Ma quale Wagner? Molti militari golpisti africani sono legati agli Stati Uniti che li hanno addestrati  

 

La sequenza di colpi di Stato tentati o portati a termine in questi anni nei paesi dell’Africa subsahariana sembra una conferma dei luoghi comuni sull’instabilità quasi fisiologica del continente. Solo gli analisti più acuti azzardano un’ipotesi meno superficiale: la “fine dei sogni dell’indipendenza” per gli stati post coloniali creati su modello europeo con tanto di welfare. Oggi questi paesi sono del tutto impoveriti, fra interessi privati, pressioni clientelari e privatizzazioni richieste dalle istituzioni finanziarie internazionali e cavalcate senza scrupolo dalle aziende multinazionali già negli anni ’90. Da qui lo spazio per il modello di “ordine” populista proposto dai generali e naturalmente corredato dei sempre efficaci richiami nazionalisti.

Ma al di là del quadro generale, nelle ultime settimane sono spuntati fuori elementi nuovi, con sfumature inquietanti. Forse la narrazione che vede i rivolgimenti politici nati, cresciuti e messi in pratica in modo del tutto spontaneo deve essere rivista. Per aprire la strada al dubbio basta mettere in fila le notizie sul ruolo di altri paesi nell’addestramento dei militari coinvolti, o nella presenza di forze straniere clandestine. Mentre della compagnia militare privata russa Wagner e della sua influenza in Africa si è parlato molto, solo ora filtrano rivelazioni sul coinvolgimento di militari addestrati in Occidente.

Secondo un’indagine di Responsible Statecraft, almeno 15 gli ufficiali addestrati negli Stati Uniti e con stretti rapporti con Washington sono coinvolti nei 12 colpi di Stato in Africa occidentale e nel Sahel dall’inizio dell’intervento statunitense in Africa per combattere le milizie jihadiste nel 2002. Oltre al golpe abortito del Gambia nel 2014, ci sono state quattro diverse occasioni nel Burkina Faso (2014, 2015 e due volte nel 2022), in Ciad (nel 2022), in Guinea Bissau (2021), tre occasioni in Mali (2012, 2020 e 2021), in Mauritania (nel 2008) e nel luglio di quest’anno in Niger. Quest’ultimo rivolgimento ha portato al potere una giunta militare di cui fanno parte almeno cinque ufficiali addestrati negli Stati Uniti. Lo stesso leader dei golpisti Abdourahmane Tchiani ha frequentato la National Defense University dal 2009 al 2010, e così pure il generale Moussa Salaou Barmou, ex comandante delle Forze speciali e ora responsabile della Difesa.

L’ultimo golpe africano, in ordine di tempo, è arrivato a fine agosto in Gabon, dove Ali Bongo Ondimba è stato esautorato da un gruppo di militari guidati da Brice Oligui Nguema. Per ora di questo generale si sa solo che ha frequentato scuole militari in Marocco e Senegal, e i suoi collegamenti con l’Occidente si limitano, secondo la stampa locale, all’acquisto in contanti di proprietà immobiliari per almeno un milione di dollari a Hyattsville e Silver Spring, in Maryland (USA).

La storia dei rapporti fra militari golpisti e Occidente è lunga. Appena nel 2016 una corte del Minnesota ha condannato a lievi pene detentive quattro cittadini americani che due anni prima avevano partecipato al tentativo – fallito – di rovesciare il governo del Gambia. Volevano deporre il presidente Yahya Jammeh per mettere al suo posto Cherno Momodou Njie, un imprenditore immobiliare nato nel paese africano ma emigrato a 25 anni nel Texas. La legge americana denominata Neutrality Act vieta le azioni armate di privati in altri paesi, ma per dirla con il legale che ha difeso gli imputati “se il golpe avesse avuto successo, il governo statunitense li avrebbe considerati eroi”.

A capo dei rivoltosi c’era il tenente colonnello Lamin Sanneh, rimasto ucciso nello scontro: Sanneh aveva ricevuto un addestramento militare nel Regno Unito, all’accademia di Sandhurst, e negli USA, alla National Defense University del Pentagono, per diventare comandante della guardia presidenziale e aver poi lasciato il Gambia per chiedere asilo negli USA e coordinare da lontano l’opposizione a Jammeh. Ad aggiungere spunti di riflessione è il fatto che anche quest’ultimo, l’ “uomo forte” del Gambia, arrivato al potere con un colpo di Stato nel 1994, era stato addestrato negli Stati Uniti.

Il Dipartimento di Stato statunitense nega ogni coinvolgimento nelle azioni dei golpisti e anzi sostiene – per la verità in modo poco convincente – di non essere in grado di seguire all’estero i militari che hanno frequentato scuole e corsi d’addestramento negli USA. Al sito di giornalismo investigativo The Intercept che chiedeva informazioni sul Niger, un portavoce del Dipartimento di Stato ha dichiarato che il governo americano “non addestra la guardia presidenziale” ma secondo lo stesso sito questa dichiarazione è smentita dagli stessi documenti interni sull’addestramento del personale straniero.

Secondo The Intercept gli Stati Uniti affidano a una vasta costellazione di agenzie, enti e società l’addestramento del personale militare straniero, che accoglie ogni anno oltre 200 mila fra militari e forze dell’ordine di paesi considerati alleati o non ostili. Il training si svolge in almeno 471 sedi di 120 paesi, in tutti i continenti tranne l’Antartide e coinvolge almeno 150 fra agenzie della Difesa, agenzie civili, scuole militari, compagnie militari private (PMC), organizzazioni non governative, oltre alla Guardia nazionale di cinque Stati.

La tentazione di individuare in questo denominatore comune dei diversi golpe una strategia complessiva americana è probabilmente azzardata. Washington vuole coltivare gli ovvi collegamenti con l’élite militare dei paesi coinvolti, affiancata sempre dal “soft power”, cioè da un potere culturale pervasivo. Ed è senz’altro soddisfatta di vedere che i golpe nell’Africa francofona stanno indebolendo l’influenza europea.

Il progressivo tramonto del vecchio continente, lo sfilacciarsi dei legami con le ex colonie e probabilmente anche i problemi per Emmanuel Macron, voce spesso critica sulla conduzione unilaterale della NATO, sono uno scenario sicuramente non sgradito e anche direttamente ricercato dai diversi governi USA. Ma il tramonto dell’egemonia europea sta lasciando sempre più spazio ad altri attori, Russia (anche attraverso la Wagner) e Cina in primis.

A confermare che con tutta probabilità il ruolo americano nell’instabilità africana è legato più alla confusione fra i diversi attori e alla mancanza di una visione geopolitica chiara che a una raffinata regia da remoto basta un severo articolo del New York Times, in prima pagina nell’edizione del 7 settembre, che racconta le difficoltà all’interno del governo Biden nel trattare il colpo di Stato in Niger. L’amministrazione democratica sta facendo i salti mortali per non chiamare “golpe” (coup) la presa di potere da parte dei militari a Niamey con l’estromissione e l’incarcerazione del presidente eletto Mohamed Bazoum. Gli scrupoli formali ricordano quelli di Bill Clinton, che decise di chiamare “atti di genocidio” e non “genocidio” tout court il massacro dei tutsi in Ruanda nel 1994 per evitare l’obbligo di intervenire.

Chiamare un colpo di Stato con il suo nome vorrebbe dire per la Casa Bianca dover interrompere ogni aiuto economico e militare con il paese coinvolto, con conseguenze geopolitiche sgradite, dallo spazio offerto a russi e cinesi alla minor presenza in chiave anti-jihadisti. Ma difficilmente il governo Biden potrà mantenere un atteggiamento di distacco diplomatico, tanto più dopo lo schiaffo subito da Victoria Nuland a Niamey. La sottosegretaria di Stato è arrivata d’urgenza nella capitale nigerina, ma nonostante le insistenze non ha avuto la possibilità di incontrare il capo della giunta militare Tchiani, né il presidente deposto e relegato nella sua residenza Bazoum.

Questa ambiguità nel negare a parole e poi concedere nei fatti l’assistenza ai paesi con un esecutivo golpista è stata segnalata dalla stessa stampa americana per il Mali, governato da Assimi Goïta, militare addestrato in Florida con le Forze Speciali statunitensi, protagonista di due putsch successivi. E vale anche per il Burkina Faso, stravolto da due colpi di Stato nel gennaio e settembre 2022. Nel primo, a prendere il potere fu il tenente colonnello Paul-Henri Damiba, addestrato negli Stati Uniti secondo i portavoce dello US Africa Command (AFRICOM). Gli stessi portavoce hanno preferito ricorrere al silenzio, senza confermare né smentire, sul protagonista del secondo golpe, Ibrahim Traoré, che in passato aveva fatto parte dei peacekeeper dell’ONU nella missione MINUSMA in Mali.

Nel complesso, l’approccio americano verso i militari africani potrebbe essere sintetizzato dalle dichiarazioni del generale Mike Langley, comandante di AFRICOM (a questo link l’audizione completa) che ha rivelato davanti alla Commissione Forze armate della Camera che gli Stati Uniti hanno addestrato circa 50 mila militari africani ammettendo, incalzato dal deputato repubblicano Matt Gaetz (a questo link), la “condivisione di valori fondamentali” con leader golpisti addestrati negli Stati Uniti.

Foto: truppe africane addestrate da militari statunitensi – US Africa Command

 

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Giampaolo CadalanuVedi tutti gli articoli

Giornalista e saggista, esperto di Politica internazionale e Difesa. Come inviato del quotidiano La Repubblica, per oltre 25 anni ha seguito i conflitti e le crisi in tutto il mondo, dall'Afghanistan al Medio Oriente, dal Maghreb ai Balcani, dall'Africa all'Est europeo, spesso "embedded" con le Forze armate italiane. E' autore del libro "Skinheads" sul neonazismo in Europa. Ha tenuto corsi e conferenze fra l'altro all’università UNINT, alla Scuola di applicazione militare di Torino, alla base NATO di Solbiate Olona, al corso IASD di Roma. Fra gli altri premi, ha ottenuto nel 2005 il "Boerma internationale award" della FAO per la copertura dei temi Fame e Sviluppo e nel 2015 la "Colomba d'oro" dell'IRIAD per la copertura delle guerre. Si interessa di Terrorismo internazionale.

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