Kosovo: il comando di KFOR alla Turchia non faciliterà la distensione

 

Quando si dice il tempismo: Seerbia e Kosovo sono a un passo dallo scontro militare e la NATO affida per la prima volta alla Turchia il comando di KFOR. Il 10 ottobre a “Film City” sede del quartier generale della forza militare della NATO in Kosovo (KFOR) a Pristina, si è tenuta la cerimonia di passaggio di consegne al comando della Forza Nato che ha visto il generale turco Ozkan Ulutas subentrare al generale italiano Angelo Michele Ristuccia, giunto al termine del suo mandato annuale.

Con 600 militari assegnati alla missione NATO, la Turchia è al secondo posto tra i 27 Paesi che contribuiscono alla forza KFOR, che conta attualmente circa 4.500 effettivi dopo i rinforzi giunti recentemente in seguito agli scontri del 24 settembre nel nord del Kosovo tra le forze di sicurezza di Pristina e manifestanti serbi.

Nel suo intervento di congedo, il generale Ristuccia ha reso omaggio a tutti coloro che hanno perso la vita nella regione e ha sottolineato che pace e stabilità sono ciò di cui la regione ha bisogno. “Il mio pensiero va ai caduti della Kfor e a tutti coloro che hanno perso la vita in questa regione, indipendentemente dalla loro origine o dalle differenze culturali e religiose che li caratterizzavano. Solo un accordo politico raggiunto attraverso il dialogo potrà garantire una pace duratura. KFOR lavora per mantenere un ambiente sicuro e protetto e la libertà di movimento per tutte le persone in Kosovo in modo imparziale e in linea con il mandato delle Nazioni Unite.

E’ stata e continua ad essere una missione complessa, segnata da innumerevoli sfide, che abbiamo cercato di trasformare in opportunità per garantire pace e stabilità, ma soprattutto per preservare un futuro migliore per le generazioni a venire”, ha concluso Ristuccia, undicesimo comandante italiano su 27 che si sono alternati alla testa della KFOR a partire dal 1999.

Il generale turco Ozkan Ulutas ha affermato che “come primo comandante turco a intraprendere questa missione, ho compreso l’importanza della responsabilità che mi sono assunto. Vorrei sfruttare questa opportunità per esprimere la mia gratitudine alle autorità della NATO che mi hanno affidato questo compito”.

L’ammiraglio americano Stuart B. Munsch, alla testa del comando interforze alleato della NATO a Napoli (Allied Joint Force Command Naples) ja sottolineato l’impegno di KFOR a mantenere e rafforzare ulteriormente il coordinamento con la polizia kosovara e la missione europea Eulex, che sono rispettivamente primo e secondo attore d’intervento in caso di crisi, con la Forza Nato in terza battuta. Munsch ha confermato il rafforzamento della presenza delle truppe NATO in Kosovo lungo la linea di frontiera con la Serbia, con militari aggiuntivi giunti da Gran Bretagna, Turchia e Romania.

La Nato ha una responsabilità nei Balcani Occidentali e in particolare in Kosovo e la prende molto seriamente”, ha detto il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg invitando Belgrado e Pristina ad astenersi da azioni che possano acuire la tensione e si impegnino nel dialogo facilitato dall’UE.

Il generale turco Ulutas assume il comando di KFOR in un momento di gravi tensioni. Oggi il ministro del Commercio serbo, Tomislav Momirovic, dopo l’incontro a Bruxelles con il commissario europeo per l’Allargamento e la politica di vicinato, Oliver Varhelyi ha definito inaccettabile che l’Unione Europea tolleri il divieto di commercio imposto dal Kosovo su tutte le merci prodotte nella Serbia centrale. “Abbiamo chiesto che il divieto venga immediatamente revocato”, ha detto Momirovic.

Lì’8 ottobre il presidente serbo Aleksandar Vucic aveva reagito duramente alle affermazioni del ministro dell’Interno kosovaro Xhelal Svecla, secondo il quale il figlio maggiore di Vucic, Danilo, sarebbe stato coinvolto nei fatti del 24 settembre scorso a Banjska, nel nord del Kosovo. “L’unico terrorista in Kosovo è Albin Kurti, che uccide e terrorizza il popolo serbo”, ha scritto Vucic attaccando su Instagram il presidente kosovaro.

“A due settimane dall’attacco terroristico di Banjska proseguiamo nelle indagini per far luce sui fatti che provano il coinvolgimento diretto della Serbia nell’organizzazione e l’attuazione di tale attacco”, ha scritto Svecla nel suo post su Facebook. In scontri armati il 24 settembre a Banjska sono rimasti uccisi un poliziotto kosovaro e tre assalitori serbo-kosovari.

Nella diatriba è intervenuta anche Tirana. La Serbia ha una “grande responsabilità” per l’attacco a Banjska ha detto il premier albanese Edi Rama.”La dichiarazione di lutto nazionale da parte di Belgrado per i criminali eliminati dalle forze di sicurezza del Kosovo è stata l’esempio vivente dell’ombra del passato che convive con la Serbia”, ha affermato Rama.

Vucic ha fatto appello ai rappresentanti politici dei serbi del Kosovo invitandoli a organizzare al più presto nuove elezioni locali per i sindaci dei quattro maggiori Comuni del nord a maggioranza serba. “Chiedo alla nostra gente di avviare iniziative per tenere al più presto nuove elezioni nei quattro Comuni”, ha affermato il presidente. Il 23 aprile scorso si tennero elezioni locali nel nord del Kosovo, boicottate dalla locale popolazione serba per protesta contro la politica ritenuta ostile e antiserba del governo di Pristina. Cosa questa che portò all’elezione di nuovi sindaci di etnia albanese nei maggiori Comuni serbi del nord – Mitrovica Nord, Zvecan, Zubin Potok e Leposavic.

Una situazione che diede origine a manifestazioni di protesta da parte dei serbi andate avanti per settimane e costellate da incidenti scontri e violenze. “Per noi è importante continuare nel dialogo, anche se Pristina non lo vuole”, ha osservato Vucic, che ha detto al tempo stesso di non credere a sanzioni internazionali contro la Serbia per i fatti di Banjska del 24 settembre scorso. Se proprio si dovessero decidere delle misure punitive, ha aggiunto, allora che puniscano lui personalmente e non la popolazione serba – ha detto.

Proprio alla luce di questa escalation delle tensioni suscita perplessità e interrogativi la decisione della NATO di affidare per la prima volta il comando di KOR alla Turchia, nazione solidamente alleata di Albania e Kosovo fin troppo sbilanciata a favore di Pristina nel confronto con Belgrado.

Basti ricordare i rapporti tra le Forze di Sicurezza Kosovare e le forze armate turche sviluppatosi negli ultimi anni in termini di supporto, addestramento e cooperazione anche se l’episodio più eclatante resta la fornitura nel maggio scorso di 5 droni armati Baykar Bayraktar TB2 che costituiscono il primo embrione di capacità aeree da attacco di cui disponga il Kosovo, che ufficialmente non ha forze militari ma solo di sicurezza.

I droni sono stati consegnati quasi sette mesi dopo la firma dell’accordo tra la società Baykar e il ministro della Difesa kosovaro Armend Mehaj, secondo quanto riportato il 19 maggio dal portale KlanKosova ripreso dall’agenzia di stampa turca Anadolu.

Le forze di sicurezza del Kosovo hanno ricevuto i droni alla vigilia della grande esercitazione internazionale Defender Europe 2023 guidata dagli Stati Uniti che vi hanno impiegato 7.000 militari e che ha visto la partecipazione di 1.300 militari kosovari al fianco di 17 mila della NATO provenienti da Albania, Bosnia Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Francia, Georgia, Germania, Grecia, Ungheria, Italia, Moldova, Montenegro, Paesi Bassi, Macedonia del Nord, Polonia, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia e Regno Unito.

L’esercitazione si è sviluppata tra il 21 maggio e il 5 giugno di quest’anno sul Kosovo (nazione candidata a entrare nella NATO) interessando in particolare l’aeroporto di Gjakova e la località di Boka.

Nei giorni scorsi inoltre gli Stati Uniti hanno donato alla Polizia del Kosovo 7 droni “da sorveglianza e missioni tattiche”. Già dalla scorsa primavera non era quindi difficile intuire che una grande esercitazione NATO effettuata sul territorio del Kosovo che ospita una grande base statunitense (Camp Bondsteel) e ha chiesto di entrare a far parte dell’alleanza, sviluppata per giunta con la cooperazione tra le truppe alleate e le forze di sicurezza locali “arricchita” per la prima volta dalla capacità di attacco aereo fornita al Kosovo dai droni acquisiti dalla Turchia, il tutto pochi mesi prima che per la prima volta un generale di Ankara assuma il comando di KFOR, non costituiva certo un contesto su misura per conquistare la fiducia della Serbia nell’Alleanza Atlantica e nel suo ruolo nella sua ex provincia.

Evidente che in un momento di così alta tensione mantenere (almeno fino al termine del conflitto ucraino) il vertice della KFOR saldamente in mano all’Italia o all’Ungheria, come accaduto negli ultimi anni, avrebbe offerto a tutti, dai Balcani all’intera Europa, maggiori garanzie di equilibrio, ancor più preziose se consideriamo il violento conflitto che da 20 mesi divampa poche centinaia di chilometri più a oriente.

Arduo ritenere che un crescente ruolo militare di Ankara, pur se in ambito NATO, in un’area che vede da anni una forte di penetrazione politica ed economica turca, possa favorire la distensione nel Balcani. Per questo occorre chiedersi quali nazioni dell’alleanza abbiano premuto a favore del comando turco di KFOR e se l’Italia e altri stati membri abbiano contrastato col necessario vigore o meno questo disegno che minaccia di favorire la destabilizzazione nella regione invece di scongiurarla.

L’Europa e l’Italia, soprattutto oggi, non hanno nessuna ragione per rischiare che le mire turche e l’accondiscendenza nei loro confronti di qualche alleato (anche se “di peso”) possano favorire nuovi focolai di guerra alle porte di casa nostra.

@GianandreaGaian

Foto KFOR  e Anadolu

 

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Giornalista bolognese, laureato in Storia Contemporanea, dal 1988 si occupa di analisi storico-strategiche, studio dei conflitti e reportage dai teatri di guerra. Dal 1991 al 2014 ha seguito sul campo i conflitti nei Balcani, Somalia, Iraq, Afghanistan, Sahara Occidentale, Mozambico e Sahel. Dal febbraio 2000 dirige Analisi Difesa. Ha collaborato o collabora con quotidiani e settimanali, università e istituti di formazione militari ed è opinionista per reti TV e radiofoniche. Ha scritto diversi libri tra cui "Iraq Afghanistan, guerre di pace italiane", “Immigrazione, la grande farsa umanitaria” e "L'ultima guerra contro l’Europa". Presso il Ministero dell’Interno ha ricoperto dal 2018 l’incarico di Consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri e un sottosegretario.

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