L’esercito russo che non abbiamo studiato

 

Dopo più di un anno e mezzo di guerra in Ucraina il libro delinea un quadro generale degli avvenimenti sul campo di battaglia prendendo in esame alcune caratteristiche strutturali delle forze armate russe e le modalità con le quali sono state impiegate nel corso del conflitto. In particolare, vengono approfonditi cinque temi principali riguardanti la genesi e lo sviluppo della “Operazione Militare Speciale” quali: l’origine concettuale del piano di Putin, le caratteristiche e i limiti della forza d’invasione, il disegno operativo di Mosca con riferimento agli obiettivi strategici da conseguire, la sostenibilità logistica delle operazioni a livello tattico e strategico, le caratteristiche del comando e controllo delle operazioni.

A premessa dei cinque argomenti, il libro tratta il tema della divulgazione e condivisione con l’opinione pubblica delle informazioni operative che ha consentito a molti di seguire l’evoluzione degli eventi bellici con un livello di partecipazione senza precedenti. In questo saggio l’autore analizza le operazioni militari terrestri dell’Esercito della Federazione Russa in Ucraina a più di un anno dall’invasione e dall’inizio delle ostilità, in uno scenario già instabile e di grande tensione dai tempi della Rivoluzione di Piazza Maidan del 2014.

 

Maurizio Boni – Nato a Vicenza nel 1960, è stato il vice comandante dell’Allied Rapid Reaction Corps (ARRC) di Innsworth (Regno Unito), capo di stato maggiore del NATO Rapid Reaction Corps Italy (NRDC-ITA) di Solbiate Olona (Varese), nonché capo reparto pianificazione e politica militare dell’Allied Joint Force Command Lisbon (JFCLB) a Oeiras (Portogallo). Ha comandato la brigata Pozzuolo del Friuli, l’Italian Joint Force Headquarters in Roma, il Centro Simulazione e Validazione dell’Esercito a Civitavecchia e il Regg. Artiglieria a cavallo a Milano ed è stato capo ufficio addestramento dello Stato Maggiore dell’Esercito e vice capo reparto operazioni del Comando Operativo di Vertice Interforze a Roma. Giornalista pubblicista, è divulgatore di temi concernenti la politica di sicurezza e di difesa

 

“Le stesse regole della guerra sono cambiate. Il ruolo dei mezzi non militari per raggiungere obiettivi politici e strategici è cresciuto e, in molti casi, questi hanno superato il potere della forza delle armi nella loro efficacia”.

Valery Gerasimov

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Pubblichiamo qui sotto un brano dall’Introduzione:

Il 25 marzo del 2022 Mosca è stata costretta ad annunciare un drastico cambio di strategia nella condotta delle operazioni in Ucraina a causa delle considerevoli perdite di uomini, mezzi e materiali sostenute nel versante settentrionale del fronte in quella che viene definita come la prima fase dell’”Operazione militare speciale” lanciata dalla Russia appena un mese prima, il 24 febbraio dello stesso anno. Forse la manifestazione più simbolica della débâcle russa è stata la perdita precoce di una colonna di truppe della Guardia Nazionale del Cremlino, la Rosgvardiya, che procedeva verso Kiev a bordo di veicoli poco protetti. L’unità, dotata di equipaggiamento antisommossa (elmetti da ordine pubblico, scudi, manganelli) avrebbe dovuto pattugliare le strade di Kiev una volta catturata nel giro di pochi giorni. I soldati di questa unità si sono trovati in una situazione differente diventando facili bersagli per i difensori ucraini. Questi ultimi, sono stati in grado di assorbire lo shock dell’attacco iniziale, riorganizzarsi, generare riserve, distribuire le armi che nel frattempo continuavano a giungere da occidente e interrompere il ritmo dell’offensiva.

Ciò è stato possibile principalmente per due ordini di motivi: da una parte l’impreparazione, a livello tattico, delle forze di Mosca causata dall’eccessiva segretezza del piano e, dall’altra, dalla tempestiva reazione della catena di comando ucraina e maggiore conoscenza del teatro delle operazioni frutto di otto anni di preparazione all’eventualità di un’invasione. La Russia ha previsto di far capitolare l’Ucraina in dieci giorni impiegando lo strumento militare alla stregua di un supporto dei servizi segreti federali come era già avvenuto nel 2014-2015. Un’operazione basata sulla rapidità e sull’azione destabilizzatrice di quinte colonne che avrebbero dovuto creare le condizioni per consegnare ai russi le amministrazioni delle città più importanti. In un primo momento Mosca ha colto di sorpresa Kiev sviluppando l’attacco principale dalla Bielorussia eventualità, questa, che i pianificatori ucraini avevano ritenuto poco probabile. Proprio per questo i russi sono riusciti a realizzare lungo la direttrice di attacco settentrionale che portava alla capitale ucraina un rapporto di forze enormemente favorevole, ma che non hanno saputo sfruttare con le conseguenze, sul piano militare, che conosciamo.

Al cospetto dei trattori ucraini che abbiamo visto impegnati nel traino dei carri armati di Mosca in panne nelle prime settimane dell’offensiva è venuto davvero spontaneo dire “non sono i russi che abbiamo studiato”. I russi che abbiamo studiato, almeno noi militari di una certa generazione, sono soprattutto quelli della Guerra fredda, capaci di scatenare la loro forza militare travolgente attraverso le pianure dell’Europa centrale mettendo a dura prova gli strumenti militari di chiunque si fosse opposto alla loro inarrestabile avanzata. Sono anche i russi che abbiamo visto operare nella prima e seconda guerra di Cecenia (1994-1996 e 1999-2009), in Georgia nel 2008, in Siria dal 2011, in Crimea e Ucraina nel 2014-2015. Sono anche i russi che hanno avviato nel 2010 programmi di ammodernamento e di riforme senza precedenti della loro macchina bellica e non ancora completati.

Riforme ispirate dallo studio e dall’interpretazione dell’evoluzione delle caratteristiche dei conflitti guidata dai teorici del pensiero militare del calibro di Valery Gerasimov, e di altri meno conosciuti dall’opinione pubblica e noti per lo più alla comunità di analisti e studiosi della dottrina militare sovietica e post-sovietica. La performance dell’Esercito della Federazione Russa in questa guerra va analizzata alla luce di tutti questi elementi e delle esperienze maturate nel corso degli impegni operativi affrontati da Mosca nei contesti appena citati.

Il contingente protagonista dell’operazione speciale, che non può essere disgiunto dal sistema politico militare che lo ha generato, è il frutto di scelte che il Cremlino ha operato nel corso del tempo adattando mentalità e modalità d’impiego della tradizione sovietica ai requisiti operativi imposti dagli scenari dove la Russia è intervenuta seguendo la propria agenda geopolitica. Tutti scenari differenti, ma dove Mosca è uscita vittoriosa impiegando una quantità limitata di forze convenzionali, rispetto a quelle che vediamo schierate oggi, ma decisive per il successo delle operazioni. Unica eccezione, il quasi decennale conflitto afgano (1979-1988), anche questo abbondantemente studiato, dove l’Armata Rossa, strutturata per sviluppare e vincere un conflitto ad alta intensità non poté sconfiggere la resistenza dei Mujaheddin.

 

L’esercito russo che non abbiamo studiato

Maurizio Boni

Serie “I Saggi di Domus Europa”

Editore Il Cerchio

Pagine: 94

Euro 20

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