Corea: la competizione missilistica tra Seul e Pyongyang

 

In un ipotetico conflitto nella penisola coreana, i missili giocherebbero un ruolo chiave poiché entrambi i contendenti sono ben attrezzati. Di anno in anno il leader nordista Kim Jong-un batte il record di vettori lanciati vuoi per perfezionarne l’efficacia vuoi per provocazione: nel o 2022 Pyongyang ha effettuato 95 lanci fra missili balistici Scud-C, BM-25 Musudan, Hwasong-12, Hwasong-15 e Hwasong -17, e da crociera KN-01 e KN-19.

Nel 2023 sta aumentando il ritmo dei lanci: più 25 per cento rispetto al totale dei missili lanciati dal 1984 ad oggi (270), con gli ultimi due test avvenuti la notte del 12 settembre, quasi a ‘salutare’ l’imminenza del suo faccia a faccia con Vladimir Putin. Segno forse che il leader nordcoreano, forte della nuova alleanza, si sente meno vulnerabile nonostante le forti tensioni create da ogni missile che si inabissa nelle acque non lontano dalle coste nipponiche o  sudcoreane.

 

Un rapido sguardo all’arsenale missilistico del Nord

Quasi simultaneamente agli studi sul nucleare militare, la Corea del Nord ha investito massicciamente in un programma balistico che oggi può dirsi avanzato e quasi completo. La minaccia è credibile e seria, perché va dai missili tattici della serie Frog 3/5/7 ai vettori di teatro Scud B/C e varianti Nodong, passando per i KN-15 e si spinge fino alle vette strategiche con i Musudan, i KN-08 e gli Hwasong intercontinentali che, con la variante 17 raggiungono obiettivi posti fino a 15mila chilometri di distanza.

Nel piano quinquennale di Pyongyang, varato l’anno scorso, molta enfasi è posta sui vettori a lungo raggio e sui missili ipersonici, più veloci e meno intercettabili. Tre di questi ultimi sono già in itinere, con test avvenuti nel 2022. L’unico ad avere un nome è lo Hwasong-8, mentre gli altri due sono ancora sconosciuti.

Il comando missilistico è entusiasta: ritiene gli alianti ipersonici sganciati dalla testa dei vettori un successo e un traguardo notevoli, ma non è proprio tutto così. I veicoli di rientro assomigliano più a testate manovranti che non a glide vehicles e, come nel caso degli ICBM (Intercontinental Ballistic Missile), difettano ancora dell’insieme dei requisiti tecnici necessari a padroneggiare il rientro nell’atmosfera, una fase in cui i sistemi d’arma sono sottoposti a forti stress elettronici, al calore ablativo e alle vibrazioni.

Senza questi atout è difficile garantire una precisione accettabile agli strike. Se molto resta da fare, c’è da dire che la spada di Kim si sta affilando e perfezionando: i suoi ingegneri stanno lavorando soprattutto al tema della saturazione delle difese ABM (Anti-Ballistic Missile) americane e sudcoreane. E i test sono promettenti. L’anno scorso, 8 missili sono stati ‘testati’ in salva ravvicinata: non più di mezz’ora fra il primo lancio e l’ottavo.

E’ un passo notevole, che si sdoppia anche negli studi sugli SLBM (Submarine Launched Ballistic Missile), già adattati ai sommergibili classe Sinpo-Romeo e a piattaforme altrettanto sfuggenti, sommerse nell’enorme rete lacustre nazionale.

Il dossier si sta arricchendo continuamente di nuovi dettagli perché, il 6 settembre, Kim Jong-un ha presenziato al varo dell’Hero Kim Gun-ok, un sottomarino diesel-elettrico derivato dalla classe Romeo ma completamente ridisegnato per trasformarlo in un sottomarino lanciamissili balistici  capace di ospitare fino a 10 missili, fra vettori balistici e cruise con testa binata, convenzionale o nucleare.

Il magazine Naval News è convinto che i lavori di upgrade sul battello includano un armamento basato sui missili della famiglia Pukguksong e sugli Hwasal-2 da oltre 1.500 chilometri di raggio, versione a lancio verticale dei missili da crociera per l’attacco terrestre Hwasal.

Se i primi sono maturi, i secondi sono ancora perfettibili. Non ancora testati nel lancio in immersione, mancherebbero infatti di una capacità TERCOM (Terrain Contour Matching). Avrebbero però un seeker elettro-ottico, viatico ad un CEP (Circular Error Probable) contenuto se la testa è convenzionale, crescente però con un payload nucleare.

Con una piccola precisazione: il sommergibile-vettore, rumoroso come tutti i Romeo, non è chiaro se disponga di tubi lanciasiluri, carenza che lo renderebbe più vulnerabile alla caccia antisom nemica.

Ciò non toglie che il varo del battello evidenzi i progressi nordcoreani in materia, già orientati al futuro, con in programma un nuovo sottomarino lanciamissili balistici configurabile con diverse armi, dagli SRBM (Short Range Ballistic Missile) KN-23 (690 chilometri di raggio) ai cruise Hwasal-2, passando per i siluri a testa nucleare Haeil (800-900 km?), per finire con gli SLBM Pukguksong-3 (1.900 km), Pukguksong-4 (2000 km?) e Pukguksong-5, non appena saranno operativi. L’Haeil, copia mal riuscita del russo Poseidon, sarebbe destinato a strike contro città, perché provocherebbe uno tsunami radioattivo sulle coste sudcoreane e giapponesi.

Quando pronto, permetterà di perfezionare il deterrente strategico nordista ampliando le opzioni per un attacco nucleare preventivo, contemplato dalla dottrina di Pyongyang. Potrebbe inoltre giocare un ruolo antinave, soprattutto contro unità ormeggiate in rada, colpendole anticipatamente, con preavviso nullo.

Un atout per rispondere alla minaccia della flotta sudista, in forte espansione qualitativa e quantitativa. Quanto al Pukguksong-5, questo SLBM è accreditato di un raggio di 3mila chilomertri, sufficiente a raggiungere l’isola di Guam, pedina chiave del dispositivo di sicurezza americano nell’INDOPACOM (IndoPacific Command).

.Stanti questi dati, i piani per i nuovi sottomarini lanciamissili balistici  potrebbero beneficiare pure di trasferimenti tecnologici russi, probabili nell’ambito del do ut des reciprocamente vantaggioso fra Mosca e Pyongyang  suggellato dall’alleanza bilaterale di Vladivostok, sorta di triplice in nuce, con la Cina.

 

Approfondendo lo sguardo sui missili di Kim

Forse è meglio spendere due parole sul passato e ricordare che i piani missilistici nordcoreani datano ormai dagli anni ’60. Nel decennio successivo Pyongyang si procurò missili sovietici della famiglia Scud B dall’Egitto di Anwar Sadat

Fu il primo passo, incerto, perché gli Scud B erano limitati per gittata (300 chilometri) e precisione. Servirono tuttavia da base alla maturazione di tecnologie evolutive, da cui far germogliare un programma balistico nazionale. Con due punti fermi: reingegnerizzare quei missili e aggiungervi migliorie, grazie alla cooperazione con altri paesi proliferanti (in primis Pakistan, Iran e Siria) e attingendo al know-how di Russia e Cina.

Su quelle basi sono nati gli Hwasong-5/6/7, tutti monostadio e a corto raggio, una sorta di Scud migliorati tanto che il Pentagono li designa come Scud B, C ed ER. Alcuni sono stati esportati in Yemen, Iran e Siria. Chiamarli Scud è forse leggermente riduttivo, perché gli Hwasong sono propulsi da un carburante più stabile e hanno un tempo di preparazione al lancio molto più ridotto.

La loro carica bellica può essere esplosiva classica, ad alto potenziale, o chimica e nucleare, anche se la portata differisce a seconda della variante. Lo Hwasong-5 arriva a un massimo di 300-320 km, è operativo dal 1986 e ha una testata di 1000 chili. Lo Hwasong-6 aumenta il raggio d’azione a 500 km a scapito della massa della carica esplosiva e della precisione terminale.

La gittata si spinge invece fino a 800-1000 km nel caso dello Hwasong 7, che rientra comunque nella categoria degli SRBM. Da quella base tecnica è partita la corsa nordcoreana ai vettori di medio raggio e ai missili sempre più prestanti. Con una prima rottura di capacità negli anni ’90, simboleggiata dai Nodong o Rodong, missili a medio raggio da 1300-1700 km di gittata, concepiti con l’aiuto russo, iraniano e ucraino.

Dai piani del Nodong è scaturito anche lo Shebab-3 iraniano, segno che il legame fra i due paesi è solido e di lunga data. Pyongyang ha collaborato con Teheran nella realizzazione del centro sperimentale missilistico di Shahrud, in Iran, paese che ha assorbito praticamente metà dell’export missilistico nordcoreano tra la fine degli anni ’80 e l’inizio del decennio successivo. L’Iran ha colmato il ritardo e sembra aver superato i nordcoreani con oggi un minor interesse a cooperare, almeno secondo un rapporto recente del Senato americano.

 

La potenza di fuoco di Kim

Un report del think-tank Jane’s stima che il Nord allinei 13 brigate missilistiche, in crescita dalle 9 del 2017, con più di 1000 vettori, da quelli di teatro a quelli strategici. Un 5% sarebbe costituito ancora da missili KN-02, che i nordcoreani avrebbero sviluppato mutuando le tecnologie degli SS-21 Scarab sovietici con un raggio d’azione di 130-170 chilometri, denominati Toksa, ma la faccenda non è molto chiara, perché non risulta che la Corea abbia mai importato gli SS-21 (ma potrebbe averne acquisito il know-how tecnologico.

Non meno di 500-700 SRBM-MRBM (Medium Range Ballistic Missile) sarebbero disponibili al lancio rapidamente, un numero sufficiente a garantire alle forze missilistiche nordcoreane un impatto dirompente. Pyongyang potrebbe lanciarne ogni ora fra 54 e 72, almeno nelle primissime fasi di un eventuale conflitto. Per ora, è questo mix di missili a corto e medio raggio il nerbo del deterrente nordcoreano, ancora più pregnante da quando si è cominciato a lavorare pure sui KN-18 da oltre 450 chilometri, con testate multiple e manovranti e sui KN-24 da 410 chilonmetri cui si aggiungono i KN-23, dallo status incerto ma dal raggio stimato in 450 chilometri e i KN-25, altri SRBM da 380 chilometri.

Ai missili vanno aggiunte le artiglierie, forti di oltre 10.000 pezzi, e incentrate molto più sulla massa che non sulla manovra. Oltre 4.400 sono i semoventi, 3.500 gli obici a traino meccanico, 2.500 i lanciarazzi campali multipli (MLRS), senza contare le migliaia di mortai da 120 mm.

Un insieme che offre una potenza di fuoco fenomenale e che, con i missili, tornerebbe utile anche a Mosca. Con una piccola precisazione: gran parte dei pezzi d’artiglieria e dei proietti nordcoreani è vecchia, risalente a prima degli anni ’80. Non basta perché, prima di guerreggiare con il Sud, il Nord dovrebbe risolvere qualche problemino a partire dalla rete di comunicazioni e comando, tanto incompleta quanto indispensabile all’agilità delle forze sul terreno. Rimane tuttavia che i nordisti hanno potenzialità da vendere, con un dato che colpisce: predominano nel loro arsenale le artiglierie semoventi, in controtendenza rispetto a quanto si osserva nella maggior parte dei paesi. Se ne deduce una preponderanza dell’offensiva sulla difensiva.

La dottrina prevede attacchi sistematici lungo tutto l’asse di penetrazione scelto, seguito da avanzate progressive. Di salto in salto, sotto il tambureggiamento dei cannoni. La faccenda della mobilità è essenziale, visto che meno di 800 chilometri di strade sono asfaltati, e la logistica potrebbe essere l’anello debole della struttura attuale della forza nordcoreana.

Facile ipotizzare che il consumo di munizioni sarebbe soverchiante e rischierebbe di mandare in tilt le linee di comunicazione, poco numerose e molto vulnerabili agli eventuali raid del sud e dell’alleato americano. Però i danni ci sarebbero, eccome. Siccome la zona smilitarizzata (DMZ) corre per 250 chilometri i nordcoreani potrebbero blindarla con un obice ogni 31 metri e un lanciarazzi da 240 o 122 mm ogni 100 metri, nascosti nei bunker sulle colline circostanti o dissimulati su camion civili. Secondo l’agenzia Yonhap, l’area sarebbe già presidiata da un migliaio di pezzi nordisti, inclusi sei battaglioni con semoventi M-1978 e M-1989 da 170 mm di calibro e 54 km di gittata, e di dieci battaglioni di lanciarazzi da 240 mm con un raggio operativo tra i 40 e i 60 chilometri come i semoventi Koksan M1978.

Seul, con i suoi 10 milioni di abitanti, è a tiro, distante meno di 50 chilometri dalla DMZ. Secondo alcune stime, potrebbe essere bersagliata da oltre 5.000 colpi già nel primo minuto di fuoco.

Pur essendo un gigante dell’artiglieria (e non solo), è esposta perché non ancora protetta da sistemi contro-razzi. Il progetto per un cannone C-RAM indigeno, avviato nel 2022, non sarà ultimato prima del 2035. Prima di allora, tutti i centri urbani a ridosso della zona cuscinetto rischierebbero migliaia di morti, forse 10mila nella prima ora di un eventuale conflitto, perché sarebbe impossibile neutralizzare sistematicamente e repentinamente tutti i cannoni nordcoreani, 6mila dei quali dedicati agli attacchi alle città.

Meglio non dimenticarlo, perché Pyongyang dispone pure di un lanciarazzi multiplo con munizioni guidate, una tecnologia fornita molto probabilmente dalla Cina. Il pezzo, da 300 mm, e noto come KN-09, ha una gittata di 200 chilometri e impiega munizioni a guida attiva GPS come si deduce anche dalle alette direzionali sulle testate. Un sistema che permetterebbe di bilanciare l’effetto di massa dei vettori non convenzionali con una migliore precisione terminale dei razzi convenzionali, capaci di strike quasi chirurgici.

Fermo restando che per essere precisi bisogna eccellere nel targeting e nell’intelligence, campi ancora deficitari in Corea del Nord. La dottrina in materia prevede l’infiltrazione massiccia di operatori delle forze speciali dietro le linee nemiche, in particolare a bordo di 80 velivoli ad ala rotante Hughes 500D, alcuni dei quali armati secondo il Military Balance 2023. Ma non chiarisce quanto sicure siano le comunicazioni con le retrovie.

In ogni caso la Corea del Nord sta diventando anche una potenza spaziale e sta imbastendo un apparato ISR embrionale (Intelligence Surveillance Reconnaissance) con il lancio nel 2016 del satellite da ricognizione Kwangmyongsong IV.

Secondo i servizi sudcoreani avrebbe una massa di 200 kg, identica al peso del satellite ottico militare israeliano Ofek-3. Le coordinate orbitali, divulgate dal NORAD statunitense, lascerebbero desumere un’orbita eliosincrona compresa fra 309 e 318 km, con un’inclinazione di 97,4°, caratteristiche che permetterebbero ai sensori di non esporsi mai ai raggi solari e di passare sulla verticale di un punto terrestre con un livello di luce costante.

Il satellite completerebbe ogni orbita in circa 90,5 minuti. Quando furono diffuse le immagini del predecessore, il Kwangmyongsong III, lanciato nel 2012 ad un’altitudine di 372-388 km, emerse che il dimostratore era dotato di quattro pannelli solari, strumenti di misurazione, una camera ottica, e cinque antenne per ricevere e trasmettere dati nelle bande comprese fra 0,3-3 ghz e 7-12 ghz.

Alcuni analisti ritengono che la finalità fosse testare la capacità di trasmettere immagini digitali e, forse, sperimentare una capacità d’intercettazione SIGINT (Signal Intelligence). In più del -III, il Kwangmyongsong IV dovrebbe avere un telescopio di 40 cm di diametro, con risoluzione inferiore al metro. Un passo successivo ai test nucleari e ai vettori o, se si preferisce, il tassello mancante, cioè il puntamento o targeting con obiettivo probabile l’identificazione dei siti radar antibalistici nemici. Con buone prospettive visto che, da un paio d’anni, il sito di lancio di Sotae è stato modificato per accogliere razzi-vettori ancora più grandi e ricevere immagini satellitari, con l’installazione di una parabola.

Nonostante il tentativo spaziale andato a vuoto a metà agosto, i sensori Kwangmyongsong potrebbero essere ancora operativi. Quanto poi correttamente funzionino non è dato sapere. Il blog 38north li ritiene fuori servizio, ma non fornisce le motivazioni. Una cosa però è certa, anche i programmi spaziali e (l’aeronautica) nordisti potrebbero beneficiare del nuovo corso con Russia e Cina, alleati sempre meno vincolati al rispetto dell’embargo decretato dall’Onu contro Pyongyang.  Un altro effetto della polarizzazione mondiale determinato dalla guerra d’Ucraina.

 

La risposta della Corea del Sud

Di fronte alla minaccia del Nord, il Sud è tutt’altro che inerme. Dispone infatti di una gamma completa di missili balistici e da crociera. Ha iniziato le prime ricerche in materia negli anni ’70, sotto la stretta sorveglianza dell’alleato americano, che temeva una proliferazione di armamenti non convenzionali.

Nel 1971-1972, l’allora presidente Park Chung-hee emanò le direttive per lo sviluppo di un primo missile nazionale. Era una triplice risposta alla dottrina Nixon, al timore di un disimpegno americano dalla penisola e all’acquisizione da parte della Corea del Nord dei Frog-5, già in grado di raggiungere Seul.

Erano gli anni in cui la Corea del Sud si stava imbarcando nel Progetto 890, un programma nucleare militare, sorta di reazione allarmata al rimpatrio e al mancato rimpiazzo americano della 7th Infrantry Division.

I sudcoreani temevano che Washington avrebbe presto ritirato anche le garanzie dell’ombrello nucleare. In quel 1972, i diplomatici sudcoreani cercarono di negoziare con Canada e Francia l’acquisizione di un impianto per il riprocessamento dell’uranio. Un passo coronato da successo nel 1974, con il via libera di Parigi. Quando Saigon cadde in mano alle forze nordvietnamite, un anno dopo, Seul si mostrò piccata e dichiarò senza indugi la volontà ferrea di proseguire nello sviluppo del deterrente nucleare, nel caso in cui Washington avesse smantellato le armi atomiche tattiche dislocate nella penisola.

Furono minacce effimere. Anche perché, quando gli Usa paventarono di ritirare tutte le forze convenzionali, quelle nucleari, e di denunciare l’accordo di sicurezza bilaterale che legava i due paesi dall’armistizio del 1953, i sudcoreani rientrarono nei ranghi e non produssero alcun materiale fissile.

.Anzi, si vincolarono nel 1974 a un accordo con gli americani che proibiva il riprocessamento del combustibile nucleare esaurito dall’uso civile, e nel 1975 aderirono al trattato di non proliferazione, aprendosi da allora alle ispezioni regolari dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA).

Fecero solo alcuni esperimenti su pochi milligrammi di plutonio, non adatti alla realizzazione di bombe, testando processi di arricchimento chimico e laser entro una certa soglia. Non li notificarono all’AIEA, ma erano anni difficili, in cui il regime di Pyongyang stava gettando le prime basi del suo armamento nucleare. Parallelamente ai programmi mai sbocciati di armi atomiche, i sudcoreani si misero subito all’opera in campo missilistico. Concepirono un primo sistema superficie-superficie, l’NHK-1 Baekgom, testandolo il 26 settembre 1978.

Il missile aveva una gittata di 180 km. Era incentrato sul SAM Nike Hercules. Ed era stato provato con successo in 67 lanci, un’accelerazione legata al fatto che in quegli anni Washington stava ritirando i propri missili dalla Corea del Sud, con la disattivazione del 4th Missile Command.

Il Baegkom lasciò di stucco gli americani. Che reagirono. Nel 1979, ‘imposero’ a Seul un memorandum d’intesa, noto come Missile Note. Una sorta di argine alle intemperanze dell’alleato. Il MoU esigeva che Seul realizzasse solo missili di gittata inferiore a 180 km, con un payload massimo di 300 chili.

In contropartita gli Stati Uniti si impegnavano a trasferire know-how balistico. Era un do ut des problematico. Seul non abbandonò infatti la sua ascesa balistica e, negli anni ’80, quando Pyongyang si dotò dei primi Scud-B, mise a punto un altro missile, a propellente solido, limitandolo comunque a 180 km di portata, nonostante nei test fosse emersa la possibilità di raggiungere 250 km di raggio. Era l’atto di nascita della serie degli Hyunmoo.

Nel 1987, lo Hyunmoo-1 era ormai operativo. Vennero acquistati 12 MEL, complessi a rimorchio, capaci di garantire mobilità al missile, che era lungo 12 m e pesante 5 tonnellate, imperniato su una configurazione bi-stadio a guida inerziale. Gli americani reagirono blandamente. Ma fecero pressioni per rinnovare il Missile Note. Ed ebbero successo, perché l’intesa fu raggiunta nel 1990, con le stesse limitazioni della precedente.

Solo che tre anni dopo, la Corea del Nord testò il Nodong, che raggiungeva i 1.300 km di distanza con un carico utile di una tonnellata. Per colmare il gap missilistico, Seul iniziò le manovre per rinegoziare i termini del trattato del 1979. Fu una fatica di Sisifo, con tentativi andati a vuoto per diversi anni. Gli americani nicchiarono, evidenziando come dal 1986 avessero riportato i missili in Corea, con lo schieramento del B6-32nd Field Artillery Regiment, dotato degli MGM-52 Lance.

Nel 1997 acconsentirono tuttavia a vendere a Seul 111 missili terra-terra ATACMS Block 1 da 145 km di portata e 29 lanciatori M-270. Solo che i test nordcoreani non accennavano a diminuire e quando fu la volta del Taepodong-1, il 31 agosto 1998, i sudcoreani rimasero interdetti.

Il missile aveva una gittata intermedia. Seul prese le contromisure ma aveva le mani in parte legate. Dopo venti round di negoziati, il 17 gennaio 2001 riuscì a strappare a Washington un nuovo accordo. Da quel momento in poi avrebbe potuto mettere in produzione missili con gittata fino a 300 km e payload massimo di 500 chili.

Lo stesso giorno, gli americani annunciarono di spalleggiare la candidatura di Seul al Missile Technology Control Regime (MTCR), un regime di controllo missilistico multilaterale cui la Corea aderì ufficialmente il 26 marzo successivo. A quella data, il Sud era ormai membro di tutti i più importanti trattati di controllo degli armamenti.

Nel 1997 la Corea del Sud aveva ratificato anche la Chemical Weapons Convention e la convenzione sulle armi biologiche e ultimò lo smantellamento di migliaia di tonnellate di munizionamento chimico d’artiglieria nel 2008. Intanto, c’erano stati sviluppi nell’acquisizione missilistica, in linea con il nuovo MoU con gli USA. Nel dicembre 2001, il Congresso americano aveva infatti dato il via libera alla vendita dei missili superficie-superficie ATACMS Block-1A, che Seul aveva richiesto nel 1999.

Era un passo verso l’aumento della gittata, che si concretizzò con il primo schieramento operativo dei Block-1A nel 2003. La Corea del Sud sarebbe stata armata con missili da 300 km di raggio, capaci di colpire buona parte della Corea del Nord. Nel settembre 2006, venne istituito il Comando missilistico, tuttora esistente in forma rivisitata, con un battaglione all’epoca equipaggiato di missili guidati Hyunmoo-1 e un secondo battaglione dotato degli ATACMS.

Seul ha sviluppato di recente un missile tattico nazionale che ricalca la configurazione dell’ATACMS, con guida GPS ma portata limitata a 120 chilometri.

I test di questo vettore, noto come KTSSM II (Korean tactical surface-to-surface missile) o Ure, sono ormai ultimati e la versione Block 1 inizierà presto la produzione di serie.

 

Gli altri missili balistici più recenti

Siccome i vincoli missilistici di Washington sono stati progressivamente allentati per scomparire poi del tutto, la famiglia di missili balistici a corto raggio Hyunmoo ha potuto crescere e allargarsi.

Lo Hyunmoo-2B, da 300 km, è entrato in linea nel 2009. Secondo alcune fonti avrebbe una gittata potenziale di 500 km, il che assesterebbe un’eventuale spallata all’MTCR, che limita il raggio d’azione dei missili balistici a 300 km per 500 kg di carico bellico. Del -2B sappiamo che la testata è disponibile sia in un modello a frammentazione, sia in carica unitaria da 480 kg, 272 kg dei quali costituiti da esplosivo ad alto potenziale HBX-6.

Nel 2010, dopo il bombardamento dell’isola di Yeongpyong e il siluramento della corvetta Cheonan, la tensione nella penisola coreana salì nuovamente alle stelle. Il governo Lee-Myung-bak esercitò in quei frangenti la massima pressione sulla Casa Bianca per rivedere i termini dell’accordo bilaterale sui missili. Nell’ottobre 2012, la portata massima fu così estesa a 800 km, purché il payload fosse mantenuto entro i 500 kg.

Da allora, la strada è risultata spianata verso la realizzazione dello Hyunmoo-2C. Con una precisazione. L’accordo del 2012 conteneva già una clausola di trade-off, molto importante per Seul. La Corea del Sud era legittimata ad aumentare la gittata dei suoi missili in proporzione alla riduzione del payload. In pratica le era possibile svariare, sviluppando ad esempio un missile balistico da 1.600 km e payolad di 250 kg, oppure adattare un carico utile da 2 tonnellate su missili a più corto raggio.

Sta di fatto che gli 800 km dello Hyunmoo–2C garantivano già un buon margine di manovra. Lanciando il missile da Daegu, al centro geografico della Corea del Sud, poteva essere colpito tutto il territorio del Nord, e in particolare i siti missilistici balistici, gli aerodromi, le batterie di difesa aerea, le concentrazioni di truppe e materiali, i posti comando, i nodi logistici e di supporto ed altri obiettivi cruciali.

Ovvio, oltre la Corea del Nord, lo Hyunmoo-2C poteva raggiungere la Cina e le regioni di frontiera russe più vicine al territorio sudcoreano e, beninteso, buona parte del territorio giapponese. Oggi sappiamo che questo missile ha potenzialità superiori al sistema russo Iskander-M su cui è in buona parte basato. Può infatti veicolare diverse testate convenzionali, cluster, fuel-air explosive, bunker-busting ed elettromagnetiche.

Teoricamente è abilitato al lancio di testate nucleari o chimiche. Anche se Seul non ha ancora intenzione di dotarsi di armi nucleari, dispone di tutte le capacità per oltrepassare la soglia nucleare in un tempo di breakout stimato fra i 6 mesi e i tre anni. È una potenza nucleare civile, con 25 reattori nazionali e una dirompenza sui mercati esteri, grazie alla vendita di quattro centrali agli Emirati Arabi Uniti e, presto, alla Polonia.

É leader mondiale in alcune tecnologie critiche, come i semiconduttori, le macchine-utensili di precisione e gli esplosivi convenzionali ad alta energia, indispensabili a qualsivoglia programma nucleare. Ma non possiede attualmente nessun atout per la produzione di materiali fissili, vietati come detto dal trattato del 1974 con gli USA.

Ha una politica altalenante, oscillante fra tentativi di abolire la clausola d’interdizione e il rinnovo dell’accordo di disarmo nucleare nel 2015. Ha fatto della denuclearizzazione della penisola un perno della sua strategia di non proliferazione con il Nord, almeno dal 1991. Ma sulla stampa ritorna sistematicamente la questione dell’arma nucleare.

Alcuni uomini politici, specie fra i conservatori oggi al potere, sono aperti fautori dell’atomo bellico e anche l’opinione pubblica è maggioritariamente favorevole, essendosi espressa con una maggioranza di sì in tutti i sondaggi effettuati dal 2016 in poi.

Ovvio, se il Giappone optasse per l’arma nucleare, i sudcoreani non perderebbero tempo, nonostante l’appeasement fra i due paesi. Il nucleare rimane così fra le opzioni sul tavolo. Un discorso equivalente può essere fatto anche per le armi chimiche, ancora più facili da produrre per i laboratori sudcoreani. Oggi si tratta tuttavia di ipotesi remote. Meglio tornare allora a descrivere brevemente le caratteristiche dei missili sudisti e dello Hyunmoo-2C, testato nuovamente ai primi del 2017.

Il sistema di guida è inerziale, con aggiornamenti di traiettoria GPS. Il missile ha una precisione metrica, e può colpire bersagli in movimento, visto che le coordinate dell’obiettivo possono essere aggiornate durante la fase di volo, se necessario. Con velocità supersonica, il -2C esegue manovre evasive nella fase terminale di volo e rilascia inganni di quinta generazione per aggirare le difese antibalistiche nemiche. È montato su un veicolo di lancio (TEL) a cinque assi, molto simili ai camion tattici americani LVSR, ottimi nella mobilità su ogni tipo di terreno.

La cabina è blindata contro i tiri di armi leggere e i calibri fino a 22 mm. Ovviamente, il lanciatore è accompagnato da veicoli di trasporto missili, posto comando, manutenzione e logistica. Seul sta puntando nel frattempo molto in alto. Ha un programma di lanciatori spaziali, le cui tecnologie condividono molti aspetti della tecnologia militare: sebbene i missili balistici utilizzino in genere motori a razzo e metodi di lancio diversi da quelli civili, alcune componenti sono spesso simili, a partire dai sistemi di guida e di controllo.

Seul lo sa e ha messo a punto un primo lanciatore, il Korea Space Launch Vehicle-1 (KSLV-1) che, dopo diversi insuccessi, è riuscito a mettere in orbita un primo satellite scientifico nel gennaio 2013.

L’aiuto russo è stato fondamentale, nonostante la Corea ambisse a fare da sola. Il bureau di design Krunishev ha sviluppato infatti il motore ad alimentazione liquida e ha contribuito a costruire le infrastrutture di lancio. Il razzo è pertanto un ibrido, con i suoi 33 metri di altezza. Il primo stadio è derivato dal modulo russo URM-1 (Universal Rocket Module), mentre il secondo stadio è di fattura sudcoreana.

Oggi è disponibile anche un razzo tri-stadio, il KSLV-2, capace di trasportare un carico utile di 1,5 t. E’ questo lanciatore che il 25 maggio scorso ha portato in orbita 7 satelliti, incluso uno equipaggiato con radar ad apertura sintetica SAR.

Gli sviluppi spaziali vanno inquadrati nello scenario in evoluzione delle capacità non convenzionali nordcoreane. A luglio 2017, dopo il test del missile intercontinentale nordista Hwasong-15, l’ex presidente sudcoreano Moon Jae-in espresse la volontà di rinegoziare nuovamente i vincoli missilistici imposti dal trattato con gli americani.

L’obiettivo iniziale era quello di accrescere il payolad autorizzato fino a una tonnellata per i missili da 800 km di gittata. Ma il sesto test nucleare di Pyongyang, il 3 settembre 2017, ha rimescolato le carte e i presidenti Moon e Trump si sono accordati per abolire tutti i limiti di carico bellico iscritti nell’accordo bilaterale, pur conservando il limite di gittata, caduto definitivamente in seguito all’intesa fra Joe Biden e il nuovo presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol.

Seul punterebbe attualmente ad aumentare il carico pagante dei suoi missili balistici nel caso in cui si trovasse costretta a colpire obiettivi del Nord, visto che Pyongyang dispone di siti induriti e profondamente interrati. Secondo l’analista Joseph Bermudez si tratterebbe di 10.000 bersagli circa, costruiti a una media di 90 metri sotto terra e fino a 300 per alcuni centri di comando strategico. Rifugi scavati sotto la roccia dura e camuffati spesso con misure di inganno per nasconderne la vista ai satelliti.

Qualcosa che il Nord ha fatto assimilando le dure lezioni della guerra di Corea e studiando gli effetti dei bombardamenti americani. Un approccio rafforzato dal dispiegamento ricorrente di armi nucleari tattiche americane nella penisola, una mossa che ha convinto il Nord a santuarizzare e fortificare il territorio. La guerra del Golfo del 1990-1991 non ha fatto che galvanizzare i piani di bunkerizzazione del regime.

Poter distruggere i siti fortificati è diventata così una priorità per l’alleanza Seul-Washington. Siccome molti esperti ritengono che un payolad di 1 tonnellata non cambierebbe di molto le potenzialità dei missili, abilitandoli al più a una penetrazione di 15-20 metri, ecco farsi strada l’ipotesi di missili con un carico bellico da 8-9 tonnellate, come lo Hyunmoo-V (300-3000 km di raggio), che armerà la nave arsenale Joint Strike Ship.

Con questo payload, lo Hyunmoo-V picchierà sul bersaglio a velocità terminali di mach 10, penetrando 100 metri di profondità e di cemento armato. Anche lo Hyunmoo-2C potrebbe essere presto equipaggiato con un payload ben superiore a una tonnellata. A settembre 2016, il Korea Herald evocava un missile da 1,8-2 tonnellate e con il raddoppio del carico utile sarebbe possibile neutralizzare almeno parzialmente i bunker sotterranei nemici, colpendo in particolare i sistemi di comunicazione, le prese d’aria e gli accessi.

Qualcosa che richiederebbe un’intelligence affidabile e precisa. La Corea del Sud non ha ancora deciso il da farsi. Sa che gli americani hanno un altro atout, grazie alla bomba MOAB e alla munizione convenzionale GBU-57, equipaggiata con un carico bellico da 2,4 t e capace di perforare 60 metri di cemento e 40 di roccia moderatamente dura. Solo che le MOAB e le GBU-57 sono poche e l’unica alternativa plausibile e a portata sarebbero le armi nucleari tattiche, che gli americani non schierano più in Corea, anche se hanno ripreso a spedirvi i sottomarini lanciamissili balistici.

 

I missili da crociera di Seul e i loro vettori

La Corea del Sud ha anche un altro asso nella manica. Negli ultimi anni, il suo sforzo maggiore si è concentrato sui missili da crociera prodotti localmente, con l’unica eccezione per gli Harpoon e i missili aria-terra tedeschi Taurus KEPD 350. Seul punta ad allineare un gran numero di cruise, per esser pronta a colpire le basi missilistiche e i punti nodali nordcoreani in caso di crisi.

Si è lanciata pertanto in uno sviluppo fitto di successi. Primo, dal 2006 è operativo un cruise antinave da 150 km di gittata, l’SSM-700K Haesong, sviluppato fra il 1996 e il 2003 con un piano di investimento da 100 milioni di dollari. Alcuni analisti lo ritengono superiore all’Harpoon, da cui è derivato. Subsonico, il missile beneficia di un sistema di guida radar attiva in fase terminale.

È in dotazione su tutte le principali navi di superficie, che si tratti dei KDX-2 (8 Haesong), dei KDX-3 (16), delle FFX Batch-1 (8) e delle FFX- Batch-2. Molta cura è stata poi dedicata da Seul alle capacità di strike terrestre. Dal 2016, le 6 fregate classe Incheon (FFX Batch-1) sono armate con l’Haesong-2, un TSLM (Tactical Surface Launch Missile) dalla gittata di 500 km. Si tratta del primo missile cruise supersonico a disposizione di Seul che, abbinato agli Hyunmoo-3C a lungo raggio, permette alla marina di Seul di giocare un ruolo attivo nella kill-chain delle capacità nordcoreane.

Il raggio d’azione dei missili, unito alla mobilità delle navi, permette di coprire l’integralità della Corea del Nord. Vediamo allora di ricordare le tappe della gestazione dell’Haesong-2. Lo sviluppo del missile è stato curato dall’Agenzia per lo sviluppo della Difesa sudcoreana e da LIG Nex1. Testato una prima volta nel settembre 2007, e sviluppato a partire dal 2011, il missile è conosciuto ai più dal 14 febbraio 2013, quando il ministero della Difesa ne ha rivelato l’esistenza, due giorni dopo il terzo test nucleare nordcoreano.

Il vettore è stato concepito per colpire piattaforme fisse, come posti comando, basi aeree, lanciatori di missili e sistemi di artiglieria. Oggi ne esistono due varianti: la prima, di cui abbiamo parlato è la SL-Haesong-2 a lancio inclinato o Slaunt-Launched, che è compatibile con i tubi di lancio dell’Haesong-1. La seconda, predisposta per il lancio verticale dai pozzi K-VLS (Korean Vertical Launch System), si chiama VL-Haesong-2.

Ha un sistema di propulsione più potente della prima e un peso al lancio di circa 700 kg. La testa di guerra è predisposta per ospitare submunizioni perforanti. Il motore è un turbojet che spinge il missile a velocità superiori a 343 metri al secondo. La guida è inerziale e assistita da GPS, un combinato disposto che garantisce al missile la variazione delle coordinate d’impatto, potendo esser riprogrammato sull’obiettivo dopo il lancio. Oltre alle fregate Incheon equipaggia anche i caccia KDX-III.

Vediamo di conoscere meglio questi battelli. Le Incheon Batch-1 da 3.125 tonnellate a pieno carico sono entrate in servizio fra il 2013 e il 2016. Oltre agli 8 Haesong-2, dispongono di un cannone da 127 mm, di un lanciatore RAM per la difesa ravvicinata e di un Phalanx. Possono imbarcare un elicottero. Una seconda serie, classe Daegu (FFX Batch-2), è ottimizzata per la difesa aerea, con una stazza leggermente superiore, un cannone da 127 mm, una capacità di lancio di 8+8 Haesong, compresa la variante TSLM, più 128 celle per il lancio verticale K-VLS.

Per il lancio da sottomarino è stata inoltre sviluppata dall’ADD (Agency for Defense Development) e da LIG Nex1 un’ulteriore variante del missile: l’Haesong-3, da 1.500 km di gittata. Le fonti concordano nel definire l’Haesong-3 estremamente preciso, con un CEP di 1-3 metri.

Propulso da un razzo turbojet, il missile raggiunge velocità supersoniche di 830 metri al secondo. Può essere impiegato sia per l’attacco terrestre sia in funzione antinave. È lanciabile dai tubi dei siluri e non necessita di sistemi avanzati per l’eiezione verticale. Come l’Haesong-2, è stato rivelato il 14 febbraio 2013. Equipaggia attualmente i battelli classe Son Won-II ed è in linea con i sottomarini da 3.000 tonnellate KSS-3, una classe di navi dotata di missili balistici a carica convenzionale land attack Hyunmoo 4-4, derivati dagli Hyunmoo-2B, di siluri, di missili antinave a cambiamento di ambiente, di mine e di sei missili da crociera per l’attacco terrestre Hyunmoo-3C. Un modo per allargare la dissuasione, con un occhio di riguardo anche all’espansionismo cinese.

Alcuni ritengono lo Hyunmoo-3C molto simile ai Tomahawk statunitensi e ai Klub/Kalibr russi, qualcosa che ha sancito l’ingresso della Corea in un gotha elitario di pochi paesi. La Francia c’è entrata a fatica, con il Missile da crociera da Navale (MdCN). Ma torniamo alla serie degli Hyunmoo, che è divenuta cruciale nella postura di Seul e nei suoi concetti di kill chain e di Korea Massive Punishment and Retaliation (KMPR), un piano elaborato come rappresaglia massiccia e rapida ad un attacco nordista.

Tutte le varianti degli Hyunmoo hanno un sistema di guida inerziale, GPS e tecnologia TERCOM, e sono propulsi da carburante solido per motori turbojet. Oltre alla -3C esistono in linea altre due varianti. La 3A, mobile, per il lancio terrestre, ha un raggio di 500 km, sufficiente a colpire Pyongyang ma non i siti di lancio nemici più a nord, come il poligono di Musudan-ri nella provincia di Hamgyeong. Un limite che ha spinto Seul a sviluppare la seconda variante, a più lungo raggio, nota come Hyunmoo 3B, in linea dal 2009 con un raggio praticamente raddoppiato (1.000 km).

Il missile, altrettanto mobile, è previsto per il solo lancio terrestre. È il primo LACM (Land Attack Cruise Missile) sudcoreano a poter colpire qualsiasi punto della Corea del Nord da qualsivoglia località di lancio. La variante 3C che abbiamo già citato aggiunge versatilità d’impiego, potendo esser lanciata da assetti navali, come i caccia lanciamissili classe Sejong, i sottomarini KSS-3, i KDX-II e III, le fregate Incheon e le Daegu.

I cacciatorpediniere lanciamissili Sejong Daewang da 10.290 tonnellate sono una sorta di versione ingrandite dei DDG Arleigh Burke, rappresentano una vera e propria dimostrazione di forza da parte della Corea del Sud, con 128 tubi di lancio verticale, di cui 96 Mk41 e 32 K-VLS, 16 missili antinave Haesong e fino a 32 Huynmoo-3C, più la capacità di imbarcare due elicotteri.

Qualcosa che ne fa le navi occidentali della categoria più potenti oggi in servizio. Dotate del sistema di combattimento Aegis, sono state le prime unità a ricevere i K-VLS, che permettono di imbarcare le due munizioni locali per antonomasia, il -3C e il K-ASROC anti-sottomarino Hongsangeon. Non è ancora chiaro quali siano invece le caratteristiche finali dello Hyunmoo 4-4 e quali unità equipaggerà oltre i KSS-3. Un primo lancio di questo missile, a combustibile solido, è intervenuto nel 2020.

Nel raccontarne, il magazine The Diplomat lo accredita di un raggio d’azione di 800 km e lo descrive come un vettore armabile con una testa convenzionale earth-penetrating da 2 t. Un payload che ne farebbe l’arma per antonomasia del Korea Massive Punishment and Retaliation e della decapitazione della leadership nordista. . A termine, la portata dello Hyunmoo-4 potrebbe salire fino a 3mila chilometri. riducendo il carico utile.

 

I missili difensivi

L’insieme delle capacità missilistiche sudcoreane è al centro della strategia di difesa nazionale, nerbo del cosiddetto Triad System. I suoi tre pilastri sono il Korea Air and Missile Defense System (KAMD), la Kill Chain e il KMPR.

Qui ci occupiamo del primo. Seul sta imbastendo una difesa antimissile robusta. Ha scelto di partire con un sistema nazionale a basso strato, annunciandolo fin dal 2001 e cominciando le acquisizioni nel 2006, per poi ampliare l’ombrello. Si tratta di un piano complesso e ambizioso. I detrattori ne evidenziano l’inferiorità tecnica rispetto a quanto disponibile negli USA e in Giappone ma i sudcoreani vi stanno investendo copiosamente. Fra il 2014 e l’anno scorso, il Ministero della Difesa, a Seul, ha iniettato il 13,7% del suo bilancio militare in questo tipo di difesa.

L’architettura generale, quasi completa, sta gettando le basi di un sistema integrale. Si è arricchita col tempo di tasselli importanti ed ha ora operativo un centro di comando interforze, il Korean Theatre Missile Operation. Nel settore della detezione antibalistica, Seul può contare già sui due radar israeliani EL/M-2080 BlockB Green Pine da 800 km di raggio, acquistati nel 2009 e dispiegati nel 2012, con altri due esemplari arrivati successivamente. Si aggiungono i radar SPY-1D dei caccia KDX-III Aegis.

Ma c’è ancora qualche vulnerabilità, visto che il KAMD dipende ancora dai satelliti americani da ricognizione e da allerta precoce SBIRS, in attesa che il programma satellitare autoctono sia ultimato. Per quanto riguarda l’intercettazione, la Corea del Sud ha molti scudi, a partire dai Patriot PAC-2 e dalle batterie di PAC-3, affiancate dalle omologhe dell’Ottava Armata statunitense, schierate nella penisola dal 2003.

E tutto è in potenziamento. A maggio dell’anno scorso, il Defence Project Promotion Committee ha infatti stanziato 605 milioni di dollari per acquistare un numero imprecisato di altri PAC-3 e per portare i lanciatori PAC-2 al livello standard 3. A questi intercettori si aggiunge anche l’ombrello dell’M-SAM a bassa altitudine (20 km) che, come il PAC-3, utilizza la tecnologia hit-to-kill, di cui ha dotato l’intercettore Cheolmae 2.

Seul ha appena completato i test operativi del Cheolmae 4-H/L-SAM, un missile che dovrebbe intercettare i vettori nemici a una quota di 50-60 km e che entrerà in produzione nel 2025, affiancato da un programma per un altro intercettore a lungo raggio, il Long-range surface-to-air missile (L-SAM) II, che riceverà 2,03 miliardi di dollari da qui al 2035.

Quando ultimato, L-SAM II frutterà uno scudo antimissilistico capace di bloccare anche gli alianti ipersonici, la nuova frontiera di Pyongyang. La sua quota di intercetto salirà fino a 180 chilometri. A tutti questi sistemi si affiancheranno anche i caccia KDX-3, presto armati con missili SM-6, dalle capacità antibalistica e antimissile da crociera. Senza dimenticare inoltre i sei lanciatori THAAD operati dalla 35th Air Defense Artillery Brigade dell’8th Army statunitense che risponde agli ordini del colonnello Kevin P. Stonerook.

La 35th è acquartierata nella base aerea di Osan, non distante da Pyeongtaek, nella provincia di Gyeonggi, a una sessantina di chilometri a sud di Seul, ma ha basi di rischieramento anche a Camp Casey, Suwon, Kunsan e Gwagju e Seongju.

A formare i suoi organici concorrono il 2nd Battalion, 1st Air Defense Artillery Regiment, ed il 6th Battalion, 52nd Air Defense Artillery Regiment, su sistemi FIM-92A Avenger, M902 Patriot PAC-3 e i nostri THAAD, schierati a Seongju e destinati a proteggere due terzi del territorio sudcoreano, distruggendo i vettori balistici nella fase terminale del loro volo, quando sono ancora fuori dall’atmosfera o nell’immediatezza del rientro, fra 40 e 150 km di altitudine.

I THAAD hanno un modulo di comando e controllo TFCC (THAAD Fire Control and Communitation), anche detto C2BMC (Command Control Battle Management Communication), che è preposto all’identificazione della minaccia e alla designazione degli obiettivi grazie al radar AN/TPY-2 da oltre 1000 km di portata, riconfigurabile per coprire un raggio di 2.000 km, e unità di lancio su piattaforme 8×8 trainate da un camion Oskhosh HEMTT (Heavy Expanded Mobility Tactical Truck), con otto tubi di lancio per modulo.

Da fine 2022, il sistema è eclettico, perché interoperabile con i Patriot. Lockheed Martin ha infatti modificato il datalink in radiofrequenza dei Patriot e integrato nel software del C2BMC un upgrade che consente il dialogo fra i due scudi, dimostrando che è possibile trasmettere i dati acquisiti dalla batteria THAAD ai Patriot e di far intervenire i lanciatori M-902/903 degli ultimi nell’intercettazione dei bersagli.

In un futuro breve, anche i nuovi radar LTADMDS dei Patriot saranno interoperabili in toto con gli AN/SPY-1 e AN/SPY-6 dell’Aegis BMD e gli AN/APG-81 degli F-35 Lightning II, in dote ai sudcoreani. Questa difesa multistrato proteggerà pertanto le varie quote, con altitudini d’intercetto inferiori ai 20 km per i Patriot PAC 2, Neli 20 km per l’M-SAM, di 33 km per gli eventuali SM-6, di 40 km per i PAC-3, di 50-60 km per L-SAM e fino a 200 km per il THAAD. Nella guerra dei missili, che nessuno auspica anche Seul ha tante carte da giocare.

Foto: KCNA, Yonhap e Forze Armate Sudcoreane

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Francesco PalmasVedi tutti gli articoli

Nato a Cagliari, dove ha seguito gli studi classici e universitari, si è trasferito a Roma per frequentare come civile il 6° Corso Superiore di Stato Maggiore Interforze. Analista militare indipendente, scrive attualmente per Panorama Difesa, Informazioni della Difesa e il quotidiano Avvenire. Ha collaborato con Rivista Militare, Rivista Marittima, Rivista Aeronautica, Rivista della Guardia di Finanza, Storia Militare, Storia&Battaglie, Tecnologia&Difesa, Raid, Affari Esteri e Rivista di Studi Politici Internazionali. Ha pubblicato un saggio sugli avvenimenti della politica estera francese fra il settembre del 1944 e il maggio del 1945 e curato un volume sul Poligono di Nettuno, edito dal Segretariato della Difesa.

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