La guerra dei droni tra Ucraina e Russia

 

L’estate 2023 ha visto intensificarsi l’uso dei droni da parte ucraina e russa. Per Kiev, che ha investito moltissime risorse nel settore, con un vero piano nazionale, i velivoli telecomandati sono un’opportunità per attacchi in profondità sul territorio nemico, utili a creare caos e insicurezza, nonché a distogliere l’attenzione dalla propria controffensiva terrestre, che ristagna da quasi tre mesi. Per Mosca, i droni kamikaze, siano essi di importazione dall’Iran o prodotti nazionali, sono un’alternativa economica ai missili sia per attacchi di precisione, sia per logorare e saturare le difese antiaeree avversarie.

 

Negli ultimi giorni l’Ucraina ha lanciato raid di velivoli senza pilota contro la Russia, impegnando non poco le difese aeree. Solo domenica 10 settembre, il Ministero della Difesa russo ha reso noto che nella notte sono stati abbattuti 8 droni sul Mar Nero, poco prima che raggiungessero le coste della Crimea, la penisola annessa da Mosca le cui basi sono fra i bersagli privilegiati di Kiev, sebbene l’antiaerea abbia sensibilmente migliorato la sua capacità di neutralizzarli. Il raid era stato preceduto il 9 settembre, dal tentativo di un drone isolato, pure esso intercettato.

Di contrasto, anche i russi non stanno a guardare. E fra 7 e 8 settembre, proprio mentre tornava d’attualità il problema del rinnovo dell’accordo russo-ucraino sull’export di grano, da cui Mosca si è ritirata, la regione di Odessa e i porti fluviali sul Danubio venivano assaliti da ben 20 droni di fabbricazione iraniana Shahed 136 forniti, di cui gli ucraini asserivano l’abbattimento di 16 esemplari.

Nel corso di queste azioni, la confinante Romania, membro della NATO, ha segnalato la caduta di uno di tali velivoli-robot sul suo territorio, protestando contro la Russia e annunciando un’inchiesta, sebbene, ovviamente, puntualizzando che l’incidente non è certo sufficiente a invocare l’Articolo 5 del trattato atlantico sull’intervento degli alleati a difesa di un membro attaccato. Sono solo alcuni degli esempi più recenti di una serie di schermaglie susseguitesi nelle scorse settimane. (qui sotto nella foto un drone ucraino di fabbricazione ceca Primoco One abbattuto dai russi).

Poco prima dell’alba del 27 agosto 2023 un drone ucraino è finito dentro un appartamento nella città di Kursk, nel corso dell’ennesima intrusione in Russia di velivoli a comando remoto. Ed è stato un vero miracolo se nessuno dei residenti è stato ferito. Secondo quanto ha riferito il governatore della regione di Kursk, Roman Starovoit: “Un drone si è schiantato dentro un condominio residenziale sulla via Karl Marx di Kursk durante la notte. Sono andate distrutte le finestre di vari piani. E l’onda d’urto ha danneggiato alcune finestre del vicino dipartimento d’ingegneria dell’Università Agraria di Stato sulla stessa via. Niente ha preso fuoco e nessuno è rimasto ferito”.

Ormai, che un ordigno ucraino si “autoinviti” disastrosamente nel salotto di cittadini russi, convinti per mesi che il conflitto contro Kiev fosse solo un’operazione speciale da cui la Russia non avrebbe avuto da temere, non fa quasi notizia. E testimonia l’espansione continua della campagna condotta con velivoli senza pilota. L’attacco a Kursk era inquadrato in un’azione che secondo il Ministero della Difesa russo ha coinvolto in quelle ore anche la zona di Bryansk, durante la quale le difese antiaeree avrebbero abbattuto almeno due UAV (Unmanned Aerial Vehicle, veicolo aereo senza pilota).

Secondo il ministero: “La mattina presto del 27 agosto, il regime di Kiev ha tentato ancora una volta di lanciare attacchi terroristici con droni contro la Federazione Russa. La difesa ha rilevato e distrutto in volo due droni sui territori di Briansk e Kursk”. Non è chiaro se il “robot volante” fracassatosi in un appartamento sia uno di quelli colpiti poco prima in volo, o se abbia compiuto un errore di rotta. Quello centrato nella regione di Briansk, secondo il governatore Alexander Bogomaz, non ha fatto vittime.

Le fonti ucraine hanno dato una versione differente dell’attacco a Kursk, poiché il servizio di sicurezza interna ucraino SBU, che insieme all’intelligence militare GUR è fra i maggiori promotori di tali raid, sarebbero stati ben 16 i droni kamikaze, lanciati probabilmente dalla vicina regione ucraina di confine di Sumy, che avevano per obbiettivo l’aeroporto locale. E in particolare alcuni aerei russi parcheggiati, 4 caccia Su-30 e un Mig-29, oltre a batterie di antiaerea.

Secondo un comunicato dell’SBU, solo tre droni sono stati abbattuti: “Considerando il fatto che anche i russi stessi hanno registrato almeno 13 esplosioni, l’impatto è stato impressionante. Scopriremo i risultati esatti degli attacchi e il numero di vittime e feriti nel prossimo futuro”. Da Mosca non è giunta finora menzione di danni ai velivoli della pista di Kursk. Frattanto, però, il governatore della regione di Belgorod, Vyacheslav Gladkov, ha parlato di un altro drone ucraino abbattuto sulla rotta per il capoluogo regionale, e di un secondo drone che, sganciando una granata sul villaggio di Shchetinovka ha ucciso un civile.

La confusione sui raid del 27 agosto è stata aumentata il giorno 31 quando, con certo ritardo, è giunta una rivendicazione da parte del sedicente Corpo Volontari Russi, una formazione di russi anti-putininani che sostiene di aver condotto l’attacco “in collaborazione con l’SBU”. Il corpo di partigiani russi anti-Cremlino sarebbe lo stesso che la scorsa primavera ha effettuato incursioni terrestri oltre la frontiera della regione di Brjansk con veicoli Hummer di fabbricazione americana.

L’indomani, 28 agosto, un ennesimo UAV si stava dirigendo verso Mosca, ma le difese russe lo hanno distrutto sopra Ljubercy, cittadina industriale 20 chilometri a sudest della capitale. Lo ha riferito il sindaco di Mosca, Sergei Sobjanin, che, come spesso negli ultimi mesi, è tra le fonti più loquaci sull’offensiva dei droni ucraini contro la capitale, soprattutto per riferire di eventuali danni o disagi alla popolazione.

L’ordigno colpito su Ljubercy non ha causato “nè vittime, né danni”, ma l’allarme lanciato per il suo avvicinamento ha fatto sospendere per ore il traffico aereo civile sugli aeroporti moscoviti di Domodedovo e Vnukovo, con deviazione di 10 voli su altri scali. Alcune ore dopo, nella serata del 28, un altro UAV è stato abbattuto sopra la regione di Belgorod, che si conferma uno dei territori russi più bersagliati, data la contiguità con la frontiera ucraine. Ancora il 29 agosto, due ulteriori droni ucraini si sono avventurati in una rotta verso Mosca, ma sono stati centrati dall’antiaerea sulla regione di Tula, a Sud della capitale, come da comunicato del Ministero della Difesa russo: “Un tentativo del regime di Kiev di portare avanti un attacco terroristico a infrastrutture russe con due UAV a forma di aereo è stato neutralizzato questa mattina”.

Poco dopo, verso mezzogiorno, un caccia russo dell’aviazione navale ha abbattuto un drone ad ala fissa sul Mar Nero, probabilmente diretto a colpire qualche installazione nella penisola della Crimea.

 

Una giornata nera

La giornata che ha visto gli attacchi più numerosi, tentati o riusciti, di droni ucraini in territorio russo, almeno fino al momento in cui scriviamo, è stata quella del 30 agosto 2023, in cui ben sei regioni della Russia Europea sono state bersagliate. La più capillare azione di questo tipo da quando nel febbraio 2022 è iniziata la guerra. Alle 2.30 di quel giorno un ennesimo “drone ad ala fissa” è stato intercettato e colpito sulla regione di Rjazan, circa 200 chilometri a Sudest di Mosca.

Alle 3.30 un altro velivolo guidato è stato abbattuto dai russi sopra il distretto di Ruzskij, circa 100 chilometri a Ovest della capitale, lasciando intendere che anch’esso fosse diretto verso Mosca. Anche questa giornata ha visto ripetuti raid con velivoli a pilotaggio remoto.

Il governatore della regione di Brjansk, Alexander Bogomaz, ha riferito attorno alle 6.30 che il capoluogo era sotto attacco di “tre droni”, rettificando alle 7.21: “Unità antiaeree del Ministero della Difesa hanno bloccato un attacco di terroristi ucraini. Un velivolo senza equipaggio è stato distrutto sopra il distretto Sovetskij di Brjansk. Non ci sono feriti. Come risultato della caduta del drone, è stato danneggiato il tetto di un edificio amministrativo e sono state infrante le finestre. C’è un incendio e sono intervenuti i pompieri”. Poco dopo è stato divulgato che i droni erano due e avevano come obbiettivo la locale torre televisiva.

Ma l’incursione più eclatante del 30 agosto è stata l’attacco all’aeroporto civile e militare di Pskov, molto a Nord e vicinissimo al confine con l’Estonia, il che alimenta i sospetti che da oltre frontiera possano essere decollati i droni, in numero che alcune fonti indicano in 10 velivoli. Nella notte, almeno alcuni di essi hanno danneggiato ben 4 aerei da trasporto Ilyushin Il-76 fermi sulla pista. Secondo i responsabili russi delle emergenze: “Come risultato del raid, quattro aerei Il-76 sono stati danneggiati.

E’ scoppiato un incendio e due (o addirittura 4) aerei erano circondati dalle fiamme”. A seguito dell’attacco è stato limitato fino al 31 agosto il traffico aereo civile sulla pista di Pskov. Tale azione ha comprensibilmente sollevato nei russi l’interrogativo sulla reale provenienza di questi ordigni. Pskov dista dalla frontiera estone solamente 30 chilometri mentre la distanza fra la città russa e i confini dell’Ucraina è di almeno 660-700, con in più la complicazione che le rotte più brevi possibili dal confine Nord dell’Ucraina sarebbero in parte inframezzate dalle parti più orientali della Bielorussia, le zone di Gomel e Vitebsk, ponendo agli ucraini in questo caso il dilemma se eludere una o due difese antiaeree diverse.

Ecco perchè, poche ore dopo l’assalto, il portavoce del Cremlino, Dimitri Peskov, ha annunciato un’inchiesta per stabilire la reale provenienza degli UAV: “Gli esperti militari russi stanno lavorando per capire come sia avvenuto l’attacco di droni ucraini sull’aeroporto della città nord-occidentale di Pskov. Stanno lavorando su queste questioni proprio adesso, compresa la scoperta delle rotte e l’analisi di come sia stato fatto, al fine di adottare misure adeguate a prevenire tali attacchi in futuro”.

Da Kiev hanno reso noto che i droni utilizzati per l’attacco sono stati fatti decollare dal territorio russo, sostenendo la tesi dei sabotatori infiltrati in profondità sul territorio della Federazione.

Il 31 agosto, il sindaco di Mosca Sergej Sobjanin ha reso noto un nuovo raid nell’area della capitale, con un UAV “abbattuto sopra il distretto di Voskresenskj, a Sudest della città. Nella stessa mattinata, ancora su Brjansk sono stati avvistati tre velivoli robot, tutti colpiti grazie anche, a quanto pare, a una sorta di sorveglianza di volenterosi cittadini. Il governatore Bogomaz ha spiegato: “Grazie alla vigilanza dei nostri cittadini il centralino telefonico per i servizi d’emergenza ha ricevuto la segnalazione di un velivolo sospetto sopra la città di Brjansk. Le forze di difesa hanno abbattuto tre droni, tipo aereo, utilizzando armi anti-drone e una speciale carabina. Non ci sono stati feriti, né danni alle infrastrutture”.

Controverso è l’esito di ulteriori intrusioni di UAV il 1° settembre, quando uno di essi è stato centrato dalle difese antiaeree nel distretto di Ljubertsj, nella regione di Mosca, causando un’allerta che ha fatto sospendere i voli civili da ben tre aeroporti della capitale russa, Vnukovo, Domodedovo e Zhukovsky. Altri sono stati intercettati sopra le regioni di Kursk e Belgorod, che si confermano fra le più tartassate, data la vicinanza ai confini ucraini.

Secondo l’agenzia RBC-Ucraina e canali Telegram, tuttavia, il drone su Ljubertsj è riuscito però a incendiare un’azienda elettronica, la Tomlinskj, che produce componentistica per missili, il che sta a significare che l’azione ucraina è andata a segno.

Anche perché sono state pubblicate foto della colonna di fumo che si levava dalla fabbrica. Quanto alla zona di Kursk, lo stesso governatore della regione, Roman Starovoit, ha ammesso che ci sono stati danni alla città di Kurchatov, intitolata al padre della bomba atomica russo-sovietica, il fisico Igor Kurchatov, e in cui ha sede la grande centrale nucleare della regione di Kursk, con 3 reattori da 1000 MegaWatt.

Per Starovoit: “Al mattino del 1° settembre Kurchatov è stata attaccata da due droni ucraini. L’edificio amministrativo e un edificio residenziale sono stati danneggiati. Gli specialisti sono andati sul posto, valutano l’entità del danno”. Il 2 settembre un totale di 4 droni sono stati intercettati sulla regione di Belgorod con danni limitati, fra cui la rottura di varie finestre nell’abitato di Golovchino. Lo stesso giorno, sul fronte del Donetsk, l’artiglieria del Gruppo Est dell’esercito russo ha distrutto un centro ucraino per il controllo dei droni a Vladimirovka e un centro di comunicazioni via satellite, pure esso utile per la guida di UAV oltre la linea dell’orizzonte, a Novodarovka.

In mare, fra le 23.15 del 1° settembre e le 2.20 del 2 settembre, gli ucraini hanno inviato tre droni marittimi a tentare di colpire ancora il ponte di Kerc, fra Crimea e penisola russa di Taman, ma secondo Mosca sono stati tutti distrutti. L’azione ha avuto almeno la conseguenza di far chiudere per sicurezza il ponte al traffico automobilistico e ferroviario fino al giorno dopo. Il 3 settembre, inoltre, l’artiglieria russa del Gruppo Dnepr dell’esercito ha colpito un altro centro di controllo di UAV, situato presso Kherson.

Fra il 4 e il 5 settembre venivano riportate ulteriori incursioni sulle regioni di Kursk, Tver, Kaluga e Mosca. Ma come spesso negli ultimi tempi, le difese russe hanno fatto il loro dovere, basandosi soprattutto, oltre che sui sistemi di disturbo elettronico, anche con l’intercettazione cinetica operata da vari apparati antiaerei.

Fra essi, a titolo di esempio, si può ricordare, per la sua efficacia, il Pantsir, la flessibile torretta integrata a comando radar che può essere montata sia su scafi cingolati GM-352, sia su autocarri Kamaz. Come noto il Pantsir è dotato sia di 12 missili antiaerei 57E6 con raggio d’azione di 18 km, sia di 2 cannoni 2A38M da 30 mm con cadenza di 2000 colpi al minuto per canna.

 

Un colpo da maestro

La portavoce del Ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova (nella foto sotto), ha definito il 30 agosto “disperata”, la tattica ucraina con droni in profondità sulla Russia: “I tentativi dell’Ucraina di attaccare il territorio russo usando i droni la scorsa notte dimostrano l’agonia del regime di Kiev. Odio insensato, malizia e mancanza di qualsiasi prospettiva sul proprio sviluppo hanno generato questo tipo di attività terroristica. Hanno semplicemente esaurito le opzioni; è una dimostrazione di pura inutilità”.

Le parole della Zakharova hanno un senso se riferite al fatto che i droni ucraini, tutto sommato, sono punture di spillo sul gigantesco orso russo, mentre sul terreno, dove conta davvero per gli esiti del conflitto, le spallate ucraine non hanno ancora in sostanza intaccato le linee difensive russe, se non in pochi punti isolati.

Lanciare un numero elevato di droni, anche se per la maggior parte abbattuti, può però causare caos, insicurezza, dunque minare l’affidabilità politica dei vertici russi. E in quanto ai danni, se per la maggior parte sono limitati, in alcuni casi si registrano inaspettati successi, come nel caso degli Il-76 a Pskov.

E in genere nello sconvolgimento dell’attività di aeroporti civili e militari. Peraltro, a proposito dell’azione su Pskov, nuovi dettagli sono stati dati il 1° settembre dal capo stesso del GUR, Kyrylo Budanov: “Stiamo operando dal territorio russo. Quattro aerei Il-76 da trasporto sono stati colpiti. Di essi, due sono stati distrutti e due seriamente danneggiati. Si è mirato ai serbatoi di carburante e a una parte importante dei longheroni alari nella parte superiore dell’Il-76”.

Un “colpo da maestro” gli ucraini lo hanno messo a segno il 19 agosto con la distruzione di un bombardiere supersonico Tupolev T-22M3 sulla pista della base aerea di Soltsy-2, nella regione di Novgorod, a 620 km dall’Ucraina, ma a soli 160 km dal confine con l’Estonia.

In quell’occasione la base, sede del 40° Reggimento Aereo, è stata violata da un drone che i russi hanno definito “a forma di elicottero”, cioè sostenuto da rotori, che sarebbe stato adattato all’uso militare con l’applicazione di ordigni improvvisati (IED) e il potenziamento delle batterie.

Così è stato rilevato dallo stesso Ministero della Difesa russo, il che però ha dato adito all’ipotesi che il drone fosse partito dall’interno del territorio russo, come propugnato dall’intelligence britannica: “Ciò conferma che attacchi con droni potrebbero partire dall’interno della Russia, dato che UAV ad ala rotante difficilmente hanno il raggio d’azione per raggiungere Soltsy-2 da fuori dei confini”.

Se 600 e oltre chilometri dall’Ucraina sono molti, resta sempre la possibilità che il quadricottero, di cui non è noto il tipo preciso, possa aver più facilmente percorso la distanza dalla vicina Estonia, ma è solo un’illazione. Di certo, il servizio segreto militare ucraino GUR ha rivendicato l’attacco insieme a non meglio determinati collaboratori russi. Secondo il portavoce del GUR, Andrii Yusov: “Persone reclutate dal GUR sono venute dalla Russia Centrale, hanno compiuto il loro lavoro e sono ritornate nella loro zona. Il GUR continua le operazioni in Russia, nelle zone di confine, nelle profonde retrovie e a Mosca”.

Certo, azioni simili presuppongono un estesa rete di spionaggio a terra che è in grado di riferire agli operatori dei droni la posizione degli obbiettivi (in questo caso la presenza di aerei parcheggiati) e il livello della sorveglianza, nonché la tempistica per buone probabilità di successo. L’incursione del 19 agosto su Soltsy-2, al di là della perdita di un Tu-22M3 (nella foto sopra), già di per sé un bersaglio molto pagante rispetto ai costi limitati del drone impiegato, ha avuto come effetto quello di sconvolgere l’operatività di un intero reparto di bombardieri.

Foto satellitari delle società Planet Labs e Maxar mostravano che nei giorni precedenti l’attacco, fra il 10 e il 16 agosto, la base era piena di Tu-22M pronti al decollo nelle loro piazzole di sosta. Si notavano almeno 10 bombardieri Tupolev più due velivoli da appoggio logistico, un Ilyushin Il-76 e un Ilyushin Il-18.

Immagini riprese il 21 agosto, due giorni dopo l’assalto, hanno invece mostrato la base interamente deserta, salvo la presenza di un isolato elicottero, parrebbe un Mil Mi-8, forse usato per un’ispezione, e i rottami anneriti del Tupolev ancora sulla sua piazzola. Non c’è dubbio che riuscire a far evacuare (perlomeno temporaneamente) un’intera base aerea, oltre che distruggere un bombardiere, al prezzo di un drone relativamente economico, costituiscano risultati rilevanti.

 

La “vendetta” sui bombardieri

Già il 21 agosto, inoltre, s’è verificato un altro attacco UAV contro una base di bombardieri pesanti, quella di Shaykovka, nella regione di Kaluga, che dista circa 215 chilometri dall’Ucraina e vi trova sede il 52° Reggimento Aereo.

E’ stato “danneggiato” un altro Tu-22M3, secondo le stesse fonti ucraine del GUR, il cui portavoce Yusov ha dichiarato: “Almeno un aereo è stato danneggiato. Come in molti casi, il regime della Russia sta tentando di nascondere la vera entità di perdite e danni”. Le fonti russe sono state elusive sull’attacco a Shaykovka, che peraltro era già stata colpita da droni kamikaze ucraini il 7 ottobre 2022, compleanno del presidente Vladimir Putin, col danneggiamento di altri due Tu-22M3.

Mentre il Ministero della Difesa di Mosca ha taciuto, il social media russo Baza, ritenuto vicino al servizio di controspionaggio FSB, ha riportato che “un drone ucraino è precipitato sul territorio della base di Shaykovka ed è stato danneggiato un aereo inutilizzato, ma questa informazione non è stata ufficialmente confermata”. Il canale russo Telegram Mash s’è limitato a dire che “le forze ucraine hanno tentato di attaccare il campo militare di Shaykovka nell’area di Kaluga”. Del resto, gioverà rammentare che già il 5 dicembre 2022 droni ucraini si erano spinti fino alle basi strategiche di Ryazan ed Engels, nella regione di Saratov, danneggiando alcuni bombardieri Tupolev Tu-95.

La minaccia di attacchi puntiformi agli aeroporti delle retrovie russe non è certo sufficiente a compromettere la potenza delle Forze Aerospaziali Russe (VKS), che fanno sentire il loro peso sia nel martellamento strategico dell’Ucraina con lanci di missili da crociera stand-off da parte dei bombardieri pesanti, sia nei quotidiani interventi di caccia tattici e aerei d’assalto sulla linea del fronte.

Ma serve anzitutto politicamente al governo del presidente Volodymir Zelensky per galvanizzare la resistenza dell’Ucraina, che rispetto al fattore tempo è estremamente svantaggiata rispetto alla Russia. Inoltre distoglie parte delle difese antiaeree russe nelle basi di retrovia, seminando insicurezza e dubbi su dove gli UAV possano farsi vivi all’improvviso, tenuto conto della loro bassa osservabilità dovuta alle dimensioni più limitate, rispetto ai velivoli convenzionali, e a un inviluppo di volo di bassissimo profilo, caratterizzato cioè da velocità e quote tipiche assai limitate.

La distruzione o danneggiamento, anche isolati, di qualche velivolo russo sulle basi, soprattutto se bombardiere, ha valenza politica e propagandistica di “vendetta” dell’Ucraina per i lanci di missili da crociera che l’aeronautica russa effettua solitamente dai Tupolev circuitanti in volo in aree considerate sicure, sopra l’entroterra continentale russo oppure sopra il Caucaso e il Mar Caspio.

A livello pratico è chiaro che i russi possono semplicemente rischierare i bombardieri su basi più lontane fuori portata dai droni, dato che la grande autonomia dei Tu-22 e soprattutto dei Tu-95 e Tu-160 può permettere loro di porsi in posizione di tiro di missili verso l’Ucraina anche partendo da basi remote. Ma ciò non toglie che lo smacco simbolico non sia indifferente, sebbene limitato rispetto all’economia totale, di massa, della guerra.

Un curioso strascico di queste azioni contro le basi aeree è stato segnalato il 6 settembre, quando sono state diffuse da CNN e altri media le foto satellitari della società Maxar che mostrerebbero, secondo varie interpretazioni, un tentativo artigianale di proteggere i bombardieri parcheggiati ricoprendoli con vecchi pneumatici di autocarri.

Le foto mostrano due Tupolev Tu-95 a turboelica alla base aerea di Engels, con le ali e parte della fusoliera ricoperte da decine di vecchie gomme di camion adagiate sopra di esse. Esperti sentiti dalla CNN dicono che l’ipotesi più probabile è tentare di difendere i velivoli parcheggiati dai droni. Per Francisco Serra-Martins, dell’azienda di droni One Way Aerospace, lo scopo principale sarebbe ridurre la rilevabilità ai sensori dei droni, mentre il ricercatore Steffan Watkins accredita l’ipotesi di una maggior protezione meccanica agli impatti degli UAV: “Se il sistema funzioni o no, dipende dalla testata del drone o missile”.

Molte azioni sono state inoltre orchestrate contro le basi russe in Crimea, per porre simbolicamente “paletti” a rammentare le velleità di Kiev di recuperare la penisola ormai annessa alla Russia fin dal 2014. Per limitarci ad alcuni esempi, nella notte fra il 12 e il 13 agosto gli ucraini avrebbero lanciato ben 17 droni su Yevpatoria, uccidendo, secondo le loro fonti “decine di soldati russi”.

Poi, il 25 agosto, è stata divulgata una più massiccia azione, condotta dalle forze speciali ucraine insieme all’SBU e che è stata battezzata enfaticamente “operazione Top Gun”. Si è trattato di inviare ben 42 velivoli senza pilota sulla base della 126° Brigata della Guardia Costiera della Flotta Russa del Mar Nero, a Perevalne, vicino a Simferopoli. Gli ucraini hanno parlato di “decine di morti” fra i militari russi e della distruzione di un deposito di munizioni, ma la versione russa parla dell’abbattimento di tutti i velivoli senza pilota, per la precisione “33 fatti precipitare con contromisure elettroniche e 9 colpiti direttamente”, stando al Ministero della Difesa russo.

Frattanto, sono proseguite anche le azioni dei droni navali, in sostanza motoscafi-bomba a comando remoto. Dopo l’attacco del 17 luglio 2023 che ha danneggiato nuovamente il ponte di Kerch, fra la Crimea e la penisola russa di Taman, gli USV, Unmanned Surface Vehicle, veicolo di superficie senza equipaggio, della Marina di Kiev hanno violato il 4 agosto la base navale di Novorossijsk, colpendo per sicuro, come da riprese video in soggettiva, la nave da sbarco Olenegorsky Gornyak, da 4.000 tonnellate, gravemente danneggiata da uno squarcio sulla fiancata sinistra.

Il 5 agosto, un altro drone marino di superficie (USV) ha colpito nello stretto di Kerc, non lontano dal citato ponte, la petroliera russa Sig, che secondo Mosca “è stata danneggiata nella sala macchine”. E’ invece fallito il 18 agosto nel Mar Nero, un attacco alle navi da pattuglia russe Pytlivy e Vasily Bykov, che hanno neutralizzato un drone marittimo ucraino a 237 chilometri a sudovest di Sebastopoli.

Le navi hanno individuato l’imbarcazione telecomandata prima che le attaccasse e l’hanno distrutta con le armi di bordo, probabilmente i cannoncini a tiro rapido per la difesa ravvicinata. Fra precedenti attacchi di USV a unità navali russe, fin dal 1° agosto s’era segnalato l’ingaggio operato da tre di tali ordigni rispetto alle due navi da pattuglia Sergey Kotov e Vasily Bykov, che si trovavano a 340 km a sudovest di Sebastopoli.

I tre USV ucraini sono stati però scoperti e polverizzati dalle difese ravvicinate, ossia i cannoncini di bordo. Peraltro la nave Sergey Kotov aveva già parato il 25 luglio un altro approccio di due droni navali.

 

Quali droni?

Raramente è emerso tempestivamente il tipo di droni utilizzato di volta in volta per le azioni ucraine a lungo raggio. Da un lato, il governo di Kiev mantiene sempre un notevole riserbo su questi raid, poiché teme che esplicite azioni in profondità sul territorio russo possano suscitare critiche da parte degli alleati NATO, disposti a fornire armi per la difesa del paese, ma contrari a una escalation.

Il 28 agosto lo stesso presidente Volodymir Zelensky ha ammonito: “La coalizione di alleati che ci sostiene potrebbe non supportarci più se muovessimo offensive sul territorio russo”.

Il fatto è che l’Ucraina non ammette ufficialmente di condurre una campagna strategica di droni e le uniche rivendicazioni, parziali, vengono dai servizi segreti SBU (civile) e GUR (militare), i quali però ripartiscono in genere la loro responsabilità con operatori sul luogo, spesso presentati come oppositori al governo di Putin. Ma sull’onda dei crescenti raid, il 30 agosto il consigliere presidenziale Mikhailo Podolyak ha commentato, sibillinamente, che “la guerra si sta spostando progressivamente sul territorio russo, con un processo che non può essere fermato”.

Lo ha detto con tono impersonale, senza rivendicare la diretta paternità di Kiev, ma aggiungendo: “L’Ucraina aderisce all’obbligo di non usare armi fornite dagli alleati per attacchi sulla Russia e agisce esclusivamente secondo i principi della guerra difensiva”. Quanto ai russi, nei loro rapporti si limitano la maggior parte delle volte a catalogare semplicemente i droni intercettati solo sulla base della tipologia “ad aeroplano”, ovvero “ad ala fissa”, o ad “elicottero”, ovvero “ad ala rotante/rotori”.

Certamente il tipo principale emerso negli ultimi mesi come protagonista è il monomotore a elica UJ-22 Airborne(nella foto sopra), prodotto dall’azienda Ukrjet di Kiev. Pesante al decollo 85 kg, con apertura alare di 4,6 m e lunghezza di 3,3 m, ha un’architettura tradizionale, con motore a benzina in posizione anteriore, a due tempi, ed elica traente, fusoliera a corpo unico, ala diritta e piani di coda tradizionali. Ha una velocità di crociera di 120 km/h, elevabile a una massima di 160 km/h, e un’autonomia di 800 km. Un simile raggio d’azione significa che un UJ-22, nell’ipotesi decollasse dalla regione di Kiev arriverebbe fino a pochi chilometri a Nord di Mosca, comunque comprendendo la capitale nel suo campo.

Se invece partisse a ridosso dei confini settentrionali ucraini, potrebbe arrivare a coprire un vasto arco anche assai più a Nord della capitale, fino a comprendere, ad esempio da Ovest a Est, Novgorod, Jaroslavl e Nizhnij Novgorod (la ex-Gorkij). Soltanto nei primi 100 chilometri circa, di volo l’UJ-22, come altri UAV, può essere guidato da una stazione di terra con trasmissione in linea diretta, poiché più lontano la curvatura terrestre crea una zona d’ombra in cui può solo volare in modo autonomo, ma più impreciso.

A meno che, ovviamente, non si usino satelliti come ponte radio per controllarlo, il che presuppone l’aiuto americano a Kiev. Il carico bellico si aggirerebbe su un massimo di 20 kg, pari ad alcuni proiettili di mortaio da 82 mm agganciati sotto il ventre. L’UJ-22 ha iniziato a essere noto nel mondo dal 28 febbraio 2023, quando furono così identificati i rottami di un drone fatto precipitare con interferenze elettroniche a soli 100 km da Mosca, nella boscaglia innevata fuori dal villaggio di Gubastovo, sobborgo di Kolomna, dove non ha fatto danni.

C’è poi il drone Bober (nella foto sopra), cioè “castoro”, nominato anche all’inglese Beaver, che è meno convenzionale rispetto all’UJ-22 e apparentemente più sofisticato, con elica spingente, ala arretrata verso poppa e alette canard a prua. Realizzato dal consorzio di industrie militari ucraine Ukroboronprom, il Bober è stato finanziato grazie al prezioso contributo del popolare web influencer ucraino Ihor Lachenkov, che è stato espressamente contattato nel 2022 dal servizio segreto militare GUR per raccogliere fondi per la realizzazione “di un ordigno capace di volare molto lontano”, come ammesso dallo stesso influencer.

Lachenkov è riuscito a raccogliere oltre 500.000 dollari dai suoi numerosissimi followers. E li ha pubblicamente ringraziati dopo i clamorosi attacchi su Mosca che il 3 maggio 2023 hanno danneggiato la cupola del Senato nel Cremlino e il 30 maggio diversi edifici del centro.

Lasciando intendere quindi che sarebbero stati utilizzati proprio dei Bober per quei raid. Il Bober, per quel che si sa dai dati divulgati, è lungo 2,5 metri e ha un’apertura alare parimenti sui 2,5 metri, pesa 150 kg e avrebbe un costo per ogni esemplare compreso fra 50.000 e 100.000 dollari. La velocità massima si aggirerebbe sui 200 km/h, mentre l’autonomia toccherebbe i 1000 chilometri, ben superiore a quella dell’UJ-22. Il Bober potrebbe così, in teoria, oltrepassare comodamente Mosca e Novgorod partendo da Kiev, oppure avventurarsi fino a San Pietroburgo e Vologda se lanciato dai confini settentrionali dell’Ucraina.

A differenza dell’UJ-22, che porta carichi bellici esterni e può essere utilizzato come drone kamikaze, per missioni senza ritorno, di risulta, mantenendo la capacità di ritorno e riutilizzo per voli di minor lunghezza, il Bober è concepito come un vero drone suicida e integra la carica esplosiva nella fusoliera, in particolare potendo imbarcare una testata perforante a carica cava KZ-20. L’architettura a canard sarebbe stata scelta per assicurare a questo UAV la capacità di effettuare manovre acrobatiche particolarmente brusche in fase di avvicinamento al bersaglio per disorientare il tiro antiaereo, ma resta la vulnerabilità alle sempre più perfezionate contromisure elettroniche russe, la cui efficacia nel far perdere il controllo dei “robot volanti” sembra in decisa crescita.

Ci sarebbe poi un terzo tipo di drone aereo ucraino a lungo raggio, ancora ignoto, di cui lo scorso 10 maggio il finanziatore Serhiy Prytula ha diffuso confuse immagini di lancio notturno da una rotaia predisposta. Prytula ha sostenuto che questo “Mistery Drone” sarebbe responsabile di almeno un attacco a un’installazione petrolifera in Russia e che la sua fondazione ha raccolto ben 6,8 milioni di dollari per sostenere lo sviluppo di questo e altri UAV a lungo raggio.

Sul versante dei droni navali di Kiev si è saputo qualcosa in più pochi giorni dopo l’attacco al ponte di Kerc del 17 luglio. Il 29 luglio, la televisione americana CNN ha mostrato al mondo le prime immagini ravvicinate di quello che, in sostanza, è un motoscafo-bomba guidato a distanza, il MAGURA V5 (nell’immagine  sotto). La CNN ha rilanciato su scala globale il fatto che già il 26 luglio il drone era stato rivelato a una fiera internazionale di armamenti a Istanbul, in Turchia, la International Defense Industry Fair.

Non è certo un semplice “barchino”. Fabbricato dall’azienda statale SpetsTechnoExport di Kiev, il MAGURA è stato chiamato così dalla sigla inglese per Maritime Autonomous Guard Unmanned Robotic Apparatus. Scafo compatto, è lungo 5,5 metri e naviga a pelo d’acqua, sporgendo dalla superficie marina per un’altezza di soli 50 cm, il che lo rende difficile da avvistare e anche da colpire.

La velocità massima è di 80 km/h, quella di crociera 44 km/h, mentre l’autonomia massima è di 830 km. Il carico utile, che può essere costituito da cariche esplosive oppure da apparati elettronici da ricognizione, arriva fino a 320 kg. La flessibilità d’impiego e la modalità multipla di guida, con guida satellitare, telecamera in soggettiva o semplice giroscopio, rendono il MAGURA V5 uno strumento insidioso che agli ucraini vale la pena, probabilmente, l’investimento dei circa 270.000 dollari di costo per ogni esemplare.

 

Piani industriali

L’Ucraina sta attuando uno sforzo industriale gigantesco per sviluppare una produzione autonoma di droni che integri le forniture straniere, come nel caso dei velivoli turchi Bayraktar TB-2 (nella foto sotto) da attacco e ricognizione e di quelli kamikaze americani Switchblade, nel campo delle “munizioni circuitanti”, già noti dal 2022.

Da un lato c’è l’idea che i droni possano fare da panacea per le notevoli difficoltà incontrate dall’esercito ucraino nel cozzare contro le multiple linee difensive russe, al che Kiev cerca di rispondere in modo asimmetrico. Dall’altro, a parte lo specifico settore dei droni a lungo raggio per violare il territorio russo, si persegue un’abbondanza di droni di piccole dimensioni per l’impiego tattico al fronte, in modo da economizzare l’impiego di soldati.

In tal senso la spinta alla “dronizzazione” (anche se i russi stanno producendo e impiegando con successo un gran numero si droni e munizioni circuitanti e hanno messo a punto imponenti piani di produzione) in della guerra terrestre è più importante per l’Ucraina che per la Russia nel senso che è Kiev ad avere un bacino demografico di arruolamento più limitato di quello di Mosca e dunque a essere più sensibile alle perdite umane.

In tal senso vanno lette le dichiarazioni fatte da Zelensky il 14 agosto: “La produzione ucraina di droni – Leleka, Furja, eccetera – così come le forniture dai partner e tutte le forme di importazione – deve crescere, e questo è uno dei compiti più importanti. I droni sono materiali di consumo e dovrebbero essercene quanti ne servono – e ne hanno bisogno i nostri guerrieri – per salvare vite umane e garantire risultati nelle battaglie. C’è molto da fare in questo settore ed è troppo presto per dire che stiamo facendo abbastanza”.

Il presidente ucraino ha citato alcuni tipi di UAV già largamente impiegati al fronte, come il Leleka 100 (nella foto sotto e in apertura), piccolo ricognitore da 1,9 m di apertura alare e 70 km/h di velocità massima, e il Furja, di dimensioni simili e usato soprattutto dalle unità di artiglieria per dirigerne il tiro.

Il 18 agosto, in un’intervista concessa a Newsweek, il vice-primo ministro ucraino Mykhailo Fedorov, che è anche ministro della Trasformazione Digitale, così rimarcava l’importanza dei velivoli-robot per lo sforzo bellico: “Ogni mattina inizio il lavoro guardando video di equipaggiamenti nemici distrutti dai nostri ‘uccelli’. I loro risultati sono impressionanti. Con poche migliaia di dollari di costo, essi distruggono milioni in armamenti russi. Nella scorsa settimana i droni hanno distrutto 25 carri armati, 9 sistemi d’artiglieria e ucciso 39 soldati russi”.

E ha aggiunto: “L’Ucraina è sulla strada per diventare un capofila mondiale nella produzione di droni. Alla fine della guerra, con la nostra esperienza diventeremo uno dei maggiori esportatori di UAV”. Fedorov ha citato il programma speciale “Army of Drones” varato dal governo ucraino per incentivare produzione e anche importazione di UAV.

Già il 30 gennaio 2023 il ministro della Difesa Oleksii Reznikov ha annunciato che all’inizio dell’anno erano già stato firmati 16 contratti per la fornitura di droni e stanziati 20 miliardi di hvrinias, cioè 547 milioni di dollari.

Il Ministero della Difesa aveva già ricevuto 75 proposte progettuali per nuovi droni di produzione nazionale, poiché, nelle sue parole: “L’indipendenza del complesso militar-industriale è tra i fattori della capacità di difesa nazionale”. Sei mesi dopo, il 27 luglio, il premier Denys Shmyhal ha aggiornato il mondo sull’ampliamento del piano industriale ucraino per la produzione di massa di droni: “Ben 40 produttori ucraini hanno ora contratti dal governo per la produzione e sviluppo di droni, grazie a un investimento complessivo di 1 miliardo di dollari da parte del governo. Abbiamo inoltre eliminato barriere doganali per l’importazione di componenti e pezzi di ricambio per UAV. Il margine di profitto per i produttori di droni è aumentato del 25% e si è deciso di aumentare anche la produzione di munizioni trasportate da essi”.

Il programma droni ucraino, secondo il citato ministro della Trasformazione Digitale Mykhailo Fedorov, ha fatto inviare al fronte 1.700 nuovi droni, addestrare 10.000 operatori in 26 centri e preparare altri 10.000 ad addestramento futuro. Ha spiegato Fedorov: “Un anno fa avevano solo 7 modelli di droni militari, ora stiamo lavorando per decuplicare questa cifra. Abbiamo costituito 11 unità d’attacco con droni e ci siamo resi conto che occorre addestrare professionalmente le truppe al loro impiego. Dopo aver addestrato 10.000 operatori di droni, abbiamo lanciato nel giugno 2023 una seconda fase che mira ad addestrare altri 10.000 esperti del settore”.

Fra i tanti risultati dello sforzo, il 3 giugno il costruttore Valeriy Borovyk ha presentato il drone tattico “stealth” Vidsyich: “E’ davvero invisibile. Ha un raggio d’azione di 40 chilometri e può portare una testata fra 2 e 3 chili di esplosivo. Ci concentreremo soprattutto sulla distruzione di costosi sistemi d’arma russi e ci stiamo attrezzando per aumentare la nostra produzione da 50 droni mensili a 1000”.

Il 19 agosto, invece, le truppe ucraine hanno ricevuto i primi esemplari del compatto Skynight 2 (nella foto sopra) quadricottero, con 8 rotori accoppiati in 4 gondole, in grado di portare un carico bellico di 2,5 kg e di volare in modalità automatica grazie a un programma di intelligenza artificiale. A seconda della situazione può agire sia come kamikaze, sia sganciando la sua granata e tornando alla base. Viene definito di facile pilotaggio, talché a un operatore basta una settimana di addestramento.

Parimenti prosegue anche l’approvvigionamento di sistemi dall’estero. Infatti il 13 agosto la tedesca Rheinmetall ha confermato che “nel corso del 2023” consegnerà agli ucraini il nuovo drone Luna NG, che può fare ricognizione e anche sganciare “munizioni vaganti”, con un raggio d’azione superiore ai 100 km e la capacità di sorvegliare con sensori un’area di 30.000 km quadrati.

 

UAV e loitering munitions russi

Sul fronte del Donetsk, il 7 agosto 2023, due droni kamikaze russi Lancet, prodotti dalla ZALA di Izhevsk, città della regione russa dell’Udmurtia, hanno centrato e distrutto due semoventi cingolati d’artiglieria Krab di fabbricazione polacca. E’ stato l’ennesimo esempio dell’efficacia di questo piccolo drone kamikaze che ben testimonia come la Russia stia cercando di recuperare il tempo perduto nel settore dell’aviazione a pilotaggio remoto, tanto da essersi dovuta spesso affidare a importazioni di droni iraniani, come gli Shahed e i Mohajer.

La ZALA Aero Group è un’azienda che fa parte del consorzio di industrie Kalashnikov, che fa capo all’omonimo complesso famoso per i fucili mitragliatori e ha sviluppato il Lancet (nella foto sotto) fin dal 2019, tanto che l’esercito russo ha iniziato a sperimentarlo nel 2021 contro i jihadisti in Siria. Fondamentalmente è una munizione circuitante a forma cilindrica dotata di due ordini di ali cruciformi a X, con un’elica spingente a poppa, azionata da un motore elettrico, che offre il vantaggio di una traccia acustica e termica praticamente nulla.

La testata contiene sensori infrarossi e laser per la ricerca e identificazione dei bersagli. Ne esistono due versioni, il Lancet 1, con autonomia di 40 chilometri, peso al decollo di 5 chili e testa bellica di 1 chilo, e il Lancet 3, che arriva fino a 80 chilometri, ha un peso totale di 12 chili e una testata esplosiva di 3 chili. Del Lancet 3 (nella foto sotto) i russi stanno studiando una versione da difesa aerea che verrebbe lanciata come un kamikaze contro i droni ucraini sfruttando la sua capacità di accelerare per brevi periodi fino a una velocità di 300 km/h, nonostante la sua velocità di crociera ordinaria sia di 110 km/h.

Lo ZALA Lancet è uno fra i vari UAV che i russi stanno producendo con sempre maggior solerzia, soprattutto focalizzandosi sugli impieghi tattici, dato che il settore dell’attacco strategico sull’Ucraina è ampiamente coperto dalla disponibilità di missili da crociera lanciati dall’aviazione e dalla marina.

Al fronte, fin dal febbraio 2022, l’esercito russo ha impiegato numerosi Orlan 10. Velivolo a elica prodotto dalla STC di San Pietroburgo ha un’apertura alare di 3,1 metri ed è lungo 1,8 metri, per un peso di 15 chili. Ha una velocità massima di 150 km/h e un raggio d’azione di 110 chilometri. Gli Orlan possono assicurare una sorveglianza di una vasta aerea orbitandovi per 16-24 ore a una quota attorno ai 1500 metri, sebbene possano alzarsi fino ai 5000 metri.

E sebbene abbiano subito molte perdite dall’antiaerea ucraina restano cruciali per l’impegno russo. Peraltro, alla fiera Army-2023 International Military-Technical Forum tenutasi ad Alabino e Kubinka, nella regione di Mosca, fra il 14 e il 20 agosto, i russi hanno divulgato per potenziali acquirenti esteri la sua versione potenziata, l’Orlan 30 (nella foto a lato), dotata di designatore laser per proietti e missili di precisione sparati dai reparti di terra, fra cui la granata intelligente Krasnopol da 152 mm.

Assai più rari sono i grossi Kronstadt Orion, sorta di equivalente russo degli MQ-9 Predator americani. Con 16 metri di apertura alare e 8 metri di lunghezza, volano a 200 km/h per un raggio massimo di ben 1400 km, potendo trasportare fino a 4 missili anticarro a guida laser Vikhr-1V, oltre a bombe a caduta libera e a bombe plananti guidate UPAB-50, ma è più usato per la ricognizione.

Tipicamente un gruppo operativo di droni Orion comprende da 3 a 6 velivoli gestiti da una squadra di terra su almeno tre veicoli con i sistemi di controllo radio e radar e guida remota. L’Orion sarebbe però stato finora costruito in pochi esemplari, le stime vanno da 30 a 48, di cui almeno 6 perduti in combattimento fra aprile 2022 e agosto 2023. Non molte, come perdite in assoluto, ma che incidono nella fattispecie di un UAV complesso e costoso di cui non esiste una produzione massiva, almeno per ora.

E’ per questo che Mosca, almeno da ottobre 2022, ha deciso di ricorrere all’importazione di velivoli UAV più economici dall’Iran. Non solo il ricognitore Mohajer 6, che può anche portare 40 chili di bombe, ma soprattutto il drone kamikaze Shahed 136, il cui scopo maggiore è soverchiare le difese aeree ucraine con il numero.

Abbastanza pesante, sui 200 chili, e con testata esplosiva fra 30 e 50 chili, lo Shahed vola a 185 km/h ed è lanciabile in rapida successione tramite speciali camion che ne imbarcano 5 su una sorta di castello ribaltabile che fa da rampa di lancio multipla.

E’ noto ormai da quasi un anno che i russi utilizzano gli Shahed rinominandoli Geran-2 (nella foto sopra). E nonostante siano vulnerabili alle difese ucraine la loro relativa abbondanza li fa utilizzare ancora come mezzo di saturazione. Senza elencare tutto lo stillicidio di attacchi a sciami che sono stati scatenati sulle città ucraine, ricorderemo che solo da maggio ad agosto 2023, secondo l’intelligence di Kiev, i russi hanno lanciato almeno 600 Shahed, senza contare svariate altre centinaia nei mesi precedenti. E che ancora la notte fra il 2 e il 3 settembre 2023 almeno 25 Shahed sono stati lanciati contro le infrastrutture ucraine del porto di Odessa e della foce del Danubio, basilari per l’esportazione del grano: anche se Kiev sostiene di averne abbattuti ben 22, i danni sarebbero stati notevoli.

 

I russi alla riscossa

Gli ucraini temono che le superiori dimensioni della Russia le consentano di moltiplicare a dismisura la produzione di droni al punto che nelle ultime settimane hanno incentivato l’acquisizione di difese specifiche. Il 15 agosto 2023 l’azienda norvegese Kongsberg ha annunciato di aver firmato un contratto da 71 milioni di dollari con l’International Fund for Ukraine per la consegna di sistemi anti-drone Counter Uncrewed Aerial Systems (C-UAS), meglio noto come Cortex Typhoon, sviluppato da Kongsberg insieme alla Teledyne americana e consistente in un sistema di sensori radar e ottici che forniscono dati di tiro a un cannoncino da 30 mm.

Il tutto su torretta montata su autoblindo Dingo 2 della tedesca Kraus-Maffei-Wegmann, per assicurare la necessaria mobilità. Inoltre il 30 agosto l’agenzia Bloomberg ha confermato che l’Ucraina starebbe ormai usando anche i sistemi anti-drone americani VAMPIRE, prodotti dalla L3Harris Technologies, laddove il nome non è solo sinonimo di “vampiro”, ma l’acronimo per Vehicle-Agnostic Modular Palletized ISR Rocket, in pratica un sistema di lanciamissili in un blocco a quattro canne che ingaggia il bersaglio grazie al rilevamento dai sensori in una distinta torretta su un alto pennone, il tutto montabile su veicoli di ogni tipo, anche semplici camionette.

L’allarme di Kiev è più che giustificato. Il 26 luglio la DIA, Defense Intelligence Agency, il servizio segreto delle forze armate USA, ha avvertito che accordi fra Mosca e Teheran stanno portando a realizzare una grande fabbrica di droni iraniani in Russia, nella Zona economica speciale di Elabuga, o Alabuga, quasi 1000 chilometri a Est di Mosca, nella Repubblica autonoma del Tatarstan: “Ciò per assicurare all’esercito russo una fornitura di droni Shahed e Mohajer di un maggiore ordine di grandezza”.

La DIA ha rimarcato: “Una volta completata la fabbrica avrà un impatto significativo sulla guerra in Ucraina”. Infatti, anche se per la maggior parte abbattuti, i droni iraniani, a basso costo, se diventeranno ancor più numerosi, potranno saturare le capacità delle difese aeree ucraine in misura ancora maggiore. Tali sciami potrebbero inoltre precedere gli attacchi con missili da crociera, per distrarre le difese coi sistemi più sacrificabili e meno sofisticati, lasciandole momentaneamente esaurite quando arriva la seconda ondata di ordigni più potenti.

Del resto, il 13 agosto analisti del gruppo di ricerca britannico Conflict Armament Research (CAR) hanno affermato che la Russia ha già iniziato a produrre e utilizzare la propria versione degli Shahed iraniani. Secondo il CAR: “Simili agli originali iraniani, avrebbero però 100 componenti in più prodotti da 22 aziende di 7 Paesi diversi, tra i quali non solo la Russia, ma anche aziende con sede in Cina, Svizzera e Stati Uniti”.

Sottinteso, in barba alle sanzioni e a un “isolamento della Russia”, ripetuto a pappagallo dai governi occidentali ma che, come dimostra l’espansione del gruppo BRICS, sembra ormai sempre più illusorio che reale.

Uno dei più autorevoli giornali USA, il Washington Post, ha poi pubblicato il 20 agosto una retrospettiva, basata su documenti trasmessi da un dissidente russo anonimo, che ben rende l’idea sui programmi UAV del Cremlino. L’idea è quella di costruire in territorio russo ben 6.000 droni entro l’estate del 2025. La fonte riservata del Washington Post sarebbe una persona che partecipa al lavoro nel distretto industriale di Alabuga, secondo la quale nella fabbrica di droni i russi stanno lavorando duramente per migliorare gli Shahed, sia nella qualità dei materiali e dei componenti, sia nei software.

Si tenta, in particolare, di renderlo capace di attacchi a sciame coordinati con UAV gemelli, evidentemente utilizzando elementi di intelligenza artificiale. La documentazione è stata esaminata dall’Institute for Science and International Security di Washington, secondo i quali i lavori nella fabbrica di Alabuga sarebbero in ritardo di un mese sulla tabella di marcia.

Gli esperti americani dicono che finora nella fabbrica del territorio tartaro della Russia centrale si sarebbero solo riassemblati droni forniti a pezzi dall’Iran. Mentre fusoliere nuove di Shahed prodotte sarebbero solo 300, in realtà non pochi se si considera che la fabbrica è stata praticamente appena creata. E’ chiaro inoltre che un mese di ritardo non è nulla per un colosso come la Russia che punta su una guerra lunga per far valere il suo peso strategico.

Immagini: Ministero Difesa Ucraino, Ministero Difesa Russo, Ministero Esteri Russo, Maxar, Ukrijet, ZALA, Defense Express, IRNA, Twitter e Telegram

 

Nato nel 1974 in Brianza, giornalista e saggista di storia aeronautica e militare, è laureato in Scienze Politiche all'Università Statale di Milano e collabora col quotidiano “Libero” e con varie riviste. Per le edizioni Odoya ha scritto nel 2012 “L'aviazione italiana 1940-1945”, primo di vari libri. Sempre per Odoya: “Un secolo di battaglie aeree”, “Storia dei grandi esploratori”, “Le ali di Icaro” e “Dossier Caporetto”. Per Greco e Greco: “Furia celtica”. Nel 2018, ecco per Newton Compton la sua enciclopedica “Storia dei servizi segreti”, su intelligence e spie dall’antichità fino a oggi.

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