno degli stati membri dell’ECOWAS ha sostenuto che le forze militari della regione non sono in grado di lanciare subito un intervento militare in Niger e non dispongono della preparazione necessaria.
Una critica implicita all’esercito nigeriano, potenza militare dell’ECOWAS, “Ora dobbiamo aumentare la forza delle nostre unità prima di prendere parte a un’azione militare di questo tipo”, ha detto il comandante che ha parlato sotto anonimato con il Wall Street Journal.
Valutazioni a Niamey
Hassan Boukar, fondatore a Niamey di Alternative Espaces Citoyens, un’associazione impegnata per i diritti umani, mette in guardia da un intervento militare straniero in Niger. Intervistato dall’agenzia di stampa italiana DIRE, Boukar ritiene che il punto “non è essere d’accordo o meno con i golpisti” ma che “un intervento militare per liberare Bazoum e rimetterlo al potere è un’avventura le cui conseguenze saranno indubbiamente più gravi del colpo di stato. Un conflitto rafforzerà sicuramente la già significativa divisione tra le diverse componenti della società nazionale, messa a dura prova dal modo con cui l’ex presidente Mahamadou Issoufou, predecessore e compagno di partito di Bazoum, ha gestito il Paese per dieci anni”.
Boukar valuta a rischio la tenuta dello stato di fronte a un attacco militare e alla luce della presenza di milizie jihadiste, “senza contar che, lungi dell’isolare la giunta, l’intervento straniero potrebbe rafforzarla garantendole un maggior sostegno presso l’opinione pubblica”.
Quanto alle pretese francesi di mantenere l’egemonia sul Niger Boukar evidenzia che, al di là dell’uranio, “Bazoum è uno dei pochi presidenti, se non l’unico, ad aver rafforzato la collaborazione con gli occidentali in un contesto saheliano caratterizzato dalla contestazione degli interventi militari francesi e occidentali. E’ l’uomo che ha aperto il Niger alle basi straniere. Per la Francia perdere il Niger appare catastrofico perché ha già perso uno ad uno Mali, Guinea e Burkina Faso. Parigi non vuole che questo golpe abbia successo e per di più accusa la giunta di strizzare l’occhio ai paramilitari russi di Wagner”.
In tema di politica interna nigerina Boukar sottolinea che il Parti Nigérien pour la Démocratie et le Socialisme (PNDS) cui fa capo Bazoum, si espresse in favore del golpe che nel 2010 pose fine al governo del presidente Mamadou, di cui era all’opposizione.
Il peso dell’Algeria
Per il ministro algerino degli Esteri algerino, Ahmed Attaf “un intervento militare in Niger aggreverebbe la situazione, rendendola più complicata e più pericolosa per il Paese e per l’intera regione”. Algeri condanna il colpo di stato contro il legittimo presidente e ne chiede il ritorno in carica ma non intende né partecipare né avvallare un’azione militare contro Niamey.
“Un intervento militare potrebbe incendiare l’intera regione del Sahel e l’Algeria non userà la forza con i suoi vicini”, ha detto Il presidente algerino, Abdelmadjid Tebboune. Algeri non sostiene i golpisti ma sembra gradire la cacciata delle truppe francesi da un’altra nazione del Sahel in un contesto che pare destinato ad aumentare l’influenza dell’Algeria (principale potenza militare africana con l’Egitto) sull’intera regione.
Al tempo stesso Algeri teme che un intervento militare francese o dell’ECOWAS (organizzazione di cui non fa parte) possa destabilizzare ulteriormente l’area del Sahel compromettendo in modo ancor più grave la sicurezza dei suoi confini meridionali.
Nonostante le valutazioni improntate alla cautela la Banca mondiale ha deciso di sospendere i finanziamenti programmati per il Niger, ad eccezione degli aiuti destinati al settore privato. Le sanzioni dell’ECOWAS provocano continui blackout a Niamey, Maradi e Zinder come ha reso noto la compagnia elettrica del Niger, Nigelec, che in un comunicato afferma che la causa è costituita dal taglio delle forniture della Nigeria, principale fornitore di elettricità al Niger.
Tempo scaduto per la Francia?
Gli Stati Uniti, pur chiedendo il ripristino del governo legittimo, non sembrano voler arrivare allo scontro con i golpisti, forse per non favorire la penetrazione russa anche in Niger e per garantire la continuità la presenza di 1.100 militari americani schierati nel paese per le operazioni contro i jihadisti e per addestrare le truppe nigerine, ma che oggi avrebbero un ruolo rilevante anche nel tenere sotto stretta sorveglianza l’evolversi degli eventi e l’eventuale presenza di truppe o contractors russi.
Dopo l’intimazione alle truppe francesi di evacuare il Niger il rischio che il presidente Emmanuel Macron ordini un blitz contro la giunta militare di Niamey è concreto anche se il suo governo resta molto fragile.
Il presidente deve tentare di salvare la faccia dopo l’ennesima sconfitta senza però dimenticare che un intervento militare in terra d’Africa rischierebbe oggi di minare il già debolissimo fronte interno francese, scatenando così altre violenze urbane su vasta scala che coinvolgerebbero potenzialmente ampie fasce della popolazione di origine islamica e africana.
Da un lato la Francia pare essere sola in questa opzione e rischia un pesante isolamento (in Europa come in Africa) in caso di azione bellica a Niamey, dall’altro i rapporti tra Parigi e la giunta militare nigerina sono del tutto compromessi fin da quando, subito dopo il golpe del 26 luglio, un aereo cargo francese A-400M ha violato la chiusura dello spazio aereo nigerino imposta dai golpisti, secondo alcune fonti per portare nella base francese dell’aeroporto di Niamey oltre un centinaio di uomini delle forze speciali.
Una forza d’assalto idonea a compiere operazioni di varia natura in quel contesto: dalla liberazione di ostaggi o del presidente Bazoum all’eliminazione dei membri del CNSP.
Nell’eventuale attacco militare Parigi si troverebbe sola, almeno sul fronte europeo e occidentale. La posizione della Ue è di sostenere l’ECOWAS per trovare una soluzione diplomatica alla crisi.
Anche gli Stati Uniti puntano sul negoziato. “La finestra dell’opportunità è ancora aperta. Noi crediamo che la giunta debba ritirarsi” ha detto il portavoce del dipartimento di Stato, Matthew Miller, sostenendo che ci sia ancora spazio per una soluzione diplomatica della crisi.
La vice segretaria di Stato, Victoria Nuland, arrivata a Niamey, ha incontrato alcuni esponenti della giunta militare che le ha negato l’incontro con Mohamed Bazoum, confinato nella sua residenza dal 26 luglio insieme alla moglie e al figlio.
Nei colloqui (definiti dalla Nuland “franchi ma difficili”) protrattisi per un paio d’ore i golpisti hanno sottolineato la loro determinazione ha riferito il vice segretario americano aggiungendo di aver messo “assolutamente in chiaro il tipo di supporto (al Paese africano) che dovremo legalmente interrompere se l’ordine democratico non verrà ripristinato”.
Secondo il quotidiano “Politico”, Nuland ha incontrato il generale Moussa Salaou Barmou – un ufficiale addestrato negli Stati Uniti – e con tre altri colonnelli coinvolti nel colpo di Stato. L’ex capo della guardia presidenziale Abdourahamane Tchiani, leader della giunta, avrebbe invece rifiutato di incontrare la delegazione statunitense.
A Berlino il portavoce del ministero degli Esteri ha precisato che “non c’è un automatismo” verso un intervento militare” sottolineando che il governo crede e spera in una soluzione tramite i colloqui, visto anche che le sanzioni iniziano a fare il loro effetto e che i golpisti non avranno facilità nel gestire lo Stato nigerino sul lungo periodo anche in riferimento alla disponibilità di denaro contante (il Franco CFA in uso nelle ex colonie è garantito dalla Banca Centrale francese). Parigi del resto ha sospeso anche ogni aiuto finanziario al Burkina Faso il cui governo si è schierato a fianco della giunta nigerina.
Le aspre tensioni con i francesi rischiano di mettere in difficoltà anche la presenza del contingente italiano, ridimensionato in questi giorni a circa 250 militari dopo il rientro ieri di 65 uomini a bordo di un Boeing KC-767 dell’Aeronautica. La riduzione delle truppe ha l’obiettivo di aumentare gli spazi utilizzabili da civili che dovessero venire evacuati in emergenza nella base situata all’aeroporto di Niamey. Il ministero della Difesa ha fatto sapere per la prossima settimana sono stati già programmati ulteriori voli.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani si è espresso contro un’azione militare in Niger sostenendo la necessità di mantenere aperto il dialogo con i golpisti ma è probabile che un attacco francese (o franco-nigeriano) costringerebbe il contingente italiano all’evacuazione della Missione italiana bilaterale di supporto (MISIN) che dal 2018 ha addestrato 10mila militari e gendarmi nigerini nei centri di Niamey, Agadez e Arlit.
Se non vi saranno attacchi militari, l’Italia potrà valutare se e come mantenere la presenza militare a Niamey anche dopo il ritiro dei francesi, ammesso ovviamente che esista la precisa volontà e capacità politica e logistica di sostenere la missione militare italiana.
Fonti sentite da Analisi Difesa affermano che la giunta golpista nigerina espressa dal CNSP abbia chiarito ai contingenti militari internazionali presenti a Niamey la determinazione a interrompere ogni cooperazione con i francesi e a imporre l’allontanamento delle truppe di Parigi ma che nessuna ostilità o riserva viene espressa nei confronti degli altri contingenti occidentali presenti (italiani, tedeschi e statunitensi) i cui movimenti vengono in ogni caso tenuti sotto stretto controllo considerata la situazione.
Pur in un contesto politico e militare tutto da ridefinire, l’Italia potrebbe avere l’opportunità per potenziare il suo ruolo in una regione delicata ed esplosiva ma di rilevanza strategica tenendo anche conto che il Niger è ricco di materie prime e in termini di sicurezza è interessato non solo dall’insurrezione jihadista ma anche da diversi traffici illeciti inclusi flussi di migranti illegali diretti verso le nostre coste.
Traffici che la MISIN avrebbe dovuto contribuire quanto meno a monitorare lungo il confine desertico tra Libia e Niger anche se finora nessun programma in tal senso si è concretizzato. Del resto sarebbe opportuno per un governo che varando il “Piano Mattei” ha voluto porre l’Africa al centro della sua politica estera, cogliere l’occasione per provare a restare in Niger come “potenza europea” alternativa alla Francia invece che a ruota di Parigi.
Foto: Difesa.it, Twitter, Ministero Difesa Francese, Governo del Niger, Facebook, Air Info Agadez e EPA
Leggi anche:
Golpe in Niger: il Sahel ci presenta il conto per la guerra alla Libia del 2011
Il colpo di Stato in Niger: rischi e sfide per un futuro dalle molte ombre
Gianandrea GaianiVedi tutti gli articoli
Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.